22. Una piccola vittoria

A volte, tutto quello che puoi fare è accontentarti di una sia pur piccola vittoria.

Sorbraun Swordmantle

Settanta estati come Dragone Purpureo: storia di un guerriero fedele

Anno del Principe

«State tranquille», mormorò Laspeera. «Qualsiasi cosa accada, abbiamo Maghi della Guerra in numero sufficiente a tenervi entrambe al sicuro.»

Filfaeril e Alusair reagirono con un identico sospiro.

«Speera, non si tratta di questo», replicò poi la Reggente d’Acciaio. «Il problema è quante persone fedeli perderemo a causa di questo… e quante famiglie nobili ci si rivolteranno contro se abbatteremo le loro giovani teste calde. Quando Cormyr smetterà finalmente di sanguinare

«Arrivano», borbottò Caladnei, indietreggiando, mentre parecchi uomini avanzavano nella sala fiocamente illuminata, le spade snudate che scintillavano sotto la luce da lei evocata.

«Salve, dame Obarskyr», salutò uno di quegli uomini, con voce sonora dai toni colti. «La vostra presenza… sia pure con la scorta di tanti maghi… è per noi gratificante. Desideriamo discutere del futuro del nostro bel re…»

Il nobile barcollò in avanti e cadde prono con un singulto, poi giacque immobile, la spada che tintinnava sulle piastrelle, mentre dai compagni che lo attorniavano si levavano grida irose.

Molti uomini dalle lunghe vesti si stavano materializzando dal nulla… Thayani! Harnrim Starangh lasciò scorrere con freddezza lo sguardo sul salone del Palazzo Thundaerlyn.

«Uccideteli tutti… le donne per prime», ordinò quindi agli altri Maghi Rossi. «Non lasciate in vita nessuno!»

* * *

Bezrar e Surth tornarono a Marsember più o meno nello stesso momento, con l’aria umida e nebbiosa che fischiava loro intorno mentre un grande tetto, tutto guglie e lucernari, veniva loro incontro a velocità vertiginosa. Entrambi erano… oh, dei… erano stretti nella morsa di grandi artigli.

Essi appartenevano a un enorme drago dalle scaglie iridescenti di un azzurro argenteo, e occhi color turchese li stavano fissando con intensità tale da farli tremare e da tenerli entrambi desti. Proprio quando sia Surth sia Bezrar erano sul punto di svenire ancora, dalle grandi fauci scaturì una voce sibilante, simile a un tuono.

«Aprite quei lucernari, in modo che noi si possa vedere chi c’è dentro e sentire cosa succede. Non desidero provocare tutti i Maghi della Guerra e quant’altri maghi si trovino a Marsember facendo a pezzi alcuni edifici scelti a casaccio e massacrando della gente inutilmente.»

«M… m… ma», balbettò Bezrar.

«Tuttavia», aggiunse Joysil, «posso fare qualche eccezione in fatto di uccisioni, se mi provocate. Sì, questo è il tetto del Palazzo Thundaerlyn… e sì, io sono un drago, proprio come tu sei Aumun Tholant Bezrar e tu sei Malakar Surth. Aprite quei lucernari!»

I due contrabbandieri balzarono sul tetto con rapidità frenetica e presero ad armeggiare con chiavistelli che non erano stati ingrassati o mossi per decenni… decenni di nebbia, di uccelli incontinenti e di volatili stanziali che… che…

«Oh, dei!» sibilò Surth, con le dita scosse da un tremito impotente. «Non riusciremo mai…»

Bezrar, che ansimava come un tricheco e versava sudore a fiumi, estrasse il coltello e ne calò con decisione l’impugnatura sul pannello di vetro sporco che aveva davanti.

Dall’interno giunse un grido e una ruggente vampata di fuoco esplose attraverso il lucernario infranto. In alto, un drago eseguì una brusca virata, protese il collo e alitò qualcosa per tutta risposta.

Con una sorta di lamento terrorizzato, Bezrar si gettò all’indietro. Adesso una quantità di incantesimi stavano esplodendo dai lucernari per riversarsi sul tetto, le schegge di vetro volavano in ogni direzione e i draghi stavano scendendo in picchiata per seminare morte a loro volta.

Sì, era un momento indicatissimo per svenire, cosa che Bezrar e Surth si affrettarono a fare all’unisono.

* * *

Caladnei e Laspeera si limitarono a mantenere gli scintillanti incantesimi di schermatura che avvolgevano Alusair e Filfaeril, mentre tutte insieme si precipitavano verso l’estremità orientale della sala… cosa che salvò loro la vita quando dozzine di Maghi Rossi svanirono in un’ondata di fuoco di drago.

Nel centro della vasta sala, le piastrelle stesse del pavimento esplosero, sussultarono e si fusero sotto la furia della magia dei draghi, poi il tetto cominciò a crollare in una pioggia di macerie.

I due Maghi della Guerra di grado più elevato barcollarono e gemettero per il dolore, serrandosi la testa fra le mani, quando i loro schermi furono fatti a pezzi. Da qualche parte, in quel caos, le due Obarskyr erano ora abbandonate a loro stesse…

Numerose porte si aprirono con violenza nell’oscurità, lungo tutto il perimetro della sala, quando Rhauligan e gli altri Sommi Cavalieri decisero che con i Maghi della Guerra che urlavano, svenivano e bruciavano come torce tutt’intorno a loro era forse già troppo tardi per intervenire e salvare le due dame reali.

I Maghi Rossi che Starangh era riuscito a radunare erano i Thayani più giovani e ambiziosi che ci fossero stati a disposizione in Sembia, e oltre a non fidarsi gli uni degli altri, non avevano molta esperienza nel coordinare le loro mosse in uno scontro magico… quindi nella divampante confusione di draghi in picchiata e di uomini che correvano da tutte le parti armati di spada, essi cominciarono ben presto a seminare morte contro chiunque entrasse nel loro campo visivo, inclusi i compagni.

Al sicuro su un’alta balconata, Harnrim Incantesimi Oscuri guardò con incredulità i Maghi della Guerra e i suoi connazionali thayani scagliare sedie, incantesimi e coltelli gli uni contro gli altri con furia cieca. La situazione si stava trasformando rapidamente in un disastro, e lui doveva…

Qualcosa lo indusse ad abbassarsi e a girarsi, con il risultato che l’affondo di Rhauligan andò a vuoto e la punta della sua spada passò senza danno accanto a un braccio del Mago Rosso. Con un’imprecazione, Starangh si teleportò altrove, lasciando il Sommo Cavaliere a fendere l’aria con la spada e a imprecare a sua volta.

In basso, i nobili terrorizzati stavano passando a fil di spada chiunque si trovavano davanti nella loro fretta di sfuggire a quella che, giustamente, vedevano come una trappola di morte, e il clangore dell’acciaio echeggiava assordante per tutta la sala.

Voltandosi di scatto, Rhauligan si precipitò verso le scale più vicine. Doveva raggiungere Alusair e Filfaeril e tenerle al sicuro, qualsiasi cosa fosse successa.

* * *

«Abbassati, madre!» ringhiò Alusair, calando con violenza la spada su un uomo che si trovava al suolo e calpestandogli la gola. «Quell’abito non fermerebbe il coltello di un bambino, e io non posso essere costretta a difenderti e a preoccuparmi per te! Troppi di questi cani stanno riuscendo a fuggire!»

«Guardati… unnnh!… guardati alle spalle, cara!» gridò Filfaeril, allargando l’ampia gonna in modo da passarla sulla testa di un uomo nel passargli accanto, facendogli perdere l’equilibrio. L’uomo cadde a terra, agitando a vuoto la spada, e prontamente Filfaeril gli piombò in ginocchio sul petto, conficcando la propria daga adorna di gemme in un volto che non era in grado di vedere. «Io sono il passato di Cormyr, figlia, mentre tu sei il suo futuro!»

«Sì, ma per quanto tempo?» rise amaramente Alusair, mentre due spade si protendevano verso di lei.

* * *

«Cala, dobbiamo tornare da Luse e da Fee», ansimò Laspeera. «Verranno massacrate

«Se non scacciamo questi draghi finiremo tutti fritti, schiacciati e sepolti prima del sesto tocco di campana», ringhiò di rimando la Maga Reale di Cormyr.

«Se ne stanno andando!» sussultò Laspeera, indicando. «Guarda! Stanno volando via!»

* * *

«BASTA COSÌ!» ruggì Joysil, con voce che fece tremare ogni guglia di Marsember. «Non possiamo fare altro senza distruggere ogni umano che si trova là sotto! Venite… al rifugio!»

«Dal vincolatore di draghi!» tuonarono in coro gli altri draghi, e con un battere d’ali si allontanarono nel cielo.

* * *

«Gli schermi!» gridò Caladnei, aggrappandosi a Laspeera. «Cerca di rinnovarli! Dobbiamo innalzarli di nuovo intorno a loro!»

Laspeera si guardò intorno con impotenza nell’oscura confusione della sala, emise un verso di esasperazione e riversò su quel caos un intenso incantesimo di luce.

Dovunque, capannelli di uomini erano impegnati a combattere e dappertutto c’erano corpi che giacevano in mezzo al sangue, e Maghi della Guerra che correvano su per le scale e lungo le balconate urlando e agitando i coltelli.

«Là!» esclamò, indicando il punto in cui aveva visto i familiari capelli di Alusair agitarsi per un momento in mezzo a uno scintillare di lame che cozzavano fra loro.

Fianco a fianco, le due maghe operarono un incantesimo, poi si accasciarono con un gemito.

«Ho attivato una protezione contro il ferro intorno a loro», annaspò Caladnei. «Sta arrivando Rhauligan… lo vedi?… e lui dovrebbe essere in grado… di eliminare uomini che possono soltanto… tirare pugni, cavare occhi e strangolare.»

«Aspetta, cos’è quello?» scattò Laspeera. Nel punto in cui avevano attivato lo schermo, infatti, qualcosa aveva emesso un bagliore, simile a una stella che avesse brillato per un momento.

«La gemma di teletrasporto di Fee», sorrise Caladnei. «Ha riportato entrambe al palazzo. Trova un portale e andiamo là anche noi, prima che Luse cerchi di tornare qui con tutti i Dragoni Purpurei che riesce a radunare.»

* * *

«Cos’è stato, madre?»

«La mia gemma di teletrasporto», annaspò Filfaeril. «Questo idiota di un Dracohorn l’ha colpita con la spada, prima che io… prima che…»

«Madre!» gridò Alusair, in tono allarmato, girandosi di scatto verso la regina.

Filfaeril, che si stava serrando un fianco ed era seduta a ridosso di un mucchio di cadaveri, riuscì a sfoggiare un accenno di sorriso.

«Prima che gli piantassi il coltello in un occhio», concluse, con una nota di trionfo nella voce, poi agitò una mano in un gesto rassicurante, e aggiunse: «Non ti preoccupare, non sono ferita, sono solo senza fiato… o almeno credo».

La vibrazione di un incantesimo di schermatura… o almeno Alusair si augurò che fosse un incantesimo di schermatura… si levò intorno a loro, e lei prese a farsi largo fra morti e moribondi per raggiungere sua madre.

Era ancora a due passi quando la balconata sovrastante, in fiamme per via di un incantesimo, si staccò e rovinò loro addosso.

* * *

«Hah!» esclamò in tono di trionfo Darndreth Goldsword, quando qualcosa cedette e la porta si aprì. «Fuori, ragazzi! Fuori!»

Una dozzina circa di nobili della Cospirazione Legittima si precipitò all’unisono all’esterno, il fiato corto per la paura e la stanchezza. Era andato tutto storto… maghi ovunque, e perfino dei draghi, per gli dei!… e più uomini armati di quanti loro fossero riusciti a radunarne. E per di più, le porte erano state sigillate con la magia!

Quella era stata la sola che erano riusciti ad aprire, e adesso avrebbero dovuto fuggire in fretta e lontano, prima che gli Obarskyr scatenassero i mastini del regno sulle loro…

Darndreth indietreggiò con un grido d’allarme, quasi infilzandosi su una mezza dozzina di spade.

«Chi…?»

«Nessuno d’importante», rispose con calma la donna che si trovava all’esterno, gli occhi grandi e scuri al chiarore della daga e della spada-frusta che teneva in pugno. «Soltanto qualcuno che si stava annoiando a Candlekeep e che ha usato una pietra per evocare immagini per vedere cosa stesse succedendo a Marsember… non che abbia scoperto qualcosa di sorprendente.»

«Fatti indietro!» ingiunse un nobile.

«Fatti da parte o ti uccideremo!» aggiunse il più giovane dei Goldsword, in tono ringhiante.

La dama spinse di lato la sua spada con la propria, e quel contatto intorpidì il braccio del nobile, come se avesse toccato un fulmine.

«Ci potete provare», commentò in tono cordiale.

«Chi sei?»

«Lady Nouméa Cardellith di Sembia», rispose lei, mentre parava un furioso attacco. «Restate dentro, traditori, e affrontate la giustizia!»

«Giustizia! Non sei neppure di Cormyr!» ansimò furiosamente un nobile, cercando di oltrepassare Darndreth con la spada per trafiggere la donna.

«Non importa. Ogni volta che è possibile, sono dalla parte della pace e dell’onestà… massacrare i membri di un casato regnante getta sempre una nazione nella guerra, nella sofferenza e nell’illegalità, e i mostri e le cabale oscure si fanno subito avanti per approfittarne… avete dimenticato così in fretta cosa è successo in Tethyr?»

«Hah! Non puoi tenere testa a tutti noi… tu, una donna sola!»

«Non ne ho bisogno», ansimò Nouméa, mentre una spada spingeva da parte la sua e altre due la trafiggevano. «Devo soltanto trattenervi finché…»

Glarasteer Rhauligan investì il capannello di nobili alle spalle come una tempesta letale, accompagnato da altri quattro Sommi Cavalieri… e soltanto cinque di quei cospiratori ebbero il tempo di cominciare a supplicare, anche se i loro frenetici tentativi di fare accordi non ricevettero risposta.

* * *

Gentilmente, Vangerdahast allargò le braccia di Myrmeen e la costrinse a spostarsi.

«Signora», disse, «il nostro tempo insieme è finito. Stanno arrivando».

Nel parlare, accennò all’ampia distesa di terreno ora sgombro, dove Joysil aveva abbattuto così tanti alberi, e la Signora di Arabel si trovò a sollevare lo sguardo verso un cielo pieno di draghi.

Il drago del canto scese in picchiata con un agitarsi di ali e venne ad atterrare davanti alla finestra infranta, gli altri draghi che volavano in cerchio sopra di lei.

«Mago», affermò Joysil, «siamo scesi in guerra… e abbiamo posto fine alla minaccia che i Maghi Rossi e i nobili traditori costituivano per Cormyr».

«In cambio», replicò l’ex-Mago Reale, una rete di fuochi verde e argento che diventava visibile per un istante, inducendo più di un drago a ritrarsi con un sibilo, «guarda dentro di me e verifica la verità delle mie parole: ho legato gli incantesimi per vincolare i draghi alla mia vita. Se perirò, essi scompariranno con me».

«E allora?»

«Allora sono pronto», ribatté Vangerdahast, in tono rude, servendosi di una sedia per salire sul piano di lavoro della cucina, da dove uscì su quello che fino a poco tempo prima era stato il suo giardino, circondato da una gradevole radura. «Puoi anche uccidermi.»

Dietro di lui, Myrmeen serrò lo schienale di una sedia con tanta forza da far scricchiolare il legno, e lacrime silenziose le solcarono il volto mentre guardava Vangerdahast andare incontro alla morte.

Un drago dalle scaglie color ametista scese in picchiata, le fauci aperte per alitare il proprio gas incandescente su quel singolo uomo, ma Joysil protese un’ala a proteggere l’ex-Mago Reale.

«Fermati!» gridò.

Vangerdahast rimase assolutamente immobile sotto l’ala immensa, mentre i draghi scendevano a terra uno dopo l’altro, formando un grande cerchio intorno a Joysil.

«Abbiamo combattuto bene insieme», affermò lei, con voce che era un tuono gentile, «ma quest’umano ha posto fine alla minaccia che volevano distruggere, e non c’è bisogno che muoia. Vi offro il mio tesoro, da dividere fra voi, se adesso vi disperderete e non tornerete mai più a far del male a Vangerdahast».

Già una volta, in passato, Myrmeen aveva sentito il rombo prodotto da un drago che stava riflettendo, ma lo stesso suono generato da una dozzina di gole possenti fece addirittura tremare il campo. Alla fine, Aegyl Dreadclaw annuì lentamente.

«Il combattimento è stato… soddisfacente», ringhiò. «Sì, sono contento.»

Questo indusse gli altri ad annuire a loro volta, tutti in rapida successione.

«Cercate la guglia della fortezza in rovina in cima al Picco dell’Artiglio e infrangetela», disse a tutti loro il drago del canto. «All’interno, c’è una caverna piena di gemme parlanti.»

«Gemme parlanti!» ripeterono con entusiasmo numerosi draghi… poi si affrettarono tutti a levarsi in volo.

«Cosa sono le gemme parlanti?» chiese Vangerdahast, osservando gli altri draghi che rimpicciolivano fino a diventare minuscoli punti neri fra le nubi lontane.

«Oggetti magici, mago», sbuffò Joysil, «ma nulla con cui tu dovresti armeggiare. Ne ho ricevute circa quattromila dalla Chiesa di Shar, anni fa… quando vedevo il mondo in maniera alquanto differente». Gli occhi turchesi fissarono il mago per un momento ancora, prima che lei aggiungesse: «Cos’è che mi vuoi chiedere, realmente?».

«La mia vita», sospirò Vangerdahast. «Perché l’hai risparmiata?»

«Sono andata a conferire con il drago più vecchio e saggio della mia razza, che mi ha accompagnata da qualcuno che tu conosci fin troppo bene: Elminster di Shadowdale. Lui ha suggerito una soluzione.»

«Avrei dovuto saperlo», sospirò a sua volta Vangerdahast. «E di cosa si tratta?»

Notando qualcosa con la coda dell’occhio, Myrmeen lanciò un grido d’allarme e si girò di scatto, allungando la mano verso la spada… che le venne cortesemente porta dal Vecchio Mago in persona, che si stava alzando dalla poltrona preferita di Vangerdahast, vuota fino a un attimo prima.

«Vecchio amico», disse Elminster, rivolto all’ex-Mago Reale, oltrepassando Myrmeen, «perché non usi i tuoi incantesimi per vincolare te stesso come custode del regno? Diventa un drago. Noi Prescelti possiamo aiutarti a tal fine con incantesimi in grado di trasformarti, di prolungare la tua vita e di potenziare le tue forze».

«Un solo drago a difendere il regno?» obiettò Vangerdahast, accigliandosi. «Neppure il Drago Diabolico ha potuto tenere testa a…»

«No, non uno», lo interruppe Joysil. «Ho cercato a lungo uno scopo per continuare a vivere, e credo di averlo trovato. Sono disposta a unirmi a te nella stasi, come tua consorte.»

Vangerdahast la fissò a bocca aperta, poi si girò con estrema lentezza a guardare la donna in lacrime che si trovava nella cucina distrutta del suo rifugio.

«No», sussurrò Myrmeen, pallida in volto. «No, non posso rinunciare alla mia natura umana. Io… io… Vangey, perdonami!»

«Non c’è nulla da perdonare, ragazza», replicarono all’unisono i due vecchi maghi, poi s’interruppero scambiandosi un sorriso carico di disagio.

Accecata dalle lacrime, Myrmeen cercò a tentoni il braccio di Elminster, e quando lui gliel’offrì si aggrappò a esso, ergendosi a fatica sulla persona e lottando per controllare il pianto.

«Tuttavia», riuscì infine a dire, fra i singhiozzi, «sarei estremamente felice e orgogliosa di generare e allevare il tuo erede, Lord Vangerdahast, perché venga addestrato come mago, fedele a Cormyr».

«Per il sorriso di Mystra, sei più svelto di me, Vangey», commentò Elminster, inarcando un sopracciglio.

Dall’altra parte della distesa di erba calpestata, Vangerdahast rispose con un gesto rude quanto antico.

* * *

Una figura malconcia e coperta di sangue si sollevò da un mucchio di cadaveri, in mezzo alle rovine devastate del Palazzo Thundaeryl, spinse da parte alcune schegge della balconata, carbonizzate e ancora fumanti, e avanzò zoppicando sul pavimento cosparso di macerie, una spada piegata e scheggiata stretta in pugno.

«Madre?» chiamò.

Un’altra figura emerse con fare tranquillo da un secondo cumulo di cadaveri, non molto lontano.

«Non sono ancora morta», replicò la Regina Madre, con un debole sorriso, usando il bordo della veste adorna di gemme per pulire dal sangue la spada di cui si era munita, poi squadrò Alusair con occhio critico, e aggiunse: «Il che è più di quanto possa dire di te. Ti è sempre piaciuto sporcarti da testa a piedi, vero?».

«Infatti, e mi piace ancora», ribatté Alusair, scoppiando a ridere nell’abbracciare sua madre.

Dragoni Purpurei, Sommi Cavalieri e Maghi della Guerra le stavano osservando a distanza, con discrezione, esitando a venire avanti.

«Vieni», rise Filfaeril, rivolta alla figlia, «troviamo il portale che ci riporti a Suzail, se no dovremo trascorrere il resto della notte a dare risposte!».

* * *

«Avanti, ragazza, hai bisogno di mangiare», disse Elminster a Myrmeen. «Non ci sarà nulla da vedere per alcuni giorni, fino a quando tutti i nostri incantesimi non saranno stati completati.»

E si volse per accompagnare la stanca e abbattuta Signora di Arabel fino a una sedia… ma si bloccò a metà del gesto quando la voce tonante di Joysil echeggiò alle sue spalle.

«Mago, ho saputo delle tue recenti difficoltà con una certa ragazza di Waterdeep… dov’è lei, in questo momento?»

Qualcosa, nel tono cupo della voce del drago, indusse Elminster a girarsi di scatto e ad abbandonare la presa sul braccio di Myrmeen, allontanandosi in fretta da lei.

«Ah», ribatté, con un sorriso, «conosci quel detto sul fatto che i maghi non rivelano mai i loro segreti?».

«Lo conosco quasi bene quanto quello riguardo a quanto possono essere saporiti i maghi», ringhiò il drago. «Modificherò la mia domanda, trasformandola in due, più brevi: sai dove si trova, ed è sana e salva?»

«So dov’è e spero che sia sana e salva. Tutto questo interesse deriva da…?»

«Mago, i draghi mangiano i loro segreti, Lasciami procedere alla mia maniera. C’è un’altra cosa che deve essere detta. Noi due ci conosciamo meglio di quanto tu sappia.»

«Eh?» esclamò Elminster, allargando le dita per mettere in vista gli anelli presenti su di esse… nei quali si stava destando un bagliore di magia. «C’è fra noi un vecchio conto in sospeso? Ti devo forse una qualche porzione dei miei tesori? Oppure sei a caccia della mia pelle?»

«Un tempo, ciascuno dei due ha cercato quella dell’altra, Elminster di Shadowdale… spesso e con ardore.»

«Che nome e che forma usavi a quell’epoca?» chiese il Vecchio Mago, socchiudendo gli occhi.

«Per alcuni anni, sono stata la maga e gioielliera Maerjanthra Shalace di Waterdeep.»

Elminster riuscì a esibire un pallido sorriso nel rivolgere al drago un profondo inchino.

«Bene, bene… ahem… ti chiedo scusa per non averti riconosciuta, Joysil. Dunque sei la madre di Narnra! Ecco», si affrettò a continuare, scuotendo il capo, «io credo che glielo dirò soltanto fra parecchio tempo, quando sarà pronta a ricevere una notizia del genere».

«Una saggia scelta», commentò Joysil, in tono asciutto.

Elminster lanciò un’occhiata in direzione di Myrmeen che, pur continuando a piangere, gli segnalò di allontanarsi pure nel sistemarsi su una sedia… no, non gli stava dicendo soltanto che poteva allontanarsi, lo stava invitando ad avvicinarsi al drago.

Il Vecchio Mago sollevò lo sguardo e deglutì a fatica.

«Quali… ahem… cosa provi per me, adesso, signora?» chiese.

«Joysil, chiamami Joysil.»

La grande testa del drago si abbassò, quegli occhi roventi parvero trapassarlo, poi le fauci… sorrisero lentamente.

«Devo confessare di essere… compiaciuta… di vederti tanto sconcertato. Stai imparando, El… stai finalmente imparando a dubitare. Gli arcimaghi che sanno esattamente come governare il mondo mi spaventano, e tu eri uno dei peggiori. Un letto una notte, un altro quella successiva, senza pensare alle rovine che ti lasciavi alle spalle o a cosa io abbia patito per liberarmi da Shar. Troppi regni da conquistare, lich da distruggere, altri maghi da umiliare… tutte stelle ai tuoi occhi, nella tua fretta di salvare Faerûn. E tuttavia io… ti amo ancora.»

«Tu…»

«Ti ho amato allora per lo stesso motivo per cui lo faccio anche ora, Vecchio Mago: per la tua tenerezza, la tua gentilezza, la tua comprensione. Non perdere mai queste doti, El, altrimenti potrei destarmi, lasciare Cormyr indifesa e venire a cercarti», replicò Joysil, levandosi in volo.

«Io… m’importa ancora di te, Maer… Joysil», si affrettò a replicare Elminster, venendo avanti.

«Lo so, El, lo so. Quindi provvedi di restare in vita negli anni a venire, tieni a bada quella tua follia, sii felice con la Regina di Aglarond… e abbi cura della nostra Narnra… senza soffocarla!»

«Io… certamente. La sua sicurezza sarà…»

«Il piacere che dovrai sopportare adesso», concluse per lui Joysil, con voce arida quanto il deserto, «in cambio di quello che abbiamo condiviso un tempo».

Il drago sbatté una volta le ali e volò in cerchio sopra il Vecchio Mago, a quota così bassa da strappare a Myrmeen un grido d’allarme.

«Addio, El», sussurrò. «Ti amo davvero.»

E si allontano, scintillante di un azzurro argenteo sullo sfondo del sole che stava tramontando.

Elminster si lasciò cadere in ginocchio, usando un incantesimo per proiettare fino a lei il proprio pensiero:

Ti amo, Joysil, e amo la nostra Narnra. Fidati di me.

Fidarmi, giunse la risposta, con una sfumatura di divertimento. Ma certo.

Per qualche tempo ancora Elminster rimase in ginocchio, fissando il tratto di cielo in cui era scomparsa Joysil.

«Bene», commentò infine, rialzandosi con un sussulto doloroso e portandosi una mano a un fianco irrigidito; nel muoversi, evitò di guardare verso la Signora di Arabel, che lo stava invece osservando in silenzio.

«Bene, bene», borbottò ancora Elminster, parecchie volte, nell’esaminare il contenuto delle dispensa, poi tirò fuori alcune pentole e raccolse l’esca per accendere il fuoco.

«Non si è preso molta cura di questo posto», commentò una voce familiare, proveniente da una certa distanza.

«Laspeera!» esclamò Myrmeen, sollevando la testa di scatto.

«Ecco, conosci Vangey», convenne in tono asciutto un’altra voce, poi Caladnei precedette altre tre donne dall’aria alquanto malconcia lungo un passaggio cosparso di macerie e nella cucina. «Aha», aggiunse, nel vedere Elminster che si raddrizzava dopo aver acceso il fuoco. «Vedo che ha avuto un aiuto nel seminare distruzione. Avrei dovuto immaginarlo.»

«Cosa è successo, Mreen?» chiese in tono tagliente la Principessa Ereditaria. «Adesso il regno è in guerra contro Elminster di Shadowdale?»

La Regina Madre Filfaeril era al suo fianco, ed entrambe erano sporche di sangue e davano l’impressione di aver partecipato a una battaglia.

«No», rispose con voce tremula Myrmeen, scuotendo il capo, mente altre lacrime le affioravano negli occhi, «ma non so con esattezza da dove cominciare per dirvi…».

«Cosa è successo a Marsember?» domandò una nuova voce, alle spalle delle due Maghe della Guerra di rango più elevato, inducendole a voltarsi di scatto. «Sto forse tenendo in braccio l’ultimo degli Obarskyr?»

Il bagliore di un incantesimo stava svanendo intorno alle caviglie di Storm Silverhand, che teneva fra le braccia il piccolo Azoun ed era affiancata dal saggio Alaphondar, da Florin Falconhand, che aveva in pugno due spade sguainate… e da Narnra, armata delle sue daghe.

Naturalmente, tutti cominciarono a parlare contemporaneamente.

* * *

Storm, Florin e, sorprendentemente, Alaphondar e Filfaeril si dedicarono tutti alla cucina, e il banchetto che ne derivò risultò delizioso. Molto tempo dopo… la magia essendo uno strumento di un’utilità meravigliosa… la cucina devastata era diventata un paradiso di calore illuminato dalla morbida luce del fuoco, nel quale tutti sedevano a loro agio, con i piedi appoggiati a qualcosa e un bicchiere in mano… tutti tranne il Re di Cormyr, che stava dormendo.

Per Narnra Shalace, quella era la prima volta da anni in cui potesse dire di essere veramente felice.

«Scusami, ma sento sulle tue labbra il più aspro gergo di Waterdeep», osservò a un certo punto Myrmeen, che sedeva al tavolo di fronte a lei. «Cosa ti ha portata in Cormyr?»

«Stavo rubando e ho seguito un uomo che non mi era riuscito di derubare e che mi aveva incuriosita», sorrise Narnra, accennando con la testa alla parte opposta della stanza, dove un mago dalla barba bianca si stava servendo di un incantesimo per far dondolare delicatamente una culla evocata per Azoun Obarskyr, canticchiando al tempo stesso una melodia senza nome mentre massaggiava i piedi a Storm Silverhand, strappandole qualche mugolio di sollievo. «Elminster di Shadowdale», continuò, «che è poi risultato essere mio padre».

«Elminster? Tuo padre?» esclamò Myrmeen.

«Sì, il che spiega per quale motivo io sia una delle due, o forse tre donne di tutta Waterdeep che non possiedono una bellezza tale da togliere il fiato», confermò Narnra.

«Per fortuna gli dei non ti hanno dato un naso aquilino quanto il suo, o la sua barba», ridacchiò Myrmeen. «Ricordo che quando ero giovane essere molto bella era più seccante che divertente… dato che non ero una piccola cagna di una nobildonna sprezzante e senza cervello e che non intendevo consumare i miei giorni sposando un nobile e portando tutti gli altri nel mio letto dopo qualche festa.»

Narnra annuì, trasse un profondo respiro e si girò verso Caladnei.

«Adesso che sai tutto quello che c’è da sapere sul mio conto, mi vuoi ancora al tuo servizio? O preferisci uccidermi?» chiese.

«È ovvio che ti voglio ancora», replicò con calore Caladnei, poi si volse verso Lady Laspeera e aggiunse: «Quanto al perché, è meglio che sia tu a spiegarglielo, Speera».

«Narnra», affermò con gentilezza Laspeera, annuendo, «anch’io sono figlia di Elminster. Benvenuta, sorella. Sì, è vero, lo sono… e ce ne sono molte altre».

«Io, per esempio», affermò con calma la Regina Filfaeril, lasciando a bocca aperta tutto i Cormyriani presenti nella stanza, «anche se sia io che lui ne siamo stati all’oscuro per alcuni anni».

«Per gli dei», commentò Myrmeen, lanciando un’occhiata al mago barbuto seduto accanto alla culla, «ti sei proprio dato da fare, vero?».

Загрузка...