9. I complotti di un mago non hanno mai fine

Ascoltami, Lord Principe: dopo i nobili che hanno troppo tempo e troppo denaro a disposizione per resistere alla tentazione di fare danno, i maghi sono coloro che devi sorvegliare. I piani dei maghi sono instancabili come le onde in tempesta che si abbattono su una riva… e sono anche altrettanto distruttivi.


Astramas Revendimar

saggio di Corte di Cormyr

Lettere a un uomo che sarà re

Anno della Fiamma Sorridente


La sala centrale di Haelithorntowers era un vasto, alto e ombroso ambiente di pietra, la cui guglia a volta si perdeva nella penombra, a più di trenta metri di altezza. Alcune torce erano state accese negli antichi bracieri disposti lungo la balconata che cingeva la sala, mentre le grandi lampade appese a lunghe catene erano state lasciate spente ed erano state sollevate al massimo perché non intralciassero i danzatori che si libravano nell’aria.

Le ultime, acute e dolenti note del canto che aveva accompagnato la danza echeggiarono nella penombra fumosa sovrastante le torce fino a spegnersi languidamente, e i danzatori sudati fluttuarono a terra, salutando con grazia la loro patronessa.

Un coro di applausi si levò dalle ospiti comodamente sedute sui grandi divani disposti intorno alla tavola a mezzaluna, mentre la padrona di casa si alzava in piedi e ricambiava il saluto dei danzatori con un allegro sorriso. La loro esibizione era stata memorabile, le emozioni che aveva evocato erano risultate estremamente reali, tanto che adesso le lacrime brillavano negli occhi di molte ospiti, perfino di quelle che stavano soffocando a fatica gli sbadigli dovuti all’ora tarda… o fin troppo mattutina, dato che l’alba era già sorta, oltre le finestre a feritoia dell’alta guglia.

«E così, amiche mie», annunciò con un sorriso Lady Ambrur, «la nostra serata insieme si deve concludere, in quanto un nuovo giorno si sta destando intorno a noi. Temo che il tempo a nostra disposizione si sia esaurito… e sono certa che adesso noi tutte, come pure i danzatori che hanno lavorato così duramente per il nostro piacere, sentiamo il bisogno di dormire».

Sollevando con grazia un braccio, Lady Ambrur indicò verso est, in direzione delle grandi porte a due battenti che la maggior parte delle sue ospiti aveva attraversato alcune ore… quasi sembrava si fosse trattato di giorni… prima.

«Le vostre carrozze sono state preparate e i miei servitori vi attendono oltre quelle porte per accompagnarvi fino a esse. Voi tutte sarete quanto mai le benvenute, la prossima volta che aprirò le mie porte per una serata di conversazione e di intrattenimento fra amiche, e potete essere certe che invierò in anticipo l’invito personale a ciascuna di voi. Ora vi prego di lasciarmi affinché possa raggiungere il letto che mi attende… vedete?» aggiunse, sbadigliando con eleganza. «Mi sta già chiamando.»

Ci fu un breve coro di risate, poi le numerose nobildonne di Marsember e di altre città… da Lady Chalroasze Klardynel di Selagunt a Lady Maezaere Thallandrith di Alaghôn… si alzarono fra un frusciare di seta, di raso e di satin per baciare le mani e la guancia della padrona di casa nel congedarsi da lei. Molti e intensi erano i loro profumi, soprattutto fra quelle che più di recente avevano sposato qualche danaroso mercante di Marsember, donne note per la loro perfidia a stento velata e per il loro spesso scadente senso dell’etichetta e della moda, ma Lady Ambrur rivolse a ciascuna di esse un sorriso affettuoso e riuscì in qualche modo… forse grazie alla sua vera natura nobiliare… a farla sentire personalmente speciale e apprezzata pur affrettandosi al tempo stesso a congedarsi da lei.

Una delle ultime splendide dame a lasciare la dimora fu Lady Amantha Indesm di Suzail, una bellezza dalle spalle nude avvolta in un abito color smeraldo che possedeva gli occhi ardenti di una tigre inquieta e il sorriso smagliante di un’innocente. La dama abbracciò impulsivamente la padrona di casa, con le guance ancora scintillanti dalle lacrime destate in lei dall’ultima esibizione dei danzatori, e uscì senza attendere i servitori, lasciando Lady Ambrur sola con la sua ultimissima ospite: Lady Nouméa Cardellith.

Entrambe rimasero del tutto immobili finché i battenti non si furono richiusi alle spalle di Lady Indesm.

«Chiedo scusa, Lady Joysil», affermò poi Nouméa, a bassa voce, «ma ti hanno appena lanciato un incantesimo di spionaggio, e dovrei infrangerlo».

Nel parlare sollevò una mano, poi si arrestò a metà del gesto, in attesa del permesso dell’altra dama.

«Prego, procedi», annuì la padrona di casa, con un sorriso. «Amantha è una cara amica, ma è anche una spia degli Arpisti… e la sua fedeltà va innanzitutto a loro. Tenta sempre questo piccolo trucco, sa che io faccio fallire il suo incantesimo… ed entrambe facciamo finta di ignorare la cosa.»

«Lo ha già fatto in precedenza? Conosci i suoi intenti e tuttavia la inviti?»

«Mi piace tenere vicini i miei nemici e guardarli negli occhi», replicò in tono sereno Lady Ambrur, aggirando di nuovo il tavolo per sorseggiare il contenuto del suo alto calice, poi lo sollevò verso Nouméa in un gesto di saluto, sfoggiò un sorrisetto e aggiunse: «Loro vedono e sentono soltanto ciò che io voglio».

Le due dame alte e snelle… Joysil un po’ più massiccia e matura dell’altra, ma entrambe con occhi che esprimevano la saggezza di chi conosce bene il mondo… si contemplarono a vicenda con aria pensosa, un atteggiamento da cui risultava evidente che fra loro esisteva un legame di reciproca fiducia, sebbene quella fosse la prima volta che s’incontravano.

«Hai lasciato che infrangessi quell’incantesimo, mentre avrei potuto operare qualsiasi altro incantesimo su di te», osservò infine Nouméa, in tono incuriosito. «Ci siamo appena conosciute, e tuttavia ti fidi di me. La cosa mi onora, però devo confessare che sono curiosa: come mai Joysil Ambrur si fida di questa sconosciuta, considerato che la fiducia è una cosa praticamente ignota fra queste… perdona la franchezza… queste anguille e volpi troppo dipinte di Marsember?»

Joysil scoppiò in un’allegra risata, senza più mostrare traccia della sua supposta stanchezza.

«Non ti perdonerebbero mai per averle descritte in questi termini, però le tue parole sono davvero adeguate: in effetti sono astute anguille rapaci e piccole volpi fameliche.»

Nouméa attese per un momento, e quando la sua ospite non aggiunse altro, domandò: «Non vorrei offenderti, ma mi piacerebbe sapere il motivo della tua fiducia. Mi conosci a stento».

«È vero», convenne Joysil, in tono gentile, «ma so tutto di te».

«Davvero?»

«Il tuo nome di nascita è Nouméa Fairbright, e sei una donna non solo bella ma anche dotata di spirito e di una mente acuta. Hai frequentato una scuola superiore per le figlie delle ricche famiglie di Sembia gestita da Lady Calabrista, e hai addirittura soggiornato presso Elminster, a Shadowdale, dopo esserti recata là in gita scolastica… e dopo non sei tornata presso Calabrista ma hai invece stupito una serie di tutori con la tua padronanza della magia. Hai sposato Lord Elmarr Cardellith di Saerloon, un ricco e spietato lord mercante di Sembia, e gli hai generato quattro figlie, poi sei sopravvissuta a due tentativi da parte di tuo marito di farti avvelenare perché non voleva delle figlie ma soltanto maschi. Fuggita a Marsember, sei stata pagata per “restare lontana” mentre lui si convertiva a un’altra religione e si risposava secondo la sua nuova fede, annullando il vostro matrimonio. Adesso hai ventisei anni e sei cinica, indurita, amareggiata… e annoiata, il che significa che hai voglia di avventure. In breve, sei il genere di donna che gli Obarskyr tendono a considerare pericolosa, perché potrebbe facilmente lasciarsi indurre ad aiutare ribelli o a partecipare a intrighi illeciti… salvo poi tentare in ogni modo di rimediare al proprio operato. Lady Nouméa Cardellith, il ritratto che ho fatto di te è esatto?»

Durante quel discorso Nouméa era impallidita visibilmente. Adesso deglutì a fatica, lentamente, poi sollevò la testa e fissò Lady Ambrur negli occhi.

«Sì, in ogni parola, che mi piaccia o meno», dichiarò con fermezza. «Per riempire alcuni vuoti presenti nella mia storia, riguardo ai quali ci sono state supposizioni, posso aggiungere che nessun uomo a parte Elmarr mi ha mai toccata, neppure Elminster o Lhaeo, e che non ho avviato nessuna storia sentimentale o di semplice rapporto fisico con alcuno, qui in Sembia. La portata delle tue informazioni può essere descritta solo con il termine “impressionante”, e non intendo chiederti come sei venuta a conoscenza di tanti particolari, tuttavia sono curiosa di capire perché ti prendi la briga di apprendere tante cose… sul mio conto, riguardo all’Arpista che è appena uscita e… su tutti quanti. Scommetto che sei informata riguardo a ciascuna delle ospiti che sono appena uscite nella stessa misura in cui lo sei sul mio conto.»

«Conoscere segreti… essere informata di quelle azioni poco legali e di quegli intrighi che sembrano essere il nucleo stesso della natura umana… è per me cibo e bevanda, il vino stesso della vita. Credimi, non potrei vivere in nessun altro modo, e… sì, avresti vinto quella scommessa.»

Un campanello trillò, da qualche parte dietro la sedia, inducendo Lady Ambrur a posare il calice.

«Allora, il nostro accordo è confermato? Mi hai rimandato il denaro che ti avevo offerto, ma hai detto di voler accettare.»

«L’accordo è valido, ma non ho bisogno di pagamenti. Ti considero un’amica.»

«Comunque sia, il nostro ospite… che stando al campanello di avvertimento è appena arrivato… è un Mago Rosso di Thay. Presenziare a questo incontro per proteggermi potrebbe quindi comportare un certo pericolo e far sì che tu venga d’ora in poi considerata una nemica da tutti i Thayani, anche se questa mattina non dovesse accadere nulla di spiacevole.»

«Comunque sia», ribadì Nouméa, annuendo. «Mi pareva però che in precedenza avessi parlato di tre ospiti.»

«Infatti, ma due di essi non sono che furfanti locali animati soltanto da disonestà e vuota ambizione. Peraltro, mi fa piacere che tu intenda rimanermi accanto, giusto per maggiore precauzione. Posso presentarti come una studiosa di architettura venuta a visitare Haelithorntowers per esaminarne le caratteristiche?»

«Certamente», assentì Nouméa Cardellith, con un sorriso improvviso. «Guglie e torrette sono cose su cui posso dissertare a piacimento per mezza giornata. Elmarr riteneva che quello fosse l’unico argomento di cui si potesse parlare con una donna… perfino la sua donna.»

«Chissà perché, la cosa non mi sorprende», ribatté Lady Ambrur, in tono asciutto, mentre tirava un cordone che pendeva vicino al bracciolo della sua sedia.

I doppi battenti si aprirono immediatamente e i servitori scortarono tre uomini nella stanza, due mercanti seguiti da una figura isolata.

Uno dei due Marsembani era alto e magro, con il volto duro, mentre l’altro era basso e massiccio, aveva l’aria un po’ malconcia e da come stringeva fra le mani un elegante cappello sembrava pensasse che farlo a pezzi gli avrebbe permesso di emergere in qualche modo incolume dall’imminente incontro. I due poi si separarono per lasciar passare il terzo uomo, un individuo giovane dotato di una cupa bellezza, vestito in nero e argento, che aveva in tutto e per tutto l’aspetto di un determinato e abile nobile di Suzail o di un principe mercante purosangue appartenente a una delle principali famiglie di Sembia.

«Signori, siate i benvenuti», li accolse con calore Lady Joysil. «Questo incontro avviene in assoluta riservatezza, e siamo in possesso delle informazioni che volevate.»

«Ah», replicò il mago, spostando lo sguardo da Nouméa a Joysil per poi riportarlo sulla prima nobildonna. «Questo è un bene. Piacere di incontrarvi, Lady Joysil e Lady…»

«Cardellith, signore», replicò la prima donna. «Nouméa Cardellith, ora di Marsember.»

«È una studiosa di architettura», interloquì con gentilezza Lady Ambrur. «È qui per vedere tutti gli intagli e le sculture di Haelithorntowers.»

«Architettura?» sorrise il Thayano.

«E altre cose», replicò la Signora di Haelithorntowers, con un sorriso quasi identico al suo.

«Ah», commentò ancora il mago, e si mise a sedere senza attendere di essere stato invitato a farlo, lasciando i due mercanti in piedi alle sue spalle, in preda all’incertezza.

«Questi sono i mercanti Aumun Tholant Bezrar e Malakar Surth», li presentò Lady Ambrur, invitando al tempo stesso i due a sedersi con un cenno. «Questi è invece Harnrim “Incantesimi Oscuri” Starangh, uno dei più diplomatici Maghi Rossi di Thay che abbia mai avuto il piacere di intrattenere.»

«E hai intrattenuto molti di noi, Lady Ambrur?»

«In effetti sì, Incantesimi Oscuri», confermò Lady Ambrur, con un altro sorriso. «In particolare, Szass e io siamo vecchi amici… molto vecchi.»

Per un istante, il Thayano parve immobilizzarsi, poi replicò, in tono ancor più sommesso:

«Prima o poi me ne dovrai parlare, ma sarà per un’altra volta».

«Certamente. Quando giungerà il momento adatto, come affermi tu stesso», fu la vellutata risposta.

Nouméa represse un brivido nel constatare come le parole della sua ospite e del Thayano fossero misurate e tuttavia dense di minaccia, poi scoccò un’occhiata in direzione dei due Marsembani e lesse sul loro volto la stessa paura rigidamente mascherata che sapeva essere presente sul proprio: quei due non sapevano tutto quello che stava succedendo in quel luogo, ma ne sapevano abbastanza da avere la certezza che qualsiasi cosa si celasse dietro quell’incontro era spiacevole, e pericolosa.

«Hai appreso ciò che desidero sapere, e per cui ho offerto dodicimila monete d’oro?» domandò infine il Thayano, allargando le mani.

«Docidimilaseicento», lo corresse con calma Lady Ambrur.

«Come vuoi tu, dodicimilaseicento», assentì il Mago Rosso.

«Sì. Vuoi sapere con esattezza cosa “stia combinando” Vangerdahast, il Mago di Corte di Cormyr che si è ritirato dalla sua carica, dove si trova e quali siano le sue difese magiche.»

«Se potrai darmi anche una risposta parziale a quegli interrogativi», affermò Starangh, con un sorriso, una luce dura e intensa nello sguardo, «Vangerdahast si verrà a trovare molto più vicino alla sua rovina… una sorte che si è abbondantemente guadagnato e che mi farà un estremo piacere infliggergli. Al più presto».

* * *

Quell’umida città puzzolente di pesce non era Waterdeep, ma se non altro aveva muri e tetti, e questo le permetteva di sentirsi un po’ più a suo agio in essa.

Narnra si concesse un sorriso privo di divertimento. Eccola là, a fuggire per salvarsi la vita, inseguita da una sorta di agente della legge deciso a ucciderla o a catturarla.

Oh, sì, era proprio come a casa.

* * *

La Regina di Aglarond arricciò il naso.

«Ah, Marsember! Come sempre, umida e fredda pietra, persone ancora più fredde e l’onnipresente fetore di pesce e di rifiuti umani. Come intrattenimenti, ci sono le tempeste che infuriano lungo la costa e gli intrighi che imperversano dietro le porte chiuse. Bene», continuò, con un sorriso, «se non altro serve a uno scopo eccellente: ricordarmi che non dovrò mai permettere che la mia capitale, Valprintalar, s’ingrandisca al punto da diventare un vasto regno di finzione!».

Elminster le accarezzò la spalla nuda, poi baciò la pelle morbida su cui stavano scorrendo le sue dita.

«Mi dispiace», replicò. «Anche per me, questo non è il posto che preferisco in tutta Faerûn, ma si dà il caso che attualmente Caladnei si trovi proprio qui.»

«Sarà fatta la volontà di Mystra», sospirò la Simbul, poi si volse di scatto, afferrò Elminster per la barba e gli abbassò la testa in modo da poterlo baciare intensamente.

Come pareva sempre propensa a fare, gli si strinse contro con avidità, fondendosi con lui…

«Abbi cura di te», sussurrò, quando infine il fatto che fossero entrambi senza fiato la costrinse a trarsi indietro. «Ti ho aspettato così a lungo… non mi lasciare sola proprio adesso.»

«Cosa?» replicò Elminster, sconcertato. «Tu mi hai aspettato…?»

«Ho aspettato che ti accorgessi di me e mi amassi», spiegò lei, gli occhi quanto mai incupiti. «Per me stessa, e non in quanto una delle figlie di Mystra.»

Nel parlare, attivò davanti a sé un incantesimo che evocò un’oscurità punteggiata da una spruzzata di minuscole stelle.

«Ho amato la tua mente per secoli, prima che tu sapessi chi ero, Vecchio Mago, e ora amo anche il tuo carattere. Tuttavia», aggiunse, con una smorfia, «avresti potuto avere maggiore cura del tuo corpo, vecchio rottame».

Elminster inarcò le sopracciglia, sollevò le mani agitandole in una serie di movimenti elaborati, mormorò un rapido incantesimo… e si trasformò in un giovane alto e ampio di spalle, dotato di una rude avvenenza e di neri capelli corvini, rivolgendole un sorriso scintillante.

La Simbul sbuffò, poi si portò le mani alla bocca con finta eccitazione, come una ragazzina prossima a svenire per l’emozione, e abbandonò con altrettanta prontezza quell’atteggiamento per strizzargli l’occhio. Indietreggiando nell’oscurità da lei evocata, la Regina di Aglarond mormorò:

«Il mio vecchio rottame», e svanì, portando con sé la fenditura che aveva creato, completa delle sue stelle e di tutto il resto.

Il trasformato Elminster diresse un sorriso pieno di affetto verso il punto in cui lei si era trovata un attimo prima, poi scosse il capo e contrasse a sua volta la bocca in una smorfia.

«Mi chiedo se in tutti i secoli che ha passato amando la mia mente abbia anche visto dove andava il mio corpo girovago, e con chi», borbottò.

Ridacchiando, scrollò le spalle e si incamminò nel freddo e oscuro passaggio intasato di ragnatele.

* * *

L’umidità aveva trasformato le ragnatele in fitte tende costellate di gocce simili a gemme. Elminster passò in mezzo a esse senza preoccupazione, ricoprendosi le vesti di uno strato irregolare di setosa sporcizia, e svoltò a sinistra non appena raggiunto il bivio che ricordava.

Immediatamente, un freddo fuoco azzurro divampò nel vuoto davanti al suo naso, ma lui attraversò con passo tranquillo l’incantesimo di protezione… e anche quello successivo.

Poco dopo si trovò a fronteggiare un’assonnata Maga della Guerra che, a piedi scalzi, gli si parò davanti con rabbia, tenendo fra le braccia un’asta a cui erano attaccate una mezza dozzina di bacchette scintillanti di potere e puntandogliela dritta verso la faccia.

«Fermati, se non vuoi essere distrutto!» ingiunse, mentre le sue dita attivavano una magia che fece suonare dei campanelli in una dozzina di diverse camere, vicine e lontane.

Adesso, qualsiasi cosa fosse accaduta, ben presto quel passaggio, che non era poi così segreto, sarebbe stato invaso entro pochi minuti da numerosi Maghi della Guerra, e fino ad allora sarebbe stato suo dovere impedire a quello sconosciuto di…

L’uomo si fece avanti, e con un ringhio la Maga della Guerra attivò contemporaneamente tre bacchette.

Il bagliore e il ruggito che scaturirono da esse quasi accecarono la Maga della Guerra Belantra e la fecero barcollare all’indietro, mentre le pietre di pavimentazione del passaggio fluttuavano e sussultavano sotto i suoi piedi in reazione all’immane onda d’urto. In lontananza, al di là di quell’intruso, alcune pietre si staccarono dalla volta del passaggio, rotolando lontano in mezzo a nubi di polvere.

L’uomo continuò a venire avanti, come se quella devastante magia non lo avesse neppure sfiorato.

«Indietro, demone!» ingiunse Belantra, sentendo crescere dentro di sé un’improvvisa paura. Nessuno avrebbe dovuto essere in grado di sopravvivere a una scarica del genere! Anche ammesso che quell’uomo avvenente che aveva davanti fosse stato un’illusione, la magia che la creava avrebbe dovuto essere distrutta, e…

Una mano dalle dita lunghe si chiuse intorno alla punta di una delle bacchette impugnate dalla maga, proprio nel momento in cui lei l’attivava di nuovo con rabbia disperata. Ignorando con calma la maga, l’intruso sollevò la bacchetta in modo che il raggio color smeraldo di energia tale da fondere la carne non fosse diretto contro il suo petto ma addirittura negli occhi…

Occhi scintillanti di un azzurro intenso, che fissarono per un momento quelli della maga, ammiccarono e abbassarono lo sguardo a esaminare di nuovo la bacchetta.

«Ah, sì, ho aiutato Vangey a permearla del suo incantesimo, e adesso, dopo tutti questi anni, lui la spreca come una sorta di “potente” giocattolo multiplo, alla maniera di Lantanna? Credevo di averlo istruito meglio di così», affermò l’avvenente intruso, scuotendo il capo, poi sollevò di nuovo lo sguardo e spinse con gentilezza la bacchetta da un lato con la punta di un dito, domandando: «Come ti chiami, ragazza?».

«Sono una Maga della Guerra di Cormyr», rispose in tono secco Belantra, «e qui sono io quella che deve fare le domande!».

«Ma certo», convenne con disinvoltura lo sconosciuto, prendendola per un gomito con una mano e spostandola di lato in modo da poter passare.

Quando la maga si girò con rabbia per sbatterlo contro il muro, assecondò con agilità il suo movimento come se stessero danzando insieme e finì per trovarsi alle sue spalle, stringendole il polso in una morsa che la donna non fu in grado di infrangere. Sospingendola, si avviò poi nella direzione da cui era giunta la maga.

«Sono qui per vedere Caladnei», spiegò, «ma mentre andiamo a prenderla sei libera di farmi tutte le domande che vuoi, d’accordo?».

«Come fai a sa… la Maga Reale non può vedere nessuno! Sta dormendo, dopo una notte molto lunga e faticosa, in cui è stata impegnata a difendere il regno.»

«Lo so, è stata una notte davvero lunga», sorrise l’avvenente sconosciuto, «e io ho contribuito a renderla tale. D’altro canto, far rientrare ciò che abbiamo fatto in una notte più breve avrebbe potuto benissimo trasformare Caladnei in un cadavere».

«Chi sei… lasciami andare! Lasciami, fermati immediatamente e dimmi il tuo nome!» urlò Belantra, spingendo il fascio di bacchette e l’asta a cui erano attaccate contro la faccia dell’intruso, pronta a sacrificare la propria vita per difendere la Maga Reale.

«Siamo esigenti, vero?» ribatté l’intruso, inarcando le sopracciglia brune. «Devo dire che una volta i Maghi della Guerra non erano così vociferanti. Avevo avvertito Amedahast che stava modellando qualcosa che sarebbe senza dubbio sfuggito al suo controllo… ma del resto, chi sono io per negare agli altri maghi i loro piani grandiosi e i loro giocattoli, quando simili sforzi da parte loro ci hanno fruttato tante meraviglie? No, ragazza, non cercare di attivarle tutte contemporaneamente, perché scaglieresti questa cantina attraverso tutto il grandioso edificio che la sovrasta, trasformando Caladnei in una poltiglia d’ossa, sorte che condividereste anche tu e chiunque altro si trovi in quest’area, inclusi tutti i fedeli colleghi maghi che hai convocato!»

Nel parlare, l’intruso indicò verso il passaggio, dove alcuni uomini e donne dalle lunghe vesti si stavano avvicinando di corsa, muniti di bacchette e accompagnati da svariati bagliori prodotti dal destarsi della loro magia.

Ridacchiando e scuotendo il capo, lo sconosciuto spinse davanti a sé Belantra e il suo fascio di bacchette perché gli servissero da scudo e la trasportò più o meno di peso giù per i pochi gradini del passaggio, fino all’entrata da cui lei era sbucata, posando una mano sulla porta chiusa che la bloccava.

Una magia letale divampò crepitante intorno alle sue dita, ma lui si limitò a scuotere il capo e ad annullarla, senza dare esteriormente l’impressione di aver fatto nulla, per poi protendersi attraverso il metallo ancora solido per abbassare la maniglia a chiavistello dal lato interno.

Belantra rimase a bocca aperta per lo stupore di fronte a quelle manovre, e la sua sorpresa aumentò ancora di più quando la forma dello sconosciuto si trasformò in quella di un vecchio snello dalla barba bianca e dalle sopracciglia cespugliose che sovrastavano un naso aquilino.

Con presa sempre salda, l’uomo la trascinò oltre la soglia e dentro una camera da letto rischiarata da un fioco chiarore, dove qualcuno si stava sollevando a sedere su uno splendido letto a baldacchino, lo sguardo vigile al di sopra di una bacchetta puntata con mano salda verso la porta.

«Co… Elminster!»

«Proprio io. Hai delle belle curve, ragazza, ma ora provvedi a coprirle con qualcosa, altrimenti ben presto verrò accusato di aver costretto a letto la Maga Reale di Cormyr con una potente infreddatura. Stai per venire via con me.»

La Maga Reale lo fissò a bocca aperta proprio come aveva fatto Belantra… prima di passare a fare ciò che stava facendo adesso, e cioè svenire e accasciarsi nella stretta del Vecchio Mago… poi s’irrigidì e una luce color rubino le affiorò negli occhi mentre ribatteva in tono secco:

«È ovvio che non intendo farlo! Chi sei tu per darmi ordini? O per chiedere qualcosa a un qualsiasi mago della Guerra di Cormyr?».

«Gli ordini non vengono da me, ragazza, bensì da Mystra. Peraltro, se preferisci non sapere cosa sta combinando Vangerdahast nel bel mezzo del tuo regno, puoi ovviamente opporre un rifiuto alla Divina e a me… e unirti alle legioni di stolti orgogliosi che stanno aspettando in tutto Faerûn il momento di finire in una tomba. Sei libera di scegliere».

Caladnei deglutì a fatica, contraendo la splendida gola, mentre il resto del suo corpo rimaneva seduto immobile sul letto come una statua dalla pelle liscia e scura, ed Elminster continuò a fissarla negli occhi finché lei non abbassò per prima lo sguardo.

«Stavo cercando di dormire un poco», borbottò.

«Imparerai che questo è un lusso che i Maghi Reali si possono concedere di rado», replicò Elminster, venendo avanti per adagiare con gentilezza la forma inerte di Belantra di traverso sul letto, poi si diresse all’armadio, ne spalancò i battenti e ben presto si lanciò alle spalle un paio di stivali.

Caladnei li afferrò al volo, più o meno nello stesso momento in cui una dozzina di Maghi della Guerra faceva irruzione nella stanza… arrestandosi poi con aria confusa nel vedere la Maga Reale di Cormyr sollevare una mano in un gesto secco per bloccarli.

«Tutti fuori», ordinò Caladnei, con fermezza. «Vi chiedo scusa per il disturbo di essere stati convocati a una simile ora per niente. Tornate alle vostre postazioni.»

«Perdonami, Maga Reale, ma…» cominciò in tono grave uno dei maghi più anziani.

«Sono padrona della mia mente, Velvorn, grazie. Non sono sottoposta a incantesimo e neppure a coercizione da parte del mio ospite qui presente, che si è limitato a ricordarmi quale sia il mio dovere nei confronti di Cormyr. Per favore, andate.»

Un paio di calzoni atterrò sul grembo di Caladnei e una tunica la colpì in faccia un momento più tardi. Velvorn intanto indugiò sulla soglia per qualche momento ancora, forse per godersi lo spettacolo o per assaporare la vista di un Mago Reale che intercettava i propri abiti con la faccia, poi si girò di scatto e cominciò ad allontanare tutti i Maghi della Guerra che si erano affollati alle sue spalle e stavano fissando a loro volta la scena.

Quando ebbe finito e fu in procinto di uscire, si girò ancora una volta con un’esplicita domanda nello sguardo, ma di fronte all’espressione imperiosa della Maga Reale si affrettò a chiudere la porta.

«Bene», sospirò Caladnei, «senza dubbio d’ora in poi i miei fedeli maghi saranno in grado di riconoscermi da ogni angolazione, con o senza vestiti».

«Ti chiedo scusa, ragazza», grugnì Elminster, voltandosi con un giustacuore in mano. «A volte la fretta è necessaria, e non volevo ferire o umiliare dozzine di Maghi della Guerra per cercare di arrivare fino a te a un’ora più civile.» Nel parlare, allargò il giustacuore e lo depose sul letto prima di dare nuovamente le spalle alla donna, e aggiunse: «Vedo che sei abbastanza saggia da tenere i capelli raccolti anche di notte, cosa che ti permetterà di essere pronta più in fretta».

«Ero talmente stanca che mi sono dimenticata di toglierlo», ammise Caladnei, portando una mano al nastro che le fermava i capelli sulla nuca. «Niente biancheria intima?» commentò poi, nell’alzarsi dal letto.

«Le dame non la portavano mai, ai miei tempi», replicò Elminster, scrollando le spalle.

«Lord Elminster», dichiarò Caladnei, inarcando un sopracciglio, «questo mi dice molto più sul genere di compagnie che frequentavi che non sulla moda di tutti quei secoli or sono, quando ancora guardavi le dame».

Il Vecchio Mago ridacchiò, sempre voltato di spalle, ma parecchi capi di biancheria intima si sollevarono delicatamente nell’aria da un ripiano del guardaroba e lo oltrepassarono.

«Ah», commentò in tono asciutto Caladnei, mentre ne sceglieva uno, «vedo che sai che aspetto hanno».

«Osservo ancora le donne, anche se non molte sono dame.»

La sola risposta della Maga Reale fu un rude versaccio, mentre lei provvedeva a vestirsi in fretta con un frusciare di stoffa, afferrando al volo una cintura che fluttuò verso di lei proprio nel momento in cui si stava accorgendo di averne bisogno.

«Devo prendere delle bacchette, in previsione di uno scontro?» chiese, poi.

«No. Se dovessi averne bisogno dove stiamo per andare, il regno avrebbe da affrontare problemi ben più importanti di un semplice tradimento.»

Con esitazione, Caladnei protese una mano a toccare la spalla di Elminster, ma subito la ritrasse di scatto.

«Temi di prenderti qualche malattia?» domandò il Vecchio Mago, girandosi.

«No», replicò la Maga Reale, i cui occhi erano tornati a essere castani. «Io… io volevo soltanto toccarti e sopravvivere per raccontarlo. Alcuni dicono che sei…»

«Pervaso dal potere incandescente di Mystra? O magari un lich putrescente le cui articolazioni crepitano di stregoneria? Un mutaforme, una creatura camuffata che avrebbe divorato il vero Elminster molto tempo fa? In genere, queste sono le voci più popolari sul mio conto.»

Caladnei arrossì, poi sollevò il mento con determinazione.

«Sì, le ho sentite tutte», ammise. «Dove mi stai portando?»

«Alla tenuta del Cervo.»

La Maga Reale inarcò di nuovo il sopracciglio, poi si girò verso una delle colonnine del letto e fece qualcosa che indusse un piccolo sportello ricurvo a spostarsi di lato, rivelando una cavità da cui lei estrasse due bacchette infilate in un fodero che si affibbiò all’avambraccio, prima di tornare a voltarsi per fissare Elminster con un’espressione di sfida.

«Devi fare quello che ritieni più saggio», si limitò ad affermare il Vecchio Mago, scrollando le spalle, poi protese la mano verso di lei.

«Adesso, la cosa più saggia da fare sarebbe fuggire, non prendere la tua mano», osservò Caladnei, fissandolo.

«È vero», annuì Elminster, avvicinandosi di un passo e tornando a protendere la mano.

Con un sospiro, Caladnei la strinse nella sua… e all’istante si ritrovò altrove.

* * *

Quell’altrove era un luogo dove c’erano molte foglie, chiazzate dalla luce intensa dell’alba. Sbattendo le palpebre, Caladnei si guardò intorno, e dal panorama circostante comprese che quello dove si trovava era il portico posteriore del capanno di caccia posto nel cuore della Foresta del Re.

«Come hai fatto? Senza una parola, o un gesto…»

Una porta rotonda incassata in profondità nel terrapieno coperto di muschio alle loro spalle si spalancò e una lama scattò fuori… trapassando di netto Elminster con due affondi seguiti da un fendente, tutti colpi che attraversarono il Vecchio Mago senza recare danno, come se lui fosse stato fatto d’aria.

«Caladnei!» esclamò in tono iroso la donna dai capelli scuri che impugnava la spada. «Devi smetterla di spaventarmi in questo modo! Credevo che questo fosse un qualche arcimago che ti aveva fatta prigioniera, e non una tua abile illusione!»

«Mreen», si affrettò a replicare la Maga Reale, sollevando una mano in un gesto che invitava alla calma, «questo è…».

«Oh, dei», annaspò la Signora di Arabel, la spada che pendeva dimenticata al suo fianco.

«Ti sei dimenticata così presto di me, Mreen?» commentò Elminster, che si era girato a fronteggiare la spadaccina. «E hai dimenticato anche una nozione così basilare come un incantesimo di protezione dall’acciaio o le modifiche che vi ho apportato?»

Bagliori dorati lampeggiarono nei profondi occhi azzurri di Myrmeen Lhal, che stavano fissando il Vecchio Mago con aria di sfida. Le linee bianche lasciate da recenti cicatrici si intrecciavano sulle sue mani e un’altra cicatrice le decorava una guancia che non aveva avuto segni di sorta, l’ultima volta che Elminster l’aveva vista, ma la sua figura avvolta nell’armatura di cuoio era snella come sempre e non c’era traccia di grigio nel nero corvino dei capelli, anche se due strisce bianche le segnavano le tempie, che in precedenza erano sempre state brune.

«El», dichiarò lenta la donna, conficcando la spada nel terreno, «tu vai a caccia di guai per tutta Faerûn come un uccello della tempesta. Ti saluto con piacere ma anche con cautela: perché sei venuto qui?».

«Per vedere la Principessa Ereditaria che stai tentando di tenere nascosta dietro le tue adorabili spalle», replicò l’arcimago, incurvando un angolo della bocca in un sorriso che andò quasi perduto in mezzo alla sua barba. «Voi tutte dovreste sentire quello che sto per dire, perché riguarda tutto il regno.»

«Sii il benvenuto a Cormyr, Elminster di Shadowdale», affermò con calma la Reggente di Ferro, emergendo dall’oscuro interno della collina. «Vieni dentro ed esponi le tue cattive notizie. Un po’ di vino? O vuoi fare colazione con del brodo?».

«Grazie, ma… no. Sai ancora come indurre in tentazione un uomo, ragazza.»

«Lo spero proprio», sorrise Alusair Nacacia Obarskyr. «Trovati un posto a sedere… ce n’è in abbondanza.»

A giudicare dai capelli arruffati e dai piedi nudi, la principessa si era appena svegliata; il suo abbigliamento era costituito soltanto da una morbida veste, ma aveva la spada snudata in pugno, il fodero abbandonato su un tavolo rotondo accanto alla sua tazza di brodo fumante. Annusandone con apprezzamento il profumo, Elminster scosse il capo in un gesto di rifiuto e si sedette… e prontamente il suo stomaco si mise a borbottare.

Sorridendo ancora, Alusair provvide a servirgli una tazza di brodo mentre Caladnei e Myrmeen sedevano a loro volta intorno al tavolo.

«Avanti, mago, parla», ordinò Alusair.

Caladnei e Myrmeen s’irrigidirono entrambe in preda all’apprensione, ma Elminster si limitò a ridacchiare.

«Per la prima e la seconda Mystra, ragazza, sembra proprio di sentire tuo padre!», osservò, stiracchiandosi e appoggiandosi all’indietro, poi aggiunse in tono burbero: «Sono certo che preferiresti non sapere cosa sta combinando Vangey, ma come Reggente è meglio che tu ne sia informata comunque, a patto che tu abbia il buonsenso di non farne parola con nessuno».

Alusair levò gli occhi al cielo con un finto ringhio di rabbia.

«Benissimo», annuì Elminster, con un sorriso intenso quanto quelli da lei sfoggiati in precedenza. «Per farla breve, il mio antico allievo e tuo ex-Mago Reale sta cercando di ultimare prima di morire un lavoro magico che per lui ha un’estrema importanza. Potresti dire che sta riversando in esso quanto resta della sua vita, ed è assolutamente deciso ad andare fino in fondo.»

«E questo lavoro sarebbe…?» ringhiò la Reggente.

«Nessuna di voi tre ha bisogno che io le ricordi che i Signori Dormienti non proteggono più Cormyr, armati e immersi nel loro sonno magico. Ebbene, Vangey sta cercando di sostituirli.»

«Con chi?» esclamò Alusair, con un bagliore nello sguardo.

«Con dei draghi. Il tuo grande Mago Reale in pensione sta cercando di vincolare alcuni grandi draghi ponendoli in stato di stasi, pronti a difendere il regno di Cormyr contro qualsiasi altro drago che cerchi di attaccarlo o contro un esercito ribelle, o contro un esercito d’invasione proveniente, per esempio, dalla Sembia o dagli Zhentarim, o da qualche altro avido potere del genere.»

Tre pallidi volti femminili lo fissarono con espressione sconvolta.

«E questo senza dircelo?» ringhiò Alusair.

«Una cosa del genere potrebbe costituire per il regno un pericolo grave quanto lo è stato il Drago Diabolico», sbottò al tempo stesso Myrmeen.

«Madre Mystra!» esclamò Caladnei.

Con un grave sorriso, Elminster protese una mano ad afferrare la spada di Alusair, prima che lei potesse infrangerla contro il tavolo di pietra in un impeto d’ira. La principessa lottò invano contro la sua forza per un tremante momento di tensione, poi si accasciò sulla sedia in preda allo sconcerto.

«Magia», spiegò Elminster, con un asciutto sorriso, nel restituirle l’arma che lei afferrò con un ringhio, facendola roteare per calarla sulla pietra con forza tale da infrangerla… bloccandola poi a mezz’aria con un amaro sorriso per riporla invece nel fodero e adagiarla sul tavolo con attenta delicatezza.

«Dunque», disse infine, esalando un lungo sospiro, «supponiamo ora, vecchio mago impiccione, che tu ci dica qualcosa di più riguardo a quest’idiozia… giusto perché io sappia che cosa dire quando farò irruzione nel piccolo rifugio nascosto di Vangey per annodargli gli orecchi sotto il mento e accusarlo di tradimento!».

Il sorriso di Elminster si fece più accentuato.

«Ah, questo è proprio lo spirito che ha portato Cormyr a trovarsi nei pasticci in cui si trova adesso. Controllo, ragazza, ci vuole controllo.»

«Vecchio Mago», interloquì con calma Myrmeen, «la Reggente d’Acciaio non è la sola a essere sconvolta, sgomenta, preoccupata e furente. Ritengo di poter parlare non solo per me stessa ma anche per Caladnei nell’affermare che anche noi siamo sul punto di ribollire per l’ira di fronte a questa notizia. Per favore, accogli la richiesta della Principessa Ereditaria e dicci qualcosa di più.»

«Questo brodo è eccellente», commentò Elminster, annuendo, cosa che gli frutto un altro ringhio da parte di Alusair, poi ammiccò e proseguì, in tono più serio: «Probabilmente non ti riuscirà nuovo apprendere che agire da soli e in segreto è un comportamento tipico dei maghi. Lascia però che ti ricordi qualcosa e che ti fornisca il mio parere di maestro. Ciò che voglio ricordarti è che Vangerdahast serve prima il regno e poi i suoi governanti; quanto al mio parere, esso è che l’ex-Mago Reale ha imparato molto tempo fa, a caro prezzo, a non fidarsi di nessuno».

«A caro prezzo?» ripeté Caladnei, in tono tagliente. «Che prezzo?»

«Il suo cuore infranto, la vita di oltre una dozzina di nobili, sia fedeli che ribelli, e tre perduranti pericoli per il regno», replicò Elminster. «Se vuoi saperne di più, chiedi a lui… perché io ho cose più importanti da dire a voi tre.»

«Davvero?» commentò in tono gelido la Principessa Ereditaria. «C’è dell’altro?»

«Ci sono dei consigli, ragazza, dei consigli. Definiscilo un avvertimento, se preferisci: rivelare i piani di Vangey ad altri… a chiunque altro, perfino a Filfaeril… genererebbe il rischio che la cosa si venisse a risapere e attirasse qui una quantità di maghi, con ulteriore pericolo per il regno.»

«Collezionisti di draghi?» azzardò Myrmeen, perplessa.

«Maghi intenzionati a impadronirsi degli incantesimi che Vangerdahast sta creando… che deve inevitabilmente creare se vuole riuscire nel suo intento… destinati a vincolare e comandare i draghi. Quei maghi se ne renderanno conto, e alcuni di essi capiranno qualcosa di più, e cioè che Vangey sta attingendo a quanto rimane della sua energia vitale per alimentare tali incantesimi, e lo riterranno debole, vicino alla morte, soprattutto se loro potranno sorprenderlo mentre è intento al suo lavoro e non è preparato a un combattimento. Se dovessero riuscire ad abbatterlo, sarebbero poi liberi di saccheggiare il regno della sua magia… o almeno di quella accumulata da Vangerdahast… o di cercare di governarlo mediante alleanze con i nobili più infidi, e di causare una quantità di altri guai con cui tutte voi dovreste avere ampia familiarità».

Adesso sgomento e orrore erano scomparsi dal volto delle tre donne che stavano fissando Elminster, ed erano stati sostituiti da un’espressione accigliata e pensosa. Dopo un momento, tutte e tre accennarono contemporaneamente a parlare, bloccandosi però prima di emettere suono e cedendo ciascuna la parola alle altre con un cenno.

«Come Maga Reale», affermò infine Caladnei, le labbra serrate in una linea sottile e determinata, «sono io a dover affrontare questa situazione, perché è un mio dovere e perché possiedo del talento magico, per quanto possa essere minimo se paragonato a quello di Lord Vangerdahast. Questo incarico spetta a me».

«Io… hai ragione, Cala», ammise con riluttanza la Principessa Alusair, «anche se mi sembra di mandarti incontro alla morte».

«Il caso vuole che Mystra mi abbia ordinato di occuparmi di persona di questa faccenda», annunciò in tono allegro Elminster, posando la ciotola quasi vuota. «Peraltro, sapendo quale sia il tuo dovere e come ti saresti sentita se ti avessi tagliata fuori dalla faccenda, sono passato a prenderti… con l’approvazione della Madre di Tutta la Magia.»

«Ebbene, se stai collezionando donne che vengano ad assistere mentre impartisci una lezione a Vangerdahast, insisto per venire anch’io», intervenne la Somma Signora di Arabel. «Non voglio perdermi l’occasione di vedere dare il fatto suo al Vecchio Altezzoso… e inoltre dovrebbe comunque esserci anche qualcun altro, a parte voi maghi ottenebrati dalla magia, che funga da testimone e riferisca oggettivamente gli eventi alla Corona.»

«Ben detto, Mreen!» approvò Alusair. «Vecchio Mago?»

«Se Myrmeen Lhal desidera venire con noi, potrà farlo, godendo di tutta la protezione che io sarò in grado di fornire», sorrise Elminster.

E di colpo la sua sedia risultò vuota. Lui, Myrmeen e Caladnei erano scomparsi dalla stanza.

Per un istante, la Principessa Ereditaria Alusair Nacacia Obarskyr fissò a bocca aperta i posti vuoti, poi scattò in piedi e afferrò la spada infilata nel fodero, ringhiando:

«Elminster? Caladnei?»

La sola risposta fu il fievole canto degli uccelli che giungeva dall’esterno. Gettando indietro il capo, la Reggente d’Acciaio sfogò la propria furia in un ruggito inarticolato. Quel vecchio bastardo astuto! In questo modo, non le aveva dato nessuna possibilità di conferire in privato con Cala o con Mreen, e non aveva permesso loro di approntare attrezzature o di organizzarsi in qualche modo.

Spalancata con violenza la porta più vicina, Alusair uscì a grandi passi nella foresta. A causa del suo impeto, il fodero vorticò all’indietro sulla sua scia e quasi sferzò in pieno volto il giovane Lord Malask Huntinghorn, che sbatté le palpebre con perplessità e sospese il suo servizio di guardia alla porta per avviarsi al seguito della Principessa Ereditaria.

Abbassandosi per schivare i rami che oscillavano violentemente per il passaggio di Alusair, il giovane arrivò in un fitto boschetto in tempo per vedere la principessa che, sciorinando una sfilza di imprecazioni che il nobile fu lieto di non poter cogliere con precisione, procedeva a ridurre un indifeso alberello a un mucchietto di legna da ardere con pochi, furenti colpi di spada.

Gettando indietro il capo per allontanarsi i capelli dagli occhi, Alusair si spostò con passo deciso verso l’alberello successivo. Deglutendo a fatica, Malask Huntinghorn trasse un profondo respiro e compì l’azione più coraggiosa della sua giovane vita… forse l’ultima che avrebbe mai avuto modo di compiere.

«Principessa», disse in tono deciso, venendo avanti per bloccarle il braccio, «quell’albero merita di vivere, tanto quanto te e me. Come ci ricorda spesso Lord Alaphondar, il verde cuore vivente del regno risiede negli alberi, e non credo che dovresti…»

La Principessa Alusair si girò di scatto, più rapidamente di come avesse mai fatto nei momenti di passione che avevano condiviso, più repentina di qualsiasi cavaliere del regno che il giovane avesse mai visto in azione… e si scagliò addosso all’erede del Casato Huntinghorn, gettando via la spada per aggredirlo con pugni, calci e unghie.

Malask si ritrovò disteso al suolo supino, senza fiato e con la spalla che gli doleva intensamente per l’impatto contro una radice… poi fitte di dolore ancora più intense gli esplosero nel ventre e lungo le costole quando la Reggente di Cormyr cominciò a tempestarlo di pugni, urlando e ringhiando per l’ira.

Sotto quella tempesta di ginocchiate, colpi inferti con il taglio della mano e schiaffi che gli facevano vibrare gli orecchi e bruciare la faccia, il giovane fu d’un tratto molto lieto di aver indossato un’armatura di cuoio completa, soprattutto la protezione per l’inguine, per prestare quella mattina il suo servizio di guardia; poi la donna che aveva giurato di difendere si protese verso di lui al punto da ficcargli quasi il naso in un occhio e urlò:

«Dannazione a te, grosso rothé, difenditi! Avanti, Malask, combatti

«M… mia regina, io…»

«Non sono una dannata regina, né tua né di chiunque altro, Lord Idiota! Sono una guerriera che in questo momento ha un estremo bisogno di un compagno di addestramento! Colpiscimi, grosso mucchio di tremante carne maschile!»

Malask deglutì a fatica e chiuse gli occhi per ripararli da un pugno che per poco non gli gonfiò uno di essi, poi protese con riluttanza un braccio verso l’alto e verso l’esterno, ma Alusair lo spinse da parte con dolorosa violenza e gli sferrò un altro pugno, questa volta sul naso.

«Aaargh!» ruggì il giovane nobile, gli occhi che lacrimavano per l’intenso dolore, mentre cercava di contorcersi in modo da rotolare via da sotto la principessa. «Per gli dei, probabilmente me lo hai rotto, Luse! Adesso per il resto della mia vita avrò l’aspetto di uno zoticone di campagna!» esclamò, proteggendosi con una mano il naso sanguinante mentre sussultava per il dolore, gli occhi che continuavano a lacrimare.

«E perché no? Tu sei uno zoticone di campagna!»

Con un ruggito, Malask Huntinghorn dimenticò del tutto il suo dovere, le principesse, il tradimento, le persone di sangue reale, e quanto fosse risultata a volte morbida e passionale quella particolare persona di sangue reale… e sferrò un pugno con tutta la forza derivante dalla rabbia e dalla sofferenza che stava provando.

Ci fu un grugnito, poi il silenzio, e il peso che gli gravava sui fianchi scomparve.

Sbattendo le palpebre, Malask deglutì a fatica e si sfregò febbrilmente gli occhi con le nocche per schiarirsi la vista.

«Luse? Luse!» chiamò.

«Così va meglio!» gli ringhiò all’orecchio la voce di lei, mentre entrambi i suoi pugni lo raggiungevano alla parte bassa del costato, togliendogli il fiato. Grugnendo e dibattendosi, il giovane prese ad attaccare a sua volta, in qualche modo si trovò a rialzarsi in piedi barcollando sotto una tempesta di colpi e finì per strappare di dosso alla Principessa Ereditaria la morbida camicia da notte nel farla ruotare in modo tale che perdesse l’equilibrio per poi sferrarle un pugno in pieno petto che la scagliò supina sul terreno, ripiegata su se stessa e imprecante.

Con gli occhi roventi per l’ira, il giovane avanzò verso di lei, i pugni serrati, ma Alusair si rialzò di scatto e lo proiettò all’indietro con una testata al ventre.

Malask piombò al suolo con uno schianto secco, in mezzo a un crepitare di felci e di rami secchi che si spezzavano, e con la principessa che gli gravava addosso e continuava a martellarlo di pugni. Spazientito, mandò a segno un uppercut che colse in pieno la mascella di Alusair e le spinse indietro la testa di scatto, facendola accasciare su di lui con un gemito.

«Oh, mi fa male la mascella», borbottò la principessa, strisciando su per il corpo della sua guardia malconcia e sussultante quanto lei per le ammaccature.

«Per gli dei, Luse», sussurrò Malask, mentre lei lo baciava, «questo è forse un altro modo per farmi del male? Il mio naso…».

«Ti aiuterò a dimenticarti del tuo naso», promise lei, con voce sensuale, procedendo ad allentare i lacci dell’armatura.

Malask Huntinghorn gemette e scosse il capo.

Oh, Alusair. Ah, fortunata Cormyr… e fortunato me, anche, pensò.

Загрузка...