Non devi pensare che ogni terza persona che incontri in una taverna o al mercato sia un potente personaggio, qualcuno in grado di parlare con gli dei ogni notte e di rovesciare imperi ogni giorno. Faerûn è in triste declino rispetto ai tempi passati, e adesso il conto si è ridotto a una persona su sette, o anche di meno.
Ringhianti fiamme d’argento sollevarono in un vortice verso il soffitto della cantina pezzi mutilati dei corpi dei Maghi Rossi e in pochi istanti li fusero fino a ridurli a un fumo denso e grasso e a farli svanire del tutto; sulla scia della loro disintegrazione, le fiamme rallentarono con un suono sommesso e svanirono a loro volta, lasciando al loro posto la donna dai capelli arruffati e dalla lacera veste nera, ferma in piedi con un sorriso sul volto e le braccia conserte.
Narnra, intanto, rimase accoccolata sul pavimento, chiedendosi quale nuovo, devastante caos magico sarebbe esploso nell’immediato futuro, dove e quando, sentendosi peraltro certa che sarebbe comunque successo presto, molto presto. Per gli dei, i capelli di quella donna erano d’argento… di vero argento… e sembravano vivi, si muovevano come un mucchio di vermi da esca raccolti in un secchio!
«Dal momento che questo è il regno di Cormyr, noto per il suo ammirevole rispetto delle leggi», osservò con calma la Regina di Aglarond, con voce che il potere della sua magia fece arrivare in ogni lontano e oscuro anfratto delle cantine, mentre la sua forma eretta fluttuava sempre più in alto nell’aria, «sono certa che le mie azioni susciteranno le proteste di coloro il cui dovere include anche il mantenimento dell’ordine in questo luogo… nonostante il fatto che io abbia appena salvato loro la pelle, per l’ennesima volta. Per una volta, non si potrebbe per favore dare almeno inizio a queste proteste e rimostranze in maniera civile?».
Gli Arpisti e i Maghi della Guerra raccolti in semicerchio tutt’intorno si limitarono a fissarla con espressione cupa e confusa, lame, archi e bastoni magici ancora sollevati, mentre alle loro spalle, nei più lontani recessi delle cantine, continuavano a verificarsi nuovi scoppi di luce che segnalavano l’arrivo di altri maghi. I difensori di Cormyr si scambiarono lunghe occhiate, si riscossero e parvero sul punto di parlare… ma per alcuni lunghi momenti pieni di tensione, durante i quali la Maga Reale sussultò, si stiracchiò e si rimise in piedi, allontanando debolmente la mano offertale da Elminster… nessuno avanzò proteste o rimostranze di sorta.
Poi un singolo uomo si fece avanti quasi con noncuranza, staccandosi dalle schiere di Cormyriani pieni di tensione per dirigersi verso la Regina di Aglarond. Il suo aspetto era robusto, il suo volto segnato dagli elementi aveva la pelle abbronzata dal sole ed era incorniciato da irsute basette e da un accenno di barba che disegnava i contorni del mento squadrato; gli occhi, di un colore fra il nocciola e il marrone, erano sovrastati da spesse sopracciglia candide, come candidi erano anche i peli che si scorgevano attraverso l’apertura dell’elegante camicia di seta… indumento che contrastava con i rattoppati calzoni di cuoio e con gli stivali infangati. Nonostante quell’evidente indicazione di un’età non più giovane, il suo sorriso era però giovanile e smagliante.
«Mi chiamo Glarasteer Rhauligan e sono soltanto un umile mercante che tratta coperture di torrette e di guglie», disse, arrestandosi e sollevando lo sguardo verso la Simbul, «ma forse questo mi rende più adatto di altri a fungere da ambasciatore del Regno della Foresta. Grande Regina, ti porgo il benvenuto nel nome di Cormyr… a patto che tu non rivolga contro di noi nessuna magia aggressiva. Attaccare alcuni malvagi, non invitati Maghi Rossi è un conto, ma aggredire coloro che hanno giurato di far osservare le leggi del regno sarebbe una cosa del tutto diversa. Nel nome di Mystra, se posso essere tanto audace, ti chiedo di non ostacolare la nostra Maga Reale e di permetterle di tornare sana e salva fra noi», aggiunse, protendendo una grossa mano a indicare Caladnei.
La Simbul abbassò lo sguardo su di lui, i capelli argentei che le si agitavano e arrotolavano intorno alle spalle come le code agitate di una legione di gatti irritati.
«Un discorso davvero cortese, Sommo Cavaliere e Arpista Rhauligan, ma al tempo stesso molto esplicito. Ti ringrazio. Questa è la mia risposta: è ovvio che la Maga Reale è libera di andare dove vuole. In questo luogo la sua volontà è legge. A patto che sia “prudente eseguirla”.»
«Ah», commentò Rhauligan, seguendo con lo sguardo i lenti passi zoppicanti con cui Caladnei stava aggirando la Simbul per dirigersi verso l’imboccatura della cantina. «E secondo la tua esperienza e la tua visione del mondo, grande Prescelta e Regina, quali sarebbero i limiti che la prudenza appone a una simile obbedienza?»
«I comandamenti di Mystra riguardanti la tirannia di tutti coloro che operano la magia, che vincolano tutti i Prescelti, quali siamo io stessa e Lord Elminster, e le aspettative che tutti i buoni e fedeli abitanti di Cormyr nutrono in merito al fatto che le leggi del regno e un’equa amministrazione della giustizia siano cose concesse a tutti, in pari misura, e non siano oggetto di abuso da parte di chiunque sia dotato di autorità.»
«Non sto dicendo che la vostra Maga Reale abbia fino ad ora mostrato segni di arbitrarietà, favoritismi o corruzione», proseguì, sollevando una mano. «Voglio soltanto sottolineare che se lei dovesse farlo o se dovesse agire in modo tale da mettere seriamente in pericolo il regno, sarebbe dovere di tutti i leali sudditi di Cormyr di opporsi a lei invece di obbedirle.»
«Ed essere in disaccordo con te, onorevolissima regina, equivarrebbe a mettere in pericolo il regno?»
«Essere in disaccordo, no», replicò la Simbul, mentre il suo sorriso si accentuava leggermente. «Attaccarmi, sì. Perdere in un solo colpo così tanti fedeli Maghi della Guerra e Arpisti ridurrebbe gravemente la capacità di Cormyr di fronteggiare maghi ostili… sia che provengano da Thay, che siano stati assoldati dai Sembiani o che provengano da qualsiasi altro luogo… o di far fronte ad altre cospirazioni contro la Corona che siano state meglio guidate e organizzate di questa cosiddetta “Legittima Cospirazione”.»
«Chiedo scusa, grande signora, ma questo tuo discorso somiglia moltissimo all’argomentazione del tipo “tutto andrà bene finché potrò fare a modo mio” tipica di numerosi tiranni», osservò Rhauligan, mantenendo un tono estremamente gentile.
«Infatti, signore, ma rifletti su questo: noi Prescelti siamo dotati di abbastanza potere magico da poter devastare interi regni e con essi la mente di tutti i loro abitanti, di poter scatenare cataclismi a nostro piacimento… e tuttavia non lo facciamo. Noi possediamo due cose che mancano alla maggior parte dei tiranni: le catene che Mystra ci impone e la saggezza acquisita che ci permette di sapere quando colpire e quando astenerci dal farlo… il che spiega come mai tu sei ancora in piedi intento a discutere con me invece di giacere morto insieme a tutti i tuoi compagni, il che è ciò che ti garantisco sarebbe successo se io fossi stata Szass Tam e tu avessi osato apostrofarmi in questo modo, sia pure con cortesia.»
In quel momento Caladnei infine raggiunse Rhauligan e gli posò una mano sulla spalla, sia in segno di ringraziamento che per cercare il suo sostegno; dietro di loro, la fila di Arpisti e di Maghi della Guerra avanzò di un passo.
Altrettanto silenziosamente, e con pari noncuranza, Elminster si mosse per farsi più vicino alla regina fluttuante nell’aria.
«In questo momento ci stanno dando la caccia per tutto il porto come se fossimo conigli, signore! Per noi è la rovina, a meno che tu la trasformi in una gloriosa vittoria scagliando qualche potente incantesimo in quella cantina e facendola crollare in modo da schiacciarli tutti. Laggiù si sono radunati più Maghi della Guerra… e più Arpisti, anche, che gli dei li dannino!… di quanti ne abbia visti in uno stesso posto dall’ultimo combattimento contro il Drago Demoniaco!»
«Non c’è bisogno di gridare e di attirare in questo modo l’attenzione su di te, buon Narvo», replicò, in tono quasi gentile, l’ignoto interlocutore che possedeva l’altra pietra per comunicare. «Hai usato l’incantesimo di contatto mentale per parlare con Englar?»
Narvo trasse un profondo respiro, come se stesse cercando di calmarsi con la pura e semplice forza della volontà.
«No, signore», rispose, in tono più sommesso. «L’ho attivato, ma… non ha funzionato, quindi lui deve essere molto lontano da Cormyr, oppure…»
«Oppure è morto. Il che è molto probabile», fu la calma risposta. «Ho ordinato a lui e ad alcuni altri di trovare e di riportare indietro Zlorn, perciò con ogni probabilità poco tempo fa doveva essere in quella cantina. Cosa mi puoi dire di Sanbreean? Come sta?»
«È… è morto, signore, nel corso dei combattimenti sui moli. L’ho visto scagliare un incantesimo contro un Mago della Guerra, che ha risposto disintegrandogli la faccia. Di conseguenza, io sono l’unico di noi rimasto in vita. Questi nobili e mercanti sono inutili! Fra loro sono tutti avidità, risate e minacce… poi però si danno alla fuga come conigli spaventati non appena le cose vanno storte!»
«Ah, bene», commentò la voce che scaturiva dalla pietra per comunicare che Narvo aveva in mano, usando un tono così basso che il Mago Rosso si dovette chinare in avanti per sentire, arrivando quasi a sfiorare con il naso la fredda e lucida superficie della pietra. «Queste sono cose che succedono, e purtroppo ne deve succedere anche un’altra. Questa.» La pietra per comunicare esplose con un ruggito, decapitando all’istante Narvo. Il corpo del Mago Rosso si raddrizzò di scatto, le sue mani artigliarono spasmodicamente l’aria, poi il cadavere mosse qualche passo barcollante indietro e da un lato… appena pochi passi incerti, ma furono sufficienti.
Le scure e fetide acque del porto di Marsember ospitavano già una nutrita collezione di piccole cose morte galleggianti, ma accettarono quell’aggiunta con uno sciacquio che suonò quasi come un benvenuto.
Del resto, gli eventi di quella sera avevano già dato loro modo di esercitarsi abbondantemente in quel genere di rapida accoglienza.
E in una buia, lontana camera, una pietra per comunicare rimasta orfana della sua gemella venne posata con delicatezza su un tavolo il cui piano era talmente lucido da rivaleggiare con la superficie della pietra stessa. L’uomo che l’aveva posata giocherellò distrattamente con una gemma nera che portava al collo come pendente, poi si volse e si diresse verso la finestra, canticchiando a mezza voce nel contemplare le stelle ammiccanti, mentre rifletteva. Senza dubbio, era giunto il momento di prendere in considerazione il suo secondo piano, decisamente più astuto e indiretto del primo.
Nella cantina di Marsember, affollata e pervasa di tensione, la Maga Reale di Cormyr si volse per fronteggiare la Simbul, tenendo le dita appoggiate alla spalla di Rhauligan per mantenere l’equilibrio; sollevando il volto segnato dalla sofferenza, Caladnei incontrò lo sguardo del famoso Flagello di Thay, Posta a confronto con la bellezza selvaggia e imponente della regina di Aglarond, Caladnei appariva giovane e insignificante… soltanto un’altra Arpista vestita di cuoio in mezzo a numerosi veterani dall’aspetto molto più minaccioso del suo. Snella e slanciata, con la pelle olivastra che aveva quasi la stessa tonalità del cuoio dei suoi abiti, Caladnei appuntò sulla Strega-Regina di Aglarond lo sguardo dei grandi occhi scuri… che in quel momento avevano la loro naturale tinta castano scuro invece del minaccioso color rosso rubino che assumevano quando lei era in preda all’ira.
«Mi associo al benvenuto di Rhauligan», disse con calma, «ma devo rispettosamente ricordare a entrambi, Elminster e Regina Alassra, che in questo luogo, in assenza della Principessa e Reggente Alusair e della Regina Madre Filfaeril, io rappresento la legge regia e sono quindi la voce di Cormyr.»
«Su questo non c’è nulla da ridire, ragazza», convenne Elminster, allargando le mani… un movimento che indusse parecchi Arpisti a sollevare nervosamente le balestre.
Cogliendo in parte quel movimento con la coda dell’occhio, Caladnei si girò di scatto verso la fila di Cormyriani carichi di tensione e segnalò loro con un gesto di abbassare le armi prima di tornare a voltarsi verso i due Prescelti.
«E in tale veste», dichiarò, ergendosi sulla persona, «nell’interesse del regno esigo che Narnra Shalace sia immediatamente affidata alla mia custodia… e che entrambi abbandoniate immediatamente la nostra terra, onorevoli Prescelti, fino a quando lo stato di cose a Cormyr non si sarà normalizzato».
Nel nome degli dei che vegliano su di noi, donna, hai davvero coraggio da vendere, pensò Rhauligan, con rabbiosa disperazione, adocchiando i due Prescelti in quelli che potevano benissimo essere gli ultimi momenti della sua vita. La tua spericolata idiozia mi riempie di disperazione, ma mi rende anche orgoglioso di te.
GRAZIE, fedelissimo commerciante in coperture di torrette e guglie, replicò Caladnei, il cui pensiero echeggiò nitido nella mente di Rhauligan, quasi come se lei gli avesse urlato nell’orecchio. Permettimi di ESSERE la Maga Reale, e non di limitarmi invece a portare addosso questo titolo quasi fosse un vestito degno di derisione, d’accordo? Ho due valide ragioni per questa particolare spericolata idiozia: in primo luogo, chiarire un punto fermo che ha bisogno di essere ribadito, e cioè che qui sono io a detenere l’autorità e che nessun Prescelto può pensare che il fatto di godere del favore divino lo autorizzi a fare ciò che preferisce; in secondo luogo, perché tutto ciò che ho sentito sul conto di questa Narnra e dalle sue stesse labbra mi ha convinta che lei deve essere molto più di ciò che sembra… e che comunque la sua mente potrebbe quanto meno fornire una QUANTITÀ di utili informazioni riguardo alle «attività oscure» attualmente in corso a Waterdeep. Non sto visitando la tua mente per giustificarmi, Rhauligan, ma per impartirti quest’ordine: qualsiasi cosa accada, dovrai catturare questa Narnra e portarla al Mago della Guerra superstite più anziano perché venga interrogata.
Signora, sono onorato di servirti, si affrettò a rispondere Rhauligan, sempre mentalmente. Ascolto e obbedisco.
«Non spetta a noi consegnare la donna di cui parli», osservò intanto Elminster, in tono gentile. «Io l’ho liberata dal mio stesso controllo e sono intenzionato a difendere tale libertà, se così lei vorrà. Inoltre, se ti prenderai la briga di consultare non meno di sei decreti reali e due trattati vincolanti di cui sono a conoscenza, conservati negli archivi reali di Cormyr, scoprirai che io… anche se non, lo ammetto, la sovrana di Aglarond… ho la libertà di circolare per il regno e che il mio rango a corte è superiore al tuo.»
Caladnei lo fissò con volto inespressivo, il colore degli occhi che s’incupiva e tendeva sempre più al rosso.
«Può darsi che sia così, ma le mie richieste continuano a essere le stesse», ribatté con calma, poi sollevò lo sguardo sulla famosa massacratrice di centinaia di maghi thayani, che ancora si librava nell’aria sopra di lei, e aggiunse: «Per quanto continui a essere mio desiderio non offendere nessuno di voi due, Regina di Aglarond, devo chiederti quale sia la tua risposta alle richieste da me esposte».
«Tu vorresti sfidarci, bambina?» domandò la Simbul, in tono incredulo e divertito.
Elminster sollevò lo sguardo su di lei e la Simbul si volse a incontrare il suo sguardo, avviando con lui un evidente, rapido scambio di pensieri.
«Grandi signori», insistette Caladnei in tono secco, l’ira che per la prima volta cominciava a trapelarle dalla voce. «Esigo che non conversiate privatamente e che facciate sentire anche a noi ciò che avete da dirci.»
«Un tipo esigente, non trovi anche tu?» commentò Elminster, senza girarsi a guardare verso la Maga Reale. «Eppure non ha esteso a noi questa stessa cortesia, quando ha impartito a Rhauligan il suo ordine.»
«È ancora giovane», replicò con fare tollerante la Simbul, poi entrambi si volsero all’unisono verso Caladnei con un identico sorriso… e fecero esattamente ciò che lei aveva richiesto.
HAI FATTO BENE A RIVOLGERTI DIRETTAMENTE A ME… E SÌ, CONDIVIDERE LA NOSTRA CONVERSAZIONE È LA COSA MIGLIORE.
Una voce gentile e tuttavia tonante echeggiò nella cantina e fece barcollare all’indietro i Cormyriani, pallidi in volto e con le mani che tremavano per il timore. Nessuno di essi ebbe il bisogno che qualcuno gli dicesse a chi apparteneva quella voce mentale che echeggiava dentro di loro, luminosa, azzurra e bianca, pervasa di stelle dirompenti generate da un potere puro che fece rimbombare in ogni mente un solo nome: Mystra.
Il campanello che stava aspettando intonò il suo strano motivo appena fuori dalla porta e Bezrar si alzò di scatto dalla scrivania ingombra. Il suo corpo era madido di sudore, ma del resto Aumun Tholant Bezrar era sempre sudato, in parte perché… sì, doveva ammetterlo davanti agli dei… lui era grasso, e in parte perché qualcuno il cui lavoro quotidiano di importatore e rivenditore all’ingrosso di merci assortite includeva la rivendita di carrettate di merci di contrabbando e spesso anche rubate, com’era il suo caso, aveva ogni motivo di sudare abbondantemente.
Il mercante armeggiò con la sbarra, le tre catene e i due chiavistelli che bloccavano la porta e ne spalancò il battente.
«Per gli dei, sei arrivato finalmente!» esclamò.
«Fatti da parte e lasciami entrare, invece di annunciare il mio arrivo a tutto il vicinato, razza di incredibile idiota», ribatté la voce di Surth, scaturendo fredda e secca dal buio.
Bezrar sbatté le palpebre, ridacchiò e si affrettò a indietreggiare per fare spazio al suo socio. Naturalmente, Surth aveva ragione, come sempre.
«Hai portato i cappucci?» chiese.
«No, ovviamente ho attraversato a piedi tutta Marsember per pagare un ordine speciale e poi mi sono dimenticato di portare la merce con me!», ribatté Malakar, con il consueto tono acido e sarcastico. «Dovrai provvedere a tagliare da solo i buchi per gli occhi… hai un paio di forbici in questo porcile, vero?»
Bezrar ridacchiò, invece di irrigidirsi, come avrebbe fatto nell’improbabile eventualità che chiunque altro, a Marsember, avesse osato apostrofarlo in quel modo. Surth era Surth: Malakar Surth, freddo, sinistro e pervaso di gelida superiorità in ogni singolo centimetro del suo essere. Surth era alto e magro laddove Bezrar era basso e grasso, ed era acido e sarcastico mentre Bezrar era gioviale e allegramente malvagio.
Quella differenza derivava dal fatto che Surth aveva commerciato in profumi, vini e droghe fino ad avere il denaro che gli cadeva dagli orecchi… da questo e dal fatto che lui adorava Shar. Bezrar non aveva mai apprezzato né capito l’amore di Surth per la crudeltà, ma c’erano momenti, come per esempio quello attuale, in cui esso tornava utile.
Allargando il cappuccio che Surth gli aveva porto, Bezrar si preparò a infilarselo sulla testa.
«Prima siediti. Non sarebbe divertente vederti barcollare di qua e di là in mezzo a questo caos, finendo per conficcarti le forbici in un occhio… o per piantarle addosso a me», consigliò con freddezza Surth, poi sbuffò appena, a indicare che aveva appena fatto una battuta, e aggiunse: «Muoviti! La notte non dura in eterno, sai?».
«No, per il pesce di Odd», convenne Bezrar, con entusiasmo, la voce soffocata dal cappuccio, e indietreggiò prontamente, abbandonandosi sulla propria sedia con uno schianto sonoro. Levando gli occhi al cielo per il disgusto, Surth osservò le dita grasse e unte del mercante all’ingrosso tastare in mezzo al caos di documenti come un ragno ubriaco, cercando le forbici che giacevano lucide a meno di un centimetro di distanza da esse.
Il suo cappuccio, invece, era già pronto e lui se lo calò con fare selvaggio intorno alla testa, assestandolo con uno strattone impaziente.
«Bezrar», sibilò, in un tono di avvertimento che produsse il risultato previsto, e cioè un’ondata di attività frenetica che fece scricchiolare sonoramente la sedia del mercante.
«Sì, sì, così, sì!» rispose Bezrar, lavorando di forbici a tutta velocità, poi con un trionfante: «Ecco fatto!»
«Splendido», commentò Surth, con voce tale da far grondare sarcasmo lungo le pareti. «E adesso vogliamo andare?»
«Sì, sì, certamente, per gli dei!» esclamò il grasso mercante, alzandosi in piedi con i movimenti ponderosi di un tricheco che riuscisse a issarsi su uno scoglio, e si diresse sbuffando verso la porta… ma a metà strada si batté una manata sulla fronte e si volse per spegnere la lampada e afferrare il coltello già riposto nel fodero… un esemplare davvero impressionante del genere di lama ricurva che i Marsembani usavano per sventrare il pesce… girandosi poi verso il compagno per porgli un’improvvisa domanda: «E se non ci fossero?».
«Allora riproveremo un’altra notte», rispose Surth, a denti stretti. «Nessuno può sottrarre diecimila monete d’oro a Mal… a noi due e continuare a vivere per svignarsela con il maltolto.»
«Ma… ma se invece fossero in casa e ci stessero aspettando? Per esempio con qualche oscuro incantesimo?»
«Ho un… un socio d’affari che potrà intervenire, in caso di bisogno», replicò Malakar Surth, con la mano già sulla maniglia della porta.
«Eh? Che genere di socio d’affari?»
L’alta ombra sottile, stagliata sulla soglia sullo sfondo dell’oscurità esterna, mormorò:
«Bezrar, è giunto il momento di fare silenzio. Quanto al mio socio, diciamo soltanto che i suoi incantesimi sono di un genere ancora più oscuro».
Narnra deglutì a fatica, o almeno tentò di farlo, in quanto le pareva di fluttuare in un mare di tranquillità, in mezzo alla gloria, incantata da quella voce possente e tuttavia gentile. Dunque, quello era un dio…
A bocca aperta per la reverenziale meraviglia, la maggior parte dei Maghi della Guerra si stava inginocchiando sul pavimento delle cantine mentre la voce tonante della loro dea echeggiava e riverberava intorno a loro; in piedi, gli Arpisti fissavano con occhi dilatati i due Prescelti, nella speranza di riuscire a intravedere qualcosa… sia pure nella maniera più fugace, della Madre di Ogni Magia.
Poi qualcosa si destò nella mente di Narnra, mentre lei se ne stava accoccolata, tremante per il timore reverenziale, qualcosa che parve trovare e vagliare le sette stelle bianco-azzurre con curiosità… per poi sfoggiare un sorriso che era un’eco di quello che in precedenza si era diffuso dentro di lei.
Paralizzata, immobile come pietra, Narnra Shalace pianse interiormente durante quell’ispezione personale da parte di Mystra e lasciò che quel nuovo fuoco bianco-azzurro si riversasse nelle stelle, lasciandola tremante.
E per questo lei fu la sola persona presente nella stanza che non ebbe modo di sentire ogni singola sillaba pronunciata dalla voce mentale di Mystra:
COME UN FABBRO TESTA E TEMPRA UNA LAMA, COSÌ SI DEVE OPPORRE RESISTENZA DI CONTINUO ALLE TRAME DEI MAGHI DI THAY… E TUTTAVIA È MIO DESIDERIO CHE L’AUMENTATA DIFFUSIONE MERCANTILE DELLA MAGIA DA PARTE DI THAY CONTINUI, ALMENO PER ADESSO. HAI FATTO BENE A UCCIDERE COSTORO, ALASSRA, MA RECARTI ORA IN THAY PER INDULGERE NEL MASSACRO DI ALTRI MAGHI ROSSI SAREBBE SBAGLIATO. FIN TROPPO PRESTO, PROVVEDERANNO LORO STESSI A OFFRIRTI IL MODO DI DIVERTIRTI A LORO SPESE ALL’INTERNO DELLA STESSA AGLAROND.
QUANTO A TE, ELMINSTER, DOVRAI OCCUPARTI DI UN PIÙ IMPORTANTE PROBLEMA: IL TUO ALLIEVO DI UN TEMPO, VANGERDAHAST, NON È DEBOLE E SMEMORATO COME HA FATTO CREDERE A CALADNEI. EL, ACCERTATI CHE LUI ABBIA VAGLIATO DAVVERO A FONDO TUTTE LE CONSEGUENZE LEGATE ALLO SVILUPPARSI DEI SUOI PROGETTI E CHE NON STIA SOLTANTO AGENDO IN MANIERA EGOISTICA. SE PROVVEDESSI A INDAGARE DI PERSONA ROVINEREI IL SUO LAVORO… E METTEREI ULTERIORMENTE IN PERICOLO CORMYR.
La maggior parte dei Cormyriani presenti nelle cantine era raggomitolata per il terrore o tremante per la meraviglia e il timore indotti dal puro e semplice peso e potere legati alla presenza di Mystra, la cui voce continuava a echeggiare tonante. Tutti erano troppo affascinati per poter svenire o per scivolare nel torpore, in quanto il semplice contatto con la divinità rendeva ogni mente lucida e incandescente… ma l’ultima frase pronunciata da Mystra ebbe infine l’effetto di far impallidire la Maga Reale di Cormyr.
Il più grande segreto di stato di Cormyr era stato messo a nudo, davanti a tutti. La maga barcollò, assalita da un senso di malessere, e dovette lottare con se stessa per reprimere l’improvviso impulso di mettersi a urlare. Tutta la segretezza a cui si era fatto ricorso, le persone innocenti che avevano avuto la mente devastata o erano state uccise perché dimenticassero o non potessero rivelare ciò che avevano visto, il tormento di dover fronteggiare nobili, Maghi della Guerra e cortigiani ostili prima di essere pronta… tutto questo era stato spazzato via in un istante.
In quel momento due occhi giganteschi si aprirono, emergendo dal nulla alle spalle di Elminster e della Simbul, e il loro sguardo attraversò entrambi i Prescelti, appuntandosi su Caladnei.
FORSE SI È TRATTATO DI SPERICOLATA IDIOZIA, CALADNEI DI CORMYR, MA È STATO ANCHE UN ATTO CORAGGIOSO. INOLTRE, I TUOI SOSPETTI SU NARNRA SONO FONDATI. NESSUN SEGRETO PUÒ ESSERE MANTENUTO TALE PER SEMPRE, E SPERO CHE TU ABBIA PROTETTO QUESTO ABBASTANZA A LUNGO.
Nel fissare quei grandi occhi scintillanti, Caladnei si sforzò invano di trovare le parole per rispondere mentre un senso di esultanza andava crescendo dentro di lei e il volto le si copriva di lacrime improvvise…
Un’isolata figura incappucciata e vestita di cuoio si alzò di scatto dalla sua posizione accoccolata e si allontanò rapida come il vento, attraversando di corsa la cantina affollata con la rapidità di una freccia; per un istante appena, alcune stelle bianco-azzurre parvero vorticare intorno ai suoi talloni.
Glarasteer Rhauligan si scrollò come un cane bagnato e si riscosse dal proprio stato di estasi per spiccare la corsa, mettendo qualcosa nelle mani di Caladnei mentre le passava accanto.
La maga abbassò lo sguardo sull’oggetto che teneva fra le dita, la mente così sconvolta che impiegò qualche secondo a capire di cosa si trattasse: una scintillante fiala d’acciaio.
Bevila e risanati, ingiunse la voce mentale di Rhauligan, calda e decisa, giungendo fino a lei tramite il legame prodotto dall’incantesimo che non si era ancora esaurito. Non preoccuparti per me, ne ho altre due.
Soltanto un altro Arpista scattò per intercettare la fuga precipitosa dell’Ombra di Seta, ma Narnra gli scagliò in faccia il contenuto del suo ultimo sacchetto di sabbia, superò con un volteggio un tremante Mago della Guerra e scomparve su per le scale, con il respiro affannoso.
Più vecchio e massiccio, Rhauligan la seguì a un’andatura più lenta ma determinata, zigzagando con maggiore cautela fra la folla di Cormyriani attoniti.
Filtrando attraverso quel contatto mentale di stelle vorticanti, il divertimento di una dea si abbatté su tutti loro in una vasta ondata, costringendo la maggior parte di quanti si trovavano nella cantina a cedere a un’impotente ilarità.
Mentre tutti ridevano dondolandosi sulla persona, e calandosi manate sulle cosce, gli occhi giganteschi scomparvero, ed Elminster e la Simbul sparirono insieme alla loro nebulosa luminosità. Di colpo, la sopraffacente presenza della divinità cessò di esistere.
Le risate si spensero in fretta e i Maghi della Guerra e gli Arpisti quasi intontiti si aggrapparono gli uni agli altri per sorreggersi a vicenda, sbatterono le palpebre e sospirarono nel riemergere ciascuno a suo modo dal loro stato di estasi. Molti cominciarono a imprecare e non pochi si chinarono in avanti per puntellarsi con le mani sulle ginocchia, come soldati sfiniti, cercando di ritrovare la lucidità mentale.
«Quella… quella è stata una cosa notevole», commentò con voce fievole un Arpista brizzolato, riponendo la spada; accanto a lui, due Maghi della Guerra si volsero e si abbracciarono a vicenda, il loro tremito incontrollabile che si placava a poco a poco.
In piedi da sola, ancora rivolta verso l’area vuota e buia dove si erano trovati poco prima due Prescelti e la loro dea, la Maga Reale di Cormyr stava tremando in silenzio, piangendo in maniera irrefrenabile con la fiala d’acciaio stretta al petto.
Una donna dalle eleganti vesti scure si staccò dalla folla di Cormyriani e si diresse verso Caladnei, badando ad aggirarla in modo da non spaventarla arrivandole alle spalle, ma procedendo senza rallentamenti o esitazioni.
Senza neppure sollevare lo sguardo, Caladnei intravide una ciocca di capelli che si era recentemente fatta bianca in mezzo a una folta capigliatura e il portamento eretto e aggraziato della figura che si stava avvicinando, e quando un paio di braccia la circondarono con gentilezza, comprese quindi che chi le stava offrendo conforto era Speera.
Laspeera. Caladnei non era certa di potersi rivolgere a Laspeera Inthré Naerinth, comandante in seconda dei Maghi della Guerra durante molti degli anni di servizio prestati da Vangerdahast, chiamandola con il soprannome che le avevano dato i membri della famiglia reale. Laspeera, la dama di cui lei aveva temuto il risentimento e l’ostilità a causa della scelta fatta dal sempre più bizzoso e temuto vecchio Vangerdahast di nominare come suo successore una ignota avventuriera proveniente dal Turmish… ma che era invece diventata un’amica affidabile, continuando inoltre a essere un’amata e fedele diplomatica oltre che un baluardo di forza e una guida morale per i Maghi della Guerra e i nobili del regno.
Non per la prima volta, Caladnei si chiese quali veri pensieri Laspeera celasse dietro la sua perfetta facciata di costante gentilezza, considerato che più di un cortigiano era capace di comportarsi e di parlare in un modo salvo nutrire convinzioni e reconditi intenti di natura del tutto diversa, e che fin troppi re erano caduti per essersi fidati troppo a lungo della faccia sorridente sbagliata.
Nonostante quelle riflessioni, Caladnei non riuscì però a smettere di piangere, e le braccia di Speera che la circondavano le offrirono calore, cullandola con l’affetto che avrebbe potuto venirle da una sorella maggiore.
«Sì, è uno dei momenti culminanti della vita di chiunque», mormorò Laspeera, «e di conseguenza la sua fine ha un effetto devastante… Cala, la vita però continua e ci saranno altri momenti… se lavorerai perché si verifichino».
Quelle parole indussero Caladnei a raddrizzarsi e a ritrarsi di scatto per fissare la Maga della Guerra più anziana.
«Speera?» sbottò. «Mi hai chiamata “Cala”!»
«Che Mystra mi prenda… è vero», convenne Laspeera, con una strizzata d’occhio. «È stato davvero presuntuoso e maleducato da parte mia… un lapsus della mia lingua ribelle.»
Nel parlare continuò a tenere stretta Caladnei, per cui fu pronta a sorreggerla quando lei si accasciò in preda a un’improvvisa e irrefrenabile crisi di riso.