21. Nessuna spada è più tagliente della sua lingua

Il fragore della battaglia può essere assordante anche agli orecchi di un morente… ma preferisco venti simili battaglie assordanti a una sola, aspra lite con mia moglie.


Sareth Thald, Mercante di Amn

Riflessioni sull’essere un Principe Mercante

Anno della Torre

«Per gli dei, Surth, per quanto tempo ancora dobbiamo rimanere seduti qui al buio a patire la fame, eh?» esclamò Aumun Bezrar, asciugandosi la fronte sudata con un braccio grasso e peloso mentre accennava con il coltello in direzione della finestra. «Il resto di Marsember diventa sempre più ricco a ogni ora che passa, mentre noi ce ne stiamo rintanati qui!»

«Non stiamo morendo di fame, Bezrar», ribatté in tono gelido l’uomo alto e magro appoggiato al davanzale. «Da quando ho cominciato a tenere il conto, hai mangiato almeno una dozzina di tomi di formaggio… e hai anche svuotato un intero barilotto di vino sembiano! Ho scelto questo magazzino per due ottime ragioni, una delle quali è proprio l’abbondanza di cibo. Bada di non eccedere nel “morire di fame”, altrimenti non passerai più dalla porta quando arriverà il momento di andarcene!»

«E quando sarà? Che io possa morire, Surth, non ci possono dare tanta importanza da cercarci in eterno con la magia… proprio come io non posso mangiare formaggio in eterno!»

«Lo so!» replicò Surth, sempre più cupo. «L’altra ragione per cui ho scelto questo posto, idiota, è la cassa su cui sei seduto. È piena di pietre luminose di Selagunt, e i loro incantesimi… regolarmente denunciati con pagamento della relativa tassa… dovrebbe nasconderci a qualsiasi magia di ricerca che non venga attivata direttamente da dentro questa stanza… o almeno spero.»

«Per il pesce di Odd, Surth, vuoi dire che non lo sai per certo? Che ci potremmo essere rintanati qui per niente

«Smettila di agitare quel tuo coltellaccio per il pesce nella mia direzione e di farfugliare stupidaggini, Mastro Importatore Aumun Bezrar, e…»

Malakar Surth tacque di colpo nel bel mezzo di quella frase sarcastica e sollevò una mano per avvertire il compagno di fare silenzio, portandosi un indice alle labbra con un sibilo di avvertimento e muovendo un paio di rapidi passi verso Bezrar per meglio fargli capire la gravità della situazione, mentre con l’altra mano indicava ripetutamente le assi del pavimento: qualcuno era appena entrato nel vasto, cavernoso piano terreno del magazzino in cui si trovavano.

«Sei certo che questo sia un posto sicuro?» chiese in tono dubbioso una voce maschile dai toni colti e raffinati, accompagnata da un forte sentore di muschio che indusse Surth a sogghignare in silenzio: l’intruso non era altro che un nobile damerino.

«Sicuro quanto qualsiasi altro, in questo cimitero di pesci marci che definiscono una città», replicò un altro uomo, con fare divertito. «I furfanti a cui appartiene questo granaio adibito a magazzino non si sono più fatti vedere da alcuni giorni… il che non mi meraviglia, considerato che la Guardia Cittadina li sta cercando dappertutto!»

«Ragione di più per esser guardinghi», insistette con rabbia il nobile profumato. «Chi può dire che una pattuglia di nasi purpurei non si trovi qui dentro proprio ora, o che ci stia venendo per un controllo quotidiano?»

Un chiarore improvviso divampò al piano inferiore, filtrando fra le assi quanto bastava per mostrare a Bezrar e a Surth i rispettivi volti pieni di tensione.

«Guarda la mia pietra luminosa!» esclamò il nobile dai toni divertiti. «Possiamo dare una bella occhiata in giro e andarcene molto tempo prima che qualcuno si accorga di noi. Se poi dovesse sopraggiungere la Guardia… hai visto fuori quel cartello che dice: “stoccaggio per una cifra ragionevole”? Ebbene, noi siamo due innocenti nobili venuti a ispezionare questo magazzino per verificare se è abbastanza asciutto per ospitare il carico che stiamo aspettando, quelle sete orientali che hanno fatto perdere la testa alle nostre mogli, giusto?»

«D’accordo», assentì con riluttanza il nobile profumato. «Dirigi la luce da quella parte… mi è parso di scorgere qualcosa che si muoveva.»

«Infatti.»

«Dolce Tymora…»

«Sì, è bello grosso. No, lascialo andare, un ratto di quelle dimensioni costituisce il pasto principale per le famiglie di alcuni portuali di questa città.»

«Thandro, sei disgustoso

«Così dicono spesso le mie amanti… però ho notato che non rifiutano mai i miei doni o la mia compagnia. Ora basta con queste sciocchezze. Sei soddisfatto?»

«Suppongo di sì. Il posto è il Palazzo Thundaerlyn e ho trovato cinque oggetti magici di poca importanza di cui i miei familiari non noteranno la mancanza: un pettine che uccide i pidocchi, la testa di un bastone da passeggio che sa da che parte è il nord… questo genere di cose.»

«Bene. Quante spade puoi radunare.»

«Almeno sette, di cui tre addestrati nell’uso della spada e due esperte lame a pagamento. Dove e quando?»

«Sotto la Lanterna Spenta del Vicolo Thelvarspike… lo conosci?… al più tardi ai cinque tocchi di campana, perché dovremo essere ai nostri posti con un buon anticipo rispetto alla Prima Candela, ora in cui dovrebbero arrivare i reali.»

«Porteranno con loro dozzine di Maghi della Guerra e di Dragoni Purpurei, Thandro!»

«Certamente, e noi della Legittima Cospirazione saremo pronti ad accoglierli. Comportati come se volessi passare la notte a fare il giro delle taverne, raggiungi quella lanterna e tutto andrà per il meglio. Abbiamo armati e maghi a sufficienza per tener testa a qualsiasi esercito gli Obarskyr possano portare con loro… e sì, ci aspettiamo di avere a che fare anche con la Maga Reale e i suoi incantesimi.»

«Non mi piace.»

«A quelli come te non piace mai, Sauvrurn. Se non fosse per uomini come me, continueresti a borbottare contro il malgoverno degli Obarskyr da adesso al momento in cui scenderai nella tomba, fra una settantina d’anni, senza però fare nulla tranne ribollire di rabbia. Vuoi una nuova Cormyr? Ebbene, noi te la daremo, e ti daremo anche quel “vero potere” che tanto brami. Entro domattina, potrai usarlo per ordinare che Alusair… o quello che sarà rimasto di lei… venga portata legata nel tuo letto, così la smetterai di seccarci anche con quella reiterata richiesta. Chi può mai sapere… potresti anche finire per essere il padre del prossimo re di tutta Cormyr, razza di cane fortunato!».

«La bestia presente nello stemma della mia famiglia è un leone alato», ribatté in tono gelido il nobile profumato, «e non un qualsiasi cane bastardo».

«Ebbene, mio Leone Alato», replicò Thandro, la cui voce si era fatta più fievole perché si stava dirigendo verso la porta, «provvedi di essere sotto la Lanterna Spenta prima dei cinque tocchi e avrai la possibilità di lasciare la Reggente d’Acciaio senza fiato… sempre che tu non sia costretto a farla a fettine durante l’inevitabile scontro, naturalmente».

«Non mi potrà certo tenere testa con la spada, quindi bada che i tuoi uomini stiano alla larga…»

La voce di Sauvrurn svanì del tutto, poi i due uomini nascosti nel solaio sentirono la sbarra della porta che veniva rimessa rumorosamente al suo posto.

«Per gli dei, Surth», sibilò Bezrar, con il sudore che gli colava lungo il volto come una cascata. «In che guaio ci siamo messi?».

«Nessuno», ringhiò il più ricco mercante marsembano di profumi, vini, liquori e veleni, «se solo per una volta ti decidi a chiudere la bocca e ad aiutarmi ad aprire la botola del tetto. Dobbiamo fare silenzio e muoverci in fretta… e allontanarci quanto più ce lo permetteranno le mura di Marsember dallo spargimento di sangue che si verificherà qui al tramonto! Qualsiasi cosa succeda nel Palazzo Thundaerlyn, entro mezzogiorno di domani questa città verrà setacciata e rovesciata come un guanto da ogni Mago della Guerra del regno!».

* * *

Florin Falconhand stringeva in una mano i pesci gocciolanti e dimenticati e teneva pronta nell’altra la spada, intento a sorvegliare il Mago Rosso steso al suolo. Starangh, che giaceva impotente ai suoi piedi, lo stava fissando a sua volta in modo tale che se gli sguardi avessero avuto il potere di uccidere, il ranger sarebbe già morto; in realtà, però, la vera battaglia era in corso a qualche passo di distanza da entrambi, dove Narnra Shalace stava fronteggiando suo padre e dando infine sfogo alla propria ira.

«Tu non sei migliore di quest’avido e malvagio Thayano!» stava infuriando la ragazza. «Fai esattamente quello che vuoi, da anni! Anni di intromissione nella vita di molti, più per la tua soddisfazione e il tuo divertimento che per qualsiasi altro motivo!».

«La maggior parte delle mie azioni e dei miei misfatti è stata compiuta al servizio di Mystra, la più potente fra le divinità», replicò Elminster, scuotendo il capo. «Nel bene o nel male, io sono stato un dito, o forse anche due, della sua mano, ed ho fatto ciò che lei mi ha ordinato».

«Avresti potuto rifiutare!» esclamò Narnra, accantonando le parole di lui con un sogghigno disgustato. «Avresti potuto rinunciare a tutto… se non avessi desiderato tutto quel potere

«Che io lo voglia o meno… ce l’ho, quindi perché non dovrei usarlo?» obiettò Elminster. «Chi più di me posso confidare che lo usi al meglio?»

«Non si tratta di potere e di controllo, ma di fare la cosa giusta», ringhiò Narnra.

«Ah, e cos’è questa “cosa giusta”?»

«Se non sei in grado di capirlo…» cominciò Narnra, ergendosi sulla persona con fare sprezzante.

Elminster scandì una singola, fredda parola che echeggiò attraverso il prato come uno scoppio di tuono, immobilizzando tutti. Narnra si tinse in volto di un pallore mortale e il terrore le divampò negli occhi quando si rese conto che era impossibilitata a muoversi o a parlare.

Suo padre mosse un passo in avanti, e di colpo parve essere leggermente meno vecchio e ridicolo, mentre il disprezzo gli affiorava negli occhi azzurri.

«Mia figlia», affermò, incontrando e catturando lo sguardo della ragazza con il proprio. «Soltanto un’altra giovane testa calda che possiede tutte le risposte. La “cosa giusta” è qualsiasi cosa tu ritenga che essa sia… ma purtroppo hai visto così poco del mondo e sei in grado di capire così poco al di là di quello che si trova proprio davanti al tuo naso, dove i tuoi occhi possono vederlo facilmente, che finisci per scorgere soltanto una “cosa giusta”.»

Nel parlare, le si avvicinò tanto da sfiorare quasi il naso in questione e prese a girarle intorno, le mani dietro la schiena, la voce sommessa ma intensa.

«Ascoltami, ragazza: io sono colpevole di capricciosità e vendicatività, di essermi erto a giudice e di avere un cattivo carattere, di cocciute intromissioni e perfino di aver perso il senno, spesso… ma prima di tentare di modellare il mondo che mi circonda, cerco di fare anche qualcosa che tu non hai ancora imparato… mi sforzo di guardare le cose da tutte le angolazioni, di comprendere contrasti e rivalità vedendoli attraverso gli occhi di chi vi è coinvolto, ma soprattutto tento di valutare le probabili conseguenze di quello che potrei fare.»

«A volte posso sembrarti spietato, mia giovane Occhi Lucenti dominata dal cuore», proseguì in tono più gentile, fermandosi davanti a Narnra, «ma io rifletto su quello che faccio prima, durante e dopo, e poi torno indietro per cercare di correggere i miei errori, invece di continuare per la mia strada e di accantonare le malefatte di ieri come qualcosa di ormai passato. Se non sei ancora cresciuta abbastanza da essere in grado di fare questo, sei tu a non essere migliore di questo avido e malvagio Thayano».

A quel punto, Elminster agitò una mano, e Narnra scoprì di essere di nuovo in grado di muoversi e di parlare; tremando, si chiese se avrebbe osato ribattere, poi si trovò a sussurrare:

«E ti aspetti che io consideri giuste tutte le tue manipolazioni? E sagge? Benevole, aderenti a un qualche piano superiore che io non posso vedere perché sono troppo stupida o troppo impaziente? Pensi che manipolare la gente non sia la più grande forma di malvagità che possa esistere?»

«Ragazza, ragazza», ribatté Elminster, in tono stanco. «Manipolare la gente è ciò che fanno gli umani. Se sapessi qualcosa della mia giovinezza, sapresti quanto odio i maghi che comandano gli altri e quanto detesto essere manipolato… ma nel corso dei secoli ho imparato che è meglio pilotare in certa misura gli altri prima che siano loro a farlo con te… perché puoi essere certa che lo faranno. Se non altro, posso essere sicuro delle mie motivazioni e di quanto ci ho riflettuto sopra, anche se spetta agli altri giudicare se esse siano “buone” o “malvagie”. Quanto alle motivazioni degli altri… non posso mai essere certo della loro natura, finché non vedo la soddisfazione presente nel loro sguardo che si riflette sulla lama di un coltello diretto al mio cuore».

«Tu… tu sei insopportabile», ringhiò Narnra, a pugni stretti. «Tu… mostro senza cuore!»

«Avanti, ribatti mantenendo un modo di vedere che ti costringa a pensare ricorrendo alle offese… questa è la vecchia, grande tradizione, non abbandoniamola! Qualsiasi cosa va bene pur di evitare di dover riflettere o… Mystra non voglia!!!!… di dover cambiare le proprie idee!»

«E come dovrei fare a imparare il modo giusto di pensare?» ribatté Narnra, fissandolo con occhi roventi. «Facendomelo insegnare da te

«Nei regni, ci sono persone che darebbero la vita pur di avere la possibilità di essere istruite da me, e sono molte quello che l’hanno fatto», fu la pacata risposta di Elminster. «Credo tuttavia che tu non sia ancora pronta per questo», continuò, voltandosi per andarsene. «Ti sono troppo utile nei panni del furfante che ti ha generata e poi abbandonata, come il Vecchio Responsabile di Tutte le Cose Cattive. No, ritengo che tu debba trovare da sola i tuoi maestri, a modo tuo e senza suggerimenti da parte mia. Vedi infatti in che modo hai accolto i pochi consigli che ti ho elargito?»

«E quali consigli mi daresti, saggio signore, riguardo a dove andare e a cosa fare adesso?» chiese Narnra, traendo un profondo respiro e sforzandosi di reprimere la propria rabbia. «Non ti chiedo di dirmi come devo governare la mia mente o quali opinioni devo avere, ma… cosa faccio adesso?»

«Vieni nella mia torre e bevi una tazza di tè», propose Elminster, incontrando di nuovo il suo sguardo. «Lascia sbollire la rabbia, e dopo potremo parlare. Ti darò qualche oggettino magico accompagnato da una quantità di consigli vecchi e triti, poi userò la mia Arte per mandarti dovunque tu voglia… restituendoti la possibilità di scegliere cosa fare di te stessa. Per come la vedo io, puoi viaggiare, andare in cerca di avventure e cominciare ad ampliare immediatamente le tue vedute… oppure puoi ricompensare la fiducia che Caladnei ti ha dimostrato servendola come agente fedele; quando poi comincerai a sentirti irrequieta, potrai indurla ad assegnarti incarichi che ti permettano di viaggiare per Faerûn e di visitarne quante più parti ti sarà possibile. Qui sarai sempre la benvenuta, e uno degli oggetti che intendo darti ti permetterà di chiamarmi da lontano, qualora dovessi aver bisogno di aiuto… o perfino di qualche consiglio!»

«Accetterò il tè», affermò secco Narnra, fissandolo attentamente, poi lanciò un’occhiata in direzione del Mago Rosso e chiese: «E lui?».

«Continuerà a soffrire, in attesa della tua sentenza. Se fossi molto crudele, potresti lasciarlo semplicemente dove si trova, o chiedermi di trasportarlo fino a quel formicaio laggiù, perché sia tormentato da prurito e bruciore mentre noi beviamo il tè. Oppure potresti risanarlo completamente e dargli un bastone magico con cui annientarci tutti. La scelta spetta a te.»

«E se scegliessi il risanamento e il bastone?» sussurrò Narnra, in tono di sfida.

«Io ti asseconderò… ma hai pensato alle conseguenze?»

«Sì», scattò lei, in tono intenso, serrando la mascella. «Sì, ci ho pensato. Fallo per lui… fallo per me.»

Elminster borbottò qualcosa, modellò una forma nell’aria e fissò un punto sopra il Thayano. Prontamente, un liscio e affusolato bastone di legno apparve in quel punto e prese a fluttuare tranquillo al di sopra del Mago Rosso, mentre il Vecchio Mago eseguiva un altro, più elaborato incantesimo.

Harnrim Starangh sussultò, si contorse e s’inarcò per un momento, percorso da un brivido… poi balzò in piedi, pallido e sudato, fronteggiando con espressione sconvolta Elminster, che però rimase immobile come una statua.

Il Mago Rosso scoccò una rapida occhiata in direzione di Florin, che stava sollevando la spada per infliggere un colpo mortale, poi guardò in modo strano sia Narnra sia Elminster, afferrò il bastone fluttuante… e scomparve.

Con calma, Elminster borbottò qualcosa, agitò la mano verso il punto dove si era trovato Starangh e si volse, porgendo la mano a Narnra.

Lei non l’accettò, ma lo seguì su per il sentiero lastricato e verso la tozza torre di pietra grezza.

«Non è poi granché, come fortezza, vero?» commentò, in tono tagliente.

«Noi mostri senza cuore dobbiamo adattarci», replicò il Vecchio Mago, scrollando le spalle.

Senza cercare di reprimere un sorriso, Florin aprì loro la porta e li inviò a entrare con un ampio gesto elegante, leggermente rovinato dal fatto di essere eseguito con la mano piena di pesci ancora gocciolanti.

«Entrate, Vecchio Lord Responsabile di Tutti i Mali e ospite. Io monterò la guardia qui fuori, nell’eventualità del ritorno di qualche Mago Rosso, mentre voi…»

«Cerchiamo di imparare a parlarci civilmente», concluse per lui Narnra, con voce stanca, oltrepassandolo per addentrarsi nella penombra polverosa.

Alle sue spalle, i due uomini si scambiarono un’occhiata, poi Elminster rivolse al ranger un cenno di approvazione.

«Fai come hai detto», annuì, ed entrò a sua volta.

* * *

Non molto lontano, dall’altra parte di Shadowdale, Storm Silverhand stava oziando davanti a un’alta finestra con l’arpa in mano, canticchiando sommessamente fra sé. I suoi lavori domestici erano conclusi, ed era giunto il momento di concedersi un po’ di riposo, perfino per una figlia di Mystra…

Mentre cantava, percepì d’un tratto un bagliore proveniente dal basso, dovuto all’attivazione dei suoi sigilli di protezione, e smise di suonare.

«Chi c’è?» chiamò.

Fermo nel suo cortile, circondato da striscianti volute di fuoco azzurro, c’era un uomo scarno dalla barba ben curata, che teneva nascosto qualcosa sotto il mantello.

«Buona dama», salutò questi, in tono grave, «sono Alaphondar Emmarask, Sommo Saggio Reale di Cormyr, e porto con me una cosa estremamente preziosa. Ti prego, estingui i tuoi fuochi».

Posata l’arpa, Storm balzò fuori dalla finestra e fluttuò lentamente verso il basso per raggiungere quell’ospite inatteso. Mentre scendeva, eseguì una serie di gesti elaborati, destando una magia invisibile il cui esito parve soddisfarla, dato che il suo gesto successivo fece scomparire le fiamme.

«Sii il benvenuto, Lord Saggio», salutò con cortesia. «Vuoi fermarti a cena presso di me? Ho un fagiano che sta arrostendo su un fuoco e un calderone di stufato di coniglio che sta cuocendo sull’altro.»

«Ti ringrazio, Lady Silverhand, ma non posso rispondere alla tua gentile offerta finché non avrai preso una decisione riguardo al mio… fardello.»

«Ti riferisci al re che stai nascondendo sotto il mantello? Anche lui è il benvenuto», commentò Storm, in tono asciutto. «Farò in modo di tenervi entrambi al sicuro… e nascosti. Non dubito che in Cormyr ci sia chi non gradirebbe di sapervi qui… e chi sarebbe invece fin troppo pronto a venirvi a cercare.»

«Signora, hai sintetizzato molto bene la situazione», ammise Alaphondar, con un sorriso contrito. «Se non ti dispiace, mi fermerò presso di te. Quanto sono forti le tue protezioni?»

«Io sono una Prescelta di Mystra», sorrise Storm. «Togliti gli stivali, immergi i piedi in quell’olio e lascia che dia un’occhiata al prossimo futuro flagello di ogni cuore femminile.»

«Signora…» accennò a protestare Alaphondar, sussultando, poi però tacque.

«Ho una mia reputazione, ricordi?» affermò Storm. «A proposito, come sta Fee?»

«Gli Arpisti vedono davvero tutto», commentò Alaphondar, con un altro sussulto. «La mia reale signora stava bene ed era serena quando ci siamo separati, alcune ore fa. Spero… oh, dei, lo spero proprio… di poterla rivedere al più presto.»

«Hai bisogno di bere qualcosa», decise Storm, passandogli un braccio intorno alle spalle. «Siediti, mentre vado a prendere un cristallo per evocare visioni, in modo che tu possa dare un’occhiata a Filfaeril ogni volta che lo desideri. Adesso liberati di quegli stivali, e tira fuori il piccolo Azoun prima che finisca per soffocare sotto quel tuo vecchio mantello sporco!»

* * *

Scuotendo il capo nel contemplare i mucchi polverosi di pergamene e di libri che la circondavano da ogni parte, Narnra parve sollevata di rifugiarsi nella spartana e meno ingombra cucina, dove un gesto della mano di Elminster fece accendere il fuoco sotto una teiera.

«I tè sono lì», disse il mago, indicando uno scaffale. «Scegli pure.»

«Teschio di drago?» commentò in tono dubbioso Narnra, nell’esaminare i vasetti disposti sullo scaffale.

«Appena un poco», replicò Elminster. «Finemente polverizzato, è ovvio.»

Narnra gli scoccò un’occhiata incredula.

«E cosa devo supporre che ci sia in un tè etichettato “Pelle di Schiava Thayana di Prima Scelta”, come c’è scritto qui?» chiese poi, in tono di sfida.

«Uno dei piccoli scherzi di Lhaeo. Sono certo che non si tratta affatto della “prima scelta”.»

Sospirando, Narnra scosse il capo e porse il vasetto in questione a Elminster, che lo prese senza una parola.

Il silenzio si prolungò fra loro… infranto solo dal fischio crescente della teiera… finché Narnra non cominciò a farsi irrequieta.

«Avanti», disse, guardandosi intorno nella piccola cucina, «impartiscimi qualcuno di quei vecchi consigli stantii a cui accennavi».

«Noi tutti dobbiamo morire e non possiamo portare con noi potere o ricchezze mortali», replicò prontamente Elminster. «Io stesso sono già morto parecchie volte… e in almeno due occasioni ho ricominciato senza possedere assolutamente nulla, neppure il mio nome. Quindi, a meno che non trovi invitante la fredda putrescenza dei non-morti, ricorda che la vita deve finire per tutti, e che ciò che conta è cosa facciamo del breve tempo a nostra disposizione».

«Il tuo tempo non è poi stato così breve.»

«Quella è la mia maledizione», affermò Elminster, chinando il capo.

Narnra lo fissò per un momento, poi incrociò le braccia sul petto e chiese:

«Perché hai lasciato mia madre?»

Facendosi avanti, Elminster la prese per le spalle, guardandola negli occhi, i loro nasi ad appena pochi centimetri di distanza.

«Ragazza», replicò in tono gentile, «il semplice fatto di essermi vicino è spesso letale. Non parlo dei nemici da me abbattuti o degli stolti che tentano di sfruttare il mio potere o la mia presenza per la loro pericolosa causa, ma di gente che si viene a trovare coinvolta suo malgrado o che viene notata da quanti mi odiano. So di oltre duecento fra uomini e donne di tutte le razze e di ogni terra immaginabile… gente che conoscevo bene… che sono morti fra i tormenti perché qualche mio potente nemico pensava che avrei potuto cedere qualcosa o fare qualche importante rivelazione… o sperava di attirarmi in trappola o anche solo di causarmi dolore quando avessi appreso in seguito cosa era successo. Quindi…».

«Quindi ti avvolgi in questa dolente spiegazione, “devo farlo per il bene degli altri”, come in una sorta di mantello e vivi la tua vita seducendo ogni donna che ti capita a tiro, giusto?»

«Una giusta obiezione», affermò con calma Elminster, indietreggiando per versare due abbondanti tazze di tè. «Suppongo di sì. E adesso che lo sai… cosa intendi fare?»

«Te lo chiedo di nuovo: perché hai lasciato Maerjanthra Shalace, dopo averla conquistata e sedotta?» ribadì Narnra, squadrandolo con il mento appoggiato alle nocche.

«Perché ti possa rispondere adeguatamente, devo prima porti io stesso una domanda», affermò il Vecchio Mago, in tono grave. «Hai mai visto prima questo disegno?»

Immergendo un dito nel proprio tè fumante, tracciò sul tavolo un complicato simbolo, permise a Narnra di osservarlo per un momento e si affrettò a cancellarlo.

«No… non credo», rispose Narnra, accigliandosi con aria riflessiva e sentendosi stranamente eccitata. «Aspetta, era raffigurato su un gioiello che mia madre aveva realizzato, e che ha portato per qualche tempo come pendente. Perché?»

«Quello è il simbolo della dea Shar», spiegò Elminster, a bassa voce, «che fra le altre cose, opera contro Colei che io servo».

«Mystra. Vuoi dire… cosa vuoi dire?»

«Tutti gli dei e le dee operano tramite i mortali, e le manipolazioni operate da Shar sono meritatamente leggendarie».

«Pensi che Shar si stesse servendo di mia madre per influenzarti?» domandò Narnra, accigliandosi.

Elminster annuì.

«Ma è ridicolo! E…»

«Ciò che è successo. Ero fra le braccia di tua madre, la stavo fissando negli occhi quando ho percepito l’oscurità insinuarsi dentro di lei e protendersi verso di me, mentre lei emetteva un lamento e mi afferrava più saldamente. Spingendola lontano, sono uscito dalla finestra il più in fretta possibile, trascinandomi dietro vetro, telaio e tutto il resto, perché se fossi rimasto sarei stato sottomesso, oppure Maerjanthra sarebbe stata consumata dal desiderio da parte di Shar di corrompermi. Invece di generare te, tua madre sarebbe stata ridotta a un guscio vuoto e avvizzito.»

«E così te ne sei andato, e mia madre ha avuto me», riepilogò Narnra, fissandolo. «Stai dicendo che io sarei consacrata a Shar… che sarei dalla nascita una creatura della Signora della Notte?»

«No», replicò Elminster, in tono grave, «altrimenti ti avrei ridotta in cenere la prima volta che ti ho letto nella mente. Soltanto le creature create, quelle che nascono dagli dei o dai loro avatar, o ancora esseri la cui mente viene abbondantemente manipolata dagli dei quando sono ancora nel grembo materno, nascono “appartenendo” a questa o quella divinità. Il resto di noi è libero di fare le sue scelte di fede… che possono ovviamente essere influenzate da chiunque cerchi di fuorviarci. Tu sei Narnra Shalace, libera di scegliere. Shar… o anche Mystra, se è per questo… potrebbe possedere e controllare il tuo corpo, ma lo distruggerebbe nell’arco di ore, o al massimo di giorni, a causa dell’enorme potere della sua manifestazione. Tu sei quindi libera di fare le scelte che preferisci. Io invece non sono libero, perché sono legato a Mystra… ma Mystra desidera che tutte le creature mortali possiedano la libertà che deriva loro dall’utilizzare personalmente la magia».

«Una spada in ogni mano, che porta inevitabilmente a versare molto sangue», borbottò Narnra.

«Il prezzo più alto della libertà è sempre il fatto che molti la usano male», convenne Elminster, chinando il capo.

«Mia madre portava di rado quel pendente», mormorò Narnra, voltandosi verso lo scaffale dei vasetti del tè e facendo scorrere le dita su di esso come se le risposte che cercava potessero spuntare spontaneamente in mezzo ai vasetti.

Elminster rimase in silenzio, in attesa, e alla fine sua figlia si volse di nuovo a guardarlo con aria di aperta sfida.

«Padre, cosa faresti se ora io ti dicessi che intendo rifiutare la tua piccola trappola morale, che voglio andare per la mia strada, continuando a rubare, e che non intendo parlarti mai più?»

«È una tua scelta, e per grazia di Mystra sei libera di compierla. Ti darò comunque gli oggetti di cui ti ho parlato, la mia promessa che qui sarai la benvenuta ogni volta che ci vorrai venire, la mia amicizia, se sei disposta ad accettarla, e il mio affetto, anche se non dovessi volerlo».

«E se io ti scagliassi in faccia tutto questo, vecchio mago impiccione che non sei altro?»

«Sarà una mia perdita e un mio dolore», mormorò Elminster, rivolto alla tazza di tè.

«Dannazione a te, vecchio!» esplose Narnra, scagliandogli in faccia quanto rimaneva del suo tè. «Dannazione a te!»

«La mia dannazione», replicò con calma Elminster, rimanendo seduto con il tè che gli gocciolava dal naso e dalla barba, «si è verificata per la prima volta secoli fa… e dozzine di altre volte dopo di allora».

«Risparmia parole del genere per qualcuno che possa esserne impressionato!» ringhiò Narnra, attraversando la polverosa penombra in direzione della porta e spalancandola di scatto.

Florin era fermo appena oltre la soglia, a braccia conserte, e le sbarrava la strada.

A testa bassa, Narnra si lanciò alla carica contro di lui, colpendo con cattiveria, ma il ranger rimase immobile come una statua di pietra, incassando tutti i suoi colpi.

«Elminster?» chiese, con calma.

«Lascia che vada per la sua strada», fu la calma risposta. «Sta scoprendo che crescere è doloroso… mentre credeva di aver finito di crescere già da qualche tempo.»

Florin annuì e rivolse un inchino alla furente Narnra, che intanto aveva cominciato a piangere, indicandole con un cenno della mano che la via era sgombra.

In lacrime, lei l’oltrepassò con andatura rabbiosa, dirigendosi verso il punto in cui il sentiero di pietra si biforcava. Davanti a lei c’era la strada, sulla quale transitavano carretti scricchiolanti guidati da contadini di Shadowdale, che si girarono a guardarla con curiosità, mentre sulla sua destra c’era una placida polla. Per un momento, Narnra rimase ferma, tremando, poi si diresse a destra.

Sul bordo della polla c’era una larga roccia piatta, e lei si gettò su di essa, contemplando l’acqua e imprecando sommessamente.

È andato via e mi ha abbandonata. Se n’è andato, e mia madre è morta. Tutta questa solitudine, tutte le lotte per qualche moneta e un po’ di cibo, l’aver rischiato per anni la vita a Waterdeep…

E adesso sono stata strappata dalla mia casa, trasportata dall’altra parte di Faerûn senza aver modo di tornare indietro e sono vincolata a un’altra maga, e tutto per causa sua.

E lui se ne sta seduto là dentro come una vecchia gargoyle di pietra, guardandomi dall’alto dei bastioni dei suoi anni e rattristandosi perché io non ho commesso i suoi stessi errori. Bah!

Scattando in piedi, Narnra sferrò un calcio al terreno per cercare di scagliare una pietra… una qualsiasi… nell’acqua. La polla era simile a vetro, la sua immagine vi si rifletteva come in uno specchio, e nel guardarla lei si mise in posa per un momento. L’Ombra di Seta, come no!

Furente, vibrò un altro calcio al terreno, sollevando erba e terra e facendo rimbalzare un piccolo ciottolo, che finì nell’acqua.

Per qualche tempo, osservò i cerchi che si allargavano da dove esso era caduto, sedendosi per guardarli meglio. Quel posto era splendido, come rifletté nel sollevare infine lo sguardo per osservare i dintorni. Una rocca, dalla forma stranamente distorta, sorgeva dalla parte opposta del prato, sulla sua sinistra c’era una strada di terra battuta, sulla quale stavano transitando alcuni carretti tirati da muli, mentre alla sua destra una roccia alta il doppio del Castello di Waterdeep si levava dall’erba, dietro la torre.

E su di essa erano visibili alcune teste coperte da elmo e qualche lancia. La stavano sorvegliando, come sempre.

Razza di vecchio bastardo, sospettoso, vecchio… ma no, lassù sventolavano delle bandiere ma non si stava muovendo nessuno, tranne per indicare verso la strada. Stavano sorvegliando la strada.

Suppongo che ci sarà sempre qualcuno a sorvegliarmi, dovunque vada, rifletté.

Si stava levando una brezza gentile, fresca e odorosa di fiori selvatici, e Narnra sollevò il viso per assaporarla nel lasciar scorrere lo sguardo sugli alberi fruscianti e sull’erba oscillante.

Quello era un bel posto, doveva essere piacevole viverci, dovunque si trovasse.

* * *

Qualche tempo dopo, Elminster si venne a sedere in silenzio accanto a Narnra, mettendole fra le mani un’altra tazza di tè appena fatto.

«Hai… ecco, hai gettato via l’opportunità di finire l’altra», le disse, con gentilezza.

Narnra lo fissò con occhi arrossati dal pianto e dopo un lungo momento accettò il tè senza dire nulla, affrettandosi a distogliere lo sguardo e a riprendere a contemplare la polla, la tazza fra le mani.

Dopo un po’, cominciò distrattamente a sorseggiarne il contenuto.

Trascorsero altri minuti, e alla fine lei arrischiò un’occhiata sulla sua destra: Elminster le sedeva accanto in silenzio, lo sguardo rivolto verso la polla e non appuntato su di lei, la pipa spenta che gli fluttuava accanto nell’aria.

* * *

Quel vecchio impiccione aveva semplicemente intenzione di restarsene lì seduto, magari in attesa che lei implorasse perdono, gli chiedesse di accettarla, dicesse che gli voleva bene? E questo sapendo che non sarebbe potuta fuggire da lui, che non sapeva neppure dove fuggire e che comunque lui avrebbe potuto annientarla quando e come avesse voluto?

Gli ho gettato il tè in faccia, gli ho urlato contro… perché non mi ha già distrutta? si chiese. Di cosa ha paura?

Nel lanciare un’altra occhiata in tralice a suo padre, non le parve che avesse paura di nulla, almeno a giudicare dal modo in cui stava assaporando il profumo della brezza, con il naso sollevato e un mezzo sorriso che gli aleggiava sul volto.


Non sembra spaventato, pensò. Pare compiaciuto di sé, accidenti a lui.

Oh, già, troppo tardi per questo o per quello… che grandi paroloni, quante tranquille asserzioni. Dannato vecchio sicuro di sé.

Traendo un respiro singhiozzante, distolse lo sguardo e bevve un altro sorso: il tè si era raffreddato, ma nel momento stesso in cui lei accennò a ritrarsi con una smorfia, tornò a essere caldo.

«Stai usando la tua magia per questo?» chiese, scoccando un’occhiataccia a Elminster.

«Naturalmente», fu la gentile risposta. «Lo preferisci caldo, giusto?»

Narnra lo scrutò per un momento, sollevando la tazza come se stesse pensando di scagliargliene addosso il contenuto, di nuovo.

«Usi sempre la magia per fare ciò che le altre persone preferiscono?» chiese invece.

«No. La maggior parte della gente non sa neppure cosa preferisce, e i più non si soffermano neppure a riflettere… non trovi?» ribatté lui, girando il capo per osservare alcuni petali portati dalla brezza.


Quella sarebbe una stoccata di qualche tipo nei miei confronti, vecchio? Credi che poche parole astute possano cambiare tutto?


Narnra tornò a volgere le spalle a suo padre, ma ogni volta che provò a guardare, scoprì che era ancora seduto là. Un paio di volte, lui le sorrise, ma Narnra rimase in silenzio, impassibile, e dopo un po’ cominciò a sua volta a osservare lui.

Se ne stava seduto a contemplare Shadowdale, e non pareva infastidito dal suo esame.

* * *

«Questo posto è splendido», mormorò infine Narnra, più tardi, quando ormai la sua tazza era vuota.

«Sì. Vengo spesso a sedermi qui. L’alba, il tramonto e il crepuscolo offrono i panorami migliori, naturalmente. Se vuoi farti un bagno, sotto quella roccia ci sono scaglie di sapone e profumo per i capelli.»

«Ti aspetti che io rimanga?» domandò Narnra, scoccandogli un’occhiata sorpresa.

«Non mi aspetto proprio nulla», replicò Elminster, scuotendo il capo, «però ti ho offerto il mio benvenuto e la mia ospitalità in qualsiasi momento tu voglia accettarli, e un giorno potresti arrivare qui desiderando di rinfrescarti, o di lavare via il sangue di qualcuno con cui hai avuto un contrasto, quindi potrebbe tornarti comodo sapere dove si trova il sapone».

«Devo supporre che ci siano degli asciugamani pronti sotto un’altra roccia?»

«No, ma se ti vai a sdraiare su quella pietra laggiù, scoprirai che scalda e asciuga al tempo stesso. Quella farfalla di velluto nero appesa laggiù è uno dei ventagli di Jhessail Silvertree, che viene qui spesso per allargare i capelli sulla roccia e asciugarli a dovere.»

«Io… non ti capisco», ammise Narnra, scuotendo il capo. «Un momento sembri tenero e gentile, proclami le tue nobili motivazioni, ribadisci che esamini sempre ogni cosa da tutti i punti di vista… e tuttavia usi le persone come se fossero animali da soma, ami le donne e le abbandoni con la stessa indifferenza con cui cambi i calzini, e… e… perché

«Perché sono soltanto un mortale, distorto al di là di ogni sanità mentale da ciò che ho visto e ho fatto, dal tenere una dea fra le braccia e dall’aver vissuto decisamente troppo a lungo», sussurrò Elminster. «Sono un pazzo furfante che ama interferire nella vita altrui e sono tuo padre… ma vorrei essere anche tuo amico. Io accetto la gente così com’è, e lascio i giudizi ai giovani, una cosa che spero possa imparare a fare anche tu.»

«Vecchio Mago», ribatté Narnra, con fermezza, «i giovani devono imparare a giudicare gli altri, altrimenti non sopravvivono per diventare più maturi. Ammetto tuttavia che… che in te c’è più di quanto pensassi». Poi si volse a guardarlo negli occhi e aggiunse: «Se non avessi mai appreso che sei stato tu a generarmi, saremmo già amici. Io… sto cercando di superare l’ira che provo per essere cresciuta senza padre e per essere poi stata lasciata a cavarmela da sola quando mia madre è morta. Può darsi che sia soltanto una fra le innumerevoli migliaia di orfani dimenticati e abbandonati di Faerûn, ma sono me stessa, la sola persona di cui abbia mai dovuto preoccuparmi, e…».

«Esattamente. Tu sei la sola persona di cui hai mai dovuto preoccuparti. Fatti alcuni amici… veri amici… e avrai molte più persone per cui preoccuparti.»

«E tu ne hai migliaia di cui preoccuparti, è questo che intendi?»

«Mi preoccupo e faccio qualcosa… una quantità di cose, di continuo… per loro. Piango coloro a cui sono venuto meno e quanti mi sono stati sottratti dallo scorrere degli anni. Interi regni che amavo sono scomparsi», rispose Elminster, e con calma aggiunse: «Boo hoo».

Narnra scoppiò in una breve risata sorpresa e posò la tazza.

«Potrei imparare ad amare questo posto», affermò, quasi con malinconia, poi si volse a fissare suo padre negli occhi e continuò lentamente, quasi lottando per formulare le parole: «Credo che potrei arrivare ad accettare anche te, con tutte le tue menzogne e le tue intromissioni. Un giorno».

«Mi piacerebbe», affermò lui, con gentilezza. «Per me vorrebbe dire molto.»

Narnra annuì, e rimasero a fissarsi negli occhi per quello che parve un tempo molto lungo.

* * *

Mentre osservava suo padre attraverso un velo di capelli arruffati, Narnra si rese di colpo conto di quanto essi fossero aggrovigliati e sporchi di sudore; il suo sguardo si posò con desiderio sulla polla, e dopo qualche altro istante di silenzio lei chiese:

«Ti dispiacerebbe andartene mentre faccio un bagno, se prometto di non fare guai?»

Ridacchiando, Elminster le tolse la tazza di mano e le batté un colpetto sulla spalla.

«Quando avrai finito, mi troverai nella torre intento a preparare la cena. Probabilmente, Florin a questo punto deve aver già rovinato il filo della sua spada affettando cibarie. Come famiglia non sono un granché, ragazza, ma qui sei sempre la benvenuta.»

Narnra lo guardò in modo strano e accennò alla polla.

«Là dentro… non ci sono serpenti, testuggini che mordono o altre cose del genere, vero?»

«No», la rassicurò Elminster, evocando dal nulla una veste morbida, alcuni asciugamani e un paio di pantofole, e chinandosi con un grugnito a disporre il tutto a portata di mano, su una roccia. «Quando sei arrivata, ho chiesto alla bestia che li divora di andarsene, e lo ha fatto».

Narnra lo fissò ancora, con diffidenza, tanto a lungo che alla fine lui si volse e aggiunse:

«Fidati di me.»

«Sto imparando a farlo», replicò lei, con un sorriso in tralice. «Non costringermi a pentirmene, per favore.»

«Se lasci i tuoi vestiti su quella roccia, li recupererò con un incantesimo e li farò lavare mentre sei a mollo… perché di certo ne hanno bisogno. Lascia giù coltelli e tutto il resto, bada bene… starò attento a non permettere che si arrugginiscano. Oh, anche le piccole lame che tieni nascoste fra i capelli, perché stanno cominciando a coprirsi di verderame.»

«Se mi stai ingannando…» cominciò Narnra, trapassandolo con uno sguardo sempre più perplesso.

«Sarò sopraffatto dal rimorso», sorrise lui, avviandosi con passo tranquillo, la pipa che fluttuava alle sue spalle.

Narnra lo guardò allontanarsi, poi scosse il capo: se non altro, aveva un padre interessante. Non appena sentì chiudersi la porta della torre procedette a spogliarsi, badando a mettere tutte le sue cose dove le aveva indicato Elminster… tutto tranne un coltello con il suo fodero, che depose vicino all’acqua, a portata di mano.

Sollevata la pietra che Elminster le aveva indicato, prelevò alcune scaglie di sapone ed entrò nella polla.

L’acqua era davvero splendida.

* * *

«Per gli dei, e se ci trovassero qui?» borbottò Bezrar. «Che storia inventeremo, allora

«Che stiamo pensando di importare un nuovo tipo di tegola da… da Alaghôn, e dovevamo verificare se i tetti degli alloggiamenti erano in stato tale da poterci offrire un mercato interessante», sibilò Surth. «Ma se per una volta ti decidi a tacere, forse qui non ci troveranno!»

Poi entrambi s’immobilizzarono per il terrore, là sul tetto del più grande edificio degli alloggiamenti dei Dragoni Purpurei di Marsember, quando almeno una dozzina di draghi… ciascuno più grande e impressionante di qualsiasi alloggiamento… li oltrepassò in picchiata, come se avesse una grande fretta di arrivare in un qualche punto della città!

I grandi draghi sorvolarono gli alloggiamenti volando così bassi che Malakar Surth, il più alto dei due furfanti, avrebbe quasi potuto toccare uno di quei vasti corpi coperti di scaglie se si fosse alzato in piedi e avesse spiccato un salto verso l’alto.

Lui però non lo fece. Svenire gli parve un’alternativa molto più ragionevole.

Загрузка...