18. Rivelazioni e missioni

Fa’ in modo di sapere chi è un traditore e chi è parente di chi, e in questo modo rimanderai la metà delle occasioni di essere ucciso. Qualcuno più ottimista potrebbe dire che le eviterai, ma io non sono mai stato uno di costoro. Io sono l’altro genere di stolto.


Szarpatann di Tashluta

Consigli ai condannati: una guida pratica per aspiranti sovrani

Anno del Governo dei Dodici

Huldyl Rauthur sostava con aria pensosa e accigliata nell’alto corridoio stretto e deserto fuori della Camera dell’Ala del Drago, ma se gli echi dilaganti del sondaggio mentale eseguito dalla Maga Reale non gli avessero contorto il volto in una smorfia di dolore, su di esso ci sarebbe stato un sogghigno compiaciuto.

Il contraccolpo derivante da quegli echi stava facendo sussultare anche il Sommo Cavaliere Rhauligan e Madre Laspeera, e da dove si trovava, Huldyl poteva avvertire anche la loro sofferenza. Fra tutte e due, Caladnei e questa maga di nome Narnra dovevano possedere un potere mentale tale da avere la meglio su venti Maghi della Guerra del regno messi insieme. Madre Mystra, forse anche su una quarantina di loro!

E così la piccola ladra era figlia del Grande Elminster in persona, eh? Non c’era da meravigliarsi che Caladnei si fosse affrettata a fare di lei un sia pur riluttane agente. Una sorta di «sommo cavaliere in prova». Bene, bene.

Sarebbe stato più saggio non fare parola della cosa con nessuno, neppure con Starangh, nel caso che un giorno avesse avuto bisogno di un’informazione importante da barattare con la propria salvezza.

Inoltre, avrebbe fatto meglio ad aspettare qualche istante prima di bussare, in modo da lasciare che le cose nella stanza si calmassero. Riferire a Laspeera i problemi che si erano verificati al rifugio era una cosa urgente, naturalmente, ma come sosteneva il vecchio adagio, la prudenza era pur sempre prudenza, e un Mago della Guerra troppo audace diventava rapidamente un Mago della Guerra defunto.

* * *

«Gli dei ti benedicano, Narnra», affermò Rhauligan, in tono rude, da un punto alle sue spalle.

Lui e le due donne avevano aspettato in silenzio, dandole il tempo di fare la sua scelta.

Narnra trasse un profondo respiro, allargò entrambe le mani e le appoggiò sulla fredda parete, spingendo con forza fino a costringersi a girarsi a fronteggiare i tre senza attendere per tutto il tempo, senza dubbio lungo, che avrebbe potuto risultarle necessario per trovare il coraggio necessario.

Aveva fatto la sua scelta, e adesso la prima svolta della strada appariva nitida davanti a lei.

«Dimmi quali sono i tuoi ordini, Maga Reale», si costrinse a dire, e riuscì perfino a sorridere.

* * *

All’improvviso, Huldyl Rauthur scoprì di non essere più solo nel corridoio: un Dragone Purpureo era apparso dal nulla, rivolgendogli un sorriso e chiamandolo a sé con un cenno.

Poi, per un momento appena, il volto del guerriero si modificò, diventando quello del mago Incantesimi Oscuri.

In quell’istante, Huldyl prese in considerazione la possibilità di svenire, ma infine si limitò a deglutire a fatica e a obbedire, dirigendosi verso il Mago Rosso che sorrise, tornò ad assumere le sembianze di un Dragone Purpureo, e lo precedette al di là di un’altra porta.

La cavigliera stava funzionando a meraviglia e, cosa ancora migliore, fino a quel momento Caladnei non aveva avuto sospetti di sorta. A quanto pareva, la Maga Reale era ancora un po’ troppo lenta di riflessi e peccava di eccessiva fiducia…

Per non parlare della mente sempre più lenta di un certo Elminster di Shadowdale, come rifletté fra sé lo stesso Elminster, con un asciutto sorriso.

Nell’ultima mezz’ora, i pensieri di Caladnei erano stati senza dubbio in tumulto, in quanto lei era impegnata a mantenere sana una mente ostile all’interno della propria, ma il delicato sondaggio effettuato dalla cavigliera aveva dato risultati quanto mai chiari su una cosa in particolare: Narnra Shalace era davvero sua figlia.

«Che Mystra mi benedica», mormorò Elminster. «Questo impone di agire in maniera più audace.»

Il vecchio mago richiamò quindi alla mente l’immagine della ragazza, lì nel suo studio cosparso di carte, e con un incantesimo appena mormorato la trasformò da un’immagine mentale in una figura all’apparenza solida, vestita di cuoio, che lo fissava con occhi roventi attraverso una massa di arruffati capelli scuri. Immobilizzata la figura in quell’atteggiamento, il mago le girò intorno, esaminandola con aria critica e modificando appena i fianchi, l’altezza delle spalle…

Accigliandosi, mosse un dito in un gesto di richiamo e si rivolse alla pipa ricurva che aveva risposto prontamente alla convocazione.

«Non riesco a ricordare come cammina, e come tiene le mani quando è in movimento», affermò. «È tempo di andare a dare una sbirciatina.»

Lasciata la pipa a fluttuare in silenzio davanti al simulacro di Narnra che cominciava a svanire, il mago mosse un passo e scomparve a sua volta.

* * *

Il bardo indossava abiti di cuoio ingrigiti dal tempo e coperti dalla polvere della strada, la sua faccia era quasi tutta nascosta da un boccale di peltro alto quanto la corazza di un guerriero di bassa statura, e lui sedeva curvo in avanti a un tavolo in ombra, nell’angolo di fondo di quella particolare taverna di Suzail, perché era lì… e specificatamente all’interno della porta del ripostiglio delle scope, alle sue spalle… che era situato il portale di collegamento con Marsember.

Roldro Tattershar riteneva che in Cormyr non fossero molte le persone, perfino fra i Sommi Cavalieri e i Maghi della Guerra, che sapevano ancora di quel particolare portale, e perfino la maggior parte dei suoi colleghi Arpisti non ne aveva mai sentito parlare. Di conseguenza, ogni volta che si recava al Grifone Verde, Roldro badava ad applicare un paio di folti baffi finti al suo labbro superiore e a scegliere un abbigliamento diverso dai suoi consueti abiti eleganti e sgargianti.

In quella particolare occasione, tuttavia, poco mancò che nel posare il boccale lui finisse per soffocare e quasi per inghiottire i baffi finti, quando l’aria proprio davanti al suo tavolo fu percorsa da un tremito e di colpo due uomini si materializzarono di schiena a poca distanza da lui là dove prima non c’era nulla. Con un gesto rapido e silenzioso, Roldro abbandonò la testa sul braccio e lasciò che il boccale gli penzolasse dal pollice fino a inclinarsi, in modo da apparire a tutti gli effetti come un ubriaco addormentato.

«Non posso rimanere a lungo!» sibilò l’uomo più basso, passandosi nervosamente le mani fra le poche ciocche di capelli castani che rimanevano sul suo cranio sempre più calvo. «Stavo per riferire a Laspeera i… ah… i problemi che si sono verificati al rifugio, e molte guardie di servizio al palazzo mi hanno visto passare!»

«Quante cose ritieni che la Maga Reale e Laspeera sappiano riguardo ai dettagli del lavoro di Vangerdahast?»

«Quasi tutto», replicò Rauthur, accigliandosi. «Lui le ha addestrate entrambe.»

«No, no! Mi riferisco a questo suo grandioso progetto… quello a cui attualmente sta lavorando! Vincolare i draghi perché difendano Cormyr!»

«Oh! Ah, quel piano. È davvero questo ciò che lui vuole… per gli dei! Uh… ecco… non lo so con certezza. Posso cercare di scoprirlo, ma… ecco, non sono molto abile nel far domande senza parere.»

«Questa è la pura verità, Rauthur. Perché non affermi di aver sentito Vangerdahast borbottare fra sé qualcosa come “questi vincoli per i draghi non funzioneranno mai!” in un momento in cui i suoi schermi si erano abbassati, riferendo la cosa come parte dei “problemi ” che si sono verificati, e osservi le loro reazioni?»

«Ah… sì, sì, ma certo!»

«Bene!» approvò l’uomo più alto e snello, poi mormorò qualcosa e la stanza tornò di colpo a essere vuota, tranne per i suoi tre tavoli, le sedie e un Arpista che si stava fingendo ubriaco.

Prontamente, Roldro Tattershar scattò in piedi come un fulmine, spalancò la porta del ripostiglio delle scope e svuotò in un lungo sorso il contenuto del boccale prima di posarlo con cura sul tavolo e di oltrepassare la soglia del ripostiglio.

Vangerdahast aveva intenzione di vincolare dei draghi perché proteggessero Cormyr? Bene, bene. Era senza dubbio giunto il momento di rimestare il calderone e di vedere cosa veniva a galla per primo!

Inoltre, quello di Arpista era un lavoro che faceva patire la fame e la sete, e senza dubbio Lady Joysil Ambrur sarebbe stata disposta a pagare una somma notevole per quella particolare informazione.

* * *

«Bene», sorrise Caladnei, «sono certa che hai bisogno di mangiare, di bere, di un bel bagno e di un po’ di sonno. Non osiamo offrirti tutte queste cose, perché qualcuno potrebbe notare che da prigioniera braccata sei diventata un’ospite onorata, però ti possiamo fornire tutto il denaro necessario a concederti questi gradevoli lussi in una locanda. Rhauligan?»

L’Arpista levò gli occhi al cielo.

«Sempre io!» borbottò, rivolto al soffitto. «Sempre! Lo hai notato?»

Nel parlare, aprì una borsa e si rovesciò sul palmo un’abbondante numero di monete, che trasferì con cura nella mano di Narnra.

«Ora ascolta», continuò Caladnei, «ecco il tuo primo incarico: devi trovare il traditore che so annidarsi fra i miei Maghi della Guerra… non mediante la magia o un confronto diretto, ma piuttosto osservando da lontano il comportamento di determinati Maghi della Guerra qui a Suzail, cercando di farti notare il meno possibile».

«Non puoi semplicemente sondare la loro mente?» chiese Narnra, inarcando un sopracciglio.

«Molti di essi hanno trappole magiche collegate ai loro incantesimi di schermatura… e poi, lavorano molto meglio per me se credono che le loro piccole attività collaterali stiano passando inosservate.»

«“Piccole attività collaterali”? Cosette che hanno a che fare con atti illeciti e corruzione?»

«Nel caso di alcuni, sì. Altri hanno semplicemente hobby poco dignitosi o relazioni imbarazzanti sul piano sociale, e non voglio che passino il resto della loro carriera a guardarsi alle spalle per timore di trovare il mio sguardo freddo fisso su di loro… perché in quel caso la carriera in questione avrebbe per me ben poca utilità.»

«Caladnei, io sono una straniera, qui. Come ti aspetti che io possa sapere quando una visita di soppiatto in una camera da letto o un nome sussurrato in cambio di poche monete costituisce un’attività collaterale e quando è invece un atto di tradimento nei confronti di Cormyr?»

«Una valida osservazione», sospirò la Maga Reale. «Ascolta, Narnra. Non m’importa… come non importa a Speera e non importava a Vangey, a suo tempo, come tutti i Maghi della Guerra ben sapevano… se questo o quel Mago della Guerra di sesso maschile ama mettersi il rossetto e vesti femminili o rotolarsi nel burro di nocciole e miele dietro porte chiuse, o se cerca di sedurre ogni singola nobildonna… o anche nobiluomo, se è per questo… del regno. Parimenti, non m’importa se confidano a ogni mercante del regno informazioni relative a future opportunità commerciali.»

«Ciò che m’importa», proseguì, agitando con enfasi un dito, «è se si trincerano dietro porte chiuse per conferire con ricchi Sembiani, Maghi Rossi di Thay, Zhentarim o chiunque provenga da Westgate, o con nobili che sembrano usare un nome falso o non lasciano mai le locande della zona dei moli di Suzail. M’importa sapere se vanno da qualche parte per incontrarsi da soli con maghi indipendenti, o se scompaiono per alcuni giorni nelle dimore, nei capanni di caccia o nei castelli dei nostri nobili.

«Se dovessero fare queste cose», continuò in tono più calmo, con un sospiro, «non cercare di affrontarli, di far loro del male o di seguirli. Limitati a venire da me a riferirmi chi è andato dove. Naturalmente, io saprò se quando tu li hai visti erano impegnati in qualche missione per mio conto».

«E se dovessi essere arrestata come spia straniera?»

«Esigi di essere interrogata da un Mago della Guerra anziano… una cosa che la maggior parte dei Cormyriani teme a tal punto che le guardie ne saranno impressionate e non penseranno neppure che tu stia bluffando. Quando ti verrai a trovare davanti a un qualsiasi Mago della Guerra, digli di contattare me o Laspeera “nel nome di entrambi gli Azoun”. Questa è una frase che nessuno di essi può osare di ignorare. Noi diremo che abbiamo gettato sulla tua mente un incantesimo sperimentale che potrebbe indurti a fare ogni sorta di cose strane… ma che non ti si deve impedire di agire.»

«Direi che è decisamente vero.»

Per un momento Caladnei si mostrò ferita da quelle parole, ma poi notò il sorriso in tralice di Narnra.

«Mi dispiace», affermò con gentilezza la Maga Reale. «So che tutto questo non è stato facile per te. Consideralo una sorta di grandioso furto prolungato e immagina che noi si sia i tuoi complici».

«Le cose andranno molto meglio se saprò chi sono questi Maghi della Guerra, che aspetto hanno e in quale parte di Suzail posso avere una speranza anche minima di rintracciarli», affermò Narnra in tono deciso, levando gli occhi al cielo.

Caladnei annuì e protese un dito a toccarle la fronte.

«Sta’ ferma», ammonì. «Che tu ci creda o meno, questo è il modo più semplice per ragguagliarti.»

Ci fu un momento di gelido formicolio, poi numerose immagini eruppero nella mente di Narnra, evolvendosi da una confusione iniziale in una parata dei volti di una dozzina di Maghi della Guerra, due donne e dieci uomini, tutti che si muovevano leggermente, com’erano stati intenti a fare quando la loro effigie era stata catturata dalla magia di Caladnei. Insieme a ciascun volto, nella sua mente apparve anche un nome, che si ripresentò ogni volta che lei riportò la propria attenzione su un’immagine già vista.

«Thaeram Duskwinter, Bathar Flamegallow, Calaethe Hallowthorn, Iymeera Juthbuck, Helvaunt Lanternlar, Bowsar Ostramarr, Huldyl Rauthur, Storntar Redmantle…»

Narnra si accigliò, chiuse gli occhi e si rimise a sedere, scuotendo appena il capo.

«Li hai memorizzati?» chiese Rhauligan, e quando lei annuì aggiunse: «Bene».

Poi tirò fuori dalla manica un quadrato di vello ripiegato più volte su se stesso e lo aprì, rivelando una mappa incredibilmente dettagliata di Suzail che indusse Narnra a chinarsi in avanti con meraviglia per esaminare i piccoli punti contrassegnanti ogni singolo edificio della città.

«Questa», spiegò l’Arpista, posando il dito su un punto in particolare, «è una taverna chiamata il Falco Abbattuto, che Flamegallow e Ostramarr amano frequentare. E questo è il…».

Ridacchiando nonostante tutto, Narnra scoccò un’occhiata astuta in direzione di Caladnei e chiese in tono leggero:

«Niente immagini mentali di taverne e di camere da letto di nobildonne? Tu mi deludi!».

* * *

Inespressiva in volto, Laspeera chiuse la porta della Camera dell’Ala del Drago e si girò per rivolgere un cenno a Caladnei. Narnra se n’era andata, presumibilmente per cominciare al più presto ad aggirarsi furtivamente su balconi e tetti, intenta a spiare determinati Maghi della Guerra.

«Conosci il tuo compito?» chiese Caladnei a Rhauligan, con un sorriso privo di allegria.

«Seguirla.»

«Lasciati vedere soltanto per impedirle di tradire la Corona o per salvarle la vita», annuì la Maga Reale, «altrimenti… limitati a osservare. A meno che noi si sia stati decisamente molto trascurati, nessuno di quei dodici è un traditore, ma di recente tutti si sono incontrati con membri della Legittima Cospirazione, e voglio vedere in che modo reagiranno alcuni di loro, qualora dovessero notare che una straniera li sta spiando. Se poi Narnra dovesse accorgersi di te, dille che ci siamo resi conto di averla inviata ingiustamente in missione senza aggiornarla adeguatamente sulla nostra situazione politica… e offriti di fornirle ulteriori ragguagli».

«Certamente», assentì il Sommo Cavaliere, alzandosi in piedi.

«Su alcune di quelle monete sono applicati incantesimi traccianti?» domandò Caladnei, accennando alla porta da cui Narnra era uscita.

«Su tutte», sorrise Rhauligan, poi agitò la mano in direzione di Laspeera e di Caladnei in un gesto che era più un saluto che un congedo, si diresse verso la parete più vicina, armeggiò con il pannello di legno e uscì attraverso una porta segreta di cui le due donne erano convinte non conoscesse l’esistenza.

«Quello è un uomo in gamba», mormorò Laspeera.

«Spero di non finire per farlo uccidere», replicò la Maga Reale, con un amaro sospiro. «Io… vorrei davvero che Vangerdahast stesse ancora irritando metà di Cormyr gestendo le cose con la sua consueta abilità. Lui ci sa fare molto più di me.»

«Continua a pensarla così», replicò Laspeera, abbracciandola con un sorriso, «e sarò certa che stai assolvendo dannatamente bene l’incarico di Maga Reale. Quelle che mi terrorizzano davvero, sono le persone convinte di fare ogni cosa in maniera eccellente perché sono maestre nell’utilizzo della magia».

* * *

Rauthur sbatté le palpebre con aria sorpresa e si guardò intorno in tutte le direzioni. A giudicare dalla luce del sole e dagli odori, era ancora a Suzail… ma si trovava in uno stretto vicolo della parte occidentale quella più povera, della città e non nel corridoio antistante la Camera dell’Ala del Drago.

«Questo non è il Palazzo!» protestò.

«Infatti», convenne Harnrim Starangh… un istante prima che qualcosa ribollisse all’interno del Mago della Guerra, facendolo esplodere. «Un Mago della Guerra così sospetto», mormorò quindi, rivolto all’ammasso di ossa insanguinate e di fumo che poco prima era stato Huldyl Rauthur. «Scomparso proprio dopo tante uccisioni e un’invasione del rifugio… chi avrebbe mai pensato che proprio lui fosse un traditore? Questo dimostra davvero…»

E sorrise, mentre la voluta di fumo insanguinato si allontanava, lasciando soltanto un mucchietto di ossa pronte per essere divorate dal primo cane… o dal primo affamato cittadino di Suzail in cerca di qualcosa da mettere in pentola… che le avesse trovate.

«Mi dispiace davvero, Rauthur», aggiunse. «Temo di aver trascurato di menzionare alcuni dettagli relativi a quell’incantesimo di vincolo… e anche a quest’altra magia».

In risposta a un suo rapido gesto, il teschio grondante di sangue si levò dal resto delle ossa e fluttuò nell’aria fino a porsi davanti a lui, avvolto nella fievole aura della sua magia. L’incantesimo che Starangh aveva appena attivato avrebbe preservato il cervello che si trovava dietro quelle orbite ora vuote per il tempo che lui avrebbe impiegato a leggere la mente prossima a spegnersi di Rauthur.

Il mago meglio conosciuto come Incantesimi Oscuri scrutò il vicolo in entrambe le direzioni per accertarsi che nessuno lo stesse osservando… aveva scelto con cura quella stretta via tortuosa, avendo notato già alcuni giorni prima quel suo tratto riparato alla vista da due grossi mucchi di casse marce e abbandonate, e adesso non c’era nessuno che potesse vederlo mentre eseguiva con la massima attenzione un ulteriore incantesimo.

La mente di Rauthur stava inveendo contro di lui.

«Perché perché perché perché perché perché?»

«Mai lasciare in circolazione testimoni o complici», fu la sommessa risposta di Starangh, «in modo che non ti possano trascinare alla rovina insieme a loro. La fiducia, mio povero amico Rauthur, è una debolezza fatale».

Poi calò sulla mente morente e si aprì a forza la strada fra il senso di shock, il dolore e i brandelli di ricordi, cercando innanzitutto qualsiasi magia d’emergenza che potesse essere stata predisposta per destarsi contro di lui, anche se non credeva che Rauthur avesse avuto il potere o l’abilità per creare magie del genere, o la possibilità di accedere a quelle di cui disponeva indubbiamente Vangerdahast.

A mano a mano che approfondì il suo sondaggio, gli risultò evidente che aveva avuto ragione riguardo alle magie di emergenza… ma appurò anche che in realtà Rauthur non possedeva informazioni degne d’interesse, a parte i soprannomi di alcuni suoi colleghi Maghi della Guerra, che avrebbero potuto avere una minima utilità come esche per qualche trappola.

Ah, e poi c’era un’altra cosa, che brillava fra le voci più recenti nella categoria «cose da ricordare»: una certa Narnra Shalace, attualmente ospite della Maga Reale di Cormyr, era la figlia di… di Elminster di Shadowdale.

«Bene, bene», mormorò Starangh, una luce di entusiasmo che gli appariva negli occhi. «Pesci più grossi cominciano a cadermi in grembo già fritti.»

* * *

«Lady Joysil non ha nulla a che spartire con i mendicanti», dichiarò l’uomo di guardia alla porta, con un sogghigno. «Vattene, altrimenti chiamo la Guardia Cittadina!»

L’individuo dai polverosi e sporchi abiti di cuoio, con un paio di baffi palesemente falsi di traverso sul labbro superiore, trafisse il custode con un’occhiata gelida.

«Joysil e io abbiamo fatto affari insieme in passato e ci siamo sempre lasciati in termini di amicizia… di calda amicizia, potrei aggiungere. Non sarei qui, adesso, se non avessi una notizia urgente e della massima importanza da comunicarle, e non intendo andarmene finché lei non avrà sentito quello che ho da dire… in privato ed esclusivamente dalle mie labbra!»

Il custode si servì della polsiera di metallo per percuotere un piccolo gong nascosto all’interno dello stipite della porta, e non si mosse di un millimetro.

«E io non intendo permettere che uno sconosciuto presentatosi davanti a questa porta, e che potrebbe essere ogni sorta di assassino, di rapitore, di ricattatore o anche solo di ladro comune, arrivi alla presenza di Lady Ambrur da solo! Sono pagato per provvedere alla sicurezza della persona e delle proprietà della mia signora, e non lascerò che un furfante dalla lingua sciolta venuto dalla strada scateni tutto il caos che gli aggrada in questa casa!»

«Avanti, chiama la Guardia Cittadina», ribatté in tono sommesso l’uomo dagli abiti polverosi, «e dopo andremo da lei tutti insieme. Sono pronto a scommettere una forte somma che quando sentirà le mie notizie, Joysil non sarà affatto contenta di essere alla presenza di qualsiasi genere di pubblico che possa vedere la sua reazione».

«Questo mi rende ancor più deciso a non lasciarti passare», dichiarò la guardia, inarcando le sopracciglia. «Notizie del genere non dovrebbero essere…»

«Sì, Melarvyn? Cosa sta succedendo qui?»

Il maggiordomo di Haelithorntowers era un uomo efficiente dai modi bruschi, che non era propenso ad accettare con tolleranza qualsiasi spreco del suo tempo, questioni insignificanti o distrazioni inutili. Il custode, che ben lo sapeva, si trasse indietro con un sorriso pieno di tensione, e indicò l’uomo impolverato fermo sulla soglia.

«Questo… questo ruffiano esige di essere ricevuto da Lady Ambrur, e ha rifiutato di andarsene, anche quando ho minacciato di chiamare la Guardia Cittadina, insistendo che si tratta di affari urgenti e di avere un rapporto personale di qualche tipo con la nostra signora. Io non gli credo, ma per non fare torti…»

«Non fare torti? Melarvyn, da quando in qua la preoccupazione di non fare torti ha qualche ruolo nella vita quotidiana, tranne che nelle storie per bambini? E quando mai io ho permesso che una benché minima attenzione a “non fare torti” affiorasse nella gestione quotidiana di Haelithorntowers?», ribatté il maggiordomo, e senza attendere risposta si girò a squadrare freddamente dall’alto in basso il supposto ruffiano fermo sulla soglia, continuando: «Quanto a te, signore…».

«Adesso basta con le stupidaggini, Elward», ingiunse con calma l’uomo impolverato, togliendosi i baffi finti. «Accompagnami immediatamente da Joysil, se non vuoi che informi la Guardia della sorte di Iliskar Northwind, e di quella faccenda della spedizione di granchi di Selagunt scomparsa il mese scorso, per non parlare della parte da te avuta nel contrasto fra i Sette Mercanti e gli esattori fiscali del porto, ancora due mesi prima. O del nuovo agente commerciale marsembano del mercante di schiavi Ooaurtann di Westgate, che circola sotto il nome di “Varsoond”. Ma del resto è impossibile che Elward Varsoond Emmellero Daunthideir sappia alcunché riguardo a un mercante di schiavi, vero?»

Durante il pacato discorso dello sconosciuto, il maggiordomo si era tinto in volto di un pallore che ricordava il colore dell’avorio vecchio e aveva preso a deglutire ripetutamente, l’occhio sinistro che si contraeva come se vi fosse entrato dentro qualcosa.

Nel frattempo, il custode si era ritratto lentamente dal Maggiordomo Elward Daunthideir, mentre la sua espressione passava dall’irritazione all’ira, allo stupore e infine allo sconcerto, per poi stabilizzarsi su qualcosa di simile all’incredulità.

«Uh, cosa… uh… ahem…» balbettò il maggiordomo, poi di colpo sfoggiò un sorriso, si fece avanti per offrire la mano allo sconosciuto ed esclamò in tono cordiale: «Signore! Perché non hai menzionato tutto questo prima? È ovvio che Lady Ambrur sarà lieta di vederti… immediatamente, potrei aggiungere, e per me sarebbe un enorme piacere, lo sarebbe davvero, poterti accompagnare di persona alla sua presenza!».

E scortò l’impolverato sconosciuto oltre la soglia e nel passaggio che attraversava le spesse mura esterne di Haelithorntowers facendogli strada con ampi gesti, quasi trascinandolo lungo il breve sentiero che conduceva al grande portone d’ingresso della dimora. Il custode li seguì con lo sguardo, un fischio di stupore sulle labbra e la mente in preda allo sconcerto.

«Non dubito che per lui sia un grande piacere…» commentò poi, smettendo di fischiare, «e scommetto che quello sconosciuto farà bene a stare in guardia, altrimenti non arriverà mai vivo dalla signora. E a quel punto», continuò, incupendosi in volto, «la prossima a essere in pericolo sarà la mia pelle, perché il vecchio Elward sa che ho sentito tutto. Forse è meglio che ne parli io stesso con la signora, al più presto… però, e se lei fosse già al corrente di tutte quelle cose? E se Elward le facesse da facciata? Oh, dei…».

Lady Joysil Ambrur era nel suo salottino privato, adagiata su un vasto divano cosparso da una cascata di cuscini. Abbigliata con un vestito di seta rosa pallido, aveva i piedi nudi e i capelli sciolti che ricadevano folti e morbidi sui cuscini.

Numerosi volumi erano ammucchiati intorno a lei, alcuni più grandi del piano dei piccoli tavolinetti su cui erano posati. C’era da chiedersi con meraviglia come facessero le sue braccia snelle e languide a sollevare simili pesi… ma forse qualche servitore l’aiutava con i volumi più massicci, alcuni dei quali avevano l’aria di essere pericolosi tomi di magia.

Uno di essi era aperto sulle sue ginocchia, e lei ne distolse lo sguardo più con sorpresa che con irritazione, in quanto i servitori sapevano di non doverla disturbare quando…

Il suo maggiordomo le rivolse l’inchino più profondo che gli avesse mai visto fare e la fissò con occhi supplichevoli.

«Mia signora… un ospite molto speciale si è presentato da noi con una certa urgenza e con un messaggio privato, riservato soltanto ai tuoi orecchi. Afferma che tu lo conosci bene.»

Un’elegante sopracciglio s’inarcò, lunghe dita chiusero il volume e lo misero da parte, poi una mano si protese in un gesto d’invito.

«Allora accompagnalo da me.»

Il maggiordomo s’inchinò ancora, con modi che grondavano adulazione invece della consueta dignità vagamente sprezzante, e si girò verso la porta da cui era entrato, situata accanto al grande divano e coperta da un arazzo.

Roldro Tattershar venne avanti con il volto atteggiato a un’espressione grave.

«Puoi andare, Elward», ordinò Lady Joysil, in tono brusco, non appena lo vide. «Va’ alla polla meridionale, dove i pesci hanno bisogno di essere nutriti.»

Il maggiordomo annuì con fare rigido, impassibile in volto, e si affrettò a uscire. Alle sue spalle, il bardo dagli abiti impolverati sollevò una mano per avvertire la dama di fare silenzio, e dopo qualche istante si avvicinò in silenzio alla porta, aprendola per sbirciare fuori. Elward se n’era andato davvero.

Annuendo con soddisfazione, il bardo tornò indietro, e Lady Joysil si alzò per abbracciarlo con affetto.

«Cosa succede, Roldro?» mormorò. «Nulla di buono, pare.»

«Ammaratila, sono appena arrivato da Suzail, dove ho sentito due Maghi della Guerra parlare di ciò a cui sta attualmente lavorando Lord Vangerdahast, ora che si è ritirato dalla sua carica.»

«Sì, sta forgiando nuovi incantesimi nel suo rifugio… magie complesse, a quanto pare, e indubbiamente potenti. Si tratta di incantesimi di vincolo per creare nuovi protettori per Cormyr che sostituiscano i Signori Dormienti, che sono stati tutti distrutti. Ritengo che i primi incantesimi da lui approntati servano a trovare e placare i guardiani a cui vuole dare la caccia.»

«Infatti», annuì Roldro. «È quanto sappiamo noi Arpisti. Tuttavia, dubito che tu abbia scoperto che genere di guardiani lui intenda vincolare.»

«Per saperlo, Roldro, sono pronta a pagarti la stessa cifra dell’ultima volta», affermò con calma Lady Ambrur.

«Una somma decisamente accettabile.»

«Perché ti stai allontanando da me?» domandò la nobildonna, scoccando al bardo un’occhiata in tralice.

«Per darti spazio», fu la calma risposta.

«Cosa vorresti dire?» insistette lei, socchiudendo gli occhi.

«Ascolta, Ammaratha: come nuovi custodi del regno, Vangerdahast intende vincolare… dei draghi.»

«Cosa?»

L’aria fu scossa da un rombo di tuono in furioso crescendo, e Roldro Tattershar si affrettò a indietreggiare dietro il divano, sussultando.

Ci fu un bagliore di scaglie fra l’azzurro e l’argento, ali possenti si allargarono e presero ad agitarsi, senza badare ai gemiti scricchiolanti del soffitto, e il bagliore di quei penetranti occhi turchesi paralizzò il tremante Arpista accoccolato dietro il divano.

La grande coda prese a sferzare l’aria, lunghe zampe spiccarono un balzo… poi il soffitto cominciò a precipitare intorno a Roldro in grossi blocchi di intonaco, legno, polvere e pietra. La stanza tremò, il grazioso lucernario ovale svanì per sempre, ridotto a un ammasso di schegge tintinnanti, e al suo posto apparve una finestra molto più grande, in quanto adesso l’intera sommità della camera era aperta ed esposta al nebbioso cielo marsembano.

Dove il drago azzurro si stava librando sempre più in alto nel dirigersi verso nord, volando rapido e furente.

Smettendo di trattenere il respiro, Roldro trasse una boccata d’aria… e cominciò a tossire violentemente. Un fitto strato di polvere lo ricopriva e di sotto si potevano sentire le prime deboli grida di guardie e servitori, che si stavano chiedendo cosa fosse mai successo.

Ammaratha Cyndusk era giù un piccolo punto che stava scomparendo all’orizzonte. Attraversata a fatica la stanza devastata, Roldro prelevò uno dei cofanetti di gioielli della dama come prima rata del pagamento che gli era dovuto e procedette a cercare l’accesso al passaggio segreto che sapeva diramarsi da quella stanza all’interno dell’armadio occidentale. Se da un lato era in grado di tenere testa a un maggiordomo disonesto, infatti, d’altro canto non poteva fare altrettanto se quello stesso maggiordomo era accompagnato da una dozzina o più di guardie furenti e bene armate.

«Possa tu avere fortuna, Ammaratha», sussurrò, fra un colpo di tosse e l’altro. «Se potessi trasformarmi in un drago, io però non piomberei ruggendo addosso a Vangerdahast, a meno di voler andare incontro a una rapida morte.»

Vedendo una bottiglia di vino posata su un ripiano dell’armadio, l’ultimo dei Tattershar decise di portarla con sé per liberarsi la gola dalla polvere nel modo più piacevole. Aprire il pannello gli causò qualche difficoltà perché il muro sovrastante era incurvato e prossimo a crollare… ma riuscì a richiuderlo alle proprie spalle e a bere un paio di abbondanti sorsi di vino prima ancora che mani furiose cominciassero a percuotere la porta del salottino.

* * *

«Come osa!» ruggì nel vento il drago azzurro, proseguendo il proprio volo furente. «Come osa!»

Abbassando una spalla, cabrò leggermente verso ovest senza rallentare, fendendo l’aria tanto in fretta da far fatica a respirare e da far vibrare e sibilare le ali.

«Quale insulto a tutta la razza dei draghi! Che colossale arroganza! Anche ammesso che alcuni di noi fossero disposti a sottomettersi spontaneamente a un sonno di secoli e a prestare eventuali, pericolosi servigi, il piano del mago ci mette tutti in pericolo! Una volta che lui sarà riuscito a creare incantesimi in grado di vincolare i draghi, chiunque avesse modo di rubarli o ne entrasse in possesso dopo la sua morte potrebbe utilizzarli contro qualsiasi drago!»

La sua voce era un rombo assordante, ma i cieli indifferenti non diedero risposta. Ringhiando di furia ribollente, Ammaratha Cyndusk abbassò la testa e prese a muovere le ali con rinnovata energia, saettando verso la verde vastità della Foresta del Re.

E verso il rifugio in cui era annidato quel furfante di Vangerdahast.

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