10. Complotti rosso sangue, come i rubini

Guardati da tutti i complotti, o re, perché simili bestie hanno la tendenza a spargere sangue sui pavimenti di questo regno come se venissero rovesciati sacchi di rubini.


Il personaggio di Malarvalo il Menestrello

nella Quarta Scena della commedia Daghe in tutti i suoi abiti

di Nesper Droun di Ordulin

rappresentata per la prima volta nell’Anno della Mazza Ferrata

Rhauligan era appena uscito dalla torretta che Narnra si gettò un’occhiata alle spalle e si accorse di lui.

Scoccandogli un’occhiata rovente, la ragazza proseguì la corsa di alcuni passi, si fermò e sbirciò verso sinistra, dove le balconate e le torrette sporgenti di Haelithorntowers erano più vicine al muro di recinzione… poi spiccò una breve corsa e si lanciò fra i rami carichi di foglie dei grandi alberi che decoravano i giardini della dimora, in un salto azzardato che…

Che le permise di andare ad aggrapparsi sana e salva alla testa di una gargoyle in posa di riflessione, con il mento appoggiato a una mano, che sorreggeva un angolo di un balcone.

Rhauligan si augurò che si trattasse di un’effettiva scultura, e non di uno di quei mostri simili a pietra che scattavano poi di colpo per mordere e artigliare… cosa che sarebbe probabilmente successa dopo che la ragazza si fosse allontanata e non appena lui avesse provato ad atterrare in quello stesso punto.

Tenendo lo sguardo fisso su Narnra per accertarsi che non si lasciasse trappole alle spalle, Rhauligan si avviò di corsa lungo il muro, alla ricerca del posto più adatto per saltare a sua volta.

Caladnei e Narnra, pensò con un sospiro, sto tenendo il conto di cosa mi dovete, e se gli dei mi concederanno più fortuna di quanta ne abbiano elargita a qualsiasi uomo del regno nell’arco dell’ultimo secolo, forse potrò vivere abbastanza a lungo da farmelo saldare.

Poi prese una rincorsa di’ due passi, con il vento in faccia, e si proiettò nel vuoto. La balconata si trovava più in basso rispetto alla sommità del muro quanto bastava per permettergli di vedere attraverso le finestre che si aprivano su di essa e di avere la certezza che al di là dei vetri non ci fosse nessuno che si muoveva. Rhauligan sapeva di aver calibrato con cura la rincorsa, e adesso doveva soltanto sperare di aver preso bene le misure…

Atterrò con violenza, intorpidendosi i gomiti per l’impatto contro la vecchia gargoyle coperta di licheni e rimanendo quasi senza fiato, ma il primo impeto di forza rabbiosa gli permise di risalire la statua e di scavalcare sano e salvo l’intricata ringhiera di pietra intagliata, venendosi a trovare su un balcone che era troppo cosparso di sterco di uccello per poter appartenere a una casa dotata di un’attenta servitù. Impiegando appena un istante a piantare saldamente i piedi sul balcone, l’Arpista guardò verso l’alto: le lunghe gambe e lo snello posteriore di Narnra Shalace stavano scomparendo attraverso una finestra aperta, molto più in alto.

Proprio nel momento in cui Rhauligan si sporgeva verso l’esterno per cercarla, lei sgusciò oltre il davanzale, gli scoccò una rapidissima occhiata e richiuse i vetri alle proprie spalle. Attraverso i pannelli color ambra sporchi di escrementi di uccello, l’Arpista la vide girare la maniglia in modo da bloccare saldamente la finestra.

Adesso Rhauligan poteva scegliere se scalare il muro esterno… pur essendo di gran lunga più forte di Narnra era anche molto più pesante… per forzare la finestra per entrare, oppure rimanere là su quel comodo balcone e fare lo stesso con una delle sue porte-finestre.

Per abitudine, si accoccolò in modo da potersi nascondere alla vista e si girò per spingere lo sguardo oltre la ringhiera del balcone. Le gargoyle di pietra continuavano a essere tali e non si scorgeva traccia di guardie o di chiunque altro nel sottostante giardino avvolto nell’ombra e nella nebbia.

Sempre accoccolato, l’Arpista tornò a voltarsi verso la porta: nulla si muoveva nella stanza al di là di essa, buia e all’apparenza ingombra da una quantità di grossi oggetti coperti da drappi… mobili protetti da teli. Socchiudendo gli occhi, Rhauligan si soffermò a riflettere. Senza dubbio Lady Ambrur era ancora a Marsember, o almeno vi si era trovata il mattino precedente, quindi quell’aria di disuso non poteva derivare dalla consuetudine dei nobili di chiudere una casa per recarsi in un’altra… senza contare che, secondo le attuali informazioni in possesso degli Arpisti, non risultava che Lady Joysil Ambrur possedesse qualsiasi altra casa. Naturalmente, era possibile che fosse stata invitata per qualche tempo in un capanno di caccia sembiano o presso qualche castello di campagna cormyriano, però…

Forse aveva semplicemente ritenuto che quella casa fosse troppo vasta per le sue necessità abituali e aveva utilizzato quella parte per riporvi il mobilio che le piaceva di meno. Sì, probabilmente si trattava di questo.

La porta aveva un chiavistello semplicissimo da forzare ma era dotata anche di una sbarra interna e di due chiavistelli che penetravano nel pavimento, quindi Rhauligan sganciò e sfilò il tacco di uno stivale, che risultò essere l’impugnatura di un cesello affilato come un rasoio.

Un momento più tardi, l’Arpista procedette a rimuovere il primo pannello di legno, tagliandolo lungo i contorni per poi infilare una mano all’interno e sollevare il primo chiavistello infilato nel pavimento, il tutto con la consapevolezza di dover fare in fretta, perché altrimenti Narnra avrebbe avuto il tempo di scendere dei tre livelli che separavano la finestra da cui era entrata dalla balconata e di portarsi più in basso rispetto a lui… costringendolo così a cercarla per tutta quella dannata dimora affollata di servitù. Sì, il debito stava crescendo…

Per abitudine, stava intanto continuando a lanciarsi occhiate alle spalle per accertarsi che sul muro, o in volo nelle vicinanze… cosa plausibile perché alcuni di quei nobili erano soliti sponsorizzare o addirittura ospitare apprendisti maghi, per garantirsi la protezione dai ladri derivante dalla presenza di simili guardiani… non ci fosse nessuno che potesse vederlo e dare l’allarme, o addirittura decidere di usare la balestra per fare un po’ di tiro al bersaglio ai danni di un intruso Arpista.

Rhauligan riuscì peraltro ad aprire la porta senza che si fosse prospettato nessun pericolo del genere. Una volta sollevati i due chiavistelli, infatti, gli fu possibile spingere i battenti quanto bastava per infilare in mezzo a essi il suo piede di porco e sollevare la sbarra orizzontale, sfilandola dai sostegni.

L’Arpista riuscì a spalancare la porta abbastanza in fretta da intercettare al volo la sbarra che cadeva prima che potesse colpire rumorosamente il pavimento… un elegante insieme di lastre di marmo e di pietra smeralda che si alternavano formando un disegno a diamante… mandandola invece a sbattere contro il pezzo di mobilio più vicino, la cui copertura di stoffa attutì notevolmente il suono dell’impatto.

L’Arpista provvide a rimettere a posto la sbarra, ripose il piede di porco e avanzò con cautela nella stanza buia e silenziosa, disturbando un topo che sbucò da sotto un mobile coperto per scomparire subito sotto un altro. A parte il topo, comunque, nella stanza non si muoveva nulla… tranne la polvere, e poiché sapeva che stava lasciando su di essa una tenue pista, Rhauligan trovò a tentoni l’estremità ammucchiata di un telo troppo largo e la usò per pulirsi gli stivali.

La stanza era ampia e si apriva sulla camera successiva della dimora mediante un arco coperto da un arazzo invece che tramite una porta. Rhauligan si arrestò ad ascoltare vicino a quella parete di stoffa e, non sentendo nulla, si avvicinò a una sua estremità invece di smuovere tutto l’arazzo cercandone l’apertura centrale.

Quando fece capolino al di là di esso, si trovò a guardare verso un’ampia scala polverosa che un pianerottolo dotato di ringhiera collegava a quella camera e ad altre, nascoste dal muro che formava la tromba della scala.

«Non c’è niente», affermò d’un tratto una voce. «Qualcosa ha disturbato le colombe, questo è certo… forze un gorcraw… ma su nessuna di esse c’era un messaggio. Le ho controllate dalla prima all’ultima.»

Rhauligan si ritrasse affrettatamente un paio di secondi prima che una serva dall’aria annoiata e dal seno tanto prosperoso da sembrare un grosso sacco di patate scendesse la scala con passo pesante, attraversando il pianerottolo.

«Bene, allora è tutto a posto», replicò un’altra voce, più tagliente, che pareva provenire da un punto indefinito posto sotto gli stivali di Rhauligan, presumibilmente il pianerottolo sottostante. «Purché non ci sia sfuggito qualcosa che poi faccia andare la signora su tutte le furie…»

«Già», convenne la donna prosperosa, avviandosi giù per la successiva rampa di scale e uscendo dal campo visivo di Rhauligan. «Non si può trattare di ladri, a meno che sappiano vo…» Di colpo, la donna s’immobilizzò e aggiunse, in un tono di voce diverso: «Un momento! Ecco cosa è stato… la finestra era chiusa! Chiusa e sprangata! Probabilmente, uno di quegli uccelli è arrivato in volo con l’intento di entrare ed è andato a sbattere contro il vetro! Manda giù Norn a controllare se lo trova giù nei giardini e procura delle lanterne… e anche degli attizzatoi… per tutte e due. Non intendo tornare lassù da sola!».

«D’accordo», assentì Voce Tagliente, in tono reso sempre più fioco dal fatto che stava scendendo le scale, «ma che sorta di ladro si chiude una finestra alle spalle?».

«Un ladro idiota!» ribatté Seno Prosperoso, inducendo quasi Rhauligan a scoppiare in una risata.

Quanto a questo, hai ragione, buona donna, hai proprio ragione, pensò l’Arpista. Il guaio è che io le sono stato assegnato come tutore…

No, questo non era giusto. I soli errori commessi dalla Waterdhaviana erano stati seguire un mago alla cieca finendo per arrivare fin lì… e sfuggire alla metà dei Maghi della Guerra e degli Arpisti del regno.

E adesso se ne ritrovava alle calcagna uno soltanto, giusto? Forse, quindi, il vero idiota non era lei, bensì il suo solitario inseguitore…

Accantonando quell’asciutto pensiero, Rhauligan si concentrò sulla situazione immediata. Dunque la finestra era stata lasciata aperta per permettere alle colombe di andare e venire dalla piccionaia, il che spiegava i vetri spalancati e lo sterco di uccello… e confermava inoltre che Narnra si doveva trovare ancora da qualche parte ai piani superiori, se Seno Prosperoso era salita a controllare la causa dell’allarme, quale che fosse la sua natura, che lei aveva attivato involontariamente, per la fretta.

Adesso, ovviamente, Rhauligan avrebbe dovuto tenere d’occhio le scale che provenivano dall’alto per evitare che lei potesse oltrepassarlo senza essere vista, e al tempo stesso avrebbe dovuto evitare di essere scoperto dalle due serve allarmate, quando fossero tornate di sopra e fossero passate davanti al suo nascondiglio armate di attizzatoi.

Forse, le stanze dall’altro lato della scala…

Simile a un fantasma frettoloso, Rhauligan sgusciò lungo il pianerottolo e aggirò le scale, entrando in… in altre stanze buie dal mobilio coperto, dove la polvere imperava sovrana. Quelle camere erano più piccole di quella in cui lui era entrato originariamente, e anch’esse comunicavano le une con le altre mediante arcate. L’assenza di porte che si potessero chiudere doveva rendere molto difficile riscaldare quegli ambienti durante l’inverno, il che probabilmente spiegava per quale motivo quella particolare torre della dimora fosse stata adibita a magazzino… anzi, a ghiacciaia.

Rhauligan stava riflettendo che avrebbe fatto meglio a svoltare e a cercare il punto di osservazione migliore, quando vide… un’altra scala!

Temendo di essere arrivato già troppo tardi, l’Arpista attraversò la camera come un vento di tempesta: la seconda scala era più stretta ed erta, senza dubbio riservata alla servitù, ed era deserta. Rhauligan sbirciò verso di essa, poi si gettò prono sul pavimento impolverato per esaminare i gradini. Sì, ecco un’impronta! E un’altra! La sua preda aveva sceso la scala, e non lo aveva fatto da molto tempo.

* * *

Signore Mascherato, aiutami! pensò Narnra. Quanto è grande questa casa?

Vista dall’esterno, essa appariva effettivamente molto grande, ma lasciarne una parte tanto ampia in balia dell’oscurità e della polvere! Possibile che il proprietario fosse una sorta di eremita rimbambito, che si limitava ad abitarne poche stanze, aggirandosi in esse nel rimuginare sulle glorie passate? O che fosse ridotto a letto da qualche malattia, così a corto di denaro da potersi permettere un numero di servitori sempre più ridotto?

O che, al di là di quell’ala, ci fossero nuove parti più spaziose ed eleganti, complete di torri e saloni, che lei non aveva ancora visto?

D’istinto, Narnra aveva il sospetto che l’ultima ipotesi fosse la più valida.

«Basterà che io continui a essere l’Ombra di Seta», sussurrò, rivolta a se stessa, augurandosi che l’Arpista avesse smesso di inseguirla o che fosse stato sorpreso e bloccato… e sapendo benissimo, dentro di sé, che il suo era soltanto un pio desiderio.

E tuttavia si sentiva… bene. A casa, quando le sue spedizioni notturne procedevano bene, lei aveva quasi l’impressione di fluttuare nel silenzio e nell’oscurità, e che essi l’avviluppassero come un mantello.

La stessa sensazione che stava provando anche adesso.

Sorridendo nell’oscurità, Narnra continuò ad avanzare, chiedendosi cosa avrebbe trovato più avanti. Forse delle stalle, con un fienile in cui nascondersi. In fin dei conti, tutti i nobili possedevano una carrozza, e prima o poi l’usavano per recarsi fuori delle porte cittadine…

* * *

Rhauligan scese la scala il più silenziosamente possibile, cioè senza produrre il minimo rumore, dato che quei gradini erano fatti di vecchia e solida pietra e di spesse assi saldamente inchiodate al loro posto, senza traccia delle scricchiolanti, anche se più eleganti, strutture delle costruzioni moderne.

A mano a mano che scendeva, cominciò a sentire dei rumori, prodotti ovviamente dalla servitù, persone che chiacchieravano e ridevano nell’andare avanti e indietro con le braccia cariche di oggetti, qualcuno che stava spezzettando del cibo su un tagliere e qualcun altro che stava producendo rumori ora secchi ora striscianti.

«Allora, dove sono le scope?» ringhiò un’aspra voce maschile, accompagnata dalla subitanea apparizione del suo proprietario, tanto improvvisa che Rhauligan non ebbe il tempo di trarsi indietro.

L’Arpista s’immobilizzò sulla scala quando una luce improvvisa si riversò sul pianerottolo sottostante, rivelando un uomo dal naso deformato da una vecchia frattura e dai polmoni ansimanti che si protendeva ad afferrare il lungo manico di una scopa appoggiata al muro, per poi voltarsi di scatto senza degnare di un’occhiata la scala buia e polverosa su cui si trovava Rhauligan e richiudersi con violenza la porta alle spalle.

Rhauligan riprese a scendere in fretta, per timore che l’uomo avesse l’abitudine di riportare la scopa al suo posto non appena finito di usarla, e riuscì a oltrepassare la porta e a raggiungere la successiva rampa di gradini prima che il battente si riaprisse. Adesso però i rumori intorno a lui stavano aumentando in maniera considerevole, e la luce filtrava sempre più frequente e intensa attraverso l’assortimento di porte dissestate che erano inserite nei pianerottoli, dandogli l’impressione di trovarsi a scendere lungo una cucina disposta su molti livelli, dove una piccola legione di servi era operosamente intenta al suo lavoro.

Una fessura più grande delle altre in una delle porte gli permise di dare un’occhiata al di là di essa, e di vedere una serie di lucidi tini, o vasche, di rame e uomini dotati di grembiule accoccolati davanti ai diversi rubinetti e intenti a riempire boccali larghi e grossi quanto il loro torso; più in basso di parecchi gradini rispetto a loro, a un altro livello della stessa grande stanza, era visibile un tavolo coperto di farina e di lievito, intorno al quale erano intente ad armeggiare alcune donne. Da un livello ancora più in basso, posto sulla sinistra e fuori dal suo campo visivo, giungevano volute di vapore che si levavano da alcuni calderoni…

Rhauligan spinse poi lo sguardo verso il lato opposto della stanza e ciò che vide lo indusse di nuovo a immobilizzarsi.

Laggiù, appena visibile attraverso una foresta di padelle, pentole e mestoli appesi, c’era un’altra scala dalla porta aperta, e su di essa Narnra Shalace stava facendo capolino in mezzo all’assortimento di utensili da cucina, prima di ritrarsi nell’oscurità e di svanire giù per quei gradini.

La ragazza doveva aver attraversato le stanze del piano superiore fino a trovare l’altra scala per la servitù, identica a quella su cui si trovava Rhauligan, per cui adesso si era portata più in basso rispetto a lui, e questo significava che l’Arpista avrebbe dovuto muoversi con la velocità di un uomo che stesse cercando di anticipare lo scorrere stesso del tempo.

Rhauligan si lanciò giù per i gradini con più fretta che cautela; del resto, considerato il rumore che regnava nelle cucine, avrebbe probabilmente dovuto urlare o percuotere una di quelle padelle con l’impugnatura di una spada per riuscire a farsi notare, e…

Sul pianerottolo successivo vide una porta che non si affacciava sulle cucine e neppure sul lato opposto a esse, ma dava invece a nord, sul lato «cieco» del pianerottolo, e ne aprì con cautela il battente giusto in tempo per veder passare il tacco di uno stivale di Narnra. L’Arpista si lanciò nel passaggio trasversale che lei stava percorrendo con tutta la rapidità di cui era capace, ma la ragazza fece comunque in tempo a passare in una grande stanza, o forse una galleria, che si trovava più oltre e a saettare verso destra.

Rhauligan spiccò la corsa per inseguirla, ma quando raggiunse l’arcata attraverso cui il passaggio si apriva sulla più vasta stanza successiva, s’immobilizzò.

Quella era una sala davvero molto grande, e dal soffitto così alto da far supporre che si trattasse quasi certamente del salone centrale di Haelithorntowers, e che lui fosse sul punto di addentrarsi su una balconata che ne cingeva almeno in parte le pareti.

Dal basso giungeva il chiarore tremolante di alcune torce, disposte lungo tutta la facciata della balconata, e questo gli permise di vedere che essa si stendeva tutt’intorno a un vasto cerchio di spazio vuoto, fino a un’altra arcata identica a quella sotto cui si trovava, e di constatare anche che le pareti dell’immensa stanza salivano verso l’alto e scomparivano alla vista incurvandosi progressivamente verso l’interno, probabilmente per formare una guglia, molto più in alto.

Stemmi nobiliari dipinti su placche di legno grosse come porte di stalla… del vecchio genere dorato e decorato da veri elmi e da vere lance liincrociate, e non dai facsimili falsi e intagliati che erano attualmente più di moda per qualche inspiegabile motivo… decoravano le pareti al di sopra della balconata, intervallati a numerose porte alte, scure e chiuse. Se non voleva rimanere in quella sala dove avrebbe finito per essere vista, Narnra sarebbe probabilmente sgusciata fino a una di esse e avrebbe cercato di aprirla.

Quanto a lui, mentre si abbassava di nuovo, in modo da trovarsi il più possibile vicino al livello del pavimento nel girare la testa per esaminare la balconata in entrambe le direzioni, alla ricerca di eventuali guardie, Rhauligan si augurò che la ragazza le trovasse tutte chiuse… tutte tranne una, che si aprisse su una stanza senza altre vie d’uscita, in modo da permettergli di saltarle addosso, impacchettarla per bene e andare poi ad annunciare la propria presenza a Lady Ambrur, chiedendole di dargli il permesso di consegnare la prigioniera alla Maga Reale. Ne aveva abbastanza di quel lungo inseguimento attraverso lavanderie e rivendite di cibi.

L’Arpista non aveva ancora neppure finito di accertarsi che sulla balconata non ci fossero guardie né servitori, e neppure tracce indicanti che quello era un luogo visitato di frequente dagli abitanti della casa, quando vide che Narnra si era spostata lungo la balconata verso il suo lato opposto, tenendosi acquattata al riparo della ringhiera per non essere vista dal basso, ma si era arrestata per ascoltare le voci che salivano dal salone prima di raggiungere l’arcata verso cui era diretta.

E si stava ora sporgendo audacemente in avanti per non perdere una sola parola.

Quello strano comportamento indusse Rhauligan ad accigliarsi per la perplessità. Da dove si trovava, poteva sentire solo poche persone impegnate in una conversazione privata… senza un contorno di rumore di posate o di servi che andavano e venivano… e per una radicata abitudine protese a sua volta l’orecchio per ascoltare.

Un paio di frasi più tardi, ogni pensiero relativo a tentare di catturare Narnra Shalace era svanito del tutto dalla sua mente.

* * *

«Hai particolarmente fretta, Lord Starangh?»

«Non ancora, anche se mi riservo di rivelare nel corso di questa giornata il ritmo effettivo con cui desidero procedere, in attesa di apprendere il motivo che ti ha indotta a chiedermi una cosa del genere», replicò con calma il Mago Rosso, esaminandosi le dita della mano destra, come se prima di allora non si fosse mai accorto davvero di possederle.

«Ebbene, se abbiamo tempo e se non hai obiezioni dettate da… diciamo dalla prudenza dovuta al fatto che ci siano altre persone presenti», rispose Lady Ambrur, «preferirei fornirti le informazioni che cerchi in maniera ordinata e cronologica… esportele sotto forma di una storia, per usare parole più semplici. Una breve narrazione, non un’esposizione storica approfondita».

«Che ne dici di cominciare in questo modo?» suggerì il Thayano, sollevando lo sguardo a incontrare quello della nobildonna. «Se l’esposizione dovesse prolungarsi eccessivamente, o divagare da ciò che più ci interessa tutti, potremo sempre sospenderla e optare per un metodo diverso, giusto?»

«Senza dubbio, signore», convenne con disinvoltura la padrona di casa. «Cominciamo quindi con il recente pensionamento del Mago Reale.»

Nel corso della precedente conversazione, Malakar Surth aveva cominciato a manifestare segni d’irritazione, serrando le labbra in una linea sottile e disgustata nel lasciar vagare lo sguardo in giro per la sala, soffermandolo innanzitutto sulla parte del seno di Lady Nouméa Cardellith che era esposta agli occhi del mondo dalla generosa scollatura del suo abito; nello stesso modo, il suo compare Bezrar si era accasciato sulla sedia in un più cupo e manifesto atteggiamento di noia crescente, ma adesso entrambi si protesero in avanti con rinnovato interesse, mentre Lady Ambrur contemplava per un momento con aria assorta il proprio calice vuoto, prima di riprendere a parlare in tono sommesso, quasi rivolta a esso.

«Vangerdahast ha governato questo regno per anni. Azoun regnava, certo, amministrava la giustizia e andava in guerra quando questo si rendeva necessario… ma mediante il suo controllo della corte, tramite le sue manipolazioni di quasi tutti i suoi funzionari, degli Obarskyr stessi e dei molti nobili che avevano contatti con la Corte, era il Mago Reale a provvedere a governare quotidianamente il regno, e in Cormyr regnava l’ordine che lui desiderava… fino al sopraggiungere di quello che i più definiscono il “Drago Demoniaco”. Noi tutti sappiamo cosa sia successo ad Azoun e a Tanalasta, ma io sono anche al corrente del fatto che, a quanto pare, anche Vangerdahast ha dovuto affrontare alcune peripezie e avventure molto pericolose… da solo… rischiando quasi di morire.»

Sollevando lo sguardo dalle profondità del calice che aveva in mano, la Signora di Haelithorntowers trovò fissi su di sé gli occhi scuri di Harnrim Starangh.

«Non sono stati pochi, a corte, coloro che hanno notato come il Mago di Corte apparisse più vecchio e stanco che mai, durante il funerale di Azoun», proseguì la dama, incontrando lo sguardo del Mago Rosso. «I più hanno attribuito la cosa al cordoglio… in quanto l’amicizia che legava il Mago Reale al Dragone Purpureo era leggendaria… e alle fatiche della battaglia, ma fra i Maghi della Guerra più anziani è circolata la voce che si trattasse invece di… problemi più gravi.»

«Continua, signora», la invitò il Mago Rosso, protendendosi avidamente in avanti senza più ricordarsi di mantenere il proprio atteggiamento indifferente.

«Ritengo si possa affermare senza tema di essere smentiti che la morte di Azoun abbia brutalmente ricordato a Vangerdahast che nessun uomo vive in eterno e che neppure a lui rimaneva molto tempo, dato che si stava facendo sempre più debole e fragile. D’altro canto, noi tutti abbiamo visto uomini indeboliti dall’età avanzata aggrapparsi a quel poco che loro rimane come a un viticcio che stia avvizzendo, rimanendo abbarbicati cocciutamente alla vita oltre ogni ragionevolezza… fino a quando il suo perdurare prolunga l’esistenza al di là di ogni godimento o di una sua fine naturale. In Faerûn ci sono legioni di lich a causa di maghi che rifiutano con tutte le loro forze di abbandonare la vita.»

Alzatasi in piedi, Lady Ambrur si allontanò di qualche passo dalla sua sedia; per abitudine, i suoi tre ospiti di sesso maschile seguirono con lo sguardo il suo spostamento e portarono la mano all’elsa della daga o a una bacchetta magica, ma la padrona di casa mosse soltanto un altro passo distratto prima di tornare a voltarsi verso di loro.

«C’era una cosa che Vangerdahast temeva più del cedimento del corpo, e cioè il cedimento della mente. Il progressivo indebolirsi della memoria è un pericolo letale per qualsiasi mago, soprattutto per il Mago Reale di Cormyr, e la sua si era già indebolita a tal punto, nelle cose grandi come in quelle piccole, che i Maghi della Guerra se ne stavano accorgendo quotidianamente. Il Mago Reale non era più in grado di destreggiarsi come un giocoliere fra dozzine di intrighi, di voci messe in circolazione ad arte e di eventi da sincronizzare senza che qualcosa gli sfuggisse di mano… una realtà che non poteva più negare a se stesso e che detestava. D’altro canto, aveva anche paura di affidare a qualcun altro il timone di Cormyr, considerata l’abbondanza di nobili in vena di tradimenti, la cocciutaggine della Principessa Alusair e il fatto che il quinto Azoun è, e continuerà a essere per parecchio tempo, un bambino indifeso.

«Trovare un rimpiazzo adeguato sarebbe potuta essere un’impresa impossibile», continuò Lady Ambrur, guardando verso Lady Cardellith e rivolgendosi ora direttamente a lei. «La morte avrebbe potuto sorprenderlo mentre lo stava ancora cercando, ma per la prima volta nella sua vita, Vangerdahast è stato fortunato, o forse Mystra gli ha sorriso, perché ha trovato Caladnei.»

«Certo, lei non è il vecchio, saggio Vangerdahast, ma saprà cavarsela, perché ha gioventù, vigore, e la capacità di collaborare con Alusair con lo stesso affiatamento che Vangey aveva creato con Azoun. Questo ha permesso a Vangerdahast di ritirarsi dalla carica prima di commettere qualche errore che portasse a un effettivo disastro e rivelasse a mezzo regno quanto fosse ora grave la debolezza che imperava nella Corte Reale. Di conseguenza, lui si è affrettato a cogliere la palla al balzo, giustificando la sua decisione con il desiderio, da tempo nutrito, di essere libero dai meschini intrighi e dai doveri legati all’etichetta e alla routine della Corte che assorbivano tutto il suo tempo, e di poter fare qualcosa di importante prima di morire.»

Interrompendosi, Lady Joysil si girò di scatto a fissare il mago Incantesimi Oscuri e i due mercanti marsembani.

«Questa è l’ambizione che pungola Vangerdahast, signori, un’ambizione che è cresciuta dentro di lui già da alcuni anni, da quando ha ritenuto di essere riuscito a educare e a guidare con successo il grande Azoun. Vangerdahast si è visto come un’abile guida, un ottimo maestro, un eccellente manipolatore e un valido timoniere per il regno… ma altri Maghi Reali di Cormyr hanno saputo fare altrettanto, e Vangerdahast vuole di più, vuole lasciare il proprio marchio nella storia, in modo che nei secoli a venire gli uomini possano dire: “Certo, Baerauble è stato il Sommo Mago che ha fondato il regno, ma Vangerdahast… probabilmente lui è stato il più grande di tutti”. È un genere di ambizione che temo affiori di frequente, fra i maghi.»

Harnrim «Incantesimi Oscuri» Starangh non accennò neppure un sorriso di fronte a quella battuta scherzosa, ma d’altro canto adesso Lady Ambrur stava fissando gli occhi sgranati e sorpresi dell’importatore Aumun Bezrar, e non stava più incontrando lo sguardo del Mago Rosso.

«Vangerdahast ha costruito uno stato solido come una grande nave e ne ha modellato il timoniere», riprese poi la nobildonna, «quindi per lui il termine “grandi cose” non significa devastare una città o sventrare castelli in cui siano ancora asserragliati arcimaghi e re. In modo molto difficile e costoso, sono riuscita ad apprendere che per lui sono importanti due cose specifiche. Una di esse è personale: generare un erede e godere dell’amore e della compagnia di una donna, cosa che non ha osato concedersi finché prestava servizio come Mago Reale. Quanto all’altra, si tratta di un ultimo dono per Cormyr, la sua eredità: modellare una grande opera di magia, una rete di incantesimi che continui a difendere e a proteggere Cormyr anche dopo la sua morte».

Di colpo, Lady Ambrur smise di parlare e si rimise a sedere.

Il silenzio si prolungò, quasi echeggiando nella vasta sala quasi vuota, fino a quando il mago Incantesimi Oscuri si riscosse e si decise a infrangerlo in tono sommesso.

«Signora, hai qualche idea riguardo al modo in cui questa rete di incantesimi difenderà il regno?» chiese. «Un’apposizione di sigilli così massiccia… se di questo si tratta… attingerebbe notevolmente alla forza vitale di tutto ciò che si trova all’interno del regno e non potrebbe passare inosservata. Soprattutto, non potrebbe evitare di modificare la vita stessa di Cormyr, sia tramite il modo di operare della magia, sia a causa di altre eventuali proprietà insite in essa. Una cosa del genere diventerebbe per molti maghi un tesoro da rubare… o una barriera contro cui misurare le proprie forze… e non potrebbe durare a lungo. Di conseguenza, mi sembra improbabile che si tratti di un sistema di sigilli. Le tue… fonti… hanno accennato alla natura di questa grande magia?»

«Esse ritengono», annuì la Signora di Haelithorntowers, senza sorridere, «che essa preveda di vincolare degli eroi perché difendano il regno al posto dei distrutti Signori Dormienti».

«Degli eroi?» ripeté Starangh, accigliandosi. «Quale grande magia può mai essere necessaria per vincolare una manciata di uomini, sia pure contro la loro volontà? Gli uomini possono essere sottoposti a coercizione, e non ci può volere molto tempo a trovarli… né a forgiare la magia che li vincoli. Lui deve conoscere i necessari incantesimi bene quanto me.»

«Secondo le informazioni in mio possesso», ribatté Joysil, scuotendo il capo, «quelli che Vangerdahast sta modellando sarebbero tutti incantesimi nuovi… e parrebbe che lui stia avendo una notevole difficoltà a realizzarli».

«In tal caso» sorrise Starangh, «intende vincolare qualcosa di più che non semplici eroi. E dove starebbe facendo tutto questo?».

«Nella foresta, sulla Strada di Starwater, c’è un villaggio chiamato Bocca delle Gargoyle, un luogo in cui la magia non può essere utilizzata senza che sfugga a ogni controllo e impazzisca, una maledizione nota da secoli e la cui effettività è facilmente dimostrabile. Alcuni Maghi della Guerra anziani sono però stati uditi mentre rivelavano a determinati Arpisti che molto tempo fa un Mago Reale del regno ha creato un nascondiglio in una caverna vicina al villaggio, e che esso è poi stato usato dai suoi successori. Le magie operate in quel nascondiglio sono nascoste agli occhi di chiunque potrebbe essere indotto a indagare su di esse, perché qualsiasi emanazione, scarica o effetto magico strano viene attribuito alla maledizione.»

«Quindi dozzine di Maghi della Guerra sarebbero al corrente dell’esistenza di questa caverna e di ciò che accade in essa… e sono davvero riusciti a mantenere il segreto per tutti questi anni?» esclamò Harnrim Starangh, socchiudendo gli occhi con fare sospettoso.

«No. La sua esistenza è nota a pochissimi, perché di norma i Maghi Reali vi si recano da soli.»

«In tal caso, chi si aggira per quei boschi per tenere alla larga fuorilegge, Arpisti troppo curiosi e viandanti che abbiano sbagliato strada?»

«Questo è l’aspetto più interessante dell’intera faccenda», replicò Lady Ambrur, protendendosi in avanti per fissare il Mago Rosso negli occhi. «A quanto pare, le persone che si avvicinano troppo al nascondiglio senza seguire la pista giusta… no, mi dispiace, ma non sono riuscita a scoprire con esattezza quale essa sia… s’imbattono in creature di Mystra, spettri da guardia, fantasmi di maghi e altre entità del genere, che le respingono con la magia; oppure, più semplicemente, muovono un passo nella direzione sbagliata e si trovano a essere teleportati dall’altra parte di Faerûn… ogni volta in un posto diverso, a quanto sembra. La maggior parte dei Maghi della Guerra che pattuglia quell’area ha l’ordine di individuare chi si avvicina e riferirne la presenza a Laspeera o ai suoi maghi anziani più fidati, quasi tutti informati soltanto del fatto che nelle vicinanze della Bocca delle Gargoyle c’è qualcosa di prezioso, la cui stessa esistenza costituisce un segreto di stato.»

«È quindi presumibile che pochi, selezionati Maghi della Guerra anziani conoscano il percorso per raggiungere quel rifugio», mormorò Starangh, chinando il mento sulla punta congiunta delle dita, poi di colpo sfoggiò un ampio sorriso e aggiunse: «Sarai pagata molto bene, Lady Ambrur».

Nel parlare, aprì una sacca da cintura e ne prelevò venti rubini grossi quanto un pollice, disponendoli sul tavolo che aveva davanti.

«Considerali un primo, insignificante pagamento… un dono, se preferisci», disse. «Il loro valore non rientra nella somma concordata, che ti sarà consegnata domani. Ritengo infatti che tu te la sia ampiamente guadagnata… se dimenticherai tutto quello che hai detto stanotte, non parlandone mai più con nessun altro, e scorderai anche i nostri nomi e i nostri volti.»

Quanto a Nouméa Cardellith, le scoccò una lunga occhiata pensosa ma non le disse nulla, mentre si alzava in piedi con un singolo movimento fluido.

«Riguardo a questa faccenda, hai appreso qualche altra cosa che mi possa interessare?» chiese a Lady Ambrur, nel rivolgerle un cortese cenno di commiato.

«Non ancora», replicò la dama, in tono grave.

«Non importa. Mi hai reso un grande servigio, signora, e ora non intendo abusare oltre del tuo tempo.»

Inchinandosi, Starangh si girò di scatto e si diresse verso la porta. In silenzio, i due mercanti si alzarono a loro volta, abbozzarono un goffo inchino e si affrettarono a seguire il mago.

Quando le porte si furono richiuse alle spalle dei tre, Lady Ambrur si girò verso l’unica ospite rimasta.

«Allora?» domandò con un sorriso. «Cosa ne pensi?»

Nouméa la fissò con i suoi grandi occhi scuri e scosse appena il capo.

«Non mi fido di quell’uomo», sussurrò.

«E non devi farlo», approvò la sua ospite. «Quei rubini contengono qualche incantesimo?»

Nouméa si alzò, si avvicinò alle gemme e protese la mano su di esse, senza toccarle.

«Sì», confermò in tono cupo, senza traccia di sorpresa sul volto.

«Non li toccare e non riversare su di essi magie di sorta», annuì Lady Ambrur. «Anzi, non usare più nessuna magia in questa stanza. Al tuo posto, questa stessa notte farei ricorso a qualche incantesimo per travestirmi e mi terrei nascosta per qualche mese in una terra lontana, perché i Maghi Rossi tendono ad avere le braccia molto lunghe e un affinato senso della crudeltà.»

«Ma tu cosa farai?» chiese Nouméa, accennando ai rubini con l’altra mano. «Come ti regolerai, se lui dovesse inviare qualcosa di letale, insieme al pagamento?»

«Sono in grado di proteggermi», garantì in tono sommesso la Signora di Haelithorntowers, sfoggiando un sorriso non molto dissimile da quello del Mago Rosso. «Come Vangerdahast, anch’io ho alcuni compiti importanti che intendo ultimare prima di morire.»

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