Figlio mio, non è dei mercanti fermi da qualche parte che devi aver timore. È quando si mettono in cammino diretti da qualche parte che è bene che tu stia in guardia, perché è necessario che qualcuno stia per incorrere in una montagna di guai perché un mercante si senta indotto ad andare da qualsiasi parte.
Gli incantesimi di protezione più esterni che ammantavano gli angoli della stanza in una nebbia fluttuante si accesero di ramate lingue di fiamma di avvertimento, e un campanello trillò.
Il giovane uomo avvenente abbigliato totalmente in nero… camicia aperta sul petto e con le maniche ampie, calzoni aderenti di cuoio e lucidi stivali… abbassò i piedi incrociati dallo sgabello, mise da parte il libro che stava leggendo e il boccale che aveva in mano, e si alzò dalla sedia per passare la mano su una sfera di cristallo scuro che condivideva il proprio piedistallo di legno a forma di goccia con un cerchio esterno di sfere più piccole.
Prontamente, un nuovo alone circolare di nebbie ribollenti pervase di un chiarore smeraldino si materializzò nella stanza e visualizzò nell’aria l’immagine di un uomo pallido dalle vesti marrone che avevano quasi la stessa tonalità dei suoi capelli che andavano diradandosi, fermo con aria incerta al centro dell’alone di nebbia.
Sorridendo, l’uomo vestito di nero toccò due delle sfere più piccole, e subito altrettanti cerchi di nebbia si dissolsero, mentre il terzo assumeva un colore verde; a quel punto, il Mago Rosso passò la mano sulla sfera più grande, e l’immagine di Huldyl Rauthur scomparve.
«Oltrepassa l’arcata e vieni avanti», ordinò con calma Starangh, rivolto all’aria circostante. «Il passaggio che hai davanti è assolutamente sicuro.»
La nebbia color smeraldo che aleggiava ai suoi piedi prese allora a fluire verso una parete, allargandosi su di essa a delineare la forma di un arco sulla superficie di pietra… che prontamente si aprì a rivelare un lungo e rozzo tunnel scavato nella roccia, lungo il quale stava avanzando una figura esitante.
«Sii il benvenuto», salutò il Mago Rosso. «Voglio sperare che tu sia qui per qualcosa d’importante.»
«S… sì», balbettò Huldyl Rauthur, entrando nella camera. «Credo che sia arrivato il momento.»
Il Mago della Guerra era bianco in volto per la preoccupazione, e il sudore gli gocciolava dal mento per la tensione.
Sei un ramo debole, Maestro Rauthur, pensò Incantesimi Oscuri, e i rami deboli si spezzano.
«Bene», disse ad alta voce, rivolto all’uomo che aveva corrotto. «Torna nella camera da cui sei venuto, e io ti raggiungerò fra pochi istanti.»
Non appena lo spaventato Rauthur si fu avviato di nuovo lungo il passaggio, Starangh passò una mano sulla sfera di cristallo e innalzò fra loro un muro di nebbia, poi svuotò senza fretta il boccale in un lungo sorso e prelevò dal piedistallo uno dei cristalli, infilandoselo in tasca e pronunciando alcune parole.
Immediatamente, due uomini apparvero davanti a lui; sorpresi e allarmati, essi impallidirono nel vedere chi avevano di fronte.
«Spero che abbiate mangiato bene», disse Starangh, rivolgendo ai mercanti Bezrar e Surth un sorriso degno di uno squalo. «Vi aspetta un viaggio.»
«Eh? Cosa…» cominciò Bezrar, subito zittito da un violento calcio da parte di Surth.
«State fermi e in silenzio, per favore», ingiunse Starangh, rivolgendo a entrambi un sorriso sempre più minaccioso.
I due obbedirono, e lui procedette a eseguire un complicato incantesimo, destinato a far calare su di loro una nebbia di dimenticanza. Finché esso non avesse esaurito il proprio effetto, i due si sarebbero sentiti costretti a cercare l’ex-Mago Reale e sarebbero stati costantemente attratti nella direzione in cui lui si trovava… essendo però privi della capacità di ricordare perché lo stessero cercando o chi li avesse inviati dopo averli sottoposti a incantesimo. Inoltre, chiunque avesse cercato di infrangere quella magia prima che si fosse esaurita da sola, avrebbe ridotto i Marsembani a due tremanti creature dementi.
Adesso Bezrar e Surth erano immobili come due statue, non più in grado di vedere il Mago Rosso, che operò un secondo, minore incantesimo per insinuare nella loro mente immagini di quelle armature animate note come «orrori con l’elmo».
«Quando vedrete uno di questi esseri», disse con gentilezza ai suoi due seguaci, «uno di voi gli scaglierà contro uno di questi oggetti, come per abbatterlo».
Nel parlare, il mago vestito di nero prese le mani inerti di ciascuno dei due uomini e le congiunse a coppa, poi prelevò da un cesto che si trovava dietro la sua sedia numerosi piccoli oggetti identici e lucidi, che lasciò cadere nelle mani in attesa: due manciate di ovali di metallo, rigonfi nel centro e sottili come piastre di armatura alle estremità, su cui erano incise numerose rune.
Sorridendo ai due idioti sottoposti a incantesimo, Starangh si portò alle loro spalle per posare contemporaneamente una mano sulla nuca di ciascuno, e pronunciò un’altra parola che li fece svanire entrambi.
Canticchiando una canzonetta sboccata, Harnrim Starangh manipolò un’ultima volta i cristalli e cavalcò un pennacchio di nebbia lungo il passaggio per andare a raggiungere Rauthur. Era arrivato il momento di agire, perché improvvisamente si era aperta la stagione di caccia a Vangerdahast.
Aumun Tholant Bezrar sbatté le palpebre, si asciugò la faccia sudata e si guardò intorno freneticamente, spingendo lo sguardo sconcertato in tutte le direzioni, in preda allo stupore più assoluto. Alberi… sì, quelli erano indubbiamente alberi.
Come sempre, fermo alle sue spalle con la stessa rigidità di uno di quei tronchi, c’era il suo complice di così tanti crimini, Mastro Malakar Surth.
Notando che Surth stava fissando con aria perplessa una manciata di oggetti che aveva in mano, e che sembravano monete d’argento più grandi della norma, Bezrar abbassò lo sguardo e scoprì che nel proprio palmo grasso e sudato era adagiata una seconda manciata di quegli stessi, strani oggetti: ovali di metallo scintillante su cui erano incise rune di forma complessa… simboli che lui non era in grado di leggere e che non aveva mai visto prima, ma che erano uguali su ciascun disco. Quegli strani oggetti lunghi quanto un dito avevano un gonfiore nel centro, come delle tartine ripiene, e si appiattivano poi lungo i contorni come… ecco, anche in questo ricordavano le tartine ripiene.
Ma da dove erano arrivati quegli oggetti… e dov’erano andati a finire loro due, nel nome di tutti gli accoglienti Nove Inferni? E come… come avevano fatto ad arrivare fin lì?
«Surth?» chiamò il grasso Bezrar, in cerca di qualche risposta a quegli interrogativi. «Surth?»
«Morditi la lingua fino a farla sanguinare», scattò il più ricco trafficante in profumi, vini, cordiali e droghe di tutta Marsember, utilizzando l’abituale espressione portuale che, nel linguaggio dei Cormyriani di rango appena più elevato si trasformava in «Chiudi il becco» oppure (se si trattava di preti o di anziani) in «Taci».
Surth stava fissando con occhi roventi la distesa di alberi, di viticci e ancora di alberi umidi di rugiada che si allargava in tutte le direzioni intorno alla stretta pista su cui loro si trovavano, e a giudicare dal suo comportamento era chiaro che stava dando agli alberi stessi la colpa del suo trovarsi in quel luogo… almeno per i pochi momenti che gli ci sarebbero voluti per trovare nelle vicinanze qualcun altro a cui addossare quella responsabilità.
«Non lo so neppure io», borbottò infine, girandosi lentamente a fissare il suo socio di vecchia data, poi s’incupì in volto ed esclamò: «Cos’hai fatto per farci finire qui, Bez? Devi aver fatto qualcosa! Sei un idiota, lo sai questo? Un idiota! Devi aver armeggiato con qualcosa di magico o aver fatto infuriare quel… quel…». D’un tratto la sua espressione si appannò e lui parve quasi spaventato mentre agitava una mano, come per accantonare l’argomento, e concludeva: «Lo sai: quel… quell’uomo».
Bezrar si erse sulla persona come un tricheco indignato, ansimando e sudando, e pungolò il petto del socio con un grasso dito peloso.
«Adesso ascoltami bene, o potente Malakar! Sei tu quello che pasticcia sempre con la magia di Shar, che si diletta con oscuri giocattolini, incantesimi borbottati e tutte quelle altre idiozie si cui di dovrebbe diffidare! Per gli dei, mi hai proprio ferito e offeso! Io non ho fatto nulla per farci finire qui! È stato quel sorridente… quelle parole magiche… quel bagliore verde… lui… è stato lui a darci questi, non è così?» infuriò, protendendo la manciata di oggetti lucidi, poi proseguì: «Deve essere stato lui, perché tutti gli dei mi sono testimoni che non ho mai visto prima niente di simile! E anche tu ne hai alcuni in mano!»
«Lo so, piccolo asino grasso» ringhiò Surth. «Ho ancora la vista e il tatto, per tua informazione!»
«Per il pesce di Odd, però non sei in grado di pensare nemmeno con la metà dell’astuzia che credi di possedere… non è così?»
«Oh, sì che ne sono in grado», ringhiò Surth, abbassando la mano verso l’impugnatura del coltello.
«Allora usa la tua parte pensante, quale che sia, e dimmi come siamo arrivati qui e cosa sono questi cosi e soprattutto come facciamo a tornare a Marsember!» ruggì il grasso contrabbandiere, che aveva a sua volta già in pugno il coltello e lo stava protendendo con fare ammonitore in direzione del socio. «Perché questa non è certo Marsember, quant’è vero che Shar è una ragazza bruna!»
La sua voce, resa acuta dall’ira, echeggiò per breve tratto fra gli alberi umidi, e quel rumore indusse qualcosa di invisibile ad allontanarsi in tutta fretta da un punto vicino alla pista, lasciandosi alle spalle una scia di foglie tremanti.
Lottando per controllare la propria ira, Malakar Surth trasse un profondo respiro e con mano salda spinse di lato la punta tremante del coltello di Bezrar.
«Lasciami riflettere», sibilò.
Con espressione acida, Bezrar allargò le mani nell’imitazione del gesto con cui un altezzoso servitore marsembano avrebbe potuto fare strada a un nobile, offrirgli un vassoio di cibi o fare qualche altra cosa.
«Non si riesce a capire dove sia il sole, quindi non dobbiamo allontanarci dal sentiero», borbottò Surth, scrutando gli alberi e accarezzandosi il mento come se la sua punta rasata avesse invece ospitato una folta barba. «Questa foresta è grande», continuò, con un brivido improvviso. «Non dobbiamo lasciarci sorprendere ancora qui dalla notte.»
Bezrar annuì, dilatando gli occhi per l’orrore derivante dal pensiero di qualche mostro boschivo dai lunghi artigli che si avvicinava strisciando nel buio… soffocando un grido d’allarme, cominciò a scrutare contemporaneamente in tutte le direzioni, accoccolandosi su se stesso e agitando selvaggiamente il coltello davanti a sé.
«Grasso idiota inutile» bofonchiò Surth, scoccandogli un’occhiataccia, poi sollevò una mano e ordinò: «Andiamo da questa parte. Non so perché, ma sono certo che sia la direzione giusta. Shar deve essere venuta in mio aiuto… grazie per averla invocata, Bez. Vieni».
Il contrabbandiere si risollevò, continuando a scrutare in ogni direzione con aria sospettosa, ma non accennò a muoversi, quindi nel passargli accanto Surth lo afferrò bruscamente per un gomito e lo spinse in avanti con tanta forza da farlo incespicare; il grasso mercante aveva appena fatto in tempo a ritrovare l’equilibrio che Surth tornò ad afferrarlo per il gomito e con altrettanta decisione lo costrinse ad avviarsi per primo.
Bezrar gli scoccò un’occhiata timorosa, a cui lui reagì con quello che nelle sue intenzioni doveva essere un sorriso rassicurante.
«Avanti, cammina, ma bada di farlo in silenzio», avvertì. «Non ti preoccupare, io sarò proprio dietro di te.»
Bezrar si limitò a rispondere con una sorta di ringhio, perché non osava dire ciò che pensava, e cioè che sapere di avere Malakar Surth alle proprie spalle non era cosa che inducesse a cessare di preoccuparsi.
D’altronde, aveva bisogno di Surth, perché era lui la mente della loro società e perché non voleva trovarsi solo in quel vasto bosco frusciante. Il solo pensiero di… e quello cos’era?
«Signore Mascherato e Tymora, proteggetemi!» stridette, nel vedere un guerriero in armatura completa sbucare da dietro alcuni cespugli, la visiera dell’elmo abbassata e la spada in pugno. «Surth?»
«L’ho visto», replicò Surth, con un tono di voce molto strano.
In fretta, Bezrar si lanciò un’occhiata alle spalle per appurare il perché di quella stranezza… e vide che Surth aveva sollevato uno di quei piccoli oggetti con mano tremante e lo stava fissando con espressione assorta.
«Malakar!» stridette. «Aiutami!»
Riportando lo sguardo sul guerriero in armatura, si lasciò poi sfuggire un gemito di terrore nel vedere il silenzioso Dragone Purpureo fluttuare minaccioso verso di lui. Già, fluttuare… per gli dei, quella cosa si librava nell’aria! I suoi piedi non toccavano il suolo, la punta rivolta verso il terreno come quella di un cavaliere preparato per la sepoltura!
E tuttavia quella testa coperta dall’elmo continuava a girarsi di qua e di là per scrutare alternativamente lui e Surth, e la mano guantata stava sollevando la grande spada snudata, preparandosi a colpire e a uccidere…
«Surth!» invocò il contrabbandiere, quasi in lacrime, il coltello che gli tremava nella mano malferma. «Aiuto!»
Qualcosa di luminoso gli saettò sopra la spalla, ruotando più volte su se stesso nel dirigersi verso il guerriero fluttuante. L’oggetto colpì il petto protetto dall’armatura… e il mondo esplose in un’ondata di intenso fuoco azzurro misto a una rumorosa pioggia di schegge di metallo che quasi assordò Aumun Bezrar e lo sollevò da terra, mandandolo a sbattere contro un paio di alberi per poi crollare al suolo in mezzo a un mucchio di cespugli, di radici molto dure e di fradice foglie morte, mentre i pezzi dell’armatura infranta cadevano tutt’intorno a lui con un clangore metallico.
«Bezrar?» gridò il suo socio, con un’improvvisa nota di terrore nella voce, avanzando alla cieca con passo incespicante lungo il sentiero, le mani protese davanti a sé. «Bez, dove sei?»
Sbattendo le palpebre, Bezrar fissò la sovrastante volta di fogliame attraverso cui s’intravedeva il cielo e decise che era vivo, perché poteva ancora sentire anche se gli orecchi gli vibravano leggermente, e poteva avvertire tutte le parti del corpo, che non parevano dolere più del consueto. In fretta, rotolò su se stesso e conficcò il coltello nel muschio e nel terriccio, usandolo come un appiglio che gli servì per sollevarsi in ginocchio, ansimante, in tempo per vedere… Malakar Surth che andava a sbattere dritto contro un albero, lanciava un urlo allarmato, si girava per fuggire e muoveva tre passi frenetici… solo per andare a scontrarsi con un altro albero.
Surth crollò a terra in posizione seduta, serrandosi la testa fra le mani, e nell’esaminare il sentiero ora vuoto, Bezrar si ritrovò a scoppiare in una selvaggia risata.
Essa però gli si spense in gola di colpo quando lui si accorse che la mano libera aveva cominciato a tremargli. Abbassando lo sguardo, scoprì di avere uno di quegli oggetti scintillanti stretto fra le dita, come fosse stata una pietra da scagliare, e che da essa stava emanando un lieve bagliore azzurro, che prese a pulsare fino a svanire sotto il suo sguardo attonito. E c’era anche un’altra cosa: in qualche modo, nei momenti di terrore trascorsi dall’istante in cui aveva visto apparire la testa coperta dall’elmo, la sua mano libera aveva aperto due delle sacche che lui aveva con sé, aveva gettato via le fiaschette di vino che vi erano riposte e aveva conservato al loro posto tutti gli oggetti scintillanti.
«Mystra, Signora della Magia», pregò con voce rauca, guardando la propria mano che cessava progressivamente di tremare e rendendosi conto che qualcosa lo stava incitando a pregare.
Surth intanto stava lottando per rialzarsi in piedi, e teneva proteso davanti a sé, in una mano, un altro di quegli strani oggetti, come se fosse scaturita la forza che lo spingeva ad avanzare, tornare sulla pista e a percorrerla in quella direzione soltanto. «Nel nome di tutti i tuoi sacri misteri, cosa sta succedendo?»
«Ci… ci stanno guidando come fossimo due muli» sussultò Bezrar, d’un tratto madido di sudore freddo. «Oh, dei, finiremo per morire!»
Quasi in risposta alle sue parole, un altro silenzioso guerriero in armatura sopraggiunse fluttuando lungo il sentiero, puntando verso Surth con la spada sollevata.
Nel vedere il suo socio scagliare l’oggetto che aveva in mano, Bezrar si affrettò ad affondare la faccia in mezzo al muschio e alle foglie.
Questa volta, l’esplosione fu ancora più violenta.
Sentendo la trazione esercitata dall’oggetto che anche lui teneva in pugno farsi sempre più irresistibile, Bezrar si alzò faticosamente in piedi e mosse qualche passo incespicante verso la pista, dove Surth stava già avanzando fra gli alberi con andatura barcollante, un altro di quegli oggetti stretto fra le dita.
«Oh, rovina e nera sventura», borbottò Bezrar, con assoluta impotenza, mentre si ritrovava a dirigersi verso la pista con la massima velocità concessagli dagli arti tremanti.
«Aspetta», esclamò d’un tratto Rhauligan. «Cosa mi dici di quella… di quella protezione?»
«Le stelle di Mystra non mi hanno bloccata», affermò Laspeera, «e non credo che abbiano interferito nella mia lettura del pensiero».
«Pensi davvero che la dea stessa…»
«Non lo so», dichiarò Caladnei, in tono deciso. «Narnra… hai visto anche tu sette stelle? Di fuoco fra il bianco e l’azzurro?»
L’Ombra di Seta fissò i tre Cormyriani, sentendo rinascere dentro di sé un’improvvisa speranza: avrebbe potuto sfruttare quella cosa come uno scudo per liberarsi da quella stanza e da quei tre, e… e…
Mentre si rendeva conto che non sapeva cosa avrebbe voluto fare se avesse riavuto la libertà, vide Laspeera volgerle di colpo le spalle.
Sta ancora leggendo i miei pensieri! Intuì. Sa che questo sarebbe un inganno!
«No», affermò con decisione la Maga della Guerra, tornando a voltarsi verso di lei. «Quando si ha a che fare con la Madre dei Misteri, Narnra, nessuno di noi che operiamo la magia può essere certo di nulla. La tua mente mi ha già mostrato che tu hai visto sette stelle spegnersi, una per una, mentre la Maga Reale usava i suoi incantesimi su di te. Tuttavia, può darsi che la protezione di Mystra ti avviluppi ancora, che tu lo sappia o meno.»
«Non mi va di procedere al sondaggio senza il tuo consenso, Narnra Shalace», convenne gravemente Caladnei. «Mystra potrebbe prendere nota della tua disponibilità o del tuo rifiuto. Allora… cosa decidi?»
Mi viene restituita la possibilità di scegliere, pensò Narnra, fissando i tre Cormyriani e chiedendosi quali altre stranezze quella giornata poteva avere in serbo per lei, e cosa avrebbe dovuto rispondere.
E i tre la fissarono a loro volta, in attesa.
«Ebbene, Lady Joysil, sono certa che tutti ritengano di vivere in tempi che per Cormyr sono davvero difficili, e sono convinta che sia vero», osservò Lady Honthreena Ravensgar, afferrando con una mano la più grossa tartina alle noci e protendendo l’altra verso il boccale che era stato appena riempito di nuovo. «Oh, so che quello spaventoso Drago Demoniaco non minaccia più metà del regno, inghiottendo cavalieri e soldati come fossero spuntini, mentre orchi e orchetti marciano contro di noi», continuò, agitando una mano abbondantemente adorna di anelli, «ma… la situazione adesso è davvero migliorata?».
«Ecco», interloquì in tono cupo Lady Baerdra Monthor, senza dare a Lady Joysil Ambrur il tempo di rispondere, «al contrario di alcune fra coloro che sono sedute a questa tavola, io sono davvero una figlia di Marsember… e qualsiasi sventura che si abbatta sugli Obarskyr e sulla loro preziosa Corte Reale di Suzail mi fa solo piacere! Sarei felice se entro il tramonto di oggi finissero tutti nel ventre di qualche drago e ci permettessero di ritrovare l’indipendenza della nostra città! Tutte queste amenità con Chauntea e con i re bambini, per non parlare di quell’ignobile Alusair, che imperversa selvaggiamente per metà del regno…».
«La metà maschile, mia cara», osservò in tono significativo la vecchia Lady Hornsyl Wavergallant… poi ridacchiò.
Lady Monthor attese che l’ondata di risatine maligne si fosse spenta, poi riprese la propria arringa dove era stata interrotta.
«… e questo mentre un’ignota sciacquetta straniera comanda i Maghi della Guerra, e gli Obarskyr calpestano i diritti dei nobili a destra e a sinistra! Dei del cielo, come potrebbero mai le cose andare peggio di così?»
«Tuttavia», affermò con gentilezza Lady Thornra Bracegauntlet, «le mie simpatie vanno a Filfaeril. Quella è una vera regina, per dignità e lignaggio, che per tanti anni è rimasta a guardare in silenzio mentre Azoun portava nel proprio letto qualsiasi gonnella che non si fosse data alla fuga nel momento in cui i suoi stendardi apparivano all’orizzonte…».
«Ah, sì», sospirò Lady Monthor, contemplando il soffitto, persa in piacevoli riflessioni al punto che per poco non rovesciò il proprio boccale.
Tranne per un fugace sospiro di esasperazione, Lady Bracegauntlet ignorò quel commento.
«… e poi ha dovuto ancora vedere sua figlia saltare addosso a qualsiasi giovane uomo che colpisse la sua fantasia, mentre l’altra figlia s’innamorava di un nobile da quattro soldi e moriva nel dare alla luce suo figlio… ma come facciamo noi a sapere che quel bambino è legittimo e merita di portare un giorno la corona?… e…»
«Dovranno passare degli anni prima che quel marmocchio possa indossare qualsiasi corona», osservò Lady Ravensgar, in tono di cupa minaccia. «Ci sono stati molti figli di re a cui sono state prese le misure per la bara prima che giungesse il tempo di prendere quelle per forgiare loro la corona.»
«Oh, smettila con queste insinuazioni, Honthreena!» ingiunse con fermezza Lady Wavergallant. «Se hai avviato una di queste piccole cospirazioni o sei entrata a farne parte, diccelo chiaramente! Vogliamo sentire tutto al riguardo! Quanto a Filfaeril, ho sentito dire che ultimamente se la sta cavando piuttosto bene anche lei nella camera da letto, insieme a quel vecchio saggio ammuffito, Alaphondar!»
Fino a quel momento, Lady Joysil Ambrur aveva contribuito ben poco alla conversazione, e anche adesso continuò a tacere. Sorridendo al di sopra del bordo del suo calice preferito, guardò il suo vino e le sue tartine scomparire con spaventosa rapidità e fece venire a galla con abilità i più recenti pettegolezzi relativi a Cormyr. Le nove nobildonne di Cormyr che erano state tanto fortunate da ricevere un invito a quello spuntino di mezzogiorno stavano collaborando con entusiasmo… perché ciascuna di esse era ansiosa di dimostrare alle altre quanto fosse bene informata… facendo affiorare piccole verità relative a svariate cospirazioni, il tutto misto a una serie di coloriti commenti relativi alla Maga Reale Caladnei, alla Reggente di Ferro e alla relazione della Regina Madre Filfaeril con Alaphondar.
Dopo tutto, pensò Lady Ambrur, con un sorriso, a parte l’occasionale, sgradevole dovere da assolvere nella camera da letto per fornire un erede al casato, e lo spendere quanto più denaro possibile in frivolezze, era a questo che servivano le nobildonne.
«Cosa è stato?» esclamò Rauthur, girandosi di scatto.
«La mia… manovra diversiva», mormorò il Mago Rosso. «Soltanto un paio di pasticcioni disorientati che si stanno imbattendo negli orrori con l’elmo, in modo da attirare l’attenzione dei tuoi colleghi Maghi della Guerra… giusto nel caso che qualcuno di essi abbia l’abitudine di spiare Vangerdahast.»
Huldyl Rauthur si asciugò il sudore dal volto pallido e sospirò.
«D’accordo, ho capito», sussurrò. «Bene, siamo arrivati. Questa è una delle “entrate di servizio” del rifugio del Vecchio Inc.. er, di Vangerdahast».
«Del Vecchio Incantesimi di Tuono? È un termine che ho già sentito», commentò Starangh. «Che probabilità ci sono di incontrare incantesimi d’allarme o in qualche guardiano?»
«No, no, siamo al di là di tutte quelle difese. Vangey non può lavorare ai suoi incantesimi se nel farlo continua a far scattare allarmi e controffensive. Basterà non fare il minimo rumore, perché lui ha un ospite.»
«E di chi si tratterebbe?»
«Non lo so, ma sta parlando con qualcuno che si trova qui a dargli una mano, e non con qualcuno che si trovi all’estremità opposta di un incantesimo o di un cristallo per evocare immagini», replicò il Mago della Guerra, precedendo con cautela il compagno lungo un passaggio poco illuminato che odorava di terra umida; sotto i piedi, le piastrelle erano umide, e nelle pareti di rozzi blocchi di pietra erano posizionate a intervalli alcune porte chiuse. «Dispense e cose del genere… oh, c’è una cosa da cui ci dobbiamo guardare.»
«Rauthur», ammonì il mago chiamato Incantesimi Oscuri, con voce vellutata, posando una mano sulla spalla del mago della Guerra, «non mi piacciono le sorprese, e ormai tu dovresti saperlo».
«Uh… ah… sì, signore! Io… io volevo solo intendere che ho dimenticato di accennare a una cosa…. che Vangerdahast è solito evocare coppie di occhi fluttuanti e di mani volanti che usa come servitori… quaggiù non ce ne saranno, ma una volta di sopra non dobbiamo andare a sinistra, altrimenti potremmo incontrarli… e naturalmente lui vede attraverso quelle evocazioni, e…»
«Sì, sarebbe un contrattempo spiacevole. C’è qualche altra cosa che hai difficoltà a ricordare, amico Huldyl?»
«N… no, Lord Harnrim. Io… uh, si passa di qui. Ci sono dei gradini che portano di sopra. Tu volevi vedere Vangerdahast mentre lavora…»
«Infatti», sussurrò il Mago Rosso, con voce appena udibile, senza togliere la mano dalla spalla di Rauthur. «Mostramelo.»
Invisibile, alle spalle del tremante Mago della Guerra, l’altra mano di Starangh sfilò il cristallo riposto fra le vesti e lo tenne pronto… per ogni eventualità.
I consunti gradini di pietra formavano una stretta, corta rampa che saliva fino a una sorta di serra, dove su alcune panche erano disposti vassoi poco profondi in cui crescevano erbe e piante alimentari, sotto un soffitto di vetro ricurvo; all’esterno, un grande cerchio di alberi molto fitti circondava la cupola del soffitto, che si levava in una piccola radura… e in mezzo alla vegetazione il Mago Rosso distinse le sagome immote di più di una dozzina di altri orrori con l’elmo… numerose armature vuote che fluttuavano instancabili nell’ombra della boscaglia.
Sentendo la mano di Rauthur che gli si posava su un braccio, Starangh si girò a fissarlo con occhi roventi… ma scoprì che il Mago della Guerra gli stava indicando qualcosa.
Attraverso un’apertura fra due vecchi vasi da semina, era possibile scorgere un altro strato di vetro, questa volta una parete che si affacciava su una stanza adiacente, il cui pavimento si trovava molto più in basso. Da lì, Starangh si trovò a osservare dall’alto le teste in movimento di un uomo e di una donna.
Nel frattempo Rauthur manipolò delicatamente l’aria intorno a loro, poi ci fu un momentaneo tremolio di energia magica… un’onda infinitesimale… e divenne possibile sentire le voci fievoli dell’uomo e della donna che giungevano dal basso, distinguendone le parole.
Chinando la testa in avanti, il Mago Rosso si mise ad ascoltare con la massima attenzione.
Un minuscolo vortice di fiamme prese a girare in cerchio a mezz’aria, osservato con occhio critico da Vangerdahast.
«Non basta», grugnì il mago. «Non basta affatto.»
Minuscoli fili di energia gli scaturirono dalla punta delle dita e strisciarono in maniera irregolare nell’aria, tremolando per andare a raggiungere il vortice di fiamme… che aumentò di colpo d’intensità, vacillò… e collassò in un insieme di scintille ammiccanti e di fumo che si andava dissolvendo.
Calando con violenza una mano sul piano del tavolo, Vangey salì poi su di esso per protendersi in avanti e seguire con occhio attento ogni singolo istante della morte del suo incantesimo.
«Non è stato un successo», osservò in tono gentile Myrmeen Lhal, che sedeva in armatura completa su una sedia dall’altra parte della stanza, la spada snudata posata di traverso sulle ginocchia.
Vangerdahast reagì con un profondo ringhio di gola, simile a quello che lei aveva sentito emettere a molti cani da caccia, e si voltò di scatto per fissarla con occhi roventi.
«Dannazione, donna, non posso lavorare con te che mi guardi! Perché non porti quella tua spada e la tua persona in armatura fuori nel bosco e non fai a pezzi qualche piccola creatura pelosa? Lasciami in pace!»
«No», ribatté con la massima dolcezza la Signora di Arabel, sorridendogli con il mento appoggiato fra le mani; stancamente, Vangerdahast notò che i suoi guanti di maglia di ferro erano appoggiati sulle grandi corna intagliate nello schienale della sedia. «Mi piacciono le piccole creature pelose… perfino quelle che indossano vesti da mago e mi ringhiano contro scortesemente.»
Vangerdahast ringhiò ancora, questa volta con rabbia crescente, e calò l’altra mano sul tavolo con un tonfo violento.
«In tutte le cose ci vuole pazienza, signore», mormorò Myrmeen. «Se ti aspetti di forgiare incantesimi del tutto nuovi destinati a vincolare decine di draghi, non puoi pretendere che ciascuno di quegli incantesimi sia una cosa semplice… altrimenti altri maghi avrebbero già fatto una cosa del genere e vincolato fino all’ultimo drago da migliaia di anni.»
«Ho visto abbastanza, e adesso mi congederò da te», mormorò il Mago Rosso nell’orecchio di Rauthur. «Guidami in un punto da cui possa andarmene senza rischi.»
Huldyl Rauthur annuì e si affrettò a precederlo giù per i gradini e nel passaggio, percorrendolo nella direzione da cui erano venuti. A metà del corridoio, però, si soffermò accanto a una porta.
«Lord Starangh», mormorò, «all’interno ci sono alcuni di quegli occhi e di quelle mani fluttuanti, che io so come sintonizzare e attivare. Che ne diresti di usarli per… ecco, per vedere in aree più recondite del rifugio rispetto a quelle in cui ci siamo avventurati finora?».
«Un pensiero gentile», sorrise il Mago Rosso, «però… no, grazie, non questa volta. Mi sei stato di estremo aiuto e di grande utilità, Rauthur… e confido che continuerai così», continuò, assestando una pacca calorosa sulla spalla del Mago della Guerra, poi aggiunse: «Perché ovviamente, tradirmi significa… morire».
Con quelle ultime parole sussurrate che ancora gli risuonavano negli orecchi, Huldyl Rauthur si ritrovò improvvisamente solo a fissare il passaggio ora vuoto.
Madre Mystra, pensò, è passato dritto attraverso i sigilli di protezione! Quegli stessi sigilli che sono costati a Vangerdahast giorni di fatica già solo per riuscire a modificarli!
Rabbrividendo in tutto il corpo come un cane bagnato, Huldyl Rauthur deglutì a fatica e si affrettò a tornare nella serra per ripristinare lo schermo di silenzio. Dunque era quella la sensazione che derivava dalla vera paura… mentre fino ad allora tutto ciò che aveva provato era stato mera… apprensione.
Dei, proteggetemi, implorò.