8. Agili navigazioni a Marsember

Se vuoi vedere la vera malvagità, non cercare nei vicoli o in oscure taverne. Cerca invece nelle eleganti e private camere dei ricchi e dei nobili, tieniti nascosto e osserva cosa accade in esse. Quando si tratta di assoluta malvagità, le prestazioni migliorano con la pratica, come in tutte le cose… e una simile pratica è maggiormente possibile là di quanto non lo sia nei vicoli, perché giocatori annoiati che cerchino un intrattenimento si dilettano a lungo prima di infliggere il colpo mortale.


Irmar Amathander di Athkatla

Molte Strade Verso Una Stessa Conclusione

Anno della Lama Lucente


L’acqua del porto non risultò più pulita la seconda volta che lei vi finì dentro, e Narnra si sentì grata di non poter vedere le cose viscide che stava disturbando mentre scendeva in profondità in mezzo al fetido gorgogliare di una quantità di cose marce che la circondavano. Scalciando contro il fondale per darsi la spinta per tornare in superficie, approfittò del movimento per ripiegare il più possibile le ginocchia contro il corpo e si sforzò di passare le braccia legate sotto gli stivali in modo da portarle davanti a sé nel riaffiorare annaspando in superficie, proprio mentre un sonoro sciacquio poco lontano annunciava l’arrivo del suo inseguitore.

Era inevitabile. Avrebbe quasi sentito la sua mancanza, se mai si fosse trovata in circolazione di notte per Marsember senza essere testardamente inseguita da Rhauligan. Quasi. Ogni giovane ladra waterdhaviana avrebbe dovuto avere un inseguitore come lui.

Con le labbra increspate da un acido sorriso destato da quel pensiero, Narnra si ripiegò su se stessa come un’anguilla e nuotò verso il lato opposto del canale, scoprendo che anche con i polsi legati era in grado di procedere piuttosto in fretta, grazie anche al fatto che per quanto puzzolenti, le acque oleose di quei canali erano più calme e meno affollate di quelle in cui aveva imparato a nuotare, le altrettanto sporche acque circostanti i moli di Waterdeep.

D’altro canto, lei era abituata a procedere a bracciate quando voleva nuotare in fretta e a contorcersi in quel modo solo se voleva evitare di fare qualsiasi rumore… e stava già cominciando a stancarsi.

Ed entro pochi istanti Rhauligan sarebbe riaffiorato e avrebbe teso l’orecchio per determinare dove lei si trovasse, e la sua più probabile destinazione non avrebbe potuto che apparirgli ovvia.

In una direzione… quella in cui si trovava Rhauligan… il canale sfociava nella più ampia rete di vie d’acqua che formava quell’estremità del porto di Marsember, mentre nell’altra, poco più avanti, terminava in un bacino di servizio intasato di reti marce, pesci morti e rifiuti oleosi; una singola chiatta, sfondata e a stento galleggiante, era ancorata a un molo del bacino, e a guardarla pareva che la sola cosa che le impediva di affondare fossero le sue catene di ancoraggio, peraltro così coperte di ruggine da dare l’impressione che potessero presto esalare l’ultimo respiro e cessare di espletare la loro funzione. A quanto pareva, la chiatta doveva essere appartenuta a un magazzino di pietra un tempo maestoso e che adesso pareva rivaleggiare con l’imbarcazione in una gara per diventare abbandonati, dimenticati e assolutamente decrepiti.

Narnra si diresse verso il punto più basso della murata della chiatta, che si trovava almeno una trentina di centimetri al di sotto del pelo dell’acqua, e rotolò sull’antica imbarcazione, sparpagliando alcuni ratti stridenti e inducendo alcuni uccelli addormentati a levarsi in volo per lo spavento.

Naturalmente, quelle erano tutte cose che Rhauligan non avrebbe potuto mancare di notare, ma d’altro canto la benevolenza degli dei non le aveva lasciato alternative.

E anche se adesso lui stava nuotando a tutta velocità per raggiungerla, la prima cosa che doveva fare era rimanere esattamente dove si trovava, seduta su qualcosa di scomodo e di invisibile nell’acqua puzzolente e infestata di granchi di quella chiatta, per cercare di tagliare le corde che la legavano con il coltello che teneva nello stivale.

Sfilare l’arma dalla calzatura evitando di lasciarla cadere e di perderla richiese un certo tempo, conficcarla nel plancito marcio della chiatta fu poi questione di un istante, ma recidere le corde fu di nuovo un lavoro dannatamente troppo lungo, che comportò un taglio a un dito e altre imprecazioni.

Con un ringhio, Narnra scosse la mano che gocciolava sangue e si alzò in piedi, frugando nella sacca da cintura alla ricerca della borsa di riserva… un semplice pezzo di cuoio dalle estremità forate e unite da un laccio… che portava con sé nell’eventualità che le fosse capitato di trovare tanto bottino da aver bisogno di un ulteriore contenitore per trasportarlo (cosa che finora le era successo esattamente due volte in tutta la sua vita). Avvolta intorno al dito con il laccio stretto al massimo, la borsa costituì una sorta di fascia improvvisata per un dito ferito, e una volta ultimata la medicazione di fortuna Narnra attraversò in fretta la chiatta in direzione dell’estremità del bacino e del molo di ancoraggio, che appariva più solido e meno intasato di rifiuti dell’imbarcazione.

Alle sue spalle, le gocce di sangue cadute dal dito sprofondarono come fumo nell’acqua oleosa… che si aprì ribollendo per lasciar emergere un lungo e sottile tentacolo, gocciolante e proteso a tastare avidamente la chiatta ora deserta.

Nell’affiorare, il tentacolo si parò davanti a Glarasteer Rhauligan, che lo fissò con occhi roventi e, senza cessare di nuotare con la massima rapidità, vi passò sopra per afferrare la più vicina catena di ancoraggio.

Le sue dita si chiusero intorno a essa più o meno nello stesso momento in cui altri tre tentacoli apparivano in superficie, inducendolo a portare la mano libera all’impugnatura di una delle sue daghe.

Uno di quei tre tentacoli oscillò nell’aria al di sopra della chiatta, dando l’impressione di poter fiutare e vedere, e si mosse insieme al primo nella direzione in cui era fuggita Narnra, mentre gli altri due si ripiegarono su loro stessi per attaccare Rhauligan.

Nel lanciarsi un’occhiata alle spalle, com’era sua abitudine, questi notò ben tre masse dall’aria sospetta che stavano fendendo l’acqua del canale dirette verso la chiatta, e decise che in quel momento la cosa più saggia da fare era tirare fuori dall’acqua all’istante ogni centimetro della sua logora pelle.

Abbandonata la presa sulla daga senza estrarla, si issò sulla chiatta, il cui plancito marcio si sgretolò come pane bagnato sotto le sue dita. Sentendo i tentacoli che gli scivolavano audacemente lungo le gambe, l’Arpista prese a scalciare, a dimenarsi e a rotolare con tutte le sue forze, senza badare al fatto che stava arando con la faccia la maggior parte di quel che restava della chiatta, se questo serviva a tirare fuori dall’acqua il resto del suo corpo.

E soltanto allora si rese conto che alcuni di quei tentacoli stavano emergendo dalle profondità sommerse della chiatta stessa… una scoperta che precedette di un secondo un urlo di terrore di Narnra, proveniente dall’estremità opposta del rottame semisommerso.

Rhauligan la vide dibattersi come una polena che si fosse improvvisamente animata, con il corpo che oscillava avanti e indietro sulla prua dell’imbarcazione, mentre una foresta di tentacoli si levava nell’aria tutt’intorno a lei… poi una seconda foresta di tentacoli, più piccola ma non meno decisa, si riversò sulla faccia e sul corpo dell’Arpista, cercando di trascinarlo verso l’acqua, di cui lui poteva già avvertire il freddo contatto contro la guancia destra.

Con un ringhio di rabbia, Rhauligan infilò una mano nella camicia di seta fradicia, individuò l’oggetto che portava al collo appeso a un laccio e diede uno strattone.

Gli ci vollero tre strappi prima che quel dannato laccio cedesse, e quando infine riuscì a romperlo il suo braccio era ostacolato dal peso di sei o sette tentacoli, sottili come dita, che vi si erano avvolti intorno. Lottando contro la loro trazione, Rhauligan cercò di alzare il più possibile la mano, lo sguardo fisso sulla ladra a cui stava dando la caccia, che aveva impugnato un coltello e lo stava usando con determinazione contro i tentacoli, il cui numero sembrava però essere infinito.

Anche quelli che si stavano levando tutt’intorno a lui parevano essere sempre più numerosi, e alcuni di essi recavano attaccate ossa umane coperte di alghe, mentre ad altri erano appese addirittura intere parti di scheletri… non c’era davvero da meravigliarsi che il magazzino e la chiatta fossero stati abbandonati in quel modo!

In fretta, Rhauligan borbottò la parola che Alusair gli aveva insegnato. Detestava l’idea di perdere quella magia, una delle poche cose che la Principessa Ereditaria gli avesse mai dato… e con un adorabile, avido bacio di accompagnamento, per di più!… ma avrebbe detestato maggiormente perdere la vita, quindi…

Proprio mentre i tentacoli cominciavano a trascinargli il braccio verso il basso, scagliò l’oggetto verso il centro della chiatta piegando di scatto il polso per farlo arrivare ancora più lontano, e quando esso rimbalzò una volta per poi arrestarsi contro alcuni rifiuti si affrettò a chiudere gli occhi.

Un istante più tardi un’improvvisa ondata di calore gli investì il volto, precedendo il bagliore e il ruggito che scagliarono la chiatta verso l’alto… e scatenarono nei tentacoli una frenetica danza di convulsioni spasmodiche. Un caos di appendici che si contorcevano, si dibattevano e tremavano lo fece rotolare su se stesso, poi i tentacoli si protesero di scatto oltre il suo corpo, cercando disperatamente…

Un’impossibile salvezza dal fuoco che stava divampando lungo la chiatta, ardendo anche sott’acqua grazie alla magia e arrostendo il cuore invisibile da cui dipendevano i tentacoli. Nel momento stesso in cui quelle fradice appendici simili a corde si staccarono a dozzine dal suo corpo, Rhauligan si sollevò sulle ginocchia, giusto in tempo per vedere Narnra che veniva scaraventata oltre l’estremità opposta della chiatta.

La ragazza affondò con uno sciacquio in mezzo alla sporcizia che intasava il bacino, ma riaffiorò tanto in fretta da far ribollire l’acqua circostante e spiccò la corsa, un po’ barcollante ma veloce, lungo la strada all’estremità del bacino, scomparendo nella nebbia dell’alba in un tempo minore di quello che Rhauligan impiegò a riprendere fiato e a lanciarsi verso il molo.

Scagliando una quantità di sentite imprecazioni mentali contro la creatura morente a cui erano appartenuti i tentacoli, l’Arpista oltrepassò di corsa la chiatta in fiamme e irruppe sulla strada in tempo per finire quasi sotto le ruote di un carretto spinto da un pescivendolo assonnato.

Naturalmente il carretto gli si rovesciò addosso… ma per fortuna a quell’ora del mattino esso era ancora vuoto. Infuriato, l’uomo che lo stava spingendo scaraventò di lato le cassette per il pesce nella fretta di scagliarsi addosso a Rhauligan, ma l’Arpista lo prevenne balzando da terra e sferrandogli un pugno al mento che lo sollevò di peso e lo proiettò a mezza strada di distanza… e contro uno degli uomini di una pattuglia della Guardia che, insieme ai compagni, aveva appena formato un cerchio di spade snudate intorno alla fradicia e furente Narnra.

Nel cadere a terra, l’uomo della Guardia creò un varco che permise alla ragazza di sottrarsi con uno scatto all’accerchiamento… il che però significò che nell’emergere di corsa dalla nebbia lei si trovò ad andare a finire fra le braccia di Rhauligan.

Abbassandosi e schivando all’ultimo momento, Narnra riuscì a scivolare sotto la sua presa, anche se le sue dita le lasciarono una scia dolorante lungo il fianco, e si lanciò giù per la strada, zigzagando due volte nel sentire alle proprie spalle il martellare degli stivali dell’Arpista che riprendeva l’inseguimento.

Anche gli uomini della Guardia le stavano correndo dietro, agitando lame e randelli, quindi Narnra si tuffò nel primo canale che vide, dal lato opposto della strada rispetto a quello da cui erano emersi i tentacoli. Prevedibilmente, Rhauligan si gettò in acqua dietro di lei prima ancora che il rumore prodotto dal suo tuffo si fosse spento.

Gli uomini della Guardia si arrestarono invece sul bordo del canale, scossero il capo e si avviarono nella direzione da cui erano venuti.

«Nel rapporto scrivi che sono annegati… una lite fra innamorati finita male, entrambi sono caduti in bocca ai pesci. Dal momento che si tratta di due stranieri non identificati, non è nostro dovere recuperare i corpi. Scrivi tutto, Therry», Rhauligan sentì ringhiare a uno di essi, mentre seguiva la testa bagnata di Narnra oltre l’angolo di uno stretto canale laterale, ricordando al tempo stesso con crescente intensità quanto avesse sempre detestato Marsember.

Più avanti, volute di vapore emergevano da svariate finestre e portelli presenti negli edifici di pietra che sorgevano su entrambi i lati del canale… per lo più levandosi direttamente dall’acqua, senza moletti o piattaforme di sorta, anche se qua e là alcune cicatrici presenti nella pietra indicavano i punti in cui erano un tempo esistite strutture del genere, prima che l’impatto di una chiatta, l’erosione delle onde e gli artigli del ghiaccio invernale avessero provveduto a rimuoverle. Braccia di gru arrugginite e decorate dai resti fatiscenti di corde, carrucole e contrappesi di legno sporgevano dalle pareti di alcune costruzioni, ma per poterle raggiungere dall’acqua perfino il più agile fra i ladri waterdhaviani avrebbe dovuto essere in grado di volare… o avere a disposizione una barca molto più alta di qualsiasi chiatta su cui arrampicarsi.

La maggior parte delle volute di vapore che solcavano la nebbia sempre più densa che precedeva l’alba scaturivano da finestre illuminate, perché nelle città di tutta Faerûn gli artigiani e quanti producevano cibi freschi avevano l’abitudine di sfruttare le ore notturne per lavorare, e gli odori che esse diffondevano nell’aria rivelarono a Rhauligan… il cui stomaco brontolò più di una volta sonoramente mentre lui continuava a nuotare… che molti di quegli edifici ospitavano panetterie e rivendite di cibi caldi, dove si stava già preparando da mangiare per gli affamati braccianti che all’alba sarebbero passati a procurarsi qualcosa di più o meno commestibile prima di affrettarsi a raggiungere il posto di lavoro.

Senza troppo entusiasmo, Rhauligan ricordò come il pasticcio di anguilla costituisse il piatto preferito dei lavoratori marsembani, un piatto tale da destare quasi in lui il desiderio di diventare un avventuriero o un Dragone Purpureo assegnato alle Lande di Pietra, dove il termine «anguilla» era soltanto una parola disgustosa usata in qualche scherzo di cattivo gusto.

Una massa di rifiuti venne scagliata d’un tratto da una finestra illuminata e si riversò nell’acqua tutt’intorno a lui, lasciandogli a stento il tempo di immergersi per evitarla. Pasticcio di anguilla, infatti… e dal momento che per prepararlo si usava ogni parte possibile di quei vermi acquatici, gli scarti comprendevano soltanto pezzi troppo malati o marci perché il sapore potesse essere nascosto dal denso sugo carico di spezie o perché potessero essere consumate senza causare in chi le mangiava convulsioni e morte immediate. E adesso quegli stessi scarti stavano galleggiando sull’acqua proprio davanti al suo naso.

Per gli dei, quanto odiava Marsember!

Più avanti sentì un rumore di acqua smossa, e vide la mano di Narnra protendersi verso un davanzale che sporgeva nel vuoto, opera di un costruttore particolarmente idiota o, più probabilmente, residuo di una scala che portava a un molo da tempo scomparso.

Un momento più tardi, la sagoma scura e grondante di Narnra emerse dall’acqua come un’anguilla di dimensioni umane e si contorse a mezz’aria mentre lei si protendeva verso un appiglio posto più in alto di dove le sarebbe tornato comodo, aggrappandosi all’esterno della porta posteriore sovrastante il davanzale. La metà superiore del battente, aperta, lasciava filtrare all’esterno luce e vapore, e a giudicare dallo sfrigolare unito a un rumore di coltelli che affettavano e a frammenti di conversazione che provenivano dall’interno, la porta doveva essere quella di una rivendita di cibo.

L’istante successivo il contenuto di un secchio pieno di scarti di anguilla investì Narnra in piena faccia, e Rhauligan non ebbe neppure il tempo di abbozzare un sorriso divertito prima che lei scomparisse attraverso l’apertura.

Per gli dei! Doveva essersi aggrappata al secchio in modo da farsi tirare nella stanza insieme a esso! E adesso era là dentro, con i cuochi… e le loro mannaie!

Serrando i denti, Rhauligan abbassò la testa e riprese a nuotare furiosamente, augurandosi di arrivare in tempo.

* * *

Con gli occhi che bruciavano a causa delle interiora di anguilla e di altri scarti alla cui natura preferiva non pensare, Narnra scivolò prona attraverso il portello e intravide il volto sorpreso di un cuoco urlante dall’altra parte del secchio, insieme a una quantità di lanterne oscillanti, prima di finire sul pavimento e di scivolare su di esso, passando davanti a una fila di forni, ciascuno dei quali era accudito da un garzone intento ad alimentare le fiamme a ritmo frenetico.

Nell’indietreggiare, uno di essi minacciò di calarle uno stivale sulla faccia, quindi lei afferrò un pezzo di legna dalla sua catasta e glielo piantò nel sedere. Il garzone si bloccò con un ululato di allarme e lei ne approfittò per rotolare oltre con mosse frenetiche, allontanandosi dai forni per evitare gli stivali del cuoco infuriato che brandiva ancora il secchio e stava cercando di prenderle a calci la testa e di schiacciarle le mani, inducendo con le sue grida tutto il personale presente nella cucina a girare con sorpresa la testa in quella direzione.

La più vicina di quelle teste abbassò lo sguardo su Narnra da sopra un vassoio carico di pasticci di anguilla cruda appena preparati. Narnra colpì una caviglia con il braccio sinistro, tirò verso di se l’altra con la mano destra, e fece rovesciare in avanti il vassoio e chi lo reggeva come un albero reciso dall’ascia di un taglialegna, mandandolo ad abbattersi contro il cuoco che la stava prendendo a calci.

L’uomo incespicò all’indietro, rischiando di cadere, e le scagliò contro il secchio ormai vuoto mirando alla sua testa. Esso rimbalzò però contro uno stivale dell’uomo che aveva avuto in mano il vassoio, e l’istante successivo Narnra balzò in piedi, lanciandosi di corsa verso tre grasse donne urlanti e la loro piccola schiera di pasticci d’anguilla in fase di preparazione.

Le donne sussultarono e si allontanarono in tutte le direzioni mentre lei le oltrepassava zigzagando e con un colpo assestato con un fianco mandava l’ultima di esse a sbattere a testa in avanti dentro un carretto pieno di pentole, padelle e mestoli sporchi con uno schianto al tempo stesso assordante e spettacolare.

Senza soffermarsi, Narnra si lasciò alle spalle quel caos e aggirò a passo di carica un tavolo per affettare, diretta verso la porta d’uscita del locale, che era finalmente in vista.

Il passo le risultò però bloccato da un bancone di vendita, dietro il quale il brizzolato proprietario del locale s’immobilizzò nell’atto di pulire la superficie del banco con uno straccio sporco, fissando l’intrusa a bocca aperta per la sorpresa. Narnra dal canto suo continuò a correre dritta verso di lui con l’intenzione di cambiare direzione all’ultimo momento.

Sul lato opposto dell’affollata cucina, oltre alcuni altri tavoli per affettare, parecchi cuochi stavano imprecando. Fino a quel momento la ladra in fuga li aveva ignorati perché aveva ritenuto che fossero abbastanza lontani da non costituire un pericolo, ma aveva fatto i conti senza la natura irascibile e bellicosa della maggior parte dei Marsembani, che indusse quei cuochi ad afferrare una mannaia dopo l’altra per scagliarla contro la sua figura in corsa. Quelle armi da lancio improvvisate si abbatterono in rapida successione su ciotole, altri cuochi ululanti, portelli di forni e facce di stupiti garzoni che si erano appena raddrizzati per vedere cosa stesse causando tanta confusione.

Una lama vorticante raggiunse Narnra a un braccio, causandole un livido senza però ferirla, e la fece barcollare, mandandola a sbattere contro il brizzolato proprietario della bottega che l’accolse farfugliando una serie di incoerenti esclamazioni di stupore e di paura crescente.

In fretta, Narnra piantò tre pugni decisi contro il grembiule macchiato e puzzolente che copriva il grosso ventre dell’uomo, che vomitò quello che aveva appena finito di mangiare in un fiotto che passò al di sopra del corpo in movimento della ragazza per andare a centrare in piena faccia il primo cuoco che, alleggerito dalla perdita del secchio per gli scarti, era riuscito a lanciarsi goffamente all’inseguimento di quella devastante intrusa.

Accecato e ringhiante per il disgusto, il cuoco barcollò e scivolò con i gomiti lungo un bancone, rovesciando e sparpagliando dozzine di pasticci di anguilla… mentre il proprietario della bottega si ripiegava su se stesso, verdastro in volto, e Narnra superava il bancone principale con un volteggio tanto aggraziato da indurre uno dei giovani garzoni a immobilizzarsi e fissarla affascinato, con il risultato di finire appiattito al suolo dal ringhiante passaggio di Glarasteer Rhauligan.

Nel corso della sua carica attraverso la cucina, l’Arpista e Sommo Cavaliere aveva già superato una tempesta di proiettili costituita da una serie di pentole e padelle, in quanto le mannaie ormai scarseggiavano, ma in quel momento qualcuno trovò un’ultima mostruosità dalla lama nera e la scagliò con mira precisa proprio mentre Rhauligan aggirava il tavolo per affettare diretto alla volta del bancone.

Cogliendo il letale scintillio della lama con la coda dell’occhio, l’Arpista sollevò di scatto un braccio per proteggersi la faccia, con il risultato che la mannaia gli affondò nella spalla e rimbalzò senza danno contro il cranio, invece di squarciargli la faccia o di spaccargli la testa in due.

Stava sanguinando… di nuovo. Oh, quella piccola caccia stava proprio andando di bene in meglio.

L’Arpista emerse dalla porta della bottega e in mezzo alle cortine di nebbia in tempo per vedere Narnra che già si stava inerpicando su per la parete dell’edificio, aggrappata a una grondaia. La ragazza stava scivolando spesso a causa dell’umidità e perché stava cercando il modo di aggirare una balconata che sporgeva dal piano sovrastante la bottega, ma nonostante questo era già fuori dalla sua portata, e lui non avrebbe certo potuto arrampicarsi più in fretta di lei, sempre ammesso che la grondaia si fosse rivelata abbastanza robusta da reggere il peso di entrambi per tutta l’ascesa fino al tetto…

Appena all’interno della soglia della bottega, nello spazio aperto antistante il bancone di vendita, c’era una porta laterale, senza dubbio l’accesso a qualche scala angusta e buia che portava ai livelli superiori dell’edificio.

Girandosi, Rhauligan rientrò a precipizio nel locale, generando nuovi ululati di allarme dalla cucina. La porta laterale risultò chiusa a chiave, ma Rhauligan era solito tenere un piede di porco… ottimo anche come randello, più robusto di una spada e dotato per di più di alcuni denti seghettati… riposto in un fodero allacciato a una gamba, e se ne servì per sfogare contro quella porta tutta la frustrazione che Narnra stava facendo crescere dentro di lui.

Il legno indifeso offrì ben poca resistenza, e ben presto l’Arpista risalì la scala come un vento di tempesta, assestando una spallata alla porta del primo pianerottolo.

Essa s’infranse come se fosse stata investita da un fulmine, spezzandosi a metà, e cedette verso l’interno, mandandolo a cadere addosso a un uomo mezzo addormentato e a sua moglie, appena più sveglia di lui, che giacevano su un materasso di paglia posato per terra. I figli della coppia erano invece già svegli e intenti a guardare il lento rischiararsi dell’alba dall’unica, sporca finestra della stanza, e si girarono di scatto con gli occhi dilatati quando lo stivale dell’incespicante Rhauligan calò sullo stomaco del loro genitore. Senza fiato, l’uomo annaspò per cercare di respirare e agitò convulsamente le braccia, calandone una sulla gola della moglie con tanto tempismo da bloccare sul nascere l’urlo che stava per uscirle dalle labbra.

«Buon giorno!» ringhiò l’Arpista, senza rallentare la propria corsa attraverso la stanza. «La porta del balcone! Fate largo, in nome del re

Uno dei due ragazzi si limitò a fissarlo in silenzio, ma l’altro si affrettò a tirare un chiavistello e a spalancare la porta del balcone, con occhi che brillavano per l’eccitazione. Ringraziandolo con un sorriso, Rhauligan si lanciò fuori nella nebbia e si girò di scatto verso la grondaia in tempo per vedere lo stivale di Narnra che si sollevava appena fuori della sua portata.

Rhauligan tentò comunque di afferrarlo, pur sapendo che avrebbe mancato il bersaglio di parecchi centimetri, come infatti accadde.

Bene, se non altro era quasi riuscito a metterle una mano addosso. Invece, calò quella mano sulla grondaia e prese ad arrampicarsi dietro la sua preda, grugnendo di dolore ogni volta che lo sforzo di issarsi più in alto generava una dolorosa trazione sulla spalla ferita. Doveva arrivarle abbastanza vicino da non darle il tempo di girarsi una volta raggiunto il tetto e di accoltellargli la faccia o le mani… sì, doveva riuscirci, altrimenti…

Narnra gettò un’occhiata verso il basso, sibilò un’imprecazione… ormai Rhauligan era abbastanza vicino da poter avvertire il suo respiro, mentre continuava affrettatamente l’ascesa… e non perse tempo a cercare di sferrargli un calcio o di ferirlo in qualche modo. Invece, fuggì su per la grondaia come una ragazzina che cercasse di sottrarsi a tutti gli incubi che la vita poteva offrire, ansimando e muovendosi con velocità quasi frenetica per poi attraversare di corsa un tetto di tegole smosse e saltare da lì sul tetto dell’edificio vicino.

Atterrò con violenza, rimanendo senza fiato, e subito ruotò su un ginocchio per tenere d’occhio il suo inseguitore, mentre si concedeva un istante per riprendere respiro.

Rhauligan si stava issando sul tetto che lei aveva appena abbandonato. Con un ringhio inarticolato, Narnra si costrinse a issarsi in piedi mentre lui si sollevava a sua volta, poi ebbe un’idea e si chinò verso lo stivale per prendere un altro coltello da scagliargli contro, ma scoprì che il fodero era vuoto.

Doveva aver perso l’arma durante quell’inseguimento oppure era stato Rhauligan a sottrargliela mentre la stava risanando. In mancanza di un’arma, scagliò contro l’Arpista una sibilante imprecazione, si volse di scatto e riprese a correre, balzando sul tetto successivo attraverso le dense volute di vapore profumato di bucato che scaturivano da un abbaino.

Quel particolare tetto era piatto, fatto di lastre di metallo saldate e rappezzate con la pece e coperte da uno strato di sterco di uccello ammollato dall’acqua che arrivava alla caviglia, e… e da lì non si poteva saltare senza rischi su nessun altro tetto, perché quell’edificio aveva strade ampie su due lati, Rhauligan stava avanzando con cupa determinazione dal terzo lato e sul quarto c’era una chiatta carica di pezzi di legno di recupero acuminati come lance su cui sarebbe stato da suicidi lanciarsi con un salto. Per un momento, Narnra si guardò intorno con occhi roventi, studiando l’infida Marsember alla luce sempre più intensa dell’alba, poi si volse e spiccò la corsa verso l’abbaino aperto, proprio mentre Rhauligan balzava verso di lei attraverso le volute di vapore. Senza arrestare la propria fuga, Narnra si lasciò cadere seduta e scivolò oltre il bordo dell’abbaino pochi momenti prima che gli stivali di Rhauligan calassero nel punto in cui lei si era trovata un attimo prima.

La sua caduta fu di breve durata e la portò ad abbattersi su robusti pali di metallo su cui erano drappeggiati degli arazzi umidi, che cedettero come un elastico e fecero proseguire la sua discesa attraverso un flusso d’aria ruggente. Una serie di catene tintinnava tutt’intorno a lei mentre le file di indumenti appesi a esse venivano fatte oscillare avanti e indietro mediante leve che svanivano attraverso il pavimento, e nel sentire un sonoro sibilo echeggiare a intervalli regolari, Narnra dedusse che nella stanza sottostante dovessero esserci giganteschi mantici, manovrati presumibilmente da quegli stessi operai a cottimo grugnenti e sudati che provvedevano anche a muovere le leve e ad alimentare il fuoco da cui derivava tutta quell’aria calda. Il mondo della lavanderia era davvero un luogo interessante…

E lo sarebbe diventato ancora di più se lei non si fosse affrettata a togliersi dal punto in cui senza dubbio Rhauligan sarebbe atterrato entro pochi istanti. Per un momento, Narnra prese in considerazione la possibilità di estrarre la daga che aveva alla cintura e di conficcarla nell’arazzo quando lui vi fosse finito sopra… ma no, lei non era là per uccidere gli Arpisti ma solo per sottrarsi a loro. Più oltre c’era una fila di botole che doveva dare accesso ai livelli sottostanti, probabilmente attraverso condotti in cui venivano spinti di sotto gli indumenti quasi asciutti.

Qualcuno lanciò un grido di allarme mentre lei correva fra le file di indumenti oscillanti, e con la coda dell’occhio Narnra intravide un vecchio dall’aria sorpresa, che stava agitando nella sua direzione le braccia nude coperte da una miriade di tatuaggi multicolori. Rivolgendogli un cenno e un sorriso, Narnra continuò a correre verso una botola, quella all’estremità di destra del solaio.

Quando la spalancò avvertì un odore di stoffa calda e vide una luce molto più in basso… sufficiente a distinguere file ordinate di quelli che sembravano essere mantelli o coperte ripiegati. Lanciarsi verso di essi a piedi in avanti fu cosa di un istante.

Alle proprie spalle, sentì un altro grido, seguito da un grugnito e da un tonfo… quello doveva essere Rhauligan, che aveva appena porto i suoi omaggi dal vecchio con i tatuaggi. A quanto pareva, la sua impressione era stata esatta: il mondo della lavanderia era un luogo interessante.

Narnra saettò oltre una stanza piena di tutta la rumorosa e accaldata attività che aveva immaginato poco prima e atterrò dolcemente in una vasta camera intensamente illuminata, rovesciando e sparpagliando in ogni direzione una quantità di morbidi mantelli caldi. Dal momento che nelle vicinanze non c’era nessuno, ne approfittò per rotolarsi su di essi fino ad asciugarsi quasi completamente prima di emergere da quella marea di stoffa per riprendere la fuga.

Nel passare, afferrò un mantello, lo allargò fra le mani… e quando Rhauligan sbucò dal condotto glielo scagliò sulla testa, riuscendo a trascinarlo così in mezzo a mucchi di capi di vestiario impilati che gli si rovesciarono addosso, permettendole di sferrare una ginocchiata contro la faccia coperta dell’Arpista prima di allontanarsi a precipizio. Adesso infatti una massa di lavandai infuriati stava sopraggiungendo di corsa da diverse direzioni urlando furenti imprecazioni, e per questo lei non osò indugiare abbastanza a lungo da tentare di soffocare l’inseguitore; lasciando invece che i lavandai convergessero sull’aggrovigliato Rhauligan, superò d’un balzo un tavolo usato per ripiegare i capi di vestiario, inducendo le donne che si trovavano intorno a esso a indietreggiare in preda al timore… e trovò davanti a sé un’altra comoda porta in attesa, questa volta addirittura spalancata.

D’altro canto, stava cominciando a perdere il conto delle porte attraverso cui era stata costretta a precipitarsi alla cieca, e da tempo si era stancata di essere inseguita per tutta quella città a lei sconosciuta. Adesso Marsember iniziava a svegliarsi, e presto si sarebbe trovata a dover evitare le sempre più frequenti pattuglie della guardia cittadina, i carrettieri che avrebbero intasato le strade e occhi attenti disseminati ovunque. Inoltre, dubitava che in tutta Marsember esistesse un tetto asciutto su cui poter cercare di dormire, anche se avesse avuto la certezza che quel cupo, instancabile Arpista aveva definitivamente rinunciato alla sua caccia… e lei stava cominciando a pensare che il solo modo per avere la garanzia che così fosse costituisse nell’accertarsi che fosse morto.

D’altro canto, non aveva certo intenzione di tornare in mezzo a tutti quei lavandai infuriati per provvedere a eliminare il suo inseguitore. Forse ci avrebbero pensato loro al suo posto, anche se iniziava a credere che Glarasteer Rhauligan non avrebbe potuto essere fermato da un intero esercito, tanto meno da pochi Marsembani infuriati.

Scesa a precipizio una breve rampa di scale, oltrepassò un’altra porta… appiattendo un ignaro passante nello spalancare di colpo il battente… e sbucò sulla strada, chiedendosi quando sarebbe diventato più prudente rallentare l’andatura in modo da dare l’impressione di essere una cittadina qualsiasi… nonostante i suoi indumenti di cuoio nero… invece di correre come una ladra attirando l’attenzione di tutti.

Quando Rhauligan fosse stato… sì, sì, ! Con un ringhio di rabbia, Narnra si trasse indietro nel vedere due pattuglie della Guardia che s’intersecavano a un incrocio, più avanti. Doveva salire su un altro tetto prima che Rhauligan riuscisse a vedere dove era andata, e…

Poi vide la soluzione. A una strada di distanza, dietro una serie di vecchi edifici che abbondavano di balconate e di traballanti scale esterne al di sopra delle facciate delle botteghe, al di là delle file di vestiti gocciolanti… che idea, stendere dei vestiti ad asciugare all’aperto con nebbie notturne come quelle!… e le cisterne per l’acqua… cisterne per l’acqua? Certo, l’acqua piovana doveva essere quasi più pulita di quella dei canali, ed era senza dubbio un po’ meno salata…

Al di là di tutte quelle cose si scorgeva un alto muro di pietra in splendide condizioni, oltre il quale sbucavano alcuni alberi, segno che doveva trattarsi del giardino privato di qualche nobile, se Marsember somigliava sia pure lontanamente a Waterdeep. Sì, era possibile vedere la serie di punte di ferro che la maggior parte dei nobili sembrava ritenere indispensabile installare su un muro, disposta sopra una tettoia di pietra che doveva sovrastare un edificio a due piani e aveva una lunghezza superiore a quella dei sei o sette negozi più vicini a lei.

Smettendo di contemplare il muro, Narnra si affrettò ad avvicinarsi maggiormente a esso, alla ricerca di un modo per arrivarci sopra.

* * *

Durexter Dagohnlar si erse sulla persona con tutta la dignità che un uomo nudo, legato e troppo grasso poteva esibire stando seduto sul pavimento della propria camera da letto e fissò il capitano della Guardia con aria di fredda disapprovazione.

«Signore, indipendentemente da quanti servitori spaventati siano venuti a chiamarti, non c’era bisogno di spingere di lato mia moglie e di fare irruzione nella mia casa», affermò poi, in tono secco, mentre il suo maggiordomo si affrettava a tagliare le corde che lo trattenevano. «Non ce n’era proprio nessun bisogno. Io… ecco, volevo dire noi», si affrettò a correggersi, notando lo sguardo tagliente con cui sua moglie lo stava trafiggendo, da dietro gli uomini della Guardia, «Starmara e io abbiamo sconfitto qui questa notte un vecchio nemico, che era venuto a ucciderci con la magia ma è stato costretto alla fuga. Non intendo rivelare il suo nome neppure ai Maghi della Guerra, perché pronunciarlo equivarrebbe a destare alcuni incantesimi molto pericolosi che lui si è lasciato alle spalle, quindi lasciamo semplicemente perdere…».

«In tal caso, Lord Dagohnlar, potrai mettere tutto per iscritto per me», replicò calmo il capitano della Guardia, la bocca inespressiva sotto i baffi brizzolati che contrastava con lo sguardo gelido da mercante. «Servirà a far risparmiare ai più potenti Maghi della Guerra della città il tempo che ci vorrebbe per venire a svuotare la tua mente di tutto ciò che può interessare la sicurezza della città… e l’osservanza di tutte le nostre leggi.»

Per qualche istante, Durexter aprì e chiuse la bocca a vuoto, intrappolato dal non sapere cosa fare.

«Mi dispiace, capitano, ma non so scrivere», dichiarò poi, in tono di trionfo. «Non ho mai imparato.»

Il capitano della Guardia non sprecò neppure il fiato necessario a ordinare ai suoi uomini di venire avanti per arrestare Durexter Dagohnlar perché era troppo impegnato a levare gli occhi al cielo, ma i suoi uomini si fecero comunque avanti con uno sbuffo di derisione stentoreo quasi quanto quello dei numerosi servitori intenti a osservare la scena.

«Ti porgo le mie scuse, capitano», sospirò Starmara Dagohnlar, il cui spostamento furtivo verso la porta era già stato bloccato dalla salda presa di un uomo della Guardia. «A quanto pare, la mente di mio marito è stata danneggiata dagli incantesimi del nostro nemico.»

«Non ne dubito, Lady Dagohnlar», convenne cortesemente l’ufficiale, mentre Durexter veniva imbavagliato con la camicia da notte della moglie e trascinato verso la porta. «Quanti decenni fa si è verificata la cosa?»

* * *

Glarasteer Rhauligan non conservava più neppure una parvenza di buon umore, perché aveva perso parecchio sangue, stava soffrendo notevolmente e grazie alle necessità della Maga Reale e di quella piccola idiota di una ladra adesso non aveva più un mezzo rapido per far cessare il dolore. Per di più, l’affrettata violenza con cui aveva dovuto respingere l’assalto di un gruppo piccolo ma determinato di lavandai non aveva certo contribuito a migliorare il suo stato fisico e mentale, ma se non altro era quasi del tutto asciutto… grazie a una quantità di indumenti precedentemente puliti, che adesso erano purtroppo macchiati del suo sangue, e si era perfino procurato una fasciatura di qualche tipo, sotto forma dei grossi mutandoni di qualcuno, freschi di bucato, che si era legato intorno alla ferita alla spalla.

Tutto questo aveva però richiesto decisamente troppo tempo, e se quella piccola carogna era riuscita a sfuggirgli mentre…

Rhauligan sbucò sulla strada, dove un uomo giaceva gemendo e contorcendosi davanti alla porta della lavanderia, ignorò il malcapitato in quanto non era in condizione tale da aver potuto notare in quale direzione fosse andata Narnra Shalace e prese a guardarsi intorno in tutte le direzioni.

Era già abbastanza spiacevole dover dare la caccia a qualcuno nell’umida Marsember, ostile alla Corona, ma… !

Per gli dei, per essere felice a quella ragazza bastava un muro su cui correre, e pareva che lo preferisse il più alto possibile… Evidentemente, doveva essere riuscita a balzare da un altro edificio su una torretta d’angolo del muro, perché adesso si stava allontanando da essa a tutta velocità. Prontamente, Rhauligan si lanciò dall’altra parte della strada per togliersi dal campo visivo della fuggiasca prima che lei potesse guardarsi indietro e accorgersi di essere stata scoperta.

Quello che Narnra aveva scelto era un muro davvero degno di questo nome, dato che se ne avesse percorso l’intero perimetro avrebbe potuto correre per quasi un chilometro e mezzo… e il caso voleva che Rhauligan sapesse a chi apparteneva: esso serviva a proteggere dagli sguardi indiscreti del mondo esterno una tenuta nota come Haelithorntowers, dimora di una certa Lady Joysil Ambrur.

Ciò che l’indiscreto mondo esterno sapeva sul suo conto era che Lady Ambrur era una ricca e nobile mercantessa sembiana, una donna alta e riservata, sofisticata patronessa di bardi e cantori, di cui si diceva… giustamente… che fosse solita pagare somme notevoli perché dei danzatori venissero sottoposti a un incantesimo di volo affinché lei potesse così indulgere in un suo particolare piacere: godere della vista di elaborati balletti aerei accompagnati dal canto, eseguiti nel suo salotto.

«Noi Arpisti sappiamo però qualcosa di più sul conto di Lady Joysil», mormorò ad alta voce Rhauligan, ricordando le parole secche di Laspeera nel corso di una certa riunione privata che si era svolta in una piccola stanza superiore del palazzo, utilizzata di rado.

«Non proviene affatto da Sembia», aveva affermato Laspeera. «Scoprire le sue vere origini sarà un altro lavoro con cui voi gentiluomini potrete occupare i vostri momenti di ozio.»

«In tal caso, si tratterà dell’incarico numero quattromilasette, signora», aveva mormorato Harl, simile a un annoiato maggiordomo che annunciasse la data e l’ora della giornata.

«Davvero, Harl? Allora te ne sono sfuggiti tre», era stata la sorridente risposta di Laspeera, «oppure, più probabilmente, ti sei dimenticato di riferirmi che quegli incarichi erano stati portati a termine. Dunque, a quanto pare, Lady Ambrur si serve segretamente dei bardi che le fanno visita per raccogliere informazioni, e poi rivende con discrezione tutte le notizie che essi le forniscono ai nobili traditori, ai mercanti locali e a chiunque sia disposto a pagare per averle».

Era stata quella pratica a far sì che gli Arpisti locali… incluso, di tanto in tanto, un certo Glarasteer Rhauligan… avessero cominciato a controllare chi andava a trovare Joysil Ambrur per cercare di scoprire quali informazioni acquistassero da lei.

Peraltro, c’era da dubitare che questa Narnra di Waterdeep sapesse di Lady Ambrur. Con ogni probabilità aveva soltanto cercato un posto elevato dove potersi nascondere per dormire un poco, e aveva scelto il muro più alto dei dintorni che non fosse stato costellato di postazioni di vigili Dragoni Purpurei.

Rhauligan sapeva bene che quel muro era abbastanza largo da poterci camminare sopra, fra la fila di punte conficcate lungo il bordo che dava sulla strada e la striscia interna di fioriere che ospitavano macchie fiorite di sarthe, una pianta commestibile che doveva arrivare con i suoi viticci fino al terreno sottostante, sempre che nel frattempo non fosse stata potata di recente.

Nel guardare Narnra che correva all’interno della striscia di punte, calpestando allegramente gli steli di sarthe a ogni passo, Rhauligan comprese di non avere scelta: se non voleva perderla, doveva seguirla.

Con un sospiro, raggiunse un edificio che aveva già scalato un paio di volte in precedenza per arrivare alla stessa torretta d’angolo scelta da Narnra e cominciò a salire.

Caladnei e Narnra, pensò con rabbia, sappiate una cosa: siete entrambe in debito con me!

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