4. Verità taglienti come rasoi

Nulla ferisce profondamente quanto una verità nuda e indesiderata.

Thauloamur Reerist, Menestrello

Intelligenti parole di un buffone fallito

Anno del Principe

«Non offri molte alternative… né a me né a chiunque altro, vero?» ribatté con voce amara Narnra, sentendo l’ira insorgere dentro di lei a soffocare la paura… almeno un poco. «“Fa’ quello che dico, altrimenti ti riduco in cenere oppure ti trasformo in un idiota”. Come puoi fidarti di qualsiasi “verità” ottenuta con queste minacce?»

«È la stessa scelta crudele che la maggior parte delle persone di potere di questo mondo offre a chiunque altro», rispose il vecchio mago, scrollando le spalle. «Ragazza, tu mi sembri un po’ troppo matura… soprattutto se si considera il tuo tipo di attività notturna… per poter credere che Faerûn sia un mondo giusto. Se davvero lo credi, sei già un’idiota, che tu voglia ammetterlo o meno. Semplicemente, io espongo le alternative in maniera più chiara e diretta di quanto facciano molti altri, almeno quando non ho voglia di sprecare troppo tempo in duelli verbali e altre frivolezze del genere. Mi piace Cormyr, e ho visto nascere così tante di queste stupide ribellioni, la cui «nascita» sembra sempre richiedere la morte di molte persone buone e spesso innocenti. Quanto a come io possa fidarmi della verità contenuta nelle tue parole, la mia magia mi dirà se stai mentendo o se stai dicendo la verità».

«E ci si aspetta che questo mi renda obbediente e disposta a collaborare?» ringhiò Narnra.

«No, ma dovrebbe farlo la speranza di sopravvivere a questa notte… ritengo la si definisca “prudenza”. Sei tornata quaggiù per cercare il mio portale e un modo per uscire da tutto questo, vero? E sai che io sono il solo mezzo che hai per poterlo riattraversare, giusto? Io potrei essere un pochino più disposto ad aiutare qualcuno che non molto tempo fa ha cercato di derubarmi e di assassinarmi in un vicolo senza uscita se almeno questo qualcuno provasse a parlare con me in maniera civile, non credi?»

Sconfitta, la ragazza trasse un profondo respiro. Disperata e al tempo stesso furente, sospirò, trasse un altro respiro tremante e infine ringhiò: «Avanti, fammi le tue domande, e io cercherò di attenermi alla verità».

«Una scelta prudente», approvò con calma il mago, «se desideri che mi limiti a verificare la tua sincerità ed eviti di sondare la tua mente, come avevo cominciato a fare con Thauvas. Lui ha imparato molto presto quale fosse la scelta più saggia».

Sospesa a mezz’aria, Narnra scosse il capo con impotenza.

«Fammi le tue domande», ripeté.

Le nebbie che l’avviluppavano si accesero di una luminosità improvvisa, un bagliore che si spense bruscamente com’era apparso, poi il suo catturatore girò di scatto la testa per scrutare l’oscurità alle sue spalle.

«Caladnei, per favore, limitati a guardare, ad ascoltare e per un po’, fingi di non essere qui, d’accordo? Vangerdahast si irriterebbe enormemente con me se dovessi distruggere la sua sostituta senza un valido motivo… e comunque è bene che tu sappia che il tuo sconsiderato sondaggio dei miei incantesimi di schermatura è destinato a fallire.»

Dall’oscurità non giunse risposta, e dopo essere rimasto in silenzio per un lungo minuto, il vecchio mago aggiunse, in tono più pacato:

«Grazie. Dunque», riprese poi, tornando a sollevare lo sguardo su Narnra, «il tuo nome completo, ragazza, è…».

Dei, il suo naso aquilino è ancora più marcato del mio, pensò Narnra, nel fissare quegli occhi luminosi, che apparivano più azzurri che grigi adesso che la magia li stava pervadendo, poi rispose con voce salda.

«Mi chiamo Narnra Shalace. Mia madre era Maerjanthra Shalace, una gioielliera di Waterdeep. Non ho mai conosciuto mio padre.»

«Maerjanthra, eh?» commentò il mago, inarcando le sopracciglia cespugliose. «Alcuni anni fa conoscevo una Maerjanthra Shalace di Waterdeep, ma era una maga che vendeva i propri servigi, e non una gioielliera. Il suo non è però un nome comune», continuò, contemplando con aria pensosa la sua prigioniera fluttuante nell’aria. «Descrivimela, così com’è adesso.»

«Una manciata di ossa, un po’ di polvere e probabilmente il groviglio di quello che resta dei suoi capelli… in una fossa fuori dalle mura di Waterdeep», ringhiò Narnra, lasciando trasparire la propria rabbia. «Lei è morta, mago.»

«Capisco», commentò il vecchio, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto. «In vita, però, aveva i capelli neri e gli occhi scuri come i tuoi?»

«Sì», confermò Narnra in tono piatto, senza aggiungere altro.

«Com’è morta?»

«Non lo so. Credo sia stata assassinata con la magia, ma non ho idea di chi possa essere stato a ucciderla… altrimenti adesso sarebbe morto».

«Capisco. Hai altri parenti?»

«No, a meno che mio padre sia ancora vivo.»

«Cosa sai di lui?»

«Che era un uomo», ribatté la ladra, scrollando le spalle, «e che era un mago potente, stando a quanto mi hanno detto».

«Chi te lo ha detto?

«Gli apprendisti di mia madre… tagliatori di gemme, tutti fuggiti da tempo. Quando lo hanno detto, erano ubriachi.»

«La madre morta, gli apprendisti fuggiti… dove vivi, adesso?»

«Sui tetti», spiegò Narnra, con un’altra scrollata di spalle. «Vicino ai camini più caldi d’inverno e per lo più nella Città dei Morti durante l’estate».

«Sola?»

«Sola.»

«E come riesci a guadagnare abbastanza da mantenerti…?»

«Rubando, come ben sai.»

«Per o con qualcuno?»

«Da sola.»

«Hai qualche amico?»

«No.»

«Ci sono persone a cui vendi le cose che rubi?»

«Molte.»

«Dimmi il nome di qualcuna di esse.»

«Nel Rione dei Moli ci sono molti uomini che non fanno domande riguardo alla provenienza di un oggetto… e che stanno bene attenti a non apprendere nulla riguardo a chi lo sta vendendo loro», rispose Narnra in tono piatto, fissando il mago negli occhi. «Se la Guardia Cittadina li dovesse interrogare, potrebbero sempre dire di aver trovato quell’oggetto la mattina, gettato da qualcuno nel loro cortile, o attraverso la loro finestra. Quanto a me, sto bene attenta a non chiedere e a non apprendere in altro modo il loro nome, perché questo è il metodo consolidato per condurre affari del genere.»

Il mago annuì, come se stesse ricordando cose remote, di molto tempo prima.

«La verità si addice alla tua lingua», commentò.

«Allora ricompensami.»

«Come?»

«La mia libertà. La via per tornare indietro.»

«Chiedi molto in cambio di poche risposte cortesi», sorrise il vecchio mago. «Dovrò sapere qualcosa di più, prima che cominciamo a parlare di ricompense, d’accordo?»

«Il potere di imporre condizioni rimane tuo», replicò Narnra.

In basso, il sorriso del mago si accentuò improvvisamente e dall’oscurità al di là delle nebbie giunse un debole suono subito soffocato che avrebbe potuto essere una risatina della Maga Reale.

«Fai parte di qualche corporazione?»

«No.»

«Sei sul libro paga di qualcuno?»

«No.»

«Paghi le tasse?»

La risposta di Narnra fu un verso di incredulità che indusse il vecchio mago a sorridere ancora.

«Sai chi sono?» chiese poi?

«No. In base a quanto vedo e sento, so che sei un vecchio e un mago potente, ma niente di più.»

Il vecchio mago annuì, si allontanò di qualche passo poi si girò di scatto.

«Come trascorri le giornate?» domandò.

«Rubo, dormo, spio le persone da derubare, rubo, vendo la refurtiva e uso il ricavato per comprare cibo, mangio, evito la Guardia Cittadina e rubo ancora.»

«Che ne è stato della bottega di tua madre, della casa, delle merci?»

«Sottratte, afferrate e portate via nel momento in cui in città si è saputo che lei era morta», rispose con freddezza Narnra. «Qualche nobile a caccia di schiavi ha perfino mandato i suoi servi a inseguire me.» «La cosa non mi sorprende», annuì il mago.

La nebbia ribollì di colpo, trasformandosi in una gigantesca testa di serpente coperta di scaglie, le cui grandi fauci si stavano aprendo per inghiottirla…

Narnra urlò… e altrettanto fece la Maga Reale, poi il mondo parve esplodere in una grande onda ruggente di energia che spazzò via la testa di drago e con essa anche l’Ombra di Seta, che rotolò alla cieca su se stessa nell’aria… e verso ondate crescenti di potere che l’afferrarono e la trattennero, trascinandola fuori da quel caos ribollente fino a farla ritrovare nuovamente sospesa nell’aria in posizione eretta.

Le nebbie vorticavano e ribollivano intorno a lei con violenza ancora maggiore, lasciandosi dietro qua e là scie di scintille, ma a parte questo la cantina era praticamente identica a prima, tranne per il fatto che il Mago Rosso privo di sensi stava ora fluttuando a testa in giù.

Anche il vecchio mago era fermo in piedi nello stesso punto di prima, però adesso il suo sguardo era appuntato sull’arcata d’ingresso della cantina.

«Ti avevo avvertita, Maga Reale», ammonì in tono pacato. «Non sai riconoscere un’illusione, quando la vedi?»

Constatando che era in grado di muovere la testa, Narnra si volse e vide che Caladnei era in ginocchio e stava cercando di liberarsi di quelle che sembravano funi di fuoco fluido che le bloccavano i polsi in basso e lontano dal corpo, le cingevano il collo e scendevano ad avvilupparle le ginocchia e le caviglie.

«Sei disposta a restare in disparte senza operare magie?» domandò il vecchio mago.

«No», ribatté in tono secco la Maga Reale di Cormyr, fissandolo con occhi roventi al di sopra delle fiamme crepitanti.

Scrollando le spalle, il mago tornò a voltarsi verso Narnra… e per un singolo, agghiacciante momento, la testa di drago tornò a incombere davanti a lei.

Poiché adesso sapeva di cosa si trattava, la ragazza riuscì a trattenersi dall’urlare, ma non poté fare a meno di tremare nel vedere quelle grandi fauci che si aprivano nuovamente.

«Ragazza, hai mai visto una cosa del genere, prima d’ora?», domandò con voce gentile il mago dalla barba bianca.

«No… no», balbettò a fatica Narnra. «Falla sparire!»

La testa di drago prese a rimpicciolire e a indietreggiare davanti a lei, riducendosi fino a diventare grande quanto una testa umana… poi tornò a farsi spaventosa, simile alla testa di un grande serpente che la stesse osservando in mezzo a veli di nebbia, un serpente che avrebbe potuto ucciderla mentre era immobilizzata dall’incantesimo del mago.

«Hai mai visto prima d’ora una bestia vivente simile a questa?» insistette il mago, in tono ora tagliente; nel frattempo, la testa più piccola si girò di qua e di là, mettendosi in mostra per lei come avrebbe potuto fare una modella alle dipendenze di un mercante di abiti… poi arretrò fra la nebbia e scomparve.

«No… no», riuscì a rispondere Narnra, mentre un sospetto cominciava a prendere forma dentro di lei, cupo, rovente e soffocante. Possibile che quel vecchio bruto…

«Ma?» fu pronto a incalzarla il mago.

«Ma niente», ribatté Narnra, con un bagliore d’ira nello sguardo.

«La verità, ragazza. Menti male come un prete ubriaco. Di’ la verità!»

«Io… gli apprendisti di mia madre erano soliti parlare di draghi… e quello era un drago, vero?»

«Quanti erano quegli apprendisti?» domandò il mago. «Come si chiamavano?»

«Uh, sono stati quasi sempre cinque: Goraun, Rivrel, Jonczer e i due più giovani, Tantheld e Silen… Rorgel, soprannominato “Silenzioso” perché non parlava quasi mai. Loro… Rivrel è morto, accoltellato da qualcuno che stava depredando la bottega dopo la morte di mia madre. Credo che anche Jonczer sia stato ucciso, però non ho visto il suo corpo, solo una grande quantità di sangue. Quanto agli altri… sono scomparsi, e può darsi che siano morti o che abbiano rubato delle cose e siano fuggiti… io non lo so.»

«Hai mai visto uno qualsiasi di loro operare la magia?»

«No.»

«Cosa ti hanno detto riguardo ai draghi, esattamente?»

Narnra fissò il vecchio mago con occhi roventi, sentendo radicarsi sempre più i propri sospetti.

«Quando avevano bevuto», spiegò, a fatica, «borbottavano riguardo ai lavori più pesanti che venivano loro assegnati, poi desideravano di poter essere audaci avventurieri e cominciavano a raccontare storie avventurose. In alcune di esse figuravano i draghi, che divoravano la gente, abbattevano castelli e appiattivano interi villaggi… del resto, sono certa che tu ne sai molto di più al riguardo. In seguito, mi avvertivano sempre che non avrei dovuto fare parola con mia madre di quello che avevano detto.»

«E lo hai mai fatto?»

«Fatto cosa?»

«Hai mai parlato con lei di draghi?»

«No. Ascoltami bene, ser mago, lei è morta. Ti ho detto il mio nome e anche quello di mia madre, e perfino quello dei suoi cinque apprendisti tagliatori di gemme… mentre il tuo nome rimane tuttora un mistero per me. Si può sapere chi sei?»

«Elminster Aumar, anche se la maggior parte della gente mi conosce meglio come “Elminster di Shadowdale”. Mi chiamano anche Vecchio’ Mago, Vecchio Saggio e una quantità di altri titoli e appellativi molto meno lusinghieri. Ne sai di più, adesso?»

«Ho sentito parlare di Elminster il Grande, l’Impiccione di Mystra, che operava a Waterdeep secoli fa. Immagino che ti abbiano dato il suo nome.»

«Sì, si potrebbe dire così», ribatté il vecchio mago, con un freddo sorriso. «Adesso che ci conosciamo un po’ meglio a vicenda, ragazza, che ne dici di accantonare la tua rabbia e di dirmi sinceramente: sei vincolata a qualcuno? Lavori con qualcuno? Fai la spia per qualcuno? Ti hanno assoldata per svolgere un incarico di qualche tipo?»

«No», replicò Narnra, cedendo di nuovo all’ira. «No, no e ancora no!»

Dunque il vecchio non credeva a una sola parola di quello che gli aveva detto.

«Non sei capace di riconoscere la verità quando la senti? O forse non vuoi sentire cose che non corrispondono al giudizio che hai già formato sul mio conto? Non hai avuto molta misericordia per quel Mago Rosso!»

«Non ne merita, credimi».

«Hah!» ringhiò Narnra, dall’alto della posizione in cui la nebbia magica la stava tenendo inchiodata. «E se io non ti credessi? Perché dovrei farlo? Lasci sottintendere astutamente che io starei mentendo, e che tu sai sul conto di mia madre molte più cose di me, e che i maghi devono agire come ritengono di dover fare. Ebbene, riguardo a questo, tutto quello che io vedo e sento è che i maghi fanno esattamente quello che vogliono e che nascondono l’interesse personale sotto un manto di grandi parole e di insinuazioni secondo cui starebbero compiendo azioni importanti per proteggere tutto Faerûn, e noi con esso! E tuttavia, mostrano mai qualche prova di questo?»

Il sorriso che stava affiorando sul volto del Vecchio Mago acquisì una sfumatura di tristezza, mentre lui replicava:

«A quale prova crederesti, Narnra?»

«Io… io…»

«Hai visto?» commentò Elminster, allargando le mani. «Hai in te rabbia in abbondanza, cosa che non mi meraviglia, perché ti ho spaventata e fatta infuriare, e il mio potere si stende fra noi affilato come una lama. Ciò che ti fa infuriare è l’idea che io non mi fidi di te… ma tu ti fidi di me?»

«No», sussurrò Narnra in un filo di voce, abbassando lo sguardo su di lui. «Non ancora.»

«Ah, però vuoi farlo, come io mi voglio fidare di te. Allora, come facciamo a creare fra noi una fiducia reciproca?»

La ladra fluttuante nella nebbia si accigliò con aria riflessiva.

«Perché non rispondi tu a qualcuna delle mie domande?» suggerì poi.

«Come mi hai detto tu stessa», sorrise il mago dalla barba bianca, «fammi le tue domande, e io cercherò di attenermi alla verità».

«Quando hai incontrato per la prima volta mia madre, e perché?» chiese Narnra, con un accenno di sorriso.

«Se Maerjanthra Shalace la maga è anche Maerjanthra Shalace la gioielliera di Waterdeep, l’ho incontrata per la prima volta fra le rovine di un palazzo elfico sulla Costa delle Spade Settentrionale, circa settant’anni fa», rispose Elminster, «quando lei dimostrava più o meno la stessa età che tu hai adesso. Era con una banda di avventurieri in cerca di ricche tombe da depredare, e io ero là per impedire che lo facessero».

«Settanta inverni? Ma questo è impossibile! Mia madre…»

«Ti ha mai detto esattamente quanti anni aveva?»

«No, ma…»

«Ma giudicando dal suo aspetto, tu hai supposto che avesse al massimo venti o trenta stagioni più di te, giusto?»

Narnra annuì.

«Ma… ma se era una maga», esclamò poi, «non avrebbe potuto… farmi qualcosa, con la sua magia?»

«Ah, vedo che cominci a capire i motivi del mio interesse», commentò lentamente il Vecchio Mago. «Hai mai fatto… strani sogni? Hai mai sentito il potere levarsi dentro di te o scorrere in te? Quando la mia magia ti ha toccata, hai avuto qualche… qualche visione? Sensazioni di potere?»

L’Ombra di Seta abbassò lo sguardo su di lui e scosse il capo.

«No», rispose, con voce che era poco più di un sussurro.

Da un punto imprecisato, al di là delle nebbie, giunse un rabbioso crepitare di magia che poteva essere stato prodotto soltanto dagli sforzi di Caladnei per liberarsi o per operare la magia.

«Allora posso solo risponderti che non lo so», affermò Elminster.

«Se conoscevi tanto bene mia madre, sai chi era mio padre?» chiese Narnra traendo un profondo respiro.

Il mago scrollò le spalle.

La ladra fluttuò in silenzio per alcuni secondi, fissandolo con aria accigliata.

«Hai parlato della “prima volta” in cui hai incontrato mia madre», osservò poi. «Quante altre volte vi siete visti?»

«Dozzine. Ventine», rispose il Vecchio Mago, con un’altra scrollata di spalle. «Una primavera abbiamo abitato insieme a Waterdeep, in un periodo in cui avevo delle questioni da sbrigare con alcuni nobili di quella città. La casa era mia, e vi ho ospitato almeno una dozzina di avventuriere.»

«Una dozzina, con un solo uomo… un mago? Non ci sono state chiacchiere, al riguardo?»

«Chiacchiere?» ribatté Elminster, inarcando un sopracciglio. «Waterdeep deve essere cambiata più di quanto credessi.»

Poi la sua figura parve farsi indistinta, e di colpo Narnra si ritrovò a fissare una donna alta e sinuosa dal seno formoso, dotata di uno sguardo ferreo e di una grazia imperiosa che trascendevano le sformate e non troppo pulite vesti del vecchio mago che le calzavano malamente intorno al corpo.

«Inoltre, eravamo una casa di sole donne», spiegò una voce che era una versione più dolce e sommessa di quella di Elminster, poi la nebbia vorticò intorno alla donna, ci fu uno scoppio di scintille che indusse Narnra a sbattere le palpebre… e il vecchio mago tornò ad apparire sotto di lei.

«Sei stato una donna per tutto il tempo?» insistette Narnra. «Vivevi con le tue coinquiline, oppure ognuno di voi se ne stava nella sua stanza, confidando nella robustezza della serratura?»

«Adesso sembri un prete moralista, ragazza», ridacchiò Elminster. «A parte quelle sulle porte esterne, non c’erano serrature e le stanze erano in comune. Uomini… e donne… andavano e venivano nella maniera più normale, e c’erano scontri e incontri amorosi… e anche se ho trascorso gran parte del mio tempo in altre case più eleganti, utilizzando altre forme più importanti, ho anche vissuto con quelle dame.»

«E hai dormito con loro?» lo incalzò Narnra, in tono tagliente. «In particolare con Maerjanthra Shalace?»

«La risposta è sì, a tutte e due le domande», sorrise il Vecchio Mago. «Tutto questo deve essere successo una quarantina di estati fa.»

«E non l’hai più rivista, dopo di allora?»

«Le nostre strade si sono incrociate ancora di tanto in tanto, nel corso degli anni, quando mi recavo a Waterdeep per questo o quel motivo».

«Mia madre era la tua amante

«No, non mi esprimerei in questo modo… e non lo avrebbe fatto neppure lei. Tua madre aveva i suoi amanti, io avevo le mie, ma ci piaceva parlare e passare una serata a metterci a vicenda al corrente degli eventi, quando gli dei ce ne concedevano il tempo».

«Quando è stata l’ultima volta… che avete passato la notte insieme?» volle sapere Narnra, fissandolo con occhi roventi.

«Venti o ventidue anni fa», rispose Elminster, scrutandola in volto con aria pensosa, poi un fugace sorriso gli attraversò il volto, mentre aggiungeva: «Sembra che tu stia cominciando a pensare che possa essere stato io a generarti, ma questo non è possibile».

«Davvero? E come mai?»

«I maghi sono dei bersagli ambulanti per tutta la loro vita, ragazza… e per la maggior parte del tempo sono fin troppo vulnerabili. Generare un figlio non è una decisione da poco, per chi opera la magia, e ritrovarsi incinta involontariamente può risultare letale… non soltanto per il neonato e per sua madre. La magia può deformare i bambini non ancora nati, facendone dei mostri.»

«Per cui?»

«Per cui la maggior parte dei maghi ricorre alla magia per prevenire eventi indesiderati o per sapere quando non si corra il rischio di incorrere in problemi del genere.»

«E voi rientravate entrambi nella “maggior parte dei maghi”?»

«Vi rientrava Maerjanthra. Io sono sottoposto a vincoli ancora più rigidi.»

«Vincoli più rigidi? Quali vincoli?»

«È Mystra, la dea che io servo, a decidere quando il suo Prescelto debba…»

Narnra si sentì girare la testa.

Prescelto? Allora quell’uomo poteva essere un Elminster soltanto!

La cosa peggiore, tuttavia, era che nel momento stesso in cui Elminster aveva pronunciato il nome divino di Mystra, un fuoco fra il bianco e l’azzurro aveva preso a divamparle nella mente, una conflagrazione che si divise in sette stelle vorticanti prima ancora che lei riuscisse a capire cosa stava succedendo.

E mentre le stelle ruotavano in cerchio, lei ebbe l’impressione di un immenso, invisibile sorriso femminile, in seguito al quale nel cuore del cerchio di stelle una porta oscura e da tempo nascosta parve aprirsi nella sua mente. Attraverso essa, Narnra sentì di nuovo Goraun ridacchiare nel parlare con Jonczer.

«Ah, questa volta Maerj ha proprio raggirato il Vecchio Barbuto! Mi piacerà moltissimo vedere la sua espressione, quando lo scoprirà! L’Onnipotente Lord Blackstaff dava l’impressione di stare abbondantemente male per conto di entrambi, quando si è presentato alla porta. Già, era proprio lui… per una volta, le ragazze della taverna ti hanno detto la verità! Pare che Maerj sia andata da lui per chiedergli un incantesimo che le permettesse di avere un figlio dal Vecchio Impiccione senza che lui lo sapesse, e che Khelben l’abbia buttata fuori dalla sua torre… solo per presentarsi il giorno dopo alla nostra porta come un mendicante, con la faccia lunga come l’inverno e una pergamena in mano. Ha detto che la Divina Mystra ha dato di persona il permesso… anzi, ha ordinato che accadesse!»

Le sette stelle emisero un bagliore, e riapparve quel caldo sorriso sfrontato, destando in Narnra un senso di eccitazione che ebbe in qualche modo l’effetto di lasciarla tremante. Poi si ritrovò a fluttuare ancora nella nebbia, lo sguardo cupo fisso sui luminosi occhi azzurri e sull’asciutto sorriso compiaciuto del mago dalla barba bianca.

Dopo tanti anni di interrogativi, adesso dunque sapeva: quello era suo padre.

Quel vecchio verme sorridente.

Elminster l’Impiccione, potente quanto una tempesta invernale, corrotto e cocciuto quanto un Signore di Waterdeep, un uomo che avrebbe potuto disprezzare o odiare con la massima facilità, lo stesso la cui magia la stava tenendo prigioniera, sondando la sincerità delle sue parole.

Lo stesso uomo, rifletté, spostando con riluttanza lo sguardo sul corpo rovesciato del Thayano, sulle braccia penzolanti e sugli occhi vacui e vuoti, la cui magia avrebbe potuto fenderle la mente come un rasoio, in qualsiasi momento lui lo avesse desiderato, nell’istante in cui avesse avuto il sospetto che gli stava nascondendo qualche informazione di valore.

L’Ombra di Seta serrò i pugni a tal punto che le unghie le ferirono il palmo, accentuando la stretta quando il sangue prese a filtrarle fra le dita.

Non doveva accennare alle parole di Goraun e doveva sperare che Khelben e la dea Mystra continuassero a mantenere il segreto che avevano ovviamente tenuto nascosto a Elminster di Shadowdale da prima che lei nascesse.

Altrimenti, Elminster avrebbe potuto distruggerla, o farla prigioniera per addestrarla e controllarla… e indipendentemente da qualsiasi cosa lui avesse tentato di fare, mezzo Faerûn avrebbe comunque cercato in ogni modo di toglierle la vita o la libertà.

Come bersaglio, Narnra Shalace avrebbe senza dubbio avuto una vita molto breve.

Aveva sempre temuto la magia, un sentimento comune a tutti i ladri, che la odiavano, la temevano e ne diffidavano… del resto, quelli erano sentimenti normali per qualcuno che non la possedeva. Oh, i giovani rimanevano a bocca aperta per la meraviglia quando i maghi dell’Ordine di Sorveglianza generavano esplosioni o creavano illusioni durante le feste, ma… tutto quel potere! Se mai fosse stato rivolto contro di loro…

E poi c’era un’altra cosa. Se pure un gesto della mano di Mystra l’avesse trasformata in una maga tanto potente da poter tenere testa allo stesso Elminster, lei avrebbe comunque odiato una vita del genere. Quello del ladro era un lavoro duro e rischioso… ma era il suo lavoro, erano battaglie che lei sceglieva di combattere, talenti che aveva sviluppato da sola, sfide sempre nuove che si imponeva di affrontare, eccitazione, indipendenza e… e ciò che era abituata a fare.

«Vecchio bastardo mentitore!» ringhiò, le parole che le sfuggivano di bocca prima che avesse il tempo di pensare a trattenerle. «Razza di rospo! Compiaciuto, libertino tiranno della magia!»

«Ho già avuto modo di sentire parole del genere», commentò Elminster, fissandola con aria interdetta, «e spesso le ho meritate… ma non da parte di qualcuno che, come te, mi conosce così poco, ragazza. Credevo che l’avessimo fatta finita con tutto questo ringhiare e imprecare, piccola, quindi perché adesso sei d’un tratto tanto ostile?»

«Se lo sapessi», sibilò Narnra, lottando per controllare il tremito che le scuoteva la voce. «Se solo lo sapessi!»

«Fra i tuoi pensieri c’è forse qualcosa che dovrei apprendere, figlia di Maerjanthra?» chiese Elminster, socchiudendo gli occhi azzurri.

Poi sollevò una mano, e Narnra si morse un labbro, imprecando contro la propria stupidità. La rovina e la disperazione incombevano su di lei… e se le era attirate addosso con la propria ira e la propria lingua troppo lunga.

Signore Mascherato, Tymora e Mystra, ascoltatemi tutti! Se solo posso implorare una minima misericordia, aiutatemi! Aiu…

Quasi che gli dei l’avessero sentita e avessero dato una risposta immediata, la cantina tremò, sfrigolanti scariche di energia solcarono il soffitto, artigliandolo e sfrigolando, poi la nebbia si dissolse… come un lenzuolo appeso a una corda per stendere che una volta Narnra aveva tagliato con il suo coltello. Con il suo svanire, il Mago Rosso crollò al suolo, accasciandosi inerte a faccia in avanti sul pavimento.

Anche Narnra stava scendendo verso il suolo, sebbene non le paresse di cadere, ma piuttosto di planare attraverso una sostanza morbida e densa. Era ancora lontana dal pavimento quando Elminster si girò di scatto verso l’arco di accesso alla cantina… e ciò che stava apparendo sotto di esso.

In realtà si trattava di quattro qualcosa, quattro colonne di scintille vorticanti che si materializzarono di colpo dal nulla, racchiudendo in mezzo a loro la forma di Caladnei di Cormyr, che continuava a dibattersi. Figure scure emersero poi dalle scintille, eseguendo all’unisono uno stesso gesto in reazione al quale i legami di fuoco che trattenevano la Maga Reale si trasformarono in quattro lacci che la bloccarono, impotente, in mezzo ai nuovi venuti, quattro uomini calvi dalla pelle scura e dalla testa coperta di intricati tatuaggi neri, che avanzarono badando a continuare a muoversi all’unisono.

Tutti e quattro indossavano vesti marrone, sfoggiavano abbondanza di gioielli, il volto duro e spietato illuminato dal bagliore d’ira… e di soddisfazione… che ardeva loro nello sguardo.

Elminster allargò le mani e agitò le dita, a occhi socchiusi, dando l’impressione che stesse percependo qualcosa nell’aria.

«Fatti da parte, vecchio stolto», ingiunse uno dei quattro. «Devi essere un membro della cospirazione, per aver legato in questo modo la Maga Reale di Cormyr, ma la tua vita è perduta, come pure la sua e quella di questa ragazza mascherata. Nessuno può maltrattare un Mago Rosso e continuare a vivere!»

Dando l’impressione di essere ancora in trance, il Vecchio Mago mormorò qualcosa… e Thauvas Zlorn si alzò in piedi, avviandosi verso il più vicino dei suoi connazionali.

«Ti ringrazio per questo salvataggio, Naerzil», disse, con un sorriso che gli si allargava sul volto, «però non devi uccidere nessuno di costoro, bensì farli prigionieri, perché le loro menti contengono…».

«Taci, Zlorn», ingiunse il Mago Rosso da lui apostrofato. «Il tuo fato deve ancora essere stabilito da coloro a cui entrambi dobbiamo rispondere del nostro operato, e da te non sono graditi né ordini né suggerimenti.»

«Ah. È un vero peccato», ribatté Zlorn, con voce stranamente diversa… e si lanciò in avanti per strozzare l’altro Thayano.

Colto di sorpresa, il Mago Rosso crollò al suolo con uno schianto, lottando per impedire a quelle dita dure come il ferro di raggiungergli la gola o gli occhi, ma quando infine riuscì a spingere di lato il braccio di Zlorn, questi gli infilò due dita nelle narici e gli spinse la testa all’indietro, sbattendola contro la pietra del pavimento.

La fune di fuoco che portava a Caladnei si ritrasse di scatto, sussultando e contraendosi, e gli altri tre Maghi Rossi si affrettarono a trascinare lontano la prigioniera, urlando in tono allarmato le parole di alcuni incantesimi.

Intanto i due uomini continuarono a dibattersi e a lottare sul pavimento, grugnendo e imprecando… finché Naerzil, che si trovava sotto l’avversario, scoppiò in una risata di trionfo quando uno dei tatuaggi che aveva sulla fronte eruppe in una vampata di fiamme azzurre che vorticarono, assunsero la forma di artigli e aggredirono la faccia di Thauvas Zlorn.

Ci fu uno spruzzo di sangue, un occhio esplose e il Thayano urlante s’inarcò all’indietro, mentre Naerzil spingeva e scalciava per liberarsi dal suo peso. Le fiamme azzurre continuarono ad aggredire la faccia e la gola di Zlorn finché questi non ebbe più nulla con cui urlare, ma nel momento stesso in cui il suo assassino si alzava per allontanarsi, il Thayano morente formò una sfera con le mani vuote… imitando movimenti che erano appena stati fatti da Elminster… che a poca distanza oscillava lentamente con aria assorta. Subito le fiamme azzurre si staccarono dalla sua faccia devastata per confluire vorticando fra le sue dita… e poi scagliarsi con la repentinità di un serpente verso il volto sorpreso di Naerzil.

Thauvas Zlorn si accasciò sulle ginocchia con una serie di inarticolati gemiti di dolore, e intanto intorno alla testa di Naerzil fiorì un accecante vortice di fiamme azzurre, che prese a ruotare intorno a essa in una sfera così rapida da rendere impossibile udire le eventuali urla del Mago Rosso.

Poi il bagliore azzurro esplose di colpo in una pioggia di scintille e si spense… e il corpo ormai privo della testa si accasciò al suolo non lontano da Thauvas.

Adesso Elminster era avviluppato da lampi di luce e da acuti suoni cantilenanti, ma l’espressione dei Maghi Rossi disse a Narnra che essi si erano aspettati dai loro incantesimi un effetto decisamente superiore al creare un po’ di luce e di rumore.

«Chi sei tu?» sussultò infine uno di essi, quando anche l’incantesimo’ più potente si fu dissolto nel nulla, lasciandosi alle spalle soltanto innocue volute di fumo che gli salivano dalla punta delle dita.

«Elminster di Shadowdale, al tuo servizio… o, per meglio dire, al servizio di Thay, terra che sarà decisamente migliorata dall’estinzione di tutti i Maghi Rossi», replicò in tono allegro il mago dalla barba bianca, mentre piccole lingue di fuoco prendevano a fluire fra le sue dita sollevate e allargate; sbirciando fra esse, come un buffone girovago, il Vecchio Mago rivolse un sorriso in tralice ai Thayani tremanti.

«Fermo!» ingiunse uno di essi, in tono disperato. «Facci del male e questa donna morirà!»

Nel parlare, abbozzò un cenno di richiamo con una mano, e la linea di fuoco collegata a essa si tese, il suo suono acuto che saliva di tono fino a diventare uno stridio, e Caladnei di Cormyr prese ad artigliarsi disperatamente la gola, il corpo che tremava come una corda pizzicata, quando anche gli altri due Maghi Rossi accentuarono la tensione delle loro funi magiche.

Pallidi in volto, i Thayani fissarono con occhi roventi Elminster, che si parò prontamente davanti a Narnra per schermarla, nel momento in cui i suoi stivali infine toccarono terra.

L’Ombra di Seta scoccò un’occhiata sorpresa in direzione della schiena del Vecchio Mago e si accoccolò su se stessa, pronta a balzare nella direzione che le forse parsa più sicura, chiedendosi se per tutto Toril non sarebbe stato meglio se lei si fosse lanciata addosso a Elminster impugnando la sua daga migliore e squarciandogli la gola, anche se questo avrebbe significato anche la sua morte. Intanto, il Prescelto di Mystra stava borbottando qualcosa sotto voce, una parola che lei non riusciva a comprendere ma che era sempre la stessa ripetuta all’infinito.

Con il respiro affannoso, la mano che si abbassava verso l’impugnatura della daga, Narnra rimase accoccolata, incerta sul da farsi… o su quale forma di morte si sarebbe abbattuta su tutti loro.

«Adesso ce ne andremo di qui», affermò in tono aspro un altro Mago Rosso, «e la Maga Reale rimarrà nostra prigioniera. Buona caccia a noi. Quanto a te, vecchio, ci lascerai andare e non farai nulla per alterare o neutralizzare i nostri incantesimi mentre ce ne andiamo, altrimenti lei morirà».

«Capisco e acconsento», assentì in tono sconfitto Elminster, chinando il capo in segno di resa.

Due Maghi Rossi reagirono con un sogghigno di trionfo e il terzo iniziò a eseguire un incantesimo di trasferimento… ma in quel momento un’ondata di fuoco fra il bianco e l’azzurro eruppe alle loro spalle, con forza tale da farli barcollare.

«E io», intervenne con freddezza una nuova voce dal tono tagliente, «comprendo fin troppo bene il mio ruolo in questo piccolo dramma e acconsento a svolgerlo».

Lame vorticanti di argento scintillante emersero dal nulla per affondare in profondità nelle tre schiene vestite di marrone… e i tre Maghi Rossi si bloccarono nell’atto di voltarsi, sussultando quando quelle lame magiche trapassarono loro il torso come rasoi.

«Dopo tutto, uccidere Maghi Rossi è il mio compito e un mio piacere», aggiunse la voce.

I legami magici che trattenevano Caladnei di Cormyr si dissolsero, e la Maga Reale crollò carponi, tossendo debolmente. Adesso da ogni direzione stavano affluendo uomini che correvano verso la cantina, e qua e là era possibile veder divampare la luce di un incantesimo, a indicare che i Maghi della Guerra di Cormyr si stavano teleportando a loro volta sul posto.

La loro avanzata venne però bloccata da un improvviso muro di fiamma, la cui fonte sorrise ai nuovi venuti attraverso un groviglio arruffato di ribelli capelli argentei, ergendosi orgogliosa a piedi scalzi e con indosso una lacera e logora veste nera; i suoi piedi non toccavano il suolo, reggendosi nell’aria appena sopra di esso.

«Ben incontrati, tutti quanti», salutò in tono tranquillo, mentre le sue fiamme costringevano la gente di Cormyr a indietreggiare. «Io sono la Simbul, detta a volte anche la Strega-Regina di Aglarond. Mi dispiace, tesoro», aggiunse con un sorriso, scoccando una rapida occhiata da sopra la spalla in direzione di Elminster. «Sono venuta più in fretta che potevo.»

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