Coloro che sperano di sopravvivere alle avventure faranno bene a scegliersele da soli invece di buttarsi alla cieca nei piani di qualcun altro… e nei guai altrui… perché i pericoli a cui si va incontro in questo modo hanno la tendenza a essere abbondantemente condivisi.
Era buio, e si avvertiva un odore di pietra umida e di terra vecchia, misto a un vago residuo della puzza di rifiuti che stava svanendo alle sue spalle. L’Ombra di Seta avanzò con cautela, tenendosi bassa e badando a dove metteva i piedi su quel terreno velato di oscurità con la stessa attenzione che avrebbe usato nel camminare su un tetto pericolante.
Nell’aria, di fronte a lei, aleggiava una sorta di canto che andò crescendo rapidamente di tono a mano a mano che avanzava, trasformandosi in uno stridio, un tumulto che Narnra comprese essere in qualche modo più nitido per i suoi orecchi di quanto lo fosse per il resto del mondo che la circondava. Contemporaneamente, cominciò ad avvertire una sensazione nauseante di timore che si faceva sempre più intensa; essa parve placarsi quando lei provò a indietreggiare, poi tornò a crescere non appena riprese ad avanzare.
Con il coltello spianato, chiedendosi in quale follia si stesse mai imbarcando, Narnra scrutò davanti a sé, cercando una luce di qualche tipo.
Quasi ad accontentarla, un chiarore apparve all’improvviso davanti a lei e molto vicino, fiorendo con la rapidità di una torcia che si accendeva. Si trattava di un’intensa luce azzurra… un bagliore magico più potente di qualsiasi altro lei avesse mai visto prima e che si andava estendendo in linea retta sotto i suoi occhi, delineando un’arcata sotto cui era fermo il mago dalla barba bianca.
Prontamente, Narnra si acquattò sul suolo di pietra per strisciare in avanti sul ventre con la massima silenziosità possibile, e si era appena appiattita contro il terreno, immobile, quando il mago si girò a sbirciare nella sua direzione.
Annuendo, come se fosse stato soddisfatto dal suo esame… l’aveva vista oppure no?… il vecchio si volse per oltrepassare l’arcata luminosa, e immediatamente il tumulto e il tremito che pervadevano Narnra cessarono di colpo, quasi fossero stati troncati da un colpo d’ascia.
Sollevando il capo, la ragazza ascoltò con la massima attenzione, constatando che intorno tutto era buio e silenzioso, con la sola eccezione dell’arcata luminosa; proprio in quel momento, il chiarore da essa emanato prese a tremolare e a pulsare sotto i suoi occhi, iniziando a svanire.
In una frazione di secondo Narnra balzò in piedi e spiccò la corsa verso l’arco, deviando di lato all’ultimo momento per tenersi fuori dal campo visivo di chiunque si trovasse dall’altra parte e stesse guardando attraverso l’apertura, il cui centro si era ormai oscurato. L’Ombra di Seta percorse l’ultimo tratto strisciando come una lucertola determinata e frettolosa, poi sbirciò con cautela oltre l’arco, con il mento che quasi sfiorava il terreno… e si ritrovò a contemplare altra oscurità.
La luce era decisamente più fioca di quanto lo fosse stata in precedenza. Narnra si morse un labbro, indecisa, poi si alzò in piedi e attraversò l’arcata: se quel mago aveva un covo nascosto proprio sotto il Rione dei Commerci, lei era decisa a scoprire tutto il possibile su di esso. Tutto quanto.
Con cautela, mosse un primo passo nell’oscurità silenziosa, poi un secondo; al terzo, il buio svanì e lei si ritrovò immersa in una luminosità di un blu ancora più intenso, che le vorticava tutt’intorno come nebbia e fluiva senza soluzione di continuità sotto di lei… cosicché di colpo si trovò a cadere con essa, rimanendo tuttavia eretta e immobile come se si fosse trovata su un pavimento invisibile. Per un momento rimase paralizzata dall’incertezza, poi si girò di scatto e scoprì che non poteva vedere nessun accenno della direzione da cui era giunta, soltanto un vuoto azzurro che… che…
D’un tratto si rese conto di essere madida di sudore e più spaventata di quanto lo fosse mai stata in tutta la sua vita. Dove si trovava? In quale direzione era il davanti? Con la massima cautela tornò a girarsi fino a essere rivolta verso quella che sperava fosse la stessa direzione in cui era stata avviata quando aveva superato l’arco… poi riprese a camminare.
Due passi più avanti l’oscurità tornò ad avvolgerla, insieme all’umidità, solo che adesso l’odore dell’aria era in un certo qual modo differente. Il sentore del mare era intenso, ma si avvertiva anche un radicato odore di marcio, come in una palude… una puzza che a Waterdeep il suo naso aveva percepito soltanto quando veniva dragato il porto. Arrestandosi in un altro passaggio di pietra, constatò che più avanti si sentivano echi lontani, come se qualcuno… no, come se parecchie persone stessero parlando, chiacchierando e ridendo, come a una festa di mercanti, e che davanti a lei il passaggio si faceva più largo, dando accesso a invisibili camere sotterranee.
Si trovava forse sotto la Città dei Morti? O era sotto le strade adiacenti la Porta del Fiume? O addirittura… in un posto del tutto diverso, lontano da Waterdeep?
Un altro passo la riportò in mezzo al chiarore azzurro, tenue e prossimo a svanire. Girandosi di scatto, vide alle proprie spalle un’arcata simile a quella che aveva oltrepassato per arrivare fin là: riattraversandola, mosse qualche passo senza incontrare ostacoli, poi scrollò le spalle, si girò e ritornò all’altro arco.
Ormai il bagliore era scomparso quasi del tutto. Osservandolo con attenzione, Narnra si posizionò esattamente al centro dell’arco, e non appena il chiarore svanì avanzò con decisione… andando a sbattere con il ginocchio contro quello che era adesso un solido muro di pietra.
Era intrappolata in quel luogo, dovunque esso fosse, e d’un tratto si sentì infuriata con se stessa per essersi lasciata adescare con tanta facilita. In preda all’ira, percosse con i pugni il muro che aveva davanti, ringhiando, poi trasse un profondo respiro tremante e si girò nuovamente: non aveva altra scelta se non quella di proseguire verso la festa in corso, sulla scia del mago che l’aveva sconfitta con tanta facilità.
Lui sapeva come far funzionare quelle arcate magiche, quindi non le restava che trovare da sola la via per uscire oppure rintracciare il mago e… e cosa? Implorare?
Con un ringhio silenzioso, Narnra sollevò la mano che stringeva il coltello e riprese ad avanzare su un pavimento di vecchi e consunti blocchi di pietra, sentendo la brezza marina che le sfiorava lieve le caviglie e scorgendo più avanti un primo accenno di luce.
Quel posto somigliava sempre meno a Waterdeep.
Oh, Mask e Tymora, aiutatemi.
Elminster si avvolse in tre travestimenti illusori, evitando di ricorrere a un cambiamento di forma a meno che non si fosse reso necessario per lasciare in tutta fretta quel raduno nuotando o volando, considerato che la compagnia in cui si sarebbe trovato entro pochi momenti sarebbe stata tutt’altro che raccomandabile.
Adesso il suo aspetto esteriore era quello di un uomo più alto, con il volto sfregiato e i capelli nerissimi del ramo più antico della famiglia Cormaeril; selezionato un minuscolo oggetto da una sacca che portava alla cintura, mormorò una parola e si ritrovò in mano una spada riposta nel fodero, un’arma dalla lama sottile come quelle che andavano per la maggiore alla corte di Suzail, lucida come uno specchio e con l’elsa a cestello che s’incurvava con eleganza intorno all’impugnatura ed era tempestata di piccoli zaffiri simili ad altrettanti occhi curiosi.
Affibbiatosi al fianco la spada, Elminster attraversò con passo deciso una vasta camera sorretta da colonne, dove erano ammucchiati barili fatiscenti e dove i ratti correvano frettolosi nel buio, poi salì una rampa di vecchi e consunti gradini e subito la puzza del porto marsembano si fece più intensa, come pure il vago chiarore che s’intravedeva più avanti. Di colpo, poi, si ritrovò in una stanza meglio illuminata, ma pur sempre pervasa di ombre, dove guardie dall’aria cupa tenevano d’occhio una folla di persone che ridevano, bevevano e parlavano ad alta voce sotto la luce delle lampade accese in una seconda camera, molto più vasta, che si apriva più oltre.
Sospirando interiormente, Elminster rifletté che le feste erano uguali dovunque. Durante il primo migliaio di anni della sua esistenza, era riuscito ad apprezzarle e a divertirsi, ma ora non più, perché per i suoi gusti c’erano troppo rumore, troppi sogghigni misti a finzioni e a sgradevoli pettegolezzi… e c’erano troppe giovani donne piene di speranza, di eccitazione e di gioia di vivere. Molte di esse esistevano ora soltanto nella sua memoria, innumerevoli erano quelle che erano da tempo nella tomba, e lui stesso aveva aiutato a seppellire alcune di esse.
Quella riluttanza non trasparì però all’esterno e lui continuò ad avanzare con passo deciso, senza la minima esitazione. Dopo tutto, il compito di tutti gli Elminster era proprio quello di interferire e di andare incontro a sgradevoli pericoli.
Il mago si fece largo fra le guardie con l’atteggiamento deciso di un uomo che aveva ogni diritto di essere presente in quel luogo e si considerava superiore di rango a chiunque altro, e arrivò a due passi dall’arcata che si apriva sulla stanza piena di luce e di rumore prima di essere intercettato.
Alcune spade si pararono all’improvviso a sbarrargli la strada e altre si levarono alle sue spalle.
«Giù le armi», ordinò Elminster, in tono secco.
Le spade che lo minacciavano non si spostarono di un millimetro.
«E chi sei tu per darci ordini?» sibilò una voce sgradevole, provenendo da dietro una di quelle lame. «O per sbucare da cantine che abbiamo perquisito con la massima accuratezza?»
L’uomo alto e sfregiato, dai capelli nerissimi e dal grande stocco appeso al fianco, girò la testa con fare gelido.
«Il mio nome è Cormaeril, il mio lignaggio è nobile e la mia pazienza è limitata. Chi sei tu, per cercare di fermarmi?»
«Sei più vecchio dell’altro Cormaeril», osservò una seconda voce, in tono freddo, scaturendo da dietro un’altra spada.
«Aspettate un momento! Loro hanno detto di sperare che qualche membro dei rami più antichi decidesse di intervenire», si affrettò a puntualizzare una terza voce. «Alcuni Cormaeril hanno lasciato il regno molto tempo prima dell’ordinanza che li condannava all’esilio, senza avere la possibilità di avanzare rivendicazioni o di mettere ordine nei loro affari. Lasciatelo passare… dopo tutto, è un uomo solo.»
«Hai su di te qualche magia?» chiese la prima voce.
«Certamente», replicò in tono glaciale il nuovo venuto, «ma non ho incantesimi nascosti né tali da poter seminare la devastazione, se è questo che temi».
Le spade si ritrassero con riluttanza ed Elminster percepì, più che vedere, numerosi uomini che si ritraevano di nuovo negli angoli più oscuri della camera, delusi dalla consapevolezza che non si sarebbero potuti divertire assistendo a un piccolo spargimento di sangue; poi il mago si addentrò nella sala in cui era in corso la festa.
L’Ombra di Seta infilò la mano nel corpetto della casacca di cuoio e tirò fuori un cappuccio di stoffa nera che si era fatta parecchie stagioni prima ma che usava di rado. Esso la faceva sembrare una bambina che giocasse a fare il boia, con i fori per gli occhi e i bordi sfilacciati, ma serviva a nascondere la pelle chiara del suo volto nella luce tenue e avrebbe potuto celare per qualche momento la sua femminilità agli occhi di un osservatore poco attento, definizione che in realtà era applicabile alla maggior parte della gente.
Infilatasi il cappuccio, ripose il coltello nel fodero e flesse le dita che erano rimaste contratte troppo a lungo intorno alla sua impugnatura, poi si stiracchiò come un gatto e si accoccolò al suolo, per ascoltare e fiutare l’aria.
Sì, quel luogo aveva un odore in qualche modo diverso da quello di Waterdeep: nell’acqua c’erano più cose morte, ma si avvertiva una minore contaminazione dovuta a merci straniere di luoghi lontani rovesciatesi in essa.
Una festa significava la presenza di servitori, o di guardie, o di persone che si tenevano in disparte a osservare gli altri che si divertivano… o anche tutte e tre le cose… quindi da quel momento in avanti avrebbe dovuto stare molto attenta.
Ma gli dei sapevano che quella non era certo una cosa insolita, per una ladra…
«Allora, a quale famiglia nobile appartieni?» esclamò il mercante mascherato, quasi gridando per farsi sentire nonostante il chiasso, con il vino che sciacquettava nel boccale grande quanto un elmo da guerra che lui stringeva con entrambe le mani.
Il guerriero dallo sguardo freddo e dall’armatura segnata da numerose riparazioni lo adocchiò con aria acida.
«A nessuna», ribatté. «I benevoli Obarskyr hanno esiliato molta altra gente, oltre ai nostri preziosi nobili; la maggior parte di noi gente comune è stata espulsa con un editto individuale… perché non sono riusciti a eliminarci con una spada o con un cappio prima che ce ne andassimo.»
«Davvero?» commentò il mercante alticcio, protendendosi in avanti per scrutare più attentamente il guerriero. «Che cosa hai fatto?»
«Ho ferito il Duca Bhereu perché l’ho sorpreso a spassarsela con mia sorella. L’ho affettato per bene e gli ho danneggiato una gamba in maniera tale da costringerlo a rivolgersi per due stagioni a costosi guaritori per smettere di zoppicare. Lo avrei ammazzato, se non avesse avuto una dozzina di guardie del corpo a portata di voce. Quei dannati Obarskyr non sono in grado neppure di andare a donne, senza un aiuto!»
Elminster aggirò il gomito del guerriero e proseguì oltre in mezzo alla calca di persone.
«Viva la cospirazione!» gridò qualcuno fra la folla… per l’ennesima volta, e come nelle precedenti occasioni, parecchie altre voci raccolsero quel grido: «Viva la Legittima Cospirazione!».
«Un nuovo re, una nuova speranza!» tuonò qualcun altro.
«Sì! Una nuova gloria per Cormyr!»
Elminster represse l’impulso di levare gli occhi al cielo. Da quanti secoli continuava a sentire sempre le stesse grida? Pareva quasi che il Regno della Foresta possedesse un copione prestabilito che veniva consultato da tutti gli aspiranti traditori e ribelli, forse addirittura sotto l’occhio attento degli scrivani e del Maestro Custode degli Atti della Corte Reale.
«E tu perché sei qui?» chiese il guerriero.
Elminster s’irrigidì e si girò lentamente con espressione fredda e altezzosa, solo per scoprire che la domanda era stata rivolta al mercante e non all’alto nobile sfregiato che gli stava passando accanto.
«Per i soldi», replicò prontamente il mercante, sottolineando quell’enfatica dichiarazione con un rutto sonoro. «Adesso loro vogliono che fornisca dei fondi per comprare spade e assoldare mercenari a Westgate e per altre cose del genere, ma mi hanno promesso contratti e accordi commerciali sufficienti a ripagare dieci volte il mio investimento, una volta che il loro re sarà sul trono. Naturalmente, non mi hanno detto di chi si tratti», continuò, ruttando ancora, «ma in realtà non mi importa. In fin dei conti», aggiunse, agitando una mano in un gesto indifferente che fece rovesciare a terra buona parte del vino nel boccale, «i re sono tutti uguali, e quello che conta è che con questo nuovo sovrano noi saremo dalla parte di chi ci guadagna, invece di ritrovarci fuori dalle porte chiuse, a guardare tutto quel denaro che scorre e tutti quegli accordi stipulati di nascosto».
«Ehi, gran signore», scattò il guerriero, intercettando lo sguardo attento di Elminster, «si può sapere cosa stai ascoltando?».
«Lingue troppo sciolte», grugnì Elminster, «nell’eventualità che i Maghi della Guerra ci stiano ascoltando, o che qualche Sommo Cavaliere si sia infiltrato fra di noi. Mi sento un po’ a disagio al pensiero che tutto questo possa essere stato un modo per radunarci in uno stesso luogo e massacrarci tutti senza avere il fastidio di doverci dare la caccia uno per uno», aggiunse, accennando alla festa in corso.
«Ci ho pensato anch’io», annuì il guerriero, con aria cupa. «Sei un nobile, vero?»
«Nobile di nascita, senza nome per natura», replicò Elminster, con un sorriso. «Puoi chiamarmi Senzanome Cormaeril.»
«Aha! Qui ci sono alcuni dei tuoi consanguinei!» esclamò il guerriero, ricambiando il sorriso, poi accennò con la mano al punto in cui la calca era più fitta, e aggiunse: «Laggiù, da qualche parte».
«Be’… ben incontrato, grande signore», farfugliò il mercante, barcollando verso Elminster. «Io sono Imbur Waendlar, e sono… sono lieto di fare la tua conoscenza. Se mai dovessi aver bisogno di… ecco… di bare, o di forzieri, o di splendide cassapanche per abbellire le tue stanze migliori, io sono l’uomo che fa per te: la lavorazione migliore di tutta Suzail al prezzo più conveniente, merci adatte a soddisfare le esigenze di un nobile quale tu sei. Permettimi…»
Elminster e il guerriero si scambiarono un sorriso e una strizzata d’occhio.
«È ubriaco come un orso che stia annegando nel miele, ma riesce ancora a propagandare le sue mercanzie», commentò il guerriero che aveva ferito il duca. «Gli dei benedicano la cocciutaggine dei mercanti.»
«Cocciutaggine?» ripeté Mastro Waendlar, fissandolo con occhi appannati. «Io protesto! Non ho potuto evitare di sentire che mi hai definito “cocciuto”, signore. Sappi che sei in errore, perché un mercante cocciuto è uno che non sa cambiare con i tempi, adeguarsi al mutare dei contratti, in modo da conservare il proprio denaro! Io…»
Elminster e l’ignoto guerriero si spostarono sui due lati e si allontanarono in direzioni opposte, costringendo il mercante a girarsi per proseguire la propria arringa con voce alquanto impastata. Poiché le sue obiezioni erano rivolte al guerriero, Waendlar si avviò sulla sua scia, lasciando Elminster libero di proseguire senza intralci.
O meglio, libero nella misura in cui glielo permettevano due giovani dame dall’aria eccitata e dagli abiti aderenti e molto scollati.
«Dei onnipotenti», borbottò qualcuno, sulla sinistra del mago, «se avessi quelle donne strillerei anch’io per l’eccitazione».
«Ebbene, puoi averle», suggerì un’altra voce, in tono astuto e suadente. «Il prezzo è elevato, bada bene, ma…»
Elminster oltrepassò quella giovane carne messa così vistosamente in mostra e si allontanò senza prestare ulteriore attenzione a quella particolare conversazione. Più oltre, un capannello di uomini era intento a discutere in toni accalorati dei vantaggi e degli svantaggi di un assortimento di strategiche «mosse successive»; le loro voci erano basse, i toni rapidi e taglienti, ma la conversazione si spense di colpo quando Elminster si portò quasi in centro al gruppo.
«Un momento, signore! Questa è una conversazione privata!» scattò uno degli uomini.
«Sembra molto simile ad altre che ho sentito in un centinaio di camere di nobili in tutto il regno, quando i cui occupanti erano convinti di essere soli», ribatté Elminster, scrollando le spalle. «Questo mi induce a una riflessione: quando elaboravamo i nostri complotti, eravamo soliti confidare che i maghi da noi assoldati impedissero ai Maghi della Guerra di evocare immagini dei nostri incontri. Qualcuno sta facendo lo stesso qui, stanotte? E c’è chi controlla le bevande, per verificare che non contengano veleni o pozioni che ci facciano parlare più del dovuto?» aggiunse, indicando i boccali che la maggior parte degli uomini teneva in mano.
«Non hai sentito le rassicurazioni del Cavaliere Mascherato?» ribatté in tono sospettoso il più basso fra i presenti, mentre gli altri fissavano Elminster con sguardo tagliente. «Dov’eri, quando lui ha parlato?»
«Sì, certo», ribatté Elminster, secco, «ma tu… o chiunque fra voi… avete effettivamente visto lanciare gli incantesimi, o qualche altra cosa del genere? Si fa presto a parlare, ma io mi fido solo delle azioni».
«Ben detto, straniero», approvò un uomo alto e snello, con il mento adorno di un sottile pizzetto. «Sappi tuttavia che io ho usato un incantesimo di schermatura, se pure nessun altro lo ha fatto. Protegge soltanto me stesso e coloro che mi stanno vicino, ma non sono stato il solo fra i presenti ad adottare questa precauzione. Quanto al resto, abbiamo scelto quest’isola perché i Dragoni Purpurei dovranno aprirsi un varco combattendo oltre tre postazioni di guardia e due ponti per arrivare fino a noi. A proposito, io sono Khornandar, giunto di recente da Westgate. E tu sei…?»
«Senzanome», rispose in tono deciso Elminster, fissando negli occhi l’alto interlocutore. Essi gli erano familiari, e anche se non aveva mai visto prima quel volto era certo di aver già incontrato qualche estate prima, con il suo vero aspetto, l’uomo che lo sfoggiava. «Senzanome Cormaeril.»
Intorno echeggiarono alcune cupe risate.
«Sii il benvenuto, allora…» commentò qualcuno, «a patto che tu non sia come il giovane Thorntower, laggiù, che ha passato fin troppo tempo a spiegarci in toni accalorati che soltanto la nobiltà comprende Cormyr, e che quindi soltanto i nobili… quelli giusti, bada bene, come lui stesso… potrebbero occupare il trono o dirigere qualsiasi sforzo diretto a rimuovere gli Obarskyr da esso. Come prova di questo, ha perfino citato lo splendido lavoro che coloro che ci sono superiori di rango hanno svolto finora nel guidare il regno!»
«Chi è questo cucciolo?» sbuffò Elminster.
«Quello con il naso sepolto nella scollatura di Tharmoraera», replicò in tono asciutto un altro membro del gruppetto, indicando. «Noterai che trova la carne plebea del tutto adatta ai suoi scopi.»
«Del resto è questa la definizione di nobile, giusto?» sbuffò qualcun altro, e poi si affrettò ad aggiungere: «Senza offesa, naturalmente, signore».
«Non mi sono offeso», ridacchiò Elminster. «Vivere del proprio ingegno e della propria spada nei vicoli di Faerûn priva in fretta una persona dell’arroganza derivante dalla nascita altolocata… o almeno questa è stata la mia esperienza personale.» Nel parlare, riportò lo sguardo sull’uomo alto… che era ormai certo essere il Mago Rosso di rango minore Thauvas Zlorn, avvolto in un travestimento magico decisamente valido, e chiese: «Allora, perché proprio adesso? Mi riferisco a questa “Legittima Cospirazione”. Per secoli ci sono stati esuli e persone che odiavano gli Obarskyr, e molti Sembiani lieti di rifornire di denaro tutti i malcontenti di Cormyr nella speranza di guadagnare qualcosa in cambio, ma come mai è coinvolta anche Westgate? Senza contare che qui ho incontrato altri che venivano da ancor più lontano. Ripeto, perché proprio adesso?».
L’uomo che si faceva chiamare Khornandar sfoggiò un freddo sorriso e si chinò in avanti, abbassando la voce; gli altri lo imitarono e il circolo di congiurati riprese a complottare, con Elminster che ora faceva parte di esso.
«Ebbene, Senzanome», affermò in tono soddisfatto il Mago Rosso travestito, «ci sono persone dalla mente acuta che ci sostengono, e questa festa è un colpo da maestro, in quanto rende idioti e ricchi entusiasti in pari misura di fare parte di qualcosa di segreto e di importante, e li riunisce in modo da schermare coloro che dirigono effettivamente il complotto. In questo modo, impariamo a conoscerci a vicenda a prima vista si stringono amicizie e tutti ritengono di trarre dei benefici… e finora è andato tutto bene. È pericoloso, certo, ma tutti i tradimenti lo sono nessun Obarskyr è il benvenuto qui a Marsember e noi stranieri abbiamo libertà di movimento per mare e ampie giustificazioni per la nostra presenza qui».
Intorno al cerchio, parecchie teste annuirono.
«Un bambino ancora troppo piccolo per parlare o per camminare porta ora in testa la corona di Cormyr mentre quella cagna in calore della Reggente pareggia conti in suo nome, molti nobili fedeli hanno paura o sono infuriati, maghi d’ombra seminano a piacimento la devastazione nelle Terre di Pietra… Dragoni Purpurei inclusi… e intanto l’intero regno cerca di ricostruirsi e di nutrirsi. Osserva questo stato di debolezza e capirai che il momento è quello giusto, o comunque il migliore che si sia presentato in tutta la mia vita.
«Ora guardati intorno», proseguì Khornandar, mentre i presenti continuavano ad annuire. «Questa è un’ennesima festa decadente nella fatiscente Marsember, certo, ma guarda chi è presente: i soliti capitani di nave, le consuete prostitute e Marsembani che odiano il trono, ma ci sono anche nobili esiliati come te, alcuni figli di famiglie nobiliari ancora benaccette nel regno, presenti perché disgustati da ciò che gli Obarskyr hanno fatto o permesso di fare, mercanti ambiziosi e stranieri come me, che vedono in un Cormyr più forte e sereno un’occasione di maggiori guadagni. Osserva l’occasione che si offre a quanti sono disposti a coglierla.»
Nel parlare, il Mago Rosso travestito agitò il proprio boccale, che Elminster notò essere vuoto.
«Allora perché stiamo tutti rischiando il collo per essere qui?» riprese. «I nobili esiliati vogliono riavere le loro terre, le loro ricchezze e l’influenza di un tempo, e vedono in questa congiura un modo per ottenere tutto. I Marsembani bruciano dal desiderio di riavere la loro indipendenza, e ho visto qui alcuni abitanti di Arabel che vogliono la stessa cosa. I Sembiani vogliono invece impadronirsi delle terre del Cormyr orientale o procurarsi merci che fruttino loro somme notevoli e immediate; ecco il motivo per cui la maggior parte dei mercanti di Suzail sono presenti qui stanotte.
«Ma qual è la mia motivazione?» sussurrò Khornandar, protendendo ancor più in avanti il volto e abbassando la voce fino a renderla quasi inudibile. «Le precedenti cospirazioni invitavano mercenari e maghi ad agire con violenza promettendo ricompense, mentre a me non sono stati offerti premi specifici… motivo per cui ho meno timori di essere tradito da uomini mascherati e anonimi che vogliono il mio aiuto per spodestare gli odiati Obarskyr ma non vogliono che sopravviva per intascare la ricompensa promessami. Allora perché sono qui?»
«Ebbene», sorrise, «io vedo Cormyr come un deposito di magia… magia dei Maghi della Guerra… che io, che attualmente non costituisco una minaccia per nessuno, potrei utilizzare per diventare potente senza faticare per anni al servizio di maghi crudeli in cambio di frammenti di incantesimi elargiti con riluttanza. Questa stanza contiene molti altri come me, e il nostro stesso numero, insieme al fatto che i Maghi della Guerra faranno a gara per accaparrarsi nozioni magiche una volta che gli Obarskyr saranno morti, e alla paura e all’odio che la gente comune di Cormyr nutre nei confronti di quegli stessi, così benevoli, Maghi della Guerra… saranno molti i contadini pronti a trapassare con un forcone tutti i maghi che vedranno… sono tutti fattori che ci impediranno di costituire una minaccia collettiva. I più saggi si affretteranno a mettere le mani su tutta la magia possibile e a lasciare il paese».
«Se io fossi uno degli ignoti artefici di questa Legittima Cospirazione», obiettò Elminster, accigliandosi, «non vorrei avere qui nessun mago, a meno di essere certo che io stesso, o gli altri Capi Segreti, possediamo magia sufficiente ad annientarli… altrimenti moriremmo tutti per barattare un re bambino con un mago spietato, giusto?».
«Il che spiega perché sono convinto che dietro a tutto questo ci sia un grande mago, che intende fare del nuovo re un suo fantoccio», annuì il Mago Rosso travestito. «In questo modo potrà governare Cormyr senza correre nessuno dei pericoli connessi alla carica di regnante… dopo tutto, è più o meno quello che stanno facendo adesso Caladnei e la sua compagna Laspeera, nel percorrere la strada che il vecchio Vangerdahast ha pavimentato per loro. Tutto quello che devono fare è ricorrere a qualche incantesimo per mantenere la Regina Madre e il Reggente d’Acciaio in stato di asservimento mentale. Il nostro misterioso mago potrebbe addirittura rifornire di fondi alcuni di quegli intrepidi viaggiatori della Società dei Coraggiosi Avventurieri di Suzail perché gli procurino incantesimi e ricchezze da tempo perdute, cercandoli in terre straniere, giusto?»
Il «grande mago» a cui ti riferisci è Thay, giovane Thauvas, pensò Elminster, e Cormyr diventerebbe molto in fretta un remoto tharch occidentale e… proprio come tu dici… una base da cui raggiungere altre città e altre terre.
Badando a evitare che quelle riflessioni gli trasparissero dallo sguardo annuì e si accarezzò il mento con aria pensosa, accigliandosi.
«Per gli dei!» esclamò. «È per questo che finora non ho mai pensato di partecipare a qualche ribellione. Tutto questo complottare e pensare a quello che altri stanno pensando mi fa dolere la testa!»
Da quanti lo circondavano giunsero risatine e cenni di assenso, ma Elminster non mancò di notare l’attento e pensoso esame a cui il falso Khornandar lo stava ora sottoponendo, e si affrettò a richiamare alla mente il volto di due Cormaeril che conosceva… uno dei due era quello di Jhaunadyl, seduta sul suo letto con lo sguardo pieno di calore dopo che si erano amati…
Il sondaggio da parte del Mago Rosso giunse intenso quanto improvviso, ma Elminster, piuttosto che lasciarlo infrangere contro il proprio schermo mentale, gli permise di oltrepassarlo creando una trama fatta di una miriade di immagini mentali che espose all’esame di Thauvas. Fra tutte, la più nitida quella della risata e delle braccia protese di Jhaunadyl.
Il mago s’irrigidì e ritrasse il capo con aria disgustata, di fronte a quell’evidente testimonianza d’incesto fra nobili decadenti. In un altro momento avrebbe forse cercato con eccitazione altri ricordi ancora più intimi, ma molti Maghi Rossi consideravano le donne di poco superiori al bestiame e per loro l’intimità senza dominio era qualcosa che non valeva il tempo che vi si dedicava. Evidentemente, il giovane Zlorn apparteneva a quella categoria.
Mantenere un sondaggio mentale di quel genere, e ancor più pilotare la mente invasa in modo da esporre determinati pensieri e ricordi, richiedeva una grande forza di volontà, quindi il falso Khornandar abbandonò i pensieri di Elminster con la stessa rapidità con cui vi era penetrato, rientrando nel cerchio di congiurati con aria d’un tratto pallida e stanca.
«Stai bene, mago di Westgate?» chiese qualcuno, notando come gli tremasse la mano in cui reggeva il boccale.
«Io… sì. Sono soltanto stanco», fu la succinta risposta di Khornandar.
«Altro vino?»
«No, quella sarebbe la cosa peggiore. Devo soltanto restarmene per un po’ seduto ad ascoltare, lasciando che siano gli altri a parlare.»
Il gruppetto si spostò verso una colonna circondata da un sedile di pietra, e molti dei suoi membri ne approfittarono per allontanarsi nella calca del resto dei presenti, che adesso avevano cominciato sul serio a danzare, mettendo in pericolo parecchi vassoi di gustose tartine che stavano circolando per l’affollata sala da ballo trasportati da uomini che non parevano abituati a servire il cibo in quel modo, almeno a giudicare dalla loro aria di disagio e dal volto segnato dagli elementi.
Elminster si abbassò per schivare un vassoio che pareva destinato a precipitare al suolo… solo per vederlo salvare alle proprie spalle da un mercante i cui grassi menti tremolanti erano adornati ciascuno da una serie di altri menti più piccoli… e nel volgere le spalle a quella dimostrazione di destrezza non indifferente si venne a trovare faccia a faccia con una splendida donna avvolta in un lucido abito decorato da parecchi stemmi dorati; o meglio, come il mago constatò nel distogliere con una certa difficoltà lo sguardo da un sorriso malizioso e da profondi, accattivanti occhi scuri, dallo stesso stemma ripetuto più volte e realizzato in filo dorato su sfondo fra il blu e il verde, raffigurante una conchiglia attraversata da un tridente. Quello era lo stemma di un casato marsembano… Mistwind, quello era il suo nome, una famiglia antica, molto riservata e composta da pochi membri.
La regale Lady Mistwind… in quanto quella dama non poteva essere che l’erede apparente del casato… gli rivolse un sorriso sempre più accentuato, mostrando appena una fila di denti simili a perle.
«Signore, hai l’aspetto di un nobile che abbia girato il mondo», osservò, in tono dolce. «Come giudichi l’ospitalità che stiamo offrendo qui stanotte?»
Quello era senza dubbio un invito esplicito. Elminster le rivolse un sorriso galante accompagnato da un inchino nell’antico stile di corte, a indicare la sua appartenenza a un casato di alto lignaggio (anche se molti «veri» nobili purosangue del regno non avrebbero riconosciuto ai Cormaeril quella rivendicazione).
«Splendida dama», rispose, «ho appena cominciato ad assaporare ciò che viene offerto qui, e tuttavia confesso di essere rimasto finora notevolmente impressionato… ma forse ne potremo riparlare meglio più tardi, non credi?».
«Forse», assentì la dama, mentre il suo sorriso si accentuava, poi avanzò verso di lui con passo danzante, quasi nascondendo le guardie del corpo dallo sguardo duro che si tenevano alle sue spalle e aggiunse, in tono sensuale: «La tua discrezione ti fa onore. Lady Amrelle Mistwind ha il piacere di salutare…».
«Lord Senzanome Cormaeril, al tuo servizio», si presentò Elminster, ricambiando il sorriso.
«Essere senza nome è una fonte di vergogna se non c’è un valido motivo», osservò la dama, inarcando un sopracciglio bruno, «ma dovrò aspettare che tu mi spieghi le ragioni del tuo anonimato prima di poter presumere di giudicarti. A più tardi, dunque, come hai detto tu stesso».
Poi gli volse le spalle, e il profondo spacco del suo abito, aperto fino alla vita, permise a Elminster di intravedere un grifone tempestato di gemme tatuato in alto sulla coscia… oltre all’assoluta assenza di biancheria intima. Quel movimento lasciò Lord Senzanome Cormaeril faccia a faccia con le accigliate guardie del corpo e pervaso da un improvviso senso di calore.
«Questi dannati travestimenti magici trattengono terribilmente il caldo», borbottò fra sé.
Narnra si arrestò dietro un’altra colonna. Guardie e servitori cominciavano ad annoiarsi e ad avere fame, e sempre più spesso compivano piccole sortite in sala per afferrare tartine o altri manicaretti dai vassoi, cessando di stare sul chi vive. Del resto, la maggior parte di essi dava l’impressione di aspettarsi uno scoppio di liti fra i cospiratori stessi piuttosto che un attacco da parte di intrusi.
Hmm. Laggiù c’era di nuovo quel nobile alto… alto abbastanza da poter essere il vecchio mago, certo, ma naturalmente i travestimenti magici non dovevano per forza mantenere la statura o la corporatura originale della persona che li stava usando. D’altro canto, la maggior parte degli uomini non amava ritrovarsi più in basso di quanto fosse abituato, ed evitava forme del genere a meno di avere un valido motivo per fare altrimenti… e tempo per riflettere sulla cosa.
Nella sala c’erano almeno altri tre uomini che erano anche più alti, ma due erano massicce guardie del corpo che sembravano avere sangue d’orco nella loro linea genealogica e che se ne stavano sempre nelle stanze esterne in penombra, sonnecchiando, mentre il terzo sosteneva di essere un mago originario di Westgate. Possibile che un mago che si travestiva potesse essere tanto stupido… o tanto vanitoso… da assumere le vesti di un altro mago? Peraltro, i maghi erano vanitosi, e quella forma era molto più giovane e avvenente di quella che il vecchio aveva avuto nel vicolo. Là aveva recitato il ruolo del Vecchio Saggio, ma… possibile che quella fosse la sua vera forma? Dopo tutto, si era mosso con una velocità inimmaginabile per un vecchio, e Narnra sapeva di non essere goffa quanto era apparsa in quelle circostanze.
L’alto nobile girò il capo e parve guardare direttamente verso di lei, e Narnra s’immobilizzò, distogliendo lo sguardo; appoggiandosi alla colonna, estrasse il coltello e finse di essere impegnata a pulirsi e pareggiarsi le unghie. Se non altro, lui non pareva intenzionato ad avvicinarsi.
Un aroma di pasticci di pollo arrosto che le stavano passando accanto le giunse alle narici, e lei si sentì di colpo l’acquolina in bocca, seguita un istante più tardi da un brontolio di protesta dello stomaco vuoto. Con un sospiro silenzioso, ripose il coltello, aggirò la colonna e avanzò in mezzo alla folla rumorosa, diretta verso il vassoio più vicino. Come recitava l’antico detto: «Abbiamo incrociato le spade? Allora possiamo anche devastare interi regni combattendo!».
Era a un solo passo di distanza quando qualcuno si protese verso il vassoio, e il servitore che lo reggeva si affrettò a sollevarlo fuori portata. Un pasticcio che si era trovato a pochi centimetri dalle dita di Narnra si spostò di colpo a parecchi passi di distanza: con un ringhio che echeggiava il sordo brontolio del suo stomaco, l’Ombra di Seta si mise in caccia della cena sfumata.
Elminster volse le spalle con un sorriso divertito. A quanto pareva, la sua compagna di gioco del vicolo era stata molto più audace di quanto lui si sarebbe aspettato… e adesso, com’era accaduto prima di lei a molti contadini che erano diventati guerrieri, stava scoprendo che non c’era nulla che poteva far avvertire i morsi della fame più del sapore dell’avventura. Naturalmente, fin troppo presto accadeva che il pasto ricevuto consistesse in un buon tratto di acciaio affilato, ma non era il caso di deprimerla avvertendola di questo. Adesso era in ballo, e non aveva modo di tornare indietro, cosa di cui doveva essersi già resa conto da sola, a giudicare dalla sua espressione.
Nella fioca luce delle lampade, Elminster si guardò intorno alla ricerca della giovane nobildonna che aveva visto danzare poco prima, scoprendo che lei si era… saggiamente… eclissata. Peccato. In quella ragazza c’era qualcosa che destava in lui l’idea di poter generare tanti piccoli maghi…