Accumulare denaro e schiacciare i propri rivali è come uno splendido banchetto… ma la danza dell’intrigo che conduce a questi successi è un eccellente vino rosso
«Prendila! Per Shar, un’assassina a pagamento! Durexter, la pagherai cara per questo!», ringhiò Surth, continuando a colpire con tutte le sue forze, poi scivolò per la quarta volta sul tappeto ripiegato su se stesso e cadde pesantemente di traverso sul corpo della nuova venuta, impedendo a Bezrar di colpire a sua volta senza rischiare di ferirlo.
«Non l’ho mandata io!» stridette con voce frenetica il mercante legato. «Non l’ho mandata io!»
«È vero», ruggì una nuova voce, mentre qualcun altro irrompeva attraverso la finestra, scagliando in tutta la camera da letto una nuova pioggia di schegge di vetro, «perché lei appartiene a me!».
Annaspando, tremando e cercando debolmente di raggiungere il proprio coltello, Narnra Shalace singhiozzò per il dolore più lancinante che avesse mai sperimentato… una sofferenza lancinante che la stava svuotando a poco a poco…
Lottando per rialzarsi, Malakar Surth conficcò la punta del proprio coltello in profondità nel pavimento, infilandola nella fessura fra due piastrelle e si servì dell’impugnatura per trascinarsi via da sopra la forma sussultante dell’assassina, resa viscida dal sangue; persone del genere portavano spesso con loro dei veleni, magari forniti da lui stesso, quindi voleva allontanarsi da quella donna prima che…
Glarasteer Rhauligan schivò il selvaggio fendente di Bezrar, sferrò un pugno deciso contro il petto rotondo del grasso mercante… sopra il ventre e sotto il cuore, con un impatto che strappò a Bezrar un grido stridulo e soffocato… e continuò la sua corsa, andando a sbattere contro Surth con tanta forza da scaraventarlo contro la parete più vicina, alla quale era addossato un armadio dalle ante di vetro.
Una nuova pioggia di schegge si riversò sugli arti ammaccati di Surth, che si stava dibattendo selvaggiamente, e nel frattempo Rhauligan si rimise in piedi, afferrò Narnra per una spalla e si avviò verso la finestra mentre l’armadio oscillava, tremava in tutta la sua struttura, strappando a Starmara Dagohnlar un urlo di protesta per la triste sorte a cui stavano andando incontro i suoi abiti e le sue camicie da notte migliori, e cominciò a rovesciarsi verso il pavimento con un moto lento, pesante e inesorabile.
Stordito, con le mani che bruciavano ovunque per una miriade di minuscoli tagli, Malakar Surth si sollevò faticosamente su un gomito, tossendo per cercare di respirare, giusto in tempo per chiedersi come mai la poca luce presente nella stanza si stesse oscurando tanto rapidamente, quasi che il nero della notte gli stesse calando addosso dall’alto, solido come un soffitto…
L’armadio infine si abbatté sul pavimento con tanta violenza da far perdere l’equilibrio a chiunque fosse in piedi… o, nel caso dei Dagohnlar, da proiettarli in aria… e con uno schianto così stentoreo da assordare Surth ancora prima che la sua testa emergesse attraverso il sottile schienale dell’armadio con un altro sonoro frantumarsi di legno. Se l’armadio avesse avuto due robuste ante di legno, anziché di vetro, d’altro canto, probabilmente lui non sarebbe stato in condizione di sentire nulla mai più.
In quel momento, peraltro, Surth non era certo nelle condizioni più adatte per indulgere in quel genere di riflessioni; sovrastata da un cappellino di schegge, la sua testa incappucciata oscillò appena e si accasciò da un lato.
Bezrar intravide con la coda dell’occhio quanto stava accadendo al suo compagno mentre lui stesso andava a sbattere contro lo stipite della finestra sfondata, temendo per un nauseante momento di precipitare al di là di essa e nel canale.
Non appena riuscì a rimettersi in piedi, attraversò a precipizio la stanza alla massima velocità anche se con estrema goffaggine, incassando lungo il tragitto un altro doloroso pugno da parte del secondo assassino, e in un attimo oltrepassò la porta della camera da letto, allontanandosi nella casa buia e silenziosa.
Mente passava, alcuni servitori spaventati lo seguirono con lo sguardo attraverso lo spioncino inserito nella porta della loro stanza, ma nessuno di essi si azzardò ad andare a vedere quale fosse la causa di tutto quel tumulto, perché il fatto che gli affari e l’intimità di Dagohnlar fossero una cosa che riguardava soltanto lui era una regola che era stata messa bene in chiaro molti anni prima e spesso ribadita dopo di allora, e a tutti i serviti era stato spiegato con la massima chiarezza che chiunque fra loro avesse osato disturbare i padroni senza essere stato prima convocato con il gong si sarebbe potuto aspettare il licenziamento immediato… o anche qualcosa di peggio.
Ignorando la coppia legata che si dibatteva e implorava freneticamente sul pavimento, Glarasteer Rhauligan trascinò la sua preda verso la finestra, dove la luce era migliore, e le strappò rudemente il cappuccio.
«D’accordo, ragazza», ringhiò, scrollandola, «adesso consegnami i tuoi coltelli… con l’elsa in avanti, bada bene, e…».
Narnra Shalace lo circondò con le braccia… e si accasciò.
Sorreggendola con un braccio, Rhauligan scrutò il suo volto pallido, notando il sangue che sgorgava abbondante dalle labbra e l’oscurità che cominciava ad affiorare negli occhi imploranti… e il fatto che il davanti dei suoi abiti di cuoio, là dove lei gli si stava premendo contro, era scuro e viscido per il sangue.
La fiamma del braciere divenne più intensa, e quella fiammata improvvisa non si esaurì subito come accade di solito, ma invece andò ingrandendosi e si ripiegò su se stessa nel salire verso l’alto, aumentando di luminosità, pulsando ancora ed espandendosi fino a diventare… una testa che fluttuava nell’aria, la testa di un maschio umano dai lineamenti affilati e dalla barba fluente, che si volse a fissare con espressione tagliente il giovane mago che era la sola persona presente nella stanza.
«Sono qui, Lord Tharundar», sorrise Harnrim «Incantesimi Oscuri» Starangh, «e sono solo. Mancano solo poche ore al mio incontro con Lady Ambrur».
«Sai quali siano i tuoi ordini, e sei riuscito a convincermi della validità dei motivi che ti inducono a incontrare questa persona, quindi perché…»
«So che hai in corso molte importanti operazioni, signore», replicò Starangh, chinando il capo, «e se presumo di abusare del tuo tempo è solo per questo: fino a questo momento, mi sono creato un’opinione sul conto di Lady Ambrur soltanto per sentito dire… basandomi sulle parole di altri. Sono a conoscenza delle sue azioni e dei suoi contatti, so quanto sia ricca, ma non conosco la sua personalità, e mi aiuterebbe enormemente a portare a termine con successo il compito che mi hai affidato se potessi sapere tutto quello che tu sei riuscito ad apprendere sul carattere di questa donna prima d’incontrarla».
La testa evocata mediante incantesimo sfoggiò lo stesso freddo sorriso sottile che in quel momento stava apparendo sul volto del vero Tharundar, che si trovava a mezzo Faerûn di distanza.
«Harnrim, la tua competenza in fatto di incantesimi è forse un terzo di quella che tu pensi di avere», rispose poi la testa. «Tuttavia, sei uno strumento a cui attribuisco un notevole valore perché costituisci una rarità fra i Maghi Rossi. Infatti riesci a combinare la giovinezza, quello che viene definito un “bell’aspetto”, l’ambizione, l’astuzia, la prontezza verbale e il ferreo autocontrollo di un veterano della diplomazia, la pazienza, un talento superbo nell’agire e la capacità di gestire potenti magie. Inoltre», proseguì la testa spettrale, fluttuando più vicina, «tu ti rivolgi a me e fai appello alla mia saggezza e alle mie cognizioni laddove la maggior parte degli altri sarebbe trattenuta dal farlo dall’orgoglio. Bada a rimanere in vita, giovane Starangh, e arriverai davvero molto in alto. Quanto a Lady Ambrur, dimmi prima qual è l’idea che ti sei fatto di lei… in poche parole, perché non hai bisogno di fare ulteriormente impressione su di me».
L’uomo che amava essere soprannominato «Incantesimi Oscuri» allargò le mani in un gesto di divertita perplessità.
«La mia convinzione, per quello che può valere fino a questo momento, è che sia una nobile annoiata e affascinata dagli intrighi, dall’essere informata di tutto e dal conoscere nei minimi dettagli ogni segreto e cospirazione. In altre parole, per lei è tutto una forma di divertimento.»
«Le tue conclusioni sono esatte, per quello che è possibile determinare dall’esterno», replicò la testa nelle fiamme, dando l’impressione di annuire appena. «Tuttavia, lascia che ti dia questo avvertimento: a me sembra che in Lady Joysil ci sia qualcosa di più di una semplice nobildonna ricca, sofisticata e annoiata. Certo, per lei gli intrighi sono come una droga, ma… in lei c’è anche qualcosa di più…»
«Profondità nascoste?» sorrise Starangh. «Ne abbiamo tutti, signore.»
Rhauligan sbatté le palpebre per la sorpresa, scoccò una serie di rapide occhiate in giro per la camera da letto per essere certo che nessun nemico si stesse avvicinando di soppiatto con una lama pronta a essere lanciata o con qualche altro mezzo di offesa e adagiò con delicatezza al suolo la donna che reggeva fra le braccia, mentre uno dei due prigionieri legati rotolava su se stesso per osservarlo.
Per gli dei, come poteva una creatura così esile avere tanto sangue da perdere? D’altro canto, se voleva catturarla viva, non aveva tempo da sprecare in riflessioni del genere.
Inginocchiatosi su di lei, Rhauligan protese una mano oltre il cerchio umido e appiccicoso di sangue scuro che si andava allargando sempre di più e tirò fuori dallo stivale sinistro la fiala d’acciaio che vi teneva riposta. Sul fondo, essa era dotata di una punta che permetteva di piantarla nel terreno, pronta all’uso, e lui si servì di quella punta e delle proprie dita per forzare i denti serrati della ragazza, premendole poi una nocca contro l’articolazione della mascella per tenerle la bocca aperta mentre strappava con i denti il tappo della fiala.
Le palpebre di Narnra ebbero un fremito, e mentre lui sputava lontano il tappo della fiala i suoi occhi si spalancarono… e lei si contorse debolmente, emettendo un flebile sibilo di dolore. Una mano si sollevò per cercare di colpirlo al volto, tremò e ricadde al suolo accompagnata da un gemito. Tappando la fiala con il pollice, l’Arpista la capovolse e l’infilò fra i denti della ragazza, tenendola ben salda e gravando con il proprio peso sul corpo di lei per evitare che si muovesse.
Come sempre, il consueto accesso di tosse soffocata giunse quasi subito, ma Narnra risultò troppo debole per fare qualcosa di più che tremare… almeno nei primi momenti.
Rhauligan sopportò il suo dibattersi con cupa determinazione, inarcandosi per meglio controllare le convulsioni più violente che giunsero qualche momento più tardi, perché sapeva fin troppo bene quanto fosse acuta la sofferenza che accompagnava quel genere di risanamento, poi rigirò brutalmente la ragazza in posizione prona e tirò fuori ciò che teneva nell’altro stivale: un lungo tratto di corda scura cerata.
Nel tempo che lui impiegò a legarle entrambi i polsi e ad assicurarli alla parte posteriore della sua stessa cintura, Narnra si risanò completamente e prese a contorcersi con una tale energia da far affiorare un asciutto sorriso sul volto del suo catturatore.
«Ora smettila, ragazza», le ingiunse in tono allegro, prendendola per i gomiti per farla girare e issandola in piedi. «Ora ti porterò dalla Maga Reale per essere interrogata… e naturalmente più tardi mi potrai ringraziare per averti salvato la vita.»
La sola risposta di Narnra fu girare la testa con il gesto più secco di cui era capace per sputargli contro, scalciando al tempo stesso con violenza verso il punto in cui riteneva dovesse trovarsi la sua gamba più vicina. La sua supposizione risultò esatta, ma in passato Glarasteer Rhauligan aveva sopportato cose molto peggiori del vedersi sputare contro o dell’essere preso a calci, e si limitò a cambiare posizione con una risatina.
«Suvvia, ragazza», ringhiò poi. «L’inseguimento è finito, e Caladnei non è cattiva come tu… auuooo!»
Narnra si era seduta improvvisamente, protendendo in fuori il posteriore in modo da assestare una spinta decisa; sbilanciato, l’Arpista protese un piede all’indietro per puntellarsi, lo posò sul bordo dell’armadio rovesciato, si storse la caviglia e crollò al suolo, impotente ad arrestare la caduta. Contemporaneamente, l’Ombra di Seta scattò in avanti, colpì con un gomito e si contorse disperatamente per liberarsi dalla sua stretta, finendo per rimbalzare addosso a lui e lontano dalle sue mani, quando Rhauligan si abbatté sullo schienale già malconcio dell’armadio.
«I miei vestiti!» gemette Starmara Dagohnlar, mentre Narnra Shalace si rialzava di scatto per allontanarsi dall’uomo che le aveva salvato la vita e si dirigeva alla finestra come un vortice scuro.
Ruggendo di dolore e di irritazione, Rhauligan rotolò su se stesso fino a rialzarsi, ignorando le grida improvvise che stavano giungendo dal pavimento, tutte a base di:
«Salvaci! Signore, soccorrici! Siamo ricchi, possiamo pagare! Aiutaci, per favore!»
Rhauligan si raddrizzò in tempo per vedere il tenue rettangolo di luce della finestra oscurarsi per l’avvicinarsi del corpo in corsa di Narnra… e poi tornare ad apparire. Un momento più tardi, dal basso giunse un sonoro sciacquio.
Il canale. Si sarebbe annegata in quel maledetto canale.
Con un ringhio di rabbia assordante, Glarasteer Rhauligan attraversò di corsa tutta la stanza, spiccò un salto e attraversò d’un solo balzo la finestra, generando così un secondo sciacquio ancora più risonante.
Durexter e Starmara Dagohnlar si scambiarono un’occhiata interdetta. Trascorsero lunghi momenti interminabili, ma nella loro camera da letto non si verificarono altre improvvise apparizioni, non ci furono ulteriori irruzioni di assalitori incappucciati e muniti di coltello né altri nuovi arrivi inattesi.
I due tornarono a fissarsi a vicenda… e per tacito accordo entrarono in azione all’unisono, rotolando e contorcendosi per avvicinarsi maggiormente l’uno all’altro.
«Il cordone del gong!» ringhiò il mercante, quando ebbe ripreso fiato. «Puoi alzarti e raggiungerlo?»
«Non riesco neppure ad avvertire i piedi!» ribatté in tono secco la sua signora, «e se credi che intenda convocare i servitori qui dentro mentre siamo entrambi nudi e legati come polli pronti per lo spiedo… Per gli dei, Durr, ma non ti rendi conto che probabilmente sarebbero lieti di tagliarci la gola? Adesso rotola su te stesso e girati, in modo che possa avvicinare i denti ai tuoi polsi».
Un gemito improvviso proveniente dall’armadio indusse entrambi a immobilizzarsi per la paura, poi la testa incappucciata che sporgeva fra le schegge di legno si girò con fare stordito e gemette ancora.
«Fa’ presto!» ringhiò Lord Durexter Dagohnlar, sbattendo la fronte contro quella della moglie nella frenesia di muoversi… e causandole così la peggiore emicrania di cui avesse sofferto da anni. Il suo alito era… più pestilenziale che mai.
Mentre rotolava lontano da lui e si sollevava, scalciando con i piedi legati fino a riuscire a sedersi sul tappeto arruffato, Starmara concepì una serie di pensieri omicidi.
Per questo, marito mio, tu morirai. Non subito… non prima che noi si sia al sicuro a Westgate…. Ma tu… tu… razza di maiale, Durr.
«Fa’ presto!» ripeté Lord Dagohnlar, quasi in tono di supplica. «Se riusciremo ad uccidere Surth saremo salvi, perché senza di lui quel grasso idiota di Bezrar non oserà tentare nulla. Se Surth dovesse svegliarsi e arrivarci addosso prima che ci siamo liberati, saremo noi a finire in pasto alle anguille! Avanti, comincia a rosicchiare!»
«Da come parli, sembra che io sia un topo!» sibilò Starmara, cominciando a lavorare di denti.
Saggiamente, Durexter si astenne dal replicare.
Instancabile, il vento continuava a sferzare il Tharbost, sollevando la veste della Simbul fin quasi sopra la testa.
C’È UN SEMPLICE INCANTESIMO…
«Altissima», rispose con un sorriso la Regina di Aglarond, agitando con noncuranza i capelli, «mi sforzo sempre di non sprecare la magia per cose senza importanza. È così facile prendere l’abitudine di cercare di pilotare Faerûn in ogni piccolo dettaglio della sua esistenza, da dove cadono le ombre al colore delle foglie autunnali… e ogni utilizzo della Tela ha le sue conseguenze. M’importa poco degli indumenti, sono a mio agio in questa vecchia veste lacera, e che importanza ha se tu o El vedete il mio posteriore? In fin dei conti, tutti ne abbiamo uno».
ACCETTO IL RIMPROVERO, replicò la voce tonante di Mystra, in tono più sommesso. LA TUA VISIONE DELLE COSE È QUELLA GIUSTA. NON ESITATE MAI A FARMI OSSERVAZIONI DEL GENERE, TUTTI E DUE, PERCHÉ HO ANCORA UNA QUANTITÀ IMMENSA DI COSE DA IMPARARE… UNA VERA MONTAGNA.
«Non lasciare che i preti ti sentano dire una cosa del genere», gemette Elminster, «altrimenti cominceranno a gettarsi giù dalle montagne in tutto Faerûn».
La risata sorpresa di Mystra echeggiò tutt’intorno a loro con forza sufficiente a staccare piccole schegge di roccia dalla superficie del vecchio Tharbost.
GRAZIE, VECCHIO MAGO. COME MISERA RICOMPENSA, TEMO PERÒ DI AVERE DA OFFRIRTI SOLTANTO ALTRI ORDINI.
«Comanda, Signora dei Misteri», replicò Elminster, piegando al suolo un ginocchio.
RIALZATI, VECCHIO IMBROGLIONE [confusione]… E ACCETTA, TE NE PREGO, LE MIE SCUSE: SO CHE DICEVI SUL SERIO.
«Infatti.»
Qualsiasi divinità era dotata del potere di aprire la mente di qualunque mortale e di leggerla come un libro, mettendo a nudo ogni minimo pensiero, ogni sensazione e ogni ricordo, ma fare un cosa del genere in modo meno che lento e delicato avrebbe rovinato la mente sottoposta a esame.
Inoltre, i Prescelti di Mystra detenevano una certa porzione del suo stesso potere, che divampava ogni volta che Lei penetrava nella loro mente, al punto che procedere oltre era come fissare il sole, bruciare ed essere bruciati, un processo che danneggiava entrambi senza fornire informazioni di sorta. Di conseguenza Mystra… la nuova Mystra… aveva appreso ben presto che era meglio non cercare di vedere al di là dei pensieri e dei ricordi che i suoi Prescelti erano disposti a condividere con lei.
PERDONAMI, EL. STO ANCORA IMPARANDO. ASCOLTA DUNQUE QUAL È LA MIA VOLONTÀ: DEVI INFORMARE CALADNEI DELLE INTENZIONI DI VANGERDAHAST E VEGLIARE SU DI LEI OLTRE CHE SU DI LUI, GUIDANDOLA, QUALORA SI RENDA NECESSARIO. NON VOGLIO PERDERE I MAGHI DELLA GUERRA E NEPPURE VOGLIO CHE SI SCATENI FRA LORO UNA LOTTA INTESTINA… ALTRIMENTI DIVENTERANNO SOLTANTO UN’ALTRA OSTILE E DIVISA CONFRATERNITA DI MAGHI MOSSI DALL’INTERESSE PERSONALE, COME I MAGHI ROSSI.
ALASSRA, QUEGLI STESSI MAGHI ROSSI STANNO CAUSANDO NUOVI PROBLEMI IN AGLAROND. GUARDATI DALLA MAGIA DEL VERME MENTALE OPERATA SU COLORO DI CUI TI FIDI.
«Potentissima», rispose la Simbul, con un sorriso asciutto quanto il suo tono di voce, «non mi fido di nessuno, a parte i presenti, e a volte non sono certa di potermi fidare neppure di voi due».
La risata divina echeggiò di nuovo per la cima montana, ma mentre era chiaro che Mystra aveva interpretato quelle parole come uno scherzo, il sorriso affettuoso e comprensivo di Elminster disse ad Alassra che lui aveva capito che stava dicendo sul serio… e che il suo era come sempre un comportamento saggio.
Malakar Surth aveva la testa che risuonava come una campana e che doleva come se una campana, appunto… un esemplare grosso e arrugginito… fosse stata utilizzata per percuoterla incessantemente. Ringhiando per il dolore e scuotendo il capo nel vano tentativo di trovare un impossibile sollievo, Surth aprì gli occhi e mentre attendeva per un tempo imprecisato che la camera cessasse di vorticargli intorno in tutta la sua gloria fluttuante, ricordò di colpo una cosa: si trovava nella camera da letto dei Dagohnlar.
I Dagohnlar erano suoi giurati nemici, che lui e Bezrar avevano poco prima legato e minacciato… e che molto probabilmente erano ancora nella stanza, sapendo dove poter trovare una quantità imprecisata di armi di cui lui ignorava l’ubicazione, e questo mentre lui aveva invece perso il coltello da qualche parte in mezzo ai rottami dell’armadio che lo aveva abbattuto.
E anche se i due non erano più là, anche se non erano armati e intenzionati a ucciderlo dove si trovava, quella era comunque pur sempre la loro casa, con tutte le guardie, i servitori e i famelici cani addestrati di cui i due dovevano disporre, e lui si trovava proprio al suo centro, impotente e intrappolato sotto i rottami di quel maledetto mobile… sepolto sotto ogni sorta di abito di seta, certo, ma pur sempre intrappolato. Per di più, a giudicare dalla luce che stava filtrando dalla finestra, l’alba era ormai prossima.
L’alba era ormai prossima?
Nel nome di Shar! Incantesimi Oscuri gli aveva ordinato di preparare prima dell’alba la carrozza chiusa per accompagnarlo alla dimora di Lady Ambrur! E sebbene Haelithorntowers fosse ad appena tre strade di distanza e la locanda in cui risiedeva il Thayano fosse lontana altre otto, tuttavia… tuttavia…
Con un urlo che esprimeva la paura e la frustrazione che stavano crescendo dentro di lui, Malakar Surth prese a scalciare, a picchiare con i pugni e a tirare il legno fracassato con la frenesia di un folle, e in qualche modo riuscì a colpire il piede di sostegno dell’armadio che era ripiegato sotto di lui ed era bloccato da quanto rimaneva dell’intelaiatura… e fu libero!
Con un ruggito di fugace, frenetico trionfo, il mercante incappucciato eruppe dal mucchio di rottami lasciandosi dietro una scia di schegge e conservandone alcune addosso; barcollando, raggiunse la porta da cui era entrato degnando appena di un’occhiata i Dagohnlar terrorizzati mentre spalancava il battente e si lanciava oltre la soglia, appiattendo al suolo una timida cameriera che era ferma nel corridoio in preda all’incertezza, reggendo un vassoio su cui erano disposti la caraffa di vino caldo speziato e due boccali destinati alla colazione dei suoi padroni.
Caraffa, vino, vassoio e tutto il resto volarono per aria accompagnati da uno strillo di sorpresa, rimbalzando musicalmente in mezzo all’assortimento di sfere di cristallo lavorato tanto care a Starmara e contro il lampadario tanto gigantesco da risultare grottesco che decorava il sovrastante soffitto a volta; mentre Surth spiccava la corsa, cadeva e si lanciava incespicando giù per le scale a tutta velocità, quell’assortimento di missili tornò a ricadere verso il basso causandogli una nuova collezione di ammaccature.
Un boccale, in particolare, gli rotolò sotto i piedi e lo fece precipitare a testa in avanti giù per una rampa di gradini, mandandolo ad arrestarsi contro un enorme vaso di felci adorno di una serie di manici… e fatto fortunatamente di rame e non di un materiale frangibile come la terracotta. Esso si rovesciò, riversando ovunque terra e rami, e rotolò con un clangore metallico sulla scia di Surth mentre questi scivolava giù per la successiva rampa di gradini, arrivava in fondo a piedi in avanti e nel sollevarsi andava a finire nell’abbraccio di una scintillante armatura, retaggio ereditario dei Dagohnlar, completa di piastre di metallo e più alta di lui di tutta una testa.
L’armatura crollò come… ecco, come un’armatura i cui pezzi siano stati fissati malamente fra loro e che siano quindi liberi di staccarsi e di riversare ovunque il loro contenuto in un caos risonante e rimbalzante; in mezzo a quel disastro, il mercante incappucciato, che stava ora imprecando freneticamente, rotolò per l’ultima rampa di scale vorticando le braccia per mantenere l’equilibrio e terrorizzando l’assonnato portinaio, che si affrettò a spostarsi di lato dopo aver cercato di afferrare una grossa ascia da guerra solo per scoprire che era tanto massiccia da trascinarlo quasi al suolo con il suo peso.
Surth andò a sbattere contro i pannelli intarsiati dei doppi battenti della porta d’ingresso dei Dagohnlar con una velocità e un impatto tre volte superiori a quelli necessari per spalancarli; impotente ad arrestarsi, rotolò giù per gli ampi e umidi gradini di marmo esterni e andò a finire in mezzo alla Via Calathanter, scivolando in avanti fino ad arrestarsi con un gemito sull’acciottolato dopo essere passato su un ammasso di qualcosa di viscido dall’odore fin troppo familiare: sterco di cavallo.
Cupamente, Surth rifletté che se non altro era finito nello sterco di cavallo a faccia in su, e si augurò che l’assortimento di dolori che avvertiva dipendesse da semplici ammaccature e non da ossa che si erano già fratturate, prima che il Mago Rosso Incantesimi Oscuri provvedesse a fracassare anche tutto il resto della sua persona con qualche magia.
«S… Surth? Per gli dei, sei vivo! Ti hanno buttato fuori?»
Quella voce era fin troppo familiare… era la voce di Bezrar, che doveva essersi dato alla fuga, abbandonandolo a una morte certa, solo in quella camera da letto con due sicari prezzolati! Bezrar, l’idiota che…
Mani forti (accompagnate da molto ansimare e da una zaffata di un alito che sapeva di zucchero alla menta… zucchero alla menta?… invece del consueto sgradevole odore di aglio stantio e di pesce ancor più stantio) sollevarono Malakar Surth dall’acciottolato e lo rimisero in piedi.
Surth prese fiato, preparandosi a pronunciare le parole più roventi e offensive che la sua mente sarebbe riuscita a trovare per insultare un certo grasso mercante, nei pochi istanti che gli ci sarebbero voluti per trovare e afferrare la daga di Bezrar, conficcandola ripetutamente nella sua grassa, stupida faccia… ma poi sbatté le palpebre, interdetto, e rimase a bocca aperta per lo stupore senza riuscire a emettere un singolo suono.
Bezrar era fermo davanti a lui con aria incerta, e continuava a spostare il peso del corpo da un piede all’altro… piedi calzati nel miglior paio di stivali che lui possedesse, così come il suo abbigliamento era costituito dagli indumenti più sobri e di miglior fattura di cui disponeva. Sul volto del grasso mercante aleggiava un sorriso incerto quanto il suo atteggiamento, e lui stringeva in una mano una lunga cavezza e una frusta da cocchiere… mentre con l’altra aveva appena aperto la portiera della carrozza chiusa di Surth, che era ferma davanti alla porta di Casa Dagohnlar. Surth sbatté di nuovo le palpebre, quasi aspettandosi che la carrozza svanisse, lasciandolo a fissare invece i volti duri e cupi di un’infuriata pattuglia della Guardia Cittadina, accompagnata da qualche servo dei Dagohnlar che lo stava additando nel richiedere il suo arresto immediato.
La carrozza rimase però esattamente dove si trovava, lucida sotto la fitta pioggerella che i Marsembani amavano prosaicamente definire «nebbia dell’alba», con le lampade laterali accese e la miglior pariglia di pomellati che Surth possedeva ferma in paziente attesa fra le tirelle. E se i cavalli erano pazienti, questo significava che era stato dato loro da mangiare.
Surth scosse il capo per l’incredulità, poi il suo stupore aumentò ancora di più nel constatare che due asciugamani da bagno erano ripiegati ordinatamente sul fondo della carrozza, sotto un sedile sul quale era disposto un cambio completo di vestiario per lui… proprio l’insieme rosso scuro che aveva avuto intenzione di indossare, completo di guanti e di stivali bordati di velluto.
«Ho fatto tutto per bene, vero?» commentò Bezrar, con un ampio sorriso, quando infine Surth si volse a fissarlo a bocca aperta. «Ho visto il biglietto che hai lasciato al tuo stalliere, e lui mi ha spiegato cosa significasse, e così… eccomi qui.»
Per la prima volta nella sua vita, Malakar Surth abbracciò un uomo con affetto e con l’intenzione di baciarlo.
«Ehi, ehi! Non c’è tempo per queste cose, altrimenti arriveremo in ritardo dal tuo “socio”… e il tuo stalliere mi ha lasciato intendere che questa sarebbe una cosa molto spiacevole.»
«Bezrar», riuscì a dire Surth, mentre assestava un’entusiastica pacca sulla spalla al grasso mercante e lo oltrepassava di scatto per afferrare gli asciugamani, «per questo leverò speciali preghiere per te davanti all’altare di Shar e… e ti comprerò qualcosa che desideri in modo particolare».
«Quella danzatrice che c’è all’Ancora Amorosa?» chiese Bezrar, in tono speranzoso.
«Due danzatrici! Lei e la sua migliore amica, o magari… splendido, Bezrar! Sei stato semplicemente… splendido!»
Malakar Surth non era il genere di uomo che avesse la propensione a gettare indietro il capo per ridere selvaggiamente all’indirizzo delle invisibili stelle avviluppate dalla nebbia, ma adesso fece esattamente questo… attirandosi un’occhiata perplessa di un ufficiale della Guardia che stava svoltando l’angolo proprio allora alla testa della sua pattuglia e che inarcò sempre più le sopracciglia nel vedere quel magro uomo ridente cominciare a strapparsi di dosso i vestiti per gettarli con indifferenza alle proprie spalle.
I membri della pattuglia notarono poi la portiera aperta della carrozza, si scambiarono un’occhiata e per un tacito accordo svoltarono giù per un’altra via. Quegli idioti di nobili…
Surth stava già spronando i cavalli a tutta velocità giù per Tarnmstar Lane, alla volta della Via Chancever, tuttora pervaso da un intenso senso di gratitudine nei confronti di Bezrar… che gli sedeva accanto con un sorriso compiaciuto sul volto… quando fu assalito da uno sgradevole pensiero: considerato quanto era ben custodita e disseminata di trappole la sua casa, come aveva fatto Bezrar a sapere dove lui teneva quei vestiti? E come aveva fatto a prelevarli dall’armadio, ancor meglio custodito e dotato di altre trappole?