C’è un modo sicuro per sapere se sei giunto in una città dove governano i mercanti: vedrai un coltello stretto in ogni mano. E se i mercanti si saranno spinti tanto oltre da malgovernare quanto i re, alcune di quelle mani non saranno più attaccate al corpo.
Uno dei picchi più alti dei Corni della Tempesta, quel grande baluardo montuoso che difende il fianco occidentale di Cormyr, è il Tharbost, chiamato da alcuni il «Signore delle Tempeste», che si erge eterno al di sopra del Tunland, così alto e ammantato dai venti che ben poche creature prive di ali sono a conoscenza del fatto che l’elevata punta del suo pinnacolo è stata spezzata molto tempo fa nel corso di una battaglia fra draghi, creando in cima alla montagna una piccola piattaforma. Un bastione di rocce aguzze come zanne che si leva sul bordo occidentale di quell’alto tavolato offre un po’ di protezione dalla furia devastante dei venti, facendo sì che quando il loro soffio si placa leggermente, gli umani che siano eventualmente riusciti a raggiungere la sommità del Tharbost possano sperare di resistere lassù per breve tempo, prima che gli artigli del vento li afferrino e li scaglino di nuovo verso il basso.
Due umani si trovavano in quel momento in piedi su quel tavolato, figure che erano apparse da quello che i menestrelli avrebbero definito il «vuoto nulla» pochi momenti prima, senza nessuna vistosa magia e senza una faticosa e pericolosa scalata.
Il vento gemeva nel crescere di violenza in maniera letale, sferzando la lacera veste nera indossata da una delle due figure e agitandola in maniera assai poco pudica, ma la donna in questione non dava segno di preoccuparsene e restava ferma in atteggiamento tranquillo… senza lottare per mantenere l’equilibrio o mostrare di avvertire il morso gelido del vento… al fianco dell’altra figura che era intenta a sputare per la terza volta una ciocca di barba, per poi borbottare una piccola frase magica destinata a tenere al suo posto l’ingombrante appendice.
«È strano che tu abbia formulato l’incantesimo in modo da controllare la tua barba, ma non il mio vestito», sorrise la Simbul.
«Dovrei presumere di alterare le scelte di abbigliamento di una donna che è anche una regina? Sono considerato da molti uno sciocco impiccione, Signora Fuoco, ma non lo sono fino a questo punto.»
Anche se la maga si limitò a reagire con un sorriso pieno di affetto, una risata divertita si riversò sulla vetta, scuotendo il Tharbost e facendo vibrare alcune delle sue rocce con i propri echi.
QUESTO È QUELLO CHE PIÙ MI MANCA DELL’AVER ABBANDONATO LA MIA MORTALITÀ, affermò Mystra, con una sfumatura di tristezza, una volta controllata la propria ilarità. NESSUNO SCHERZA IN QUESTO MODO CON ME.
Elminster sollevò la testa, un sorriso sempre più ampio che gli si andava allargando sul volto… e prontamente la barba gli volò contro la faccia per impedirgli di pronunciare ciò che stava per dire.
NO, VECCHIO MAGO, LA MIA NON ERA UNA RICHIESTA. ASCOLTA E CREDI.
Come corollario a quell’enfatica dichiarazione, la barba di Elminster tornò ad assumere la propria posizione controllata.
Immediatamente, la Simbul scoppiò a ridere nel vedere l’espressione così rivelata, e spettò quindi al paziente ex-Principe di Athalantar di osservare:
«Divina, non puoi certo averci trasportati fin qui soltanto per ascoltare i nostri battibecchi. Hai altri ordini da impartirci, vero?».
È OVVIO. ALASSRA SILVERHAND, ASCOLTAMI ATTENTAMENTE: OGNI VOLTA CHE TI SARÀ POSSIBILE DOVRAI CONVERTIRE I MAGHI ROSSI INVECE DI MASSACRARLI.
«Convertirli?» ripeté la Simbul, inarcando un sopracciglio.
INSERISCI IN PROFONDITÀ NELLA LORO MENTE INCANTESIMI DI SUGGESTIONE CHE INDUCANO GENTILMENTE I THAYANI AD AGIRE COME IO DESIDERO CHE FACCIANO. ALCUNI DOVRANNO COMUNQUE ESSERE UCCISI, MA FRA ESSI SONO TROPPI QUELLI CHE HANNO LA CAPACITÀ DI CREARE NUOVE MAGIE E DI ESPANDERE L’USO MORTALE DELLA TELA PERCHÉ LI SI POSSA PERDERE TUTTI.
«Ascolto e obbedisco», rispose formalmente la Simbul, chinando il capo. «A dire il vero, la mia… sete di sangue quando si tratta di Maghi Rossi mi spaventa sempre di più. Frenerò la mia mano, come tu comandi. Guidami nella scelta delle azioni che tu vuoi siano indotti a compiere.»
«Ascolto e obbedisco», ripeté Elminster, «e farò lo stesso. Comandaci e guidaci».
LO FARÒ. GRAZIE.
Il vento sempre più forte prese a fischiare intorno ai due, udibile ma non avvertibile, trascinando lontano le lunghe piume di vapore prodotte dal loro respiro mentre i Prescelti aspettavano, ritrovandosi ancora fermi in piedi sulla desolata cima montana, sotto un cielo di stelle indifferenti, anche dopo che una dozzina di quelle piume si fu allontanata verso est.
«C’è dell’altro, Divina», disse infine Elminster con calma, in un tono che non era interrogativo.
Tutt’intorno, le rocce parvero sospirare.
SÌ… SÌ, C’È DELL’ALTRO, replicò la dea, mentre il gemito del vento saliva di tono. MOMENTI COME QUELLO NELLA CANTINA MI FANNO SENTIRE DI NUOVO MOLTO… MOLTO MORTALE. INCERTA. DUBBIOSA.
Il vento rallentò la sua furia, e dopo qualche istante Mystra riprese a parlare.
COME… SECONDO IL PARERE ONESTO E SCHIETTO DI ENTRAMBI, PARLANDO LIBERAMENTE SENZA TIMORE DI… DI RAPPRESAGLIE… COME ME LA STO CAVANDO?
Elminster e la Simbul girarono la testa per scambiarsi un’occhiata, poi fu Elminster a rispondere, in tono gentile.
«In questo siamo d’accordo entrambi, Potentissima», disse, rivolto alla vuota aria sibilante che lo circondava. «Considerata la frequenza con cui combiniamo pasticci noi due, che pure utilizziamo da centinaia di anni una certa misura del potere che tu detieni, direi che te la stai cavando bene. Decisamente bene.»
La salvò una barca beccheggiante. Narnra spiccò un balzo, atterrò violentemente e scivolò lungo il tetto umido della sua cabina con una velocità che le permise di stretta misura di darsi una spinta verso l’alto… e verso l’esterno... in modo da raggiungere l’altezza di cui aveva bisogno per attraversare un tratto sempre più ampio di acqua nera come l’inchiostro e da atterrare a talloni in avanti sulla già malconcia murata di una chiatta ingombra di mucchi di catena arrugginita, di rifiuti, di gabbie per pescare granchi e di un groviglio di reti marce, svegliando con il suo passaggio tre sporchi mendicanti che dormivano là in mezzo e che la seguirono con le loro imprecazioni mentre lei oltrepassava con un volteggio il massiccio braccio di traino di cui la chiatta era dotata in modo da arrivare all’isola successiva.
Là, l’Ombra di Seta s’infilò in un vicolo e continuò a correre, tenendosi bassa e arrestandosi con cautela all’estremità opposta che, come lei aveva giustamente supposto, corrispondeva anche al lato opposto dell’isola. Il ponte successivo, che le avrebbe permesso di accedere a un’altra isola molto più grande dove avrebbe potuto disporre di un maggiore assortimento di percorsi mediante i quali raggiungere la terraferma vera e propria, era adesso solo a pochi passi di distanza, ma doveva essere senza dubbio sorvegliato. Se si fosse trattato soltanto di uno o due guerrieri, forse avrebbe potuto superarli con una rapida corsa, ma se le guardie fossero state più numerose, o se fossero state munite di balestre o di incantesimi, le cose sarebbero state del tutto diverse.
Narnra si accoccolò nell’ombra, piena di tensione, consapevole di non avere a disposizione molto tempo prima che gli inseguitori la raggiungessero. Per il Mantello di Mystra, non avrebbe neppure saputo dire quanti Maghi della Guerra capaci di teleportarsi e quanto Arpisti abili quanto lei e probabilmente anche di più c’erano stati in quella cantina… e cosa sarebbe successo se la Maga Reale li avesse mandati tutti al suo inseguimento?
Per ironia della sorte, fu lo stesso Glarasteer Rhauligan a salvarla, in quanto arrivò in cima ai gradini di corsa, ansimando un poco e si rivolse a una delle guardie, chiedendo se avesse visto passare di corsa una ragazza vestita di cuoio scuro e mascherata. Sorpresa, la guardia si fece avanti per rispondere, e Narnra ne approfittò per saettare alle sue spalle come una freccia, arrivando a metà del ponte prima che Rhauligan la vedesse e desse l’allarme.
Una lanterna scintillò nel venire sollevata all’estremità opposta del ponte… un semplice arco di pietra umido di nebbia… sorretta dalla mano guantata di una guardia dotata di armatura che pareva aver portato con sé parecchie dozzine di compagni. Imprecando, Narnra balzò oltre il lato del ponte senza rallentare la corsa.
L’acqua era ghiacciata quanto era sporca e lei riaffiorò facendosi largo freneticamente fra detriti galleggianti di cui era meglio non poter vedere la natura, issandosi sulla prua di una chiatta rimasta all’ancora per così tanto tempo che le alghe erano cresciute in veri e propri festoni intorno alle catene di ancoraggio. Sott’acqua, qualcosa l’urtò e cercò di mordicchiarle uno stivale. Narnra scalciò in preda al timore e al disgusto, sentì qualcosa di solido ritrarsi con un sussulto e si issò su un altro pontile come se avesse avuto gli dei stessi alle calcagna.
Da qualche parte nelle vicinanze, nell’oscurità pervasa di nebbia, una guardia lanciò un richiamo ai compagni. Imprecando selvaggiamente, ma in silenzio, Narnra si arrampicò sul più vicino muro pericolante appena pochi istanti prima che una punta di lancia si protendesse a trafiggerla.
Tegole rotte e smosse scivolarono sotto i suoi piedi, provocandole uno strappo alla coscia che le causò un nauseante sussulto di dolore, poi si ritrovò lontano dagli inseguitori e nel bel mezzo di un labirinto all’apparenza infinito di tetti scivolosi, di nebbia, di altri tetti, di altri muri diroccati e di balzi disperati per superare stretti canali puzzolenti.
Quando un salto particolarmente lungo le tolse il respiro e la lasciò raggomitolata e ansimante intorno a un pinnacolo ornamentale in pietra che qualcuno era stato tanto previdente da applicare al bordo di un tetto, Narnra Shalace si concesse un po’ di tempo per riprendere fiato, massaggiarsi la gamba offesa, sussultare e girarsi, cosa che le permise di notare due cose.
A un certo punto della sua frenetica fuga aveva effettivamente raggiunto la terraferma, attraversando parecchie strade di quella che doveva essere la città di Marsember, ma la cosa più importante era che quell’Arpista che aveva osato discutere con la temibile Regina di Aglarond… Glar-qualcosa Rhauligan, così si chiamava… l’aveva seguita nella sua serie di folli balzi e di corse sui tetti ed era adesso nel suo campo visivo, intento a superare con un facile salto un vicolo distante appena tre tetti da lei!
«Signore Mascherato e Tymora, aiutatemi!» ringhiò, scagliando quella preghiera verso le poche stelle che poteva veder scintillare attraverso la gelida coltre di nebbia sempre più fitta, poi ricominciò a correre, scalciando con la gamba offesa per sciogliere i muscoli che le stavano causando dolore. Adesso la gamba le dava un po’ meno fastidio, però…
Raggiunto il picco di un tetto si lasciò scivolare lungo il lato opposto, prendendo cupamente nota dell’ampiezza del salto che avrebbe dovuto fare per evitare di fracassarsi le ossa cadendo nella strada sottostante.
Mentre era a metà del balzo, intravide per un istante un assonnato apprendista che si protendeva a chiudere le imposte della finestra della sua stanza e che, nel vederla, s’immobilizzò con la bocca aperta per la meraviglia, poi passò oltre e andò a sbattere con gomiti e ginocchia contro il tetto, proprio sopra lo sconcertato apprendista. Alcune tegole si ruppero e scivolarono via mentre lei slittava per un breve tratto, riusciva a incastrare uno stivale nel tettuccio dell’abbaino dell’apprendista e arrestava la caduta, tornando cocciutamente a inerpicarsi fino al picco del tetto e arrischiandosi al tempo stesso a lanciarsi una rapida occhiata alle spalle.
Rhauligan era dietro di lei, e i loro sguardi s’incontrarono per un breve, pensoso momento prima che Narnra scomparisse alla vista e si lasciasse scivolare lungo il lato opposto del tetto e verso un altro più basso che si trovava al di là di esso. Appartenendo a un edificio più piccolo, esso era stretto, relativamente piatto e fatto di tegole di legno striate di muschio spesso e probabilmente scivoloso, ma al tempo stesso permetteva di raggiungere un altro erto tetto poco lontano, e la poca distanza fra i due picchi diede a Narnra un’idea.
Poteva sacrificare una daga… una sola, e se fosse riuscita ad arrivare in tempo a quel secondo tetto…
Poteva farcela e inoltre… grazie a entrambi, Signore Mascherato e Tymora!… il lato opposto di quella dimora marsembana era dotato di un’ala laterale il cui tetto più basso le avrebbe fornito qualcosa su cui reggersi in piedi rimanendo al di sotto del picco del tetto orientato nella direzione da cui sarebbe giunto il suo inseguitore. E che fosse o meno un Arpista di rango elevato al servizio di Cormyr… come lo aveva definito la Simbul? «Sommo Cavaliere»?… non avrebbe più potuto darle la caccia così bene una volta che avesse intercettato con la faccia una daga d’acciaio.
La testa di Rhauligan apparve all’improvviso, affiorando oltre il picco del tetto su cui lui si trovava. Serrando i denti, Narnra scattò in piedi e scagliò uno dei suoi migliori coltelli con la massima forza e rapidità di cui era capace.
L’arma raggiunse il bersaglio e penetrò fin quasi all’elsa in… ecco, Rhauligan doveva essersi infilato un cappuccio o una maschera. In ogni caso la sua testa… se era davvero la testa… scomparve alla vista, lasciando l’Ombra di Seta a fissare i tetti fugacemente rischiarati dalla luna adesso che la nebbia si era momentaneamente diradata. Respirando a fatica, Narnra si chiese se aveva appena ucciso quell’uomo.
Quando poi la nebbia tornò a trasformare i tetti in ombre fumose, parecchi lunghi secondi più tardi, Narnra trasse un lungo respiro tremante, si girò e riprese la fuga.
«Starmara? Starmara, amore mio, sei sveglia?»
La voce di suo marito era un rauco ringhio… un tono che lui era fermamente convinto essere una sorta di irresistibile richiamo amoroso… e nel fissare con occhi assonnati i lussuosi tendaggi color rubino del loro letto a baldacchino, Starmara Dagohnlar si sforzò di non sospirare.
Durexter Dagohnlar ci sapeva decisamente fare quando lei lo incitava nel modo giusto e per quanto potesse essere un disonesto, puzzolente, brutale, cafone mercante marsembano di notevole successo e universalmente odiato… gli dei le erano testimoni che era il suo disonesto, puzzolente, brutale cafone.
C’erano dei momenti in cui le bestie dovevano per forza essere appagate, per quanto sgradevole potesse essere quel processo, quindi Starmara si sfilò assonnatamente la camicia da notte di lucida stoffa perché lui non la strappasse come aveva fatto la volta precedente, spinse di lato con il gomito un cuscino in modo da essere comoda e rispose con il sussurro più seducente di cui era capace.
«Sono sveglia e ti desidero, mio signore.»
Ridacchiando, Durexter rotolò attraverso la considerevole distesa di letto coperto di lenzuola di seta che li separava, sparpagliando cuscini e alitando addosso alla moglie zaffate di aglio e della salsa al pepe thayana che Starmara avrebbe preferito lui non riversasse in dosi tanto abbondanti sulla carne che mangiava.
«Ebbene, mia orgogliosa bellezza, così morbida e calda e… heh-heh… disponibile, stai per essere amata dal mercante più arraffatore, subdolo, aggiratore di leggi, evasore di tasse e semplicemente di successo di tutta Marsember!»
Starmara morse delicatamente il petto del marito per evitare di doverne baciare invece la bocca puzzolente che stava sciorinando con tanto entusiasmo il consueto, modesto discorsetto mentre lui assumeva quella che supponeva essere una posa eroica; per un momento, poi, la donna prese fugacemente in esame l’idea di sgusciare giù dal letto e via da sotto Durexeter intanto che si stava ancora battendo i pugni sul petto nel vantarsi dei propri successi, in modo da far sì che alla fine lui si lasciasse ricadere su… sul nulla.
Poi lui… lui prese a…
A gorgogliare e a rantolare in modo strano sopra di lei, destando nel suo animo l’improvviso timore che il suo cuore si fosse finalmente deciso a cedere e che Durexter stesse per rovinarle addosso e schiacciarla contro il letto, soffocandola con il proprio peso morto molto prima che qualsiasi servitore avesse modo di trovarli! Freneticamente, prese a dibattersi e a scivolare verso i piedi del letto, intralciata dalla veste profumata… poi lanciò un breve strillo quando Durexter le crollò all’improvviso sul gomito sinistro.
Liberatasi con una torsione frenetica e con un calcio, Starmara riprese a strisciare e a contorcersi per oltrepassarlo…
E andò a sbattere contro un ginocchio sconosciuto, rivestito di cuoio nero e attaccato al corpo di qualcuno che ansimava in maniera diversa da suo marito e aveva un odore del tutto differente dal suo. Quel qualcuno abbassò una mano per verificare cosa gli fosse andato a sbattere contro e tastò in lungo e in largo mentre Starmara cedeva al subitaneo impulso di urlare, con tutta la voce e l’energia di cui era dotata.
«Ehi, Mal!» ruggì il qualcuno. «Ho trovato la donna, ed è… ecco, lei è…»
«D’accordo, d’accordo», sibilò un’altra voce maschile, più tagliente e vagamente familiare. «Smettila di sbavare. Hai finito di strangolarlo?»
«Uh… ecco, non è morto, ma mi pareva che avessi detto…»
«Legalo», ringhiò la voce familiare. «Assicuragli il collo alla colonnina del letto in modo che non gli venga l’idea di lottare o di cercare di fuggire, poi legagli insieme i mignoli, perché a nessuno piace spezzarsi da solo le dita… tutti e due dallo stesso lato della colonnina e non dietro di essa, bada bene… e lascia il resto a me. Per allora, avrò finito di occuparmi della nostra Altezzosa Lady Starmara qui presente.»
Con la testa avvolta nelle sue stesse vesti di seta, la moglie del mercante più arraffatore, subdolo, aggiratore di leggi, evasore di tasse e semplicemente di successo di tutta Marsember si sollevò e si gettò oltre la testata elaboratamente intagliata del letto, scalciando selvaggiamente, con il solo risultato di catapultarsi fra le fredde mani fin troppo efficienti dell’invisibile possessore della voce più sottile, che la rovesciò prona sul suo stesso poggiapiedi con violenza tale da lasciarla annaspante e senza fiato, e procedette a legarle caviglie, ginocchia, polsi e gomiti prima ancora che lei avesse recuperato il respiro quanto bastava per protestare.
Non appena riuscì a farlo, naturalmente, l’uomo le infilò in bocca la veste di seta fin quasi a soffocarla e gliela legò in quella posizione con la sua stessa cintura, lasciando che la stoffa d’avanzo le ricadesse sulla faccia. L’uomo poi si chinò con un grugnito, che risultò quasi inudibile in mezzo al più sonoro coro di ringhi, grugniti e altri suoni sordi che provenivano dal letto, e un istante più tardi Lady Starmara Dagohnlar sentì un oggetto freddo, duro e molto pesante gravarle sullo stomaco e sui fianchi, immobilizzandola a tal punto che dibattersi o anche solo muoversi le sarebbe stato impossibile quanto volare al di sopra del Mare delle Stelle Cadute per recarsi presso quegli adorabili bagni pubblici di Westgate. Il vago odore di polvere antitarme le rivelò che era bloccata sotto la sua stessa cassapanca per le coperte.
«Fatto», annunciò in tono di trionfo la voce del proprietario del ginocchio, dal letto. «Impacchettato come un volatile da fare arrosto!»
«Allora lo sistemeremo qui per terra accanto alla sua vergognosa signora… se non altro, dovrebbe vergognarsi… guarda quel tatuaggio… e potremo dare inizio al divertimento.»
«Eh? Quale tatuaggio?»
«Più tardi, Bez. Prima provvediamo al ricollocamento del mercante condannato, d’accordo?»
Glarasteer Rhauligan sussultò nell’estrarre l’affilata lama della daga di Narnra dal cappuccio e da una delle dita che vi aveva infilato per tenerlo allargato, poi fasciò la ferita con una delle strisce di stoffa che teneva sempre a disposizione in una delle sacche che aveva alla cintura.
Dunque la sua piccola volpe in fuga aveva una daga in meno, ma era inevitabile che ne avesse a disposizione almeno altre due, se non probabilmente anche il doppio, e la prossima volta una di esse avrebbe potuto andare a conficcarsi davvero nella sua testa e non in un surrogato affrettatamente approntato. Adesso il cappuccio aveva un foro per gli occhi decisamente più largo dell’altro e avrebbe dovuto essere sostituito quando…
Rialzatosi in piedi, Rhauligan spiccò la corsa lungo il canale di scolo del tetto, ringraziando gli dei per l’orribile clima piovoso di Marsember, grazie al quale ogni casa era abbondantemente fornita di canali di scolo e di grondaie robuste, e balzò sul tetto successivo invece di superare il picco di quello su cui si trovava, con il rischio di essere accolto da una seconda daga.
Se Tymora lo avesse favorito, lei si sarebbe avviata nella direzione che aveva previsto, che era… sì! Là!
Un fianco snello vestito di cuoio scuro che stava scomparendo affrettatamente dietro il picco di un altro tetto… la ragazza era consapevole di averlo ancora alle calcagna, ma Rhauligan sapeva con esattezza quanto fosse ridotta la parte di città attraverso cui lei avrebbe ancora potuto proseguire la fuga in quella direzione prima che le mura cittadine le sbarrassero il passo e la costringessero a dirigersi a sud o a ovest, scendendo in strada… o a tornare indietro verso di lui.
Respirando pacatamente, Glarasteer Rhauligan si avviò a passo svelto attraverso le cortine di nebbia che sembravano ora minacciare di trasformarsi in pioggia, e sorrise: quello sì che era un divertimento, e… whoalaho! La ragazza stava già tornando indietro, come dimostrava la forma scura che stava saettando attraverso una strada, sotto di lui, appena al di sopra di un lampione, e pareva aver davvero messo le ali ai piedi!
Il sorriso dell’Arpista si accentuò. Ora la teneva…
Durexter e Starmara Dagohnlar giacevano fianco a fianco sul loro nuovo e morbido tappeto athkatlano… legati, furiosi e impotenti. I loro due assalitori, che brandivano due fra i più grossi e affilati coltelli marsembani che la coppia di mercanti avesse mai visto, portavano un cappuccio nero… ma ormai entrambi i Dagohnlar avevano capito benissimo con chi avessero a che fare.
A Marsember c’erano mercanti più spietati e disonesti di Lord Durexter Dagohnlar, ma lui stava ben attento a non fare nessun affare con loro e a non ostacolarli neppure in misura minima, arrivando perfino ad accettare di tanto in tanto di subire qualche piccola perdita pur di continuare a essere troppo utile per poter essere eliminato. C’erano anche molti mercanti marsembani che erano disonesti quasi quanto lui nei loro affari, e Durexter badava sempre di avere il modo di poterli tenere sotto controllo, proprio per prevenire quello che stava accedendo in quel momento, e cioè che due di essi si presentassero di notte per recuperare con la forza le monete che la coppia legata aveva sottratto loro con una truffa.
Quello grasso, sudato e gioviale doveva essere il contrabbandiere e ricettatore Bezrar, i cui piani erano sempre semplici e brutali quanto lui, mentre quello più alto e più magro era quello che costituiva il vero pericolo: Malakar Surth, commerciante in veleni e droghe, fra le altre cose, un uomo che aveva rapporti di affari con i locali preti di Shar e con certi stranieri capaci di usare incantesimi… e perfino, se le ultime informazioni che Durexter aveva pagato a caro prezzo erano esatte, con almeno uno dei Maghi Rossi di Thay.
Durexter non sapeva che la sua signora, distesa accanto a lui, avrebbe potuto fornirgli il nome di quel mago thayano perché… grazie alle camere private affittate presso una locale casa di bellezza e alla mente intraprendente delle matrone che le frequentavano, le sue fonti d’informazione erano ancora più costose e aggiornate. Di recente, Malakar Surth era entrato per un periodo di tempo limitato al servizio di un certo Harnrim «Incantesimi Oscuri» Starangh, un accordo il cui scopo era di trarne entrambi profitti e benefici.
Nessuna di queste cose era tale da poter offrire il minimo conforto al mercante, considerato che aveva apertamente e beffardamente truffato Bezrar e Surth di una notevole somma di denaro, consigliando loro con trionfante sarcasmo di «appellarsi agli dei» o di «rivolgersi alla Corona» per ovviare alla perdita subita… e dal momento che si era trattato di somme che nessuna delle parti interessate, se aveva un minimo di buon senso, aveva registrato in nessun documento contabile, in quanto riguardavano affari assolutamente illegali, chiunque si fosse rivolto alle autorità per un risarcimento si sarebbe ritrovato a trascorrere lunghe stagioni in una cella o ai lavori forzati.
Naturalmente, fu Surth a parlare per primo.
«Ci conoscete entrambi», esordì, in tono vellutato, «e sapete perché siamo qui. Siamo intenzionati a uscire da questa vostra splendida casa in possesso di quello che ci dovete… Bezrar, la corda!… e starà a voi determinare se per ottenerlo dovremo ricorrere a mezzi di persuasione gentili oppure dolorosi».
«Oh! Ah!» rispose Bezrar, slacciandosi la fibbia dei pantaloni.
Starmara emise un suono soffocato che avrebbe potuto essere un gemito allarmato o semplicemente un verso di disgusto, ma ciò che venne rivelato fu soltanto un’appendice maschile avvizzita dagli anni e in misera condizione, sovrastata da un lungo rotolo di corda grezza che era stato avvolto intorno ai fianchi del mercante in modo da allargare di parecchio la sua già notevole circonferenza, che ora si ridusse rapidamente quando Bezrar assestò uno strattone all’estremità della corda e cominciò poi una elefantesca imitazione di una danzatrice che eseguisse la danza del ventre su un piedistallo durante una festa, facendosi scivolare la corda intorno ai piedi con una goffaggine che strappò un sospiro a Surth e destò in Starmara l’improvviso desiderio di scoppiare a ridere. Quel Bezrar somigliava così tanto a Durexter quando cercava di essere affascinante…
«Le colonnine del vostro letto serviranno egregiamente come ancoraggio per le due corde che abbiamo qui», spiegò con indifferenza Surth, «poi legheremo l’altra estremità intorno ai vostri piedi… spero saldamente… e vi caleremo entrambi dalla finestra e nel canale sottostante, a testa in avanti».
Starmara non avvertì più il minimo desiderio di ridere.
«Vi faremo dondolare per un po’ sott’acqua in modo che le anguille possano avere qualcosa da mangiare, poi vi tireremo su e vi chiederemo del denaro. Bez è forte e vi potrà tirare su molte volte, anche se è ovvio che quanto più ci irriteremo e stancheremo, tanto più lungo sarà il tempo che voi passerete a respirare acqua e a nutrire i pesci. Semplice, vero?»
Durexter, che non era stato imbavagliato, scelse proprio quel momento per dissentire, in modo sonoro e osceno. Surth si limitò a sorridere, ma quando il lord mercante cominciò a gridare gli si inginocchiò accanto piazzandogli un ginocchio sulla gola.
«Urla ancora e ti taglierò la lingua», avvertì. «So che sei in grado di scrivere dove si trova il tuo denaro… anche avendo parecchie dita spezzate. Lo stesso vale per te, Lady Dagohnlar», aggiunse, spostando lo sguardo su Starmara. «La prima volta che cercherai di urlare potrai anche riuscirci, ma il mio coltello farà in modo che tu non ci possa provare una seconda volta… e che tu non possa mai più usare quella tua lingua tagliente di cui vai tanto orgogliosa per il resto della tua vita, per quanto breve essa possa essere. Vedi, Bez e io abbiamo registrato questo piccolo debito, quindi nell’incresciosa eventualità della vostra morte potremmo sequestrare questa casa e svuotarla della maggior parte del suo contenuto prima che il resto dei vostri creditori abbia modo di contestarci il diritto di farlo.»
Nel parlare, Surth agitò con noncuranza il coltello scintillante e sollevò il ginocchio perché Durexter si era tinto di un acceso coloro porpora ed era in preda alle convulsioni.
«Ah, perdonatemi, ma ho dimenticato di informarvi di quello che accadrà quando ci saremo stancati di tirarvi su per farvi grondare acqua sporca di canale su questo bel tappeto», proseguì poi. «Sempre supponendo, ovviamente, che non riusciate a ricordare in quale angolo di questa bella casa avete nascosto il denaro che tenete di riserva per i tempi bui, in modo che i vostri onorevoli ospiti possano recuperare la somma perduta. Bez, qui», spiegò, indicando con la lama il compagno incappucciato, «ha appena comprato un nuovo coltello… mostralo ai gentili Dagohnlar, Bez! Ecco, vedete?… e vuole verificare quanto sia affilata la sua lama. Di recente, ho notato che gli uomini… e anche le donne, per gli dei, ora che ci penso… hanno le dita dei piedi, un sacco di dita, piccole appendici di cui in realtà nessuno di noi ha davvero bisogno. Procederemo quindi a liberarvene, una alla volta, e le metteremo da parte perché Ponczer, giù al Firehelm, le cucini per voi. Penso che cominceremo da Durexter, e quando avremo finito vi scaricheremo nella vostra stessa cantina a sanguinare e a dare ai ratti qualcosa da mangiare… io odio i ratti, e voi? Piccole creature fameliche che stridono, corrono e rosicchiano…».
Rialzandosi, Surth ammirò la punta scintillante del proprio coltello, poi inarcò le sopracciglia e abbassò lo sguardo su Starmara, quasi si fosse ricordato di lei solo in quel momento.
«Ah. Lady Starmara!» mormorò. «Considerata la tua bellezza, forse potremmo escogitare per te un genere di punizione più piacevole… ma d’altro canto può anche darsi che tu abbia la sfortuna di perdere tanta bellezza», commentò sorridendo nel contemplare ancora lo scintillio della lama.
«Per S… Shar», sussurrò Durexter, nel vedere lo snello mercante chinarsi di scatto per avvicinare il coltello alla guancia di Starmara. «Cosa stai facendo?»
«Sta’ ferma, cara», ammonì Surth, in tono affettuoso, una precauzione inutile in quanto Starmara era appena svenuta, poi tagliò con abilità la cintura della veste per rimuovere il bavaglio, prima di girare la testa e di sorridere a Durexter, ribattendo: «Mi chiedi cosa sto facendo? Ritengo che la frase più appropriata sia dire che sto sfoggiando un trionfante sarcasmo».
Sentire le mani rudi di Aumun Bezrar intorno alle caviglie e poi il pizzicore delle fibre grezze della corda offrì a Lord Durexter Dagohnlar l’occasione di svenire a sua volta, di cui lui approfittò con entusiasmo.
Ormai Narnra aveva il respiro affannoso quasi quanto quello dell’inseguitore che la tallonava sempre più da presso. Entrambi si stavano arrampicando per tetti fra le volute di nebbia fitta, distanti uno dall’altro non più di un paio di metri, e Rhauligan stava guadagnando terreno.
Narnra girò intorno a una serie di statue di gargoyle che sembravano vomitare nidi, poi scivolò e quasi cadde quando dai nidi in questione eruppe uno stormo di gracchianti uccelli neri… gorcraw o qualcosa di simile. Dentro di sé, la ragazza imprecò contro il suo inseguitore, che sembrava conoscere ogni tetto, facciata e vicolo, cosa che invece non si poteva dire di lei, e che già due volte era quasi riuscito a bloccarla, senza che le rimanesse un luogo verso cui saltare o una parete sicura da discendere.
Ci era quasi riuscito, e… dannazione! Stava succedendo di nuovo!
All’estremità opposta del tetto su cui era appena atterrata, che ospitava una piccola serra raggiungibile attraverso una porta protetta da un massiccio cancello di ferro battuto che perfino un esercito avrebbe avuto difficoltà a forzare, per non parlare di una ladra armata di pochi coltelli e delle sole unghie, c’era… il vuoto.
Un canale, e al di là di esso, a una distanza tale da rendere impossibile superarla con un balzo, un’elegante dimora; per di più, all’altezza a cui lei si trovava non c’era il tetto adorno di torrette di quella fortezza di pietra, bensì una singola finestra buia e spalancata, che sovrastava le scure acque sottostanti. Narnra si arrischiò a scoccarsi un’occhiata alle spalle e vide esattamente ciò che si era aspettata: Rhauligan che atterrava sul suo stesso tetto con un cupo sorriso, pronto a intercettare qualsiasi disperato scatto che lei avesse potuto tentare nella sua direzione e a bloccarle qualsiasi via di fuga.
Non c’erano alternative, tranne quel folle balzo disperato.
L’Ombra di Seta gettò indietro il capo per inspirare una profonda boccata d’aria, scelse con cura il proprio tragitto attraverso il giardino ingombro di vasi di piante gocciolanti… e spiccò la corsa con tutte le sue forze, acquistando velocità e deviando all’ultimo momento, giusto in tempo per scagliarsi in alto… sempre più in alto nella notte, rotolando su se stessa una volta… due…
Gloria delle glorie! Stava per…
L’impatto contro il davanzale della finestra fu abbastanza violento da intorpidirle il braccio e la spalla, sempre che non li avesse addirittura fratturati, da toglierle completamente il fiato e da catapultarla a testa in avanti nell’oscurità al di là della finestra, dove atterrò, rimbalzò e scivolò su uno spesso tappeto così morbido da sembrare fatto di pelliccia.
Il vetro colorato di due pannelli decorativi laterali s’infranse tintinnando tutt’intorno a lei quando il suo passaggio ne spalancò i battenti, che oscillarono violentemente sulla sua scia, poi…
Davanti a sé Narnra vide un grande letto al centro di una stanza elegante. Un uomo e una donna nudi erano legati mani e piedi uno accanto all’altra alla base del letto e due figure vestite di scuro e incappucciate si stavano girando proprio in quel momento verso di lei impugnando lunghi coltelli ricurvi e scintillanti.
Senza fiato e dolorante, Narnra riuscì a stento a contorcersi un poco nell’arrestare la propria scivolata… e l’istante successivo le due figure vestite di nero si pararono fra lei e la luce.
Una lama d’acciaio calò scintillando e le affondò nel corpo, così fredda e affilata che Narnra non sarebbe riuscita a urlare neppure se avesse avuto il fiato per farlo. Mugolando di dolore, la ragazza cercò di rotolare lontano mentre quei coltelli tornavano a calare ripetutamente su di lei.