13. Incontri d’affari, bagni e sovversione

Nel guardarmi indietro per esaminare tutti gli anni della mia vita, non riesco a decidere con esattezza quali ricordi siano i più importanti per me: le uccisioni, gli incontri notturni per complottare tradimenti e governare su tutti i regni, i pochi momenti d’amore, o addirittura gli ancor meno numerosi bagni veramente caldi, ininterrotti e appaganti. Ricordo ancora il piccolo giocattolo galleggiante a forma di drago che mia zia mi ha regalato, una primavera…


Thamdarl «il Mago Invisibile»

Da: Dal trono del Tiranno alle Braccia di una Dea: la mia Strada fino a Mystra

Anno della Lama Spezzata

Il tappeto era soffice come muschio sotto i suoi stivali… come il muschio che copriva le tombe della Città dei Morti, il luogo dove Narnra Shalace sarebbe andata a finire… o almeno il suo equivalente marsembano, probabilmente qualche canale, per quel che ne sapeva… se non fosse riuscita ad andarsene al più presto da lì.

Per il Signore Mascherato e Tymora, di tutti gli errori stupidi e letali che avrebbe potuto commettere, quello era il peggiore… saltare letteralmente all’interno di quella dimora ignota, piena di nobili che tramavano tradimenti e di maghe che con tanta noncuranza parlavano di infrangere incantesimi lasciati di nascosto da altre dame che se n’erano appena andate… sempre che se ne fossero andate davvero.

Per la furia fiammeggiante del Signore Mascherato! Doveva andare via di lì, doveva…

Narnra si lanciò lungo il buio passaggio sconosciuto con la rapidità del vento e quanto più furtivamente le era possibile correndo in quel modo, confidando che il corridoio proseguisse diritto e senza ostacoli contro cui rischiare di sbattere. Statuette e piante su piedistalli di marmo erano disposte a intervalli frequenti, ma il tappeto centrale si stendeva nell’oscurità sgombro e dritto come una freccia, fino a… a un vicolo cieco.

La parete davanti a lei era decorata da una statua enorme, di un bianco pallido e scintillante, raffigurante una femmina elfica che si ergeva come una regina in mezzo ad alcune felci… ammesso che le regine andassero in giro indossando soltanto la corona e un’espressione altezzosa… con svariati elfi maschi, anch’essi nudi, intrecciati intorno alle sue gambe e al suo torso, la lunga spada-frusta in pugno. I volti dei maschi, come quello della regina, erano girati a guardare verso il passaggio in una sfida eterna. Su ciascun lato di quella scultura c’era una porta chiusa; traendo un profondo respiro, Narnra aprì senza esitazione quella alla sua destra, cercando di fare meno rumore possibile, e nello schiudersi il battente rivelò… oscurità, e una rampa di gradini che, per grazia degli dei, portava verso il basso.

Mentre scendeva quei gradini invisibili tenendosi accoccolata e sfiorando la parete con una mano, Narnra scosse il capo con sgomento: un Mago Rosso che cospirava contro la Corona di Cormyr con la complicità di quella Lady Ambrur! Oh, a Suzail dovevano esserci persone disposte a pagare profumatamente per un’informazione del genere!…

Qualcosa l’afferrò per la gola e la mandò a sbattere con la schiena contro la parete… una mano, che era emersa invisibile e brutale dall’oscurità sottostante… mentre un’altra mano le affondava le dita nei gomiti e li sbatteva a loro volta contro il muro con tanta forza da generarle nelle braccia un senso di doloroso intorpidimento.

Non era in grado di impugnare le daghe, non poteva… adesso le mani l’avevano presa per la gola e per la nuca, tirando verso l’alto il colletto dei suoi abiti di cuoio in una morsa che la stava lasciando annaspante e senza respiro.

«Adesso, mia piccola lepre dalle lunghe zanne, verrai con me», le borbottò all’orecchio la voce di Glarasteer Rhauligan.

Narnra sentì la testa che le girava e cercò debolmente di dibattersi mentre l’oscurità la incalzava, incombente… ma quelle dita non allentarono la presa.

* * *

Narnra fu ridestata da una caduta violenta, e scoprì di essere incappucciata da qualcosa che puzzava di sudore maschile e di essere stata issata sulla spalla di Rhauligan, che grugnì sotto il suo peso, soffocò a stento un’imprecazione e poi aggiunse, in un sussurro laconico:

«Scusami.»

Si stava davvero scusando? Con lei? Quelle scuse arrivavano un po’ in ritardo, razza di bastardo!

Poi Rhauligan si mise a correre, rapido e deciso, facendola sobbalzare dolorosamente ma riuscendo in qualche modo a mantenere l’equilibrio. Adesso i suoi stivali risuonavano sull’acciottolato, e tutt’intorno si sentivano i rumori propri delle strade di Marsember, un crescente frastuono fatto di echi, del fragore distante dei carretti e di voci umane.

Rhauligan la trasportò in un angolo più tranquillo che puzzava di sterco, di pesce marcio e di altre cose putrescenti, descrisse alcune svolte, facendola strisciare una volta con gli stivali contro la pietra, e infine la depose su quello che sembrava uno scricchiolante e traballante carretto di legno.

Narnra rimase seduta immobile mentre lui le fissava qualcosa intorno al collo e la faceva alzare in piedi per poi allontanare il carretto con un calcio. Le ruote del veicolo emisero uno stridio di protesta che si concluse con uno schianto di legno contro la pietra, in seguito al quale Narnra sentì il rumore più familiare prodotto da un topo che fuggiva fra i rifiuti.

Intanto, le mani di Rhauligan armeggiarono con una fibbia, e… Narnra si ritrovò senza cappuccio, con le palpebre che sbattevano automaticamente per la luce intensa del sole e intenta a inspirare a grandi boccate l’aria tutt’altro che fresca che era di nuovo a sua disposizione. Accanto a lei, Rhauligan stava scuotendo il cappuccio, che risultò essere costituito da un giustacuore… il suo.

Narnra trasse alcuni profondi respiri, guardandosi intorno. Si trovava in un vicolo marsembano cosparso di rifiuti, aveva le caviglie impastoiate e i pollici e le altre dita legati fra loro dietro la schiena… e la corda che le passava intorno alla vita e alle cosce era assicurata alla parte inferiore di un’arrugginita scala esterna in ferro, come constatò nel girarsi e nel sollevare la testa verso l’alto; questo le permise anche di scoprire di avere intorno al collo un cappio assicurato a sua volta alla scala, che sembrava essere quella posteriore di un magazzino che veniva utilizzato ben poco, ma presentava comunque al mondo una facciata ostile degna di una fatiscente fortezza.

Rhauligan era fermo a poca distanza da lei… naturalmente abbastanza lontano da renderle impossibile arrivare fino a lui, per quanto ci provasse e rischiasse di strangolarsi nel tentativo.

«Persone importanti sembrano molto interessate a te», osservò l’Arpista, in tono pensoso, quando i loro sguardi s’incrociarono. «Mi chiedo come mai.»

Narnra scrollò le spalle, agitando i capelli arruffati.

«Non ne ho idea», ribatté in tono secco, «però so che non appartengo né a te né alla Maga reale, perché possiate prendermi e rinchiudermi come una sorta di animale domestico o di monile… così come non appartenevo a Elminster perché potesse darmi a voi».

«Ladra, mi stupisce che tu non abbia ancora imparato che se qualcuno è in grado di farti qualcosa ha anche il diritto di farlo… se rappresenta la legge, cosa che non si può dire di te», ribatté Rhauligan, scrutando in entrambe le direzioni il vicolo deserto e ingombro di rifiuti, poi aggiunse: «È un comportamento brutale, certo, ma gli stranieri come te che trattano con Lady Ambrur sono acquirenti e venditori di informazioni… e dove si trovi Vangerdahast e cosa stia facendo sono informazioni che potrebbero renderti molto ricca e segnare la condanna di Cormyr. Se la Maga Reale non mi avesse ordinato di catturarti, a quest’ora ti avrei già uccisa, invece di discutere con te. Detesto uccidere donne giovani, ma se devo scegliere fra il versare il sangue di una sola di esse e salvare un intero regno sereno e pieno di giovani donne, non ho dubbi sul da farsi!».

Narnra lo fissò con occhi roventi, lottando contro le corde fino ad avere le dita che bruciavano.

«Probabilmente, questo significa che intendi vendere tu stesso le informazioni, altrimenti non saremmo in questo vicolo. Io conosco Waterdeep, non Cormyr, non sarei neppure in grado di trovare la strada fino alle porte di questa città senza potermi prendere del tempo per cercarle, quindi a chi potrei mai vendere qualcosa? E poi, come ci si aspetta che io possa avere qualcosa di utile da vendere, dato che sono in un regno pieno di persone che non conosco neppure?».

La sola risposta di Rhauligan fu un silenzioso sorriso in tralice.

«Adesso che ne sarà di me?» insistette Narnra. «Perché sono qui?»

«Un incontro d’affari», rispose Rhauligan, riprendendo a guardare su e giù per il vicolo. «Affari importanti».

«Con chi?» domandò Narnra, contemplando, con le sopracciglia inarcate in un’espressione di scetticismo, il vicolo deserto e ingombro di rifiuti.

D’un tratto, una strana sensazione si diffuse per tutto il suo corpo, un brivido formicolante diverso da qualsiasi cosa lei avesse mai sperimentato fino a quel momento, una corrente carica di energia, rapida… e magica.

Narnra cercò di imprecare ma le parve che la lingua fosse gonfia e pesante, che la bocca improvvisamente inerte non le appartenesse più. In preda a un subitaneo impeto di paura, cercò di scuotere il capo, ma si ritrovò in piedi immobile, con lo sguardo ancora rivolto nella stessa direzione di prima.

Quell’invisibile forza paralizzante si stava riversando dentro di lei da un punto sulla sua sinistra, distante circa sei passi… lo stesso punto in cui un mucchio di rifiuti si smosse di colpo e si sollevò con un piccolo grugnito di fatica, ricadendo da tutte le parti fino a rivelare una donna dalle eleganti vesti nere e dai fini lineamenti gentili ma nobili, incorniciati da una lunga e fluente capigliatura ramata… in cui spiccava una singola ciocca bianca.

«Si dà il caso che ce l’abbia con me», dichiarò la donna, con cortese fermezza. «Ritengo che ci siamo già incontrate di recente. Io sono Laspeera, dei Maghi della Guerra.»

Narnra le scoccò un’occhiata rovente, o almeno ci provò.

I Maghi della Guerra, pensò, e io sono qui che non posso neppure muovere la bocca per far domande o per protestare, o…

«Mi piacerebbe sapere cosa ci sia di tanto urgente da indurre il controllato e urbano Glarasteer Rhauligan ad attraversare di corsa tutta Marsember come un cane in calore, trasportando in spalla una ladruncola di strada dalla lingua tagliente», commentò intanto Laspeera, scoccando all’Arpista un’occhiata accompagnata da un sorriso.

«E lo saprai», replicò Rhauligan, cominciando ad ansimare rapidamente, con la lingua fuori dalla bocca.

«Cosa ti prende?» chiese Laspeera, guardandolo con perplessità.

«Sto rivelando la mia natura nascosta di cane in calore, Lady Maga», ribatté allegramente l’Arpista.

«Veniamo al dunque, fedele mastino», sospirò Laspeera, incitandolo a parlare con un cenno aggraziato della mano. «Il tempo non scorre a ritroso.»

* * *

Lord Vangerdahast di Cormyr si ritrasse dalla tavola con fare appagato, appoggiandosi allo schienale della sedia, e prontamente il suo stomaco emise un brontolio sonoro, dimostrando di essere appagato quanto lui.

Il piatto posato davanti a lui sul tavolo era del tutto vuoto, tranne per poche chiazze di sugo, anche se appena poco tempo prima era stato pieno di stufato di coniglio. Quel sughetto era decisamente buono…

L’ex-Mago Reale del regno allungò la mano verso il piatto e si chinò in avanti con la lingua protesa per leccare quanto rimaneva del sugo… ma con un sogghigno Myrmeen Lhal insinuò una mano sotto il suo braccio con la rapidità di una vipera lanciata all’attacco e gli sfilò il piatto via di sotto. Le dita di Vangey urtarono contro la nuda superficie del tavolo e lui rimase interdetto per un istante, prima di girarsi verso la donna con un ringhio.

«Mi potrai ringraziare adeguatamente quando avrai ricordato le buone maniere», dichiarò con un sorriso da monella la Signora di Arabel, dirigendosi verso la bacinella per lavare i piatti, accanto al lavandino.

Vangerdahast reagì fissandola con aria accigliata, cosa che indusse Myrmeen a inarcare un sopracciglio in un’espressione di rimprovero, da sopra la spalla.

Sotto l’impatto di quell’occhiata di rimprovero, Vangerdahast sospirò e agitò le dita come per cancellare ciò che aveva appena fatto.

«Ti ringrazio, Myrmeen Lhal», borbottò poi. «Tu… mi sorprendi. Credevo fossi soltanto la migliore fra le guerriere feroci e infangate agli ordini di Alusair, decisa a dimostrarti superiore a ogni uomo con la spada e con le parole.»

«Oh, povera me, e io che credevo che tu fossi soltanto un mago manipolatore pungolato dalla sua capricciosità, dalla fame di potere e dal gusto di essere misterioso e scortese con chiunque», fu l’allegra risposta di Myrmeen, mentre si lasciava cadere sulla poltrona preferita di Vangerdahast.

Per un momento, si lasciò sprofondare nella dubbia comodità offerta dalla sua logora imbottitura, poi si chinò in avanti, annusando, e si accigliò, fissando il mago con espressione contrariata.

«Ma non lavi mai niente?» esclamò. «Nel nome degli dei, uomo, i pidocchi mi stanno saltando addosso da tutte le parti!»

Ringhiando d’irritazione, scattò in piedi e cominciò ad armeggiare con cinghie e fibbie, scagliando ben presto in ogni direzione i pezzi della sua armatura.

«Non comincerai a lanciarmi addosso anche la tua pelle!» esclamò Vangerdahast, alzandosi a sua volta in tutta fretta. «Sapevo…»

«Lo speravi», lo corresse Myrmeen con rovente disprezzo, nuda fino alla cintura e con un fagotto di indumenti di cuoio, di cotta di maglia e di piastre di metallo fra le mani. Con sorpresa, Vangerdahast notò che le bretelle penzolanti della guerriera erano identiche alle sue.

«Avanti, dov’è che ti lavi?» chiese Myrmeen, in tono deciso. «Ti lavi, vero?»

«Huh-haem… ah, ecco, giù lungo il passaggio», rispose il mago, indicando. «C’è una polla. Le… ecco, le stelle che la sovrastano sono un incantesimo che riflette l’immagine del cielo reale, e non un foro nella volta; invece la… hem… paperella galleggiante è mia. Io…»

Myrmeen venne avanti a grandi passi, addossandosi con una mano al petto il fagotto di indumenti e servendosi dell’altra per afferrare il mago per un gomito.

«Vieni con me», ordinò, sospingendolo davanti a sé.

«Cosa? Che vuoi…?»

«Questa mattina i miei capelli erano sporchi, e adesso sono in condizioni ancora peggiori. Puoi aiutarmi a lavarli.»

«Io non…»

«Oh, sì, anche tu, per quanto non dubiti che i tuoi capelli siano già stati lavati in un momento imprecisato di quest’ultimo mese. Andiamo.»

E in parte spinse, in parte trascinò il mago lungo il passaggio, ignorandone le deboli proteste.

Scarlatto in volto per l’imbarazzo e con il respiro affannoso per il passo rapido a cui era costretto, Vangerdahast giurò che avrebbe trovato il modo di vendicarsi di quell’orchessa travestita da capitano, e che la sua sarebbe stava una vendetta molto, molto protratta, una che avrebbe costretto Myrmeen a implorare misericordia.

* * *

La torretta più alta della Torre del Porto era un ambiente sempre freddo e pieno di correnti, anche nei momenti più caldi… e fetidi… dell’afosa stagione estiva, e non costituiva quindi una postazione di guardia molto popolare fra i Maghi della Guerra. Di conseguenza, quando Huldyl Rauthur, un Mago della Guerra di medio rango, aveva acconsentito a recarvisi con un minimo di entusiasmo in più rispetto a quanto ne avesse dimostrato in passato, il vecchio Rathandar aveva ritenuto opportuno ricordargli in tono di cupa ammonizione che quella vecchia torretta non avrebbe resistito ai risultati di qualche incantesimo sperimentale davvero spettacolare, e che lui stesso avrebbe personalmente provveduto a ridurgli a strisce il posteriore con la frusta se avesse colto il minimo segno di qualche compagnia femminile che si stava teleportando nella torretta o fuori di essa nel corso del suo turno di guardia. Quanto ai libretti di quart’ordine e al cibo, grasso, scadente e abbondante, quelli erano invece passatempi del tutto comprensibili…

In quella luminosa mattina, tuttavia, Huldyl pareva incapace di godere della lettura anche di uno solo dei libercoli dal contenuto audace che aveva ammucchiato accanto a sé, e aveva a stento assaggiato il pollo arrosto al burro… per non parlare delle nocciole tostate con lo zucchero. D’altro canto, il mago era del tutto solo nella torretta e non aveva neppure steso un mantello sulla nuda branda vicino alla finestra posteriore per preparare un’atmosfera adatta a un incontro romantico… o anche solo per un sonnellino.

A disagio, continuava a passare di stanza in stanza, scrutando fuori dalle finestre la confusione che regnava nella sottostante Marsember più che prendersi la briga di scrutare il mare con il potente cannocchiale.

«Niente pirati», borbottò, facendosi beffe del grido eccitato che tutti i giovani Maghi della Guerra parevano sempre impazienti di poter lanciare… e con crescente inquietudine tornò nella stanza da cui era appena uscito.

Rauthur era un uomo basso e tozzo, che ad alcune persone dava l’impressione di essere sempre nervoso perché le sue tempie, messe a nudo dai radi capelli castani, erano costantemente lucide di sudore. Quanti lo conoscevano meglio, però, lo ritenevano un buon creatore di nuovi incantesimi e sapevano che era un uomo portato al sarcasmo e al compiacimento di sé, i cui occhi si accendevano di una luce selvaggia quando era veramente eccitato o spaventato.

In quel momento, peraltro, non c’era nessuno che potesse verificare l’aspetto dei suoi occhi, mentre lui sostava in solitudine nella torretta, tamburellando oziosamente con le dita sul davanzale e ascoltando il battito d’ali e le strida dei gabbiani. Sospirando, si volse e accennò a riattraversare ancora una volta l’arcata che collegava le diverse stanze, ma poi si arrestò di colpo nel vedere che la sedia adiacente al tavolo su cui erano posati i libri e il cibo non era più vuota.

Un uomo giovane, dotato di una cupa avvenenza e vestito di seta nera e argento, era seduto comodamente su di essa, con un sorriso disinvolto sulle labbra e La ragazza vogliosa disse sì aperto in una mano.

«Si tratta forse di un libro d’incantesimi cifrato?» chiese, inarcando un sopracciglio e sollevando il volume.

Rauthur arrossì e abbassò lo sguardo verso il pavimento. Il suo ospite poteva anche avere l’aspetto di un nobile arrogante o di un ozioso principe mercante, ma lui aveva già avuto modo di incontrare altre volte Harnrim Starangh, dei Maghi Rossi.

«Io… ah… no. Uh, è servito a indurre i miei superiori a pensare che sentissi la mancanza di una donna da portare quassù di nascosto, in modo che non eseguissero controlli a distanza e vedessero…»

«Me? Ah, ma soltanto tu sei in grado di vedere il mio aspetto effettivo. Per tutti gli altri occhi curiosi di questo mondo, io sono una splendida donna vestita di seta nera… con il volto di colei che ritengo tu preferisca definire privatamente l’Irosa Principessa Ereditaria.»

«La Principessa Alusair…?»

«Oh, non tremare, uomo! Sii audace! Una quantità di sudditi di Cormyr assolutamente fedeli dice cose irriverenti o addirittura taglienti sul conto della famiglia reale e continua a vivere per ripeterle a voce ancora più alta durante le feste! Inoltre, presto non avrai più motivo di preoccuparti di quello che gli altri pensano di te.»

Nel parlare, il Mago Rosso abbassò il libercolo e con un accenno di sorriso produsse invece un foglio di pergamena strettamente arrotolato.

Huldyl Rauthur si protese in avanti con aria avida, un fuoco verde che gli affiorava negli occhi, mentre il mago meglio conosciuto in Thay come Incantesimi Oscuri, srotolava la pergamena e rivelava altri sette fogli più piccoli, che dispose a ventaglio sul tavolo. Dal momento che le noccioline dolci erano d’impiccio, senza neppure guardarle, il Mago Rosso le fece fluttuare nell’aria e le mandò a librarsi accanto alla faccia del Mago della Guerra; contemporaneamente, i libercoli scesero verso il pavimento in maniera di poco meno delicata.

Con esitazione, Rauthur afferrò una nocciolina a mezz’aria e la mangiò.

Sollevando lo sguardo su di lui, Incantesimi Oscuri sorrise di nuovo e allargò le mani sopra le pergamene.

«Ecco qui, i sette incantesimi promessi, come convenuto. Il denaro che hai già ricevuto dovrebbe essere più che sufficiente a permetterti di acquistare una gradevole dimora in Athkatla, a Waterdeep, in Sembia o in qualsiasi altro luogo ancora più distante, mentre queste magie ti dovrebbero mettere in grado di uccidere con facilità qualsiasi Mago della Guerra che dovesse darti la caccia. Esercitati in privato nel loro impiego, per avere la conferma di quanto siano stabili e completi il loro potere, la loro natura e il loro valore.»

Le pergamene si sollevarono all’unisono e fluttuarono verso Huldyl sulla scia delle noccioline dolci, che il Mago della Guerra si stava affrettando a trangugiare, pulendosi poi le mani sporche di zucchero sul davanti della tunica con gesti nervosi.

«In questa sede», continuò Harnrim Starangh, protendendosi in avanti sul tavolo con lo stesso impaziente entusiasmo dimostrato dal Mago della Guerra, «ribadisco la mia precedente promessa: un’altra, uguale quantità di denaro e altri sette incantesimi molto utili saranno tuoi quando avrò raggiunto sano e salvo Vangerdahast e me ne sarò andato dal suo rifugio».

Rauthur raccolse le pergamene con una risata, gli occhi che ardevano di luce intensa.

«Sono il tuo uomo, Lord Starangh, puoi esserne certo. Questa è… una ricompensa principesca.»

«Principe», rifletté il Mago Rosso, con voce mielata. «Quello è un titolo a cui vale la pena di aspirare. Sai, potresti farlo tuo, se saprai muoverti con adeguato tempismo e usare i giusti incantesimi per domare Alusair e soggiogarla alla tua volontà, nel tuo letto. Una volta che ti avrà dato un erede, non avrai più bisogno di sopportare oltre la sua lingua tagliente. Un piccolo incantesimo esplosivo, un adeguato periodo di lutto, e poi potrai fare come ha fatto il padre della principessa, e scegliere quella che preferisci fra tutte le donne del regno.»

Questa volta, la risatina del Mago della Guerra suonò più debole, e lui scosse il capo.

«Signore», ribatté, scrollando le spalle, «tu sei più audace di me». Poi scosse ancora il capo con aria piena di ammirazione, e aggiunse: «Però è una cosa su cui varrebbe la pena di riflettere…».

Incantesimi Oscuri gli concesse un paio di momenti di riflessione.

«Per consolidare il legame di fiducia instauratosi fra noi», affermò quindi, in tono gentile, «adesso completerò l’incantesimo di collegamento… se tu sei d’accordo».

«S… sì», assentì Rauthur, a bassa voce, passandosi una mano fra i radi capelli. «Lord Starangh», aggiunse poi, d’impeto, «ricordami le specifiche di quell’incantesimo. Non vorrei muovere un passo nel modo sbagliato, se capisci cosa intendo».

«Certamente», convenne in tono grave il Mago Rosso, osservando l’ultima nocciolina scomparire nel ventre di Rauthur. «Le cose che succederanno a uno di noi accadranno anche all’altro, nello stesso momento. Le cose così condivise saranno l’ubriachezza, le ferite, gli incantesimi ostili… ma non quelli da noi stessi scagliati… e la morte. Non condivideremo i pensieri, le emozioni, i sogni o altre cose da me non elencate. Solo quelle che ti ho detto, e nessun’altra. L’incantesimo si esaurirà fra un anno. Questo», proseguì in tono asciutto, catturando con il proprio lo sguardo del Mago della Guerra, «ti dovrebbe dare tutto il tempo di celarti agli occhi della giustizia cormyriana e dei Thayani».

«Ti ringrazio, signore», grugnì Huldyl Rauthur, con un sorriso alquanto incerto. «Procedi pure.»

Annuendo, Starangh gli segnalò di avvicinarglisi, poi si alzò dalla sedia e sollevò entrambe le mani con il palmo girato verso l’esterno e le dita unite. Con esitazione, Rauthur posò le pergamene e protese le mani, assumendo la stessa posizione.

Quando i loro palmi si toccarono, il Thayano annuì con approvazione e mormorò un breve incantesimo, generando in entrambi un formicolio che fece tremare loro gli avambracci mentre si ritraevano uno dall’altro.

«Sono pronto a procedere quando riterrai che sia giunto il momento giusto», disse ancora Starangh. «Puoi contattarmi in qualsiasi momento del giorno o della notte, e sarò più contento se mi farai da guida attraverso le difese del rifugio di Vangerdahast al più presto possibile.»

«S… sì, ho capito», si affrettò a garantire Rauthur.

«Ancora una cosa, Futuro Principe Huldyl», sorrise Harnrim Starangh. «Se questo incantesimo di collegamento instaurato fra noi dovesse essere infranto, io me ne accorgerò all’istante e sarò informato della tua esatta posizione in quel momento… e in quel caso potrei essere costretto, per prudenti e diplomatiche ragioni che non faticherai a comprendere, a colpire da lontano con una magia letale, per cancellare dalla faccia di Faerûn sia Huldyl Rauthur, sia chiunque lo abbia aiutato a rimuovere l’incantesimo.»

Mentre parlava il suo sorriso si fece sempre più ampio e minaccioso, e nel frattempo la sua figura svanì silenziosamente, lasciando Huldyl Rauthur solo nella torretta di guardia della Torre del Porto, tremante di paura e con La ragazza vogliosa disse si che giaceva capovolto ai suoi piedi.

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