17. Un tuffo nella mente

L’incantesimo più doloroso a cui mi riesce di pensare è uno che ti scagli nella mente del tuo nemico, e proietti lui nella tua. Menti in attrito una contro l’altra… quella è vera agonia.

Skandanther di Saerloon

Gli incantesimi sono ali che mi portano in alto

Anno del Leone

Narnra sollevò lo sguardo verso lo splendido soffitto della Camera dell’Ala del Drago. Lassù, enormi corpi coperti di scaglie erano immobilizzati in eterno nell’atto di scagliarsi in avanti in tutta la loro terribile gloria…

Qualcuno… probabilmente più di uno… dotato di abbastanza talento da essere in grado di eseguire una scultura tanto vasta da non poterla vedere nella sua interezza in una sola occhiata, aveva scolpito quei draghi dalla bellezza così incredibilmente reale, qualcuno che doveva essersi sentito decisamente al sicuro e protetto, lì a Cormyr, per trascorrere in quella stanza, su un’impalcatura, i mesi… no, gli anni… che ci dovevano essere voluti per realizzare un simile capolavoro. Sicuro, protetto e pagato abbastanza da poter avere di che mangiare, senza dubbio da un re o da una regina di Cormyr che erano stati amanti del bello quanto bastava per essere disposti a pagare gli scultori e a lasciare quella camera inutilizzata mentre essi vi lavoravano. E per poter fare una cosa del genere era necessario avere un regno forte, stabile e fiorente.

Aggrappandosi a quel pensiero, Narnra distolse lo sguardo dal soffitto per contemplare la vasta stanza vuota. Ci volevano sicurezza di sé e ricchezza anche per lasciare una camera così vasta, e quindi utilizzabile in svariati modi, libera da qualsiasi ingombro che attirasse l’attenzione, al fine di accentrare maggiormente lo sguardo di chi vi entrava sul soffitto scolpito.

Tre persone stavano attendendo con pazienza, schierate di fronte a lei.

Rhauligan, vigile e pronto all’azione, un agente della Corona… cosa che anche lei sarebbe potuta diventare. Forse.

Laspeera, la maga gentile e tuttavia potente, regale e al tempo stesso materna, il genere di persona che «c’era sempre», una presenza solida, fidata e perdurante per molti, che sarebbero rimasti sconvolti quando lei infine fosse morta perché erano giunti a considerarla una colonna portante di Faerûn, come la gente di Cormyr aveva fatto con Vangerdahast… e come qualcuno, da qualche parte, aveva presumibilmente fatto con Elminster, probabilmente in qualche terra che adesso era polvere, moltissimo tempo prima.

Caladnei. La sua tormentatrice, e colei che aveva il comando effettivo, in quanto Maga Reale di Cormyr e quindi superiore di rango rispetto ai due Cormyriani. A giudicare dalla sua pelle scura, doveva essere una straniera, ed era quindi probabile che molti, a Corte, non gradissero la sua presenza, risentiti che una straniera detenesse un potere che sarebbe dovuto finire di diritto nelle loro mani.

Socchiudendo gli occhi, Narnra rifletté che Laspeera avrebbe dovuto essere una di quelle persone risentite, ma che non pareva nutrire sentimenti del genere. Ciò significava che Caladnei doveva essere una strega capace di controllare le menti mediante la magia, oppure… una persona degna di rispetto, di fedeltà, perfino di affetto.

Il suo sguardo incontrò quello degli occhi scuri della Maga Reale, che la fissò a sua volta con aria grave, severa… ma non imperiosa… nei modi, che intimorivano un poco.

La donna che voleva invadere la sua mente.

Narnra si ritrovò a respirare più in fretta, quasi in modo affannoso. Una parte di lei voleva urlare di disgusto, voleva colpire e fuggire… mentre un’altra parte era subdolamente interessata ed eccitata, desiderosa di vedere cosa sarebbe successo. Quella parte era la scintilla interiore che l’aveva indotta a essere sempre più audace nell’aggirarsi sui tetti, e le era cara… anche se era solita attirarla verso i guai. Dentro di lei stava insorgendo però anche un’altra cosa… un’emozione che affiorava lenta ed esitante, per essere rimasta soffocata troppo a lungo, e di cui poteva già sentire il sapore in fondo alla gola.

La solitudine.

Era rimasta sola e senza amici per molto, troppo tempo, Narnra sola contro tutto il mondo… un mondo che per lei era un’interminabile collezione di vittime da derubare, di passanti da ignorare, di ricchi e di potenti che era meglio evitare, di pochi squali che solcavano le sue stesse acque, e di… autorità. La Guardia Cittadina, l’Ordine di Sorveglianza, i Signori di Waterdeep, coloro che potevano uccidere, fustigare, imprigionare e mutilare impunemente.

Narnra odiava, temeva e disprezzava l’autorità, e quelle tre persone ne detenevano tutte, Caladnei più delle altre. Quanta parte del timore e del senso di sfida che stava provando gettava le sue radici nel suo odio verso l’autorità? Quanta…

Non aveva importanza, le sue alternative erano ben poche, spiacevoli, e lei aveva scelto la migliore, senza contare che perfino Mystra le stava sorridendo… o almeno così sperava… quindi era giunto il momento di farla finita.

«Allora, sto aspettando», annunciò in tono pacato, sollevando il mento.

Nessuno dei Cormyriani accennò a ridere. Entrambe le donne mossero un passo verso di lei… poi la Maga Reale si arrestò, palesemente sorpresa del fatto che Laspeera fosse venuta avanti a sua volta.

Laspeera invece continuò ad avvicinarsi.

«Narnra», disse con gentilezza, «le cose funzioneranno meglio se ti sdraierai, qui sul pavimento».

Narnra la fissò con aria perplessa, poi si curvò e si sedette, e la Maga della Guerra si lasciò cadere al suolo insieme a lei, aiutandola come se fosse stata una specie di delicata invalida. Quando Narnra fu sdraiata supina sul pavimento, con lo sguardo di nuovo appuntato sullo splendido soffitto, Laspeera si volse e chiamò Caladnei perché si avvicinasse, poi si rialzò e si aprì con calma la sopravveste, sfilandosela… cosa che rivelò un sottostante abito di satin rosso… e arrotolandola.

In silenzio, indicò a Caladnei il tratto di pavimento accanto a Narnra, poi insinuò la veste arrotolata sotto la nuca di entrambe.

«Un cuscino?» chiese Narnra, in tono incredulo.

«Qualcosa che impedisca a entrambe di fracassarvi la testa sul pavimento, qualora le emozioni dovessero sfuggire al controllo», ribatté Laspeera, in tono severo. «Adesso prendetevi per mano e iniziate.»

«Sì, mamma», ribatté Caladnei, in un tono di gentile derisione che indusse Narnra a sorridere, poi mormorò un lungo e complicato incantesimo dai toni cantilenanti e… i draghi sovrastanti scomparvero.


Calore e oscurità, una sensazione di scendere in profondità, l’oscurità circostante che lampeggia di uno sconcertante vortice di scene luminose a stento intraviste, di esplosioni di suoni, di impeti d’ira, di divertimento, perfino di stanchezza…


[Narnra.]


[Narnra, non ti nascondere.]


Un’ondata di energia, l’oscurità si tinge di un colore rosso rubino, luci e rumori affiorano rapidi,..


[Narnra Shalace!]

Sono qui. Cosa vuoi da me?

[Mostrami tua madre.]


Lunghi capelli corvini e gentili occhi color smeraldo, un volto candido come un osso sbiancato chino su di lei, caratterizzato da zigomi che davano agli splendidi lineamenti un aspetto esotico, mani abili e tenere che la stringevano saldamente ma con gentilezza. Maerj, così la chiamavano gli apprendisti… Mamma Maerj che la confortava in una stanza buia, il suo pianto che echeggiava ancora sonoro intorno a loro.

«Su, su, piccola mia, i sogni possono essere splendidi o terribili. Come i cibi, alcuni sono buoni e altri cattivi, ma ci servono comunque tutti…»

Come sempre, Narnra si trovò a desiderare di potersi protendere a stringere le dita di sua madre, di gridare il suo nome, di parlarle di quanto le voleva bene e di come si sentiva sola, in modo che Mamma Maerj la sentisse, le sorridesse e le dicesse che andava tutto bene, come sempre.


[Capisco. Ora vieni via e guarda qualcosa di me, che ti farà meno male.]

Improvvise, rauche risate, un fumo denso nell’affollata sala comune di una locanda, rischiarata da candele sotto il basso soffitto di legno. Uomini pieni di spacconeria e armati fino ai denti che passavano oltre con il boccale in mano e poi… accorgendosi di lei… si protendevano in avanti per osservarla.

«Chi abbiamo qui? Caladnei delle Pergamene, eh? Le leggi a pagamento? Quale idiota non è capace di leggere una pergamena?»

«Uno che possiede una pergamena magica, signore, ma che non è in grado di operare incantesimi», rispose con calma la voce di Caladnei, il timbro giovane ma pieno di fermezza anche se in essa si avvertiva la tensione di chi prevede guai imminenti.

Tre giovani volti ispidi di barba e arrossati dal bere erano adesso chini su di lei, osservandola attentamente… e alitandole addosso vapori di Sarthdew dorato, un liquore così costoso che lei non aveva addosso neppure denaro sufficiente a concedersene un sorso.

«Sei una maga? Presso chi studi?»

«Nessuno, signore. Io… i miei incantesimi nascono dentro di me.»

«Ma guarda. E che ne dicono al riguardo i tuoi genitori?»

Nessuna ragazza giovane che sopporti a stento il controllo esercitato dai genitori e che sia accesa dal desiderio di vedere il mondo ama essere considerata una bambina uscita senza permesso, quindi il tono di Caladnei si fece rigido e seccato.

«I miei genitori mi permettono di cercare me stessa e di fare affari per conto mio con la gente di Faerûn», ribatté. «E i tuoi?»

Quelle parole suscitarono sbuffi e risate divertite.

«Mi piaci, ragazza», esclamò uno degli uomini. «Vuoi cavalcare con noi?»

«Dov’è che siete diretti, signore, e per fare cosa?»

«Intendiamo attraversare tutto il vasto e splendido Faerûn, Lady Caladnei, in cerca di avventure e di mucchi di queste

Una mano entusiasta aveva aperto una borsa e rovesciato con un ampio gesto dozzine di pesanti monete d’oro sul piccolo tavolo a cui era seduta Caladnei, lasciandola a fissare a bocca aperta più denaro di quanto ne avesse mai visto prima di allora in tutta la sua vita.

Alcune di quelle monete rotolarono, tutti i presenti si protesero in avanti a guardare… e l’uomo più basso del gruppo, quasi un ragazzo, a giudicare dall’aspetto, raccolse una di quelle monete rotolanti per lanciarla distrattamente in aria, mandandola a finire dritta nella scollatura del suo vestito.

Ci fu un altro coro di risate ruggenti, mentre Caladnei sentiva la faccia che le bruciava per il rossore; quando poi le risate si estesero a tutti gli avventori del Vecchio Boccale Crepato, lei serrò i pugni, desiderando di essere ovunque tranne che lì.

«È tua, ragazza», ruggì il primo uomo. «Puoi tenerla… e ce ne saranno molte altre, se verrai con noi! Ci serve altra magia a spalleggiare la forza delle nostre lame.»

«Oh, ma…»

«Un momento», intervenne con voce quieta il più maturo fra i tre uomini, incombendo su di lei. «Sarà meglio parlare prima con i suoi genitori. Non voglio che mi diano la caccia accusandomi di essere un mercante di schiavi che rapisce ragazze giovani…»

«Per gli dei, Thloram, chiunque può vedere che noi non siamo mercanti di schiavi! E non siamo neppure a caccia di avventure facili… per questo abbiamo Vonda!»

«Già», interloquì con voce vellutata una donna prosperosa, le cui curve abbondanti erano a stento contenute dai lacci del corsetto, poi sgusciò oltre gli uomini per studiare Caladnei quasi con disprezzo, e continuò: «E posso soddisfarvi tutti quanti! Non ti preoccupare, cara, farò in modo che siano troppo stanchi per venire a infastidirti. Oh, smettetela di ridere, razza di porci! Avanti, cara, prendi una manciata di queste monete, così forse Marcon la smetterà di divorarti con gli occhi! Non dovete infastidire le ragazze locali, idioti», aggiunse quindi, girandosi, «altrimenti ci attireremo addosso altri guai. Questa ragazza è a stento abbastanza grande da…».

«Vengo con voi», annunciò all’improvviso Caladnei, alzandosi in piedi e sentendo il silenzio generato dal più assoluto stupore che si diffondeva in un istante per la stanza. «E tenetevi le vostre monete… mi guadagnerò da sola le mie.»


[Basta così. Ora… e questo cos’è? Qualcosa che stai nascondendo, non soltanto a me ma anche a te stessa… qualcosa di antico. Vediamo…]


Raggomitolata nel suo letto, in una notte buia, ascoltava voci rabbiose salire lungo le scale. Un nome dal raffinato accento patrizio… un nobile della città, anche se lei non ne conosceva il nome… stava urlando contro sua madre.

Le voci erano troppo lontane per sentire cosa stessero dicendo, e lei aveva troppa paura per sgusciare sul pianerottolo freddo per sentire meglio.

Udì le risposte di sua madre, parole troppo fievoli per essere comprensibili, pronunciate però in tono freddo, rabbioso e tagliente.

Le voci salirono di tono, il ritmo si fece più serrato e tagliente, quasi come un duello di spada… poi all’improvviso un possente ruggito scosse il giaciglio, la stanza, le scale, tutto quanto. In mezzo al suo fragore echeggiò un grido di stupore, poi… il silenzio.


No! No! Non voglio vedere questo! Non volevo rivederlo mai più! Non è mai successo! Mai! Mai! MAI!


[Calmati, Narnra. Ora guarda qualcosa di me, qualcosa di più lieto.]


Risate, la calda luce del fuoco e Marcon che le riversava addosso un fiume di monete d’oro, mentre Bertro e Thloram Flambaertyn sorridevano e levavano il boccale in suo onore, tutti quanti nudi e aggrovigliati insieme in mezzo alle coltri di pelliccia. Dall’alta parte della stanza, Rimardo scoppiò a ridere e si lanciò dalla sommità di un elegante armadio… appena acquistato, decorato con intagli tanto raffinati da essere all’altezza dei lavori migliori eseguiti da suo padre e costoso in proporzione… andando ad atterrare su Vonda, che emise un finto strillo di dolore e, ridendo, gli assestò uno schiaffo energico.

«In vero, Tymora sorride a noi della Fusciacca della Stella Lucente!» recitò solennemente Umbero, in mezzo alle risa dei compagni. «Ho calcolato che ci sono ben sessantamila monete d’oro pesante, senza contare quelle con cui state giocando e qualche altra sparsa qua e là!»


[Ora però basta con i miei momenti lieti. Vediamo invece qualcuno dei tuoi… sì.]


Una calda notte d’estate, tutti i tetti di Waterdeep inondati dalla luce della luna piena, e Narnra che, in camicia da notte, guardava fuori dall’alta finestra della sua camera da letto. Un alito di brezza giungeva dalla terraferma, caldo e secco, disperdendo l’odore della salsedine e dei pesci morti. La vibrante eccitazione di scavalcare il davanzale con una gamba… una cosa proibita, audace…

Le tegole del tetto erano ruvide sotto i suoi piedi, ma rassicuranti, e adesso lei si trovava su di esse, proprio sotto la luna e la gloriosa volta stellata del cielo, macchiata soltanto da poche, minuscole nubi lacere, lontano verso nord. Fra la sua pelle morbida e la calda aria notturna non c’era nulla tranne la stoffa sottile della camicia da notte. Con passo audace, si diresse giù per la pendenza del tetto fino al suo bordo, per poter vedere meglio la grande Waterdeep allargarsi davanti a lei e, al di là di essa, la distesa buia di Faerûn. Nello spingere lo sguardo oltre il bordo del tetto, vide che precipitare significava andare a schiantarsi nel sottostante giardino, ma non ebbe la minima paura.

All’improvviso scorse in lontananza, lungo l’argenteo panorama dei tetti, una scura figura isolata che si allontanava con rapidi balzi… un ladro? Qualcuno che si stava muovendo in fretta lungo i tetti. Con il cuore che d’un tratto le martellava in gola, Narnra si guardò intorno, scrutando i tetti adiacenti, in particolare uno di essi, così vicino… una rapida corsa a piedi nudi, un salto, il vento caldo fra i capelli, e un atterraggio felino accompagnato da un lieve tonfo, che avrebbe potuto svegliare un servo, se i Maurlithkur costringevano la loro servitù a dormire in soffitta. In fretta, attraversò quel tetto dalle tegole più larghe e malmesse, che in un punto stavano cominciando a scivolare di lato, passò su quello successivo e si appollaiò là, in mezzo a camini ignoti, con il picco del tetto che la nascondeva alla vista della sua stessa finestra.

Accoccolata lassù come una gargoyle scolpita, o come un gufo in cerca di preda, con le lunghe gambe ripiegate sotto di sé, si sentì veramente viva, e scoppiò a ridere per l’eccitazione. Il Castello di Waterdeep si ergeva proprio sopra di lei, con la grande spalla scura della montagna che si protendeva al di là di esso, e dalla sua posizione poteva vedere le minuscole luci ammiccanti delle lanterne, là dove le guardie si muovevano nelle loro postazioni elevate, guardando in giù, verso… verso di lei.

Un’ondata di paura, il cuore che prendeva a martellarle nel petto, poi di colpo scoppiò a ridere e scattò in piedi, piroettando su se stessa su un tratto di tetto in piano prima di arrestarsi in una posa piena di sfida, a braccia larghe.

«Sì, sono qui! Venite a prendermi!»

Con l’eccitazione che le scorreva come fuoco nelle vene, balzò di tetto in tetto, e infine tornò a casa, al suo davanzale in attesa, rientrando per lavarsi i piedi sporchi in modo da non essere scoperta il mattino successivo. Nel girarsi a guardare verso la finestra, comprese che adesso là fuori c’era tutto un nuovo mondo… il suo mondo… che l’attendeva, anche ogni notte, se così avesse desiderato.

[Ah. Adesso ti faccio vedere un mio momento di audace avventura.]


Luce lunare, più fioca.

«Non ti preoccupare», mormorò Thloram. «Il resto di noi è già passato di qui in passato ed è tornato indietro a raccontarlo. Non ci sono rischi.»

La mano di Caladnei tremò di paura mentre lei gliela porgeva, per poi girarsi verso il freddo, costante fuoco azzurro che aleggiava in maniera così impossibile fra due antiche colonne di pietra, crepate e coperte di viticci, prive di qualsiasi traccia dello splendore che lei aveva immaginato: niente rune lucenti su metallo scintillante, né minacciosi è sinistri guardiani…

Era il primo portale che lei avesse mai visto, e il semplice fatto di trovarsi così vicino a esso la faceva tremare di terrore.

«Dov’è la nostra Caladnei delle Pergamene?» chiese Thloram.

Da chissà dove, lei riuscì ad attingere abbastanza forza di volontà da scoppiare in una risata e da avanzare con decisione, entrando nel fuoco azzurro, mordendosi la lingua per il terrore e per evitare di singhiozzare…


[Ora dimmi, ti ricordi il tuo primo furto? Mostramelo.]


L’estate successiva, una notte altrettanto calda. Adesso Narnra era più abile a saltare, era più audace. Spesso si appollaiava come una gargoyle sulle grondaie e dietro gli angoli delle guglie, osservando la gente di Waterdeep attraverso le finestre delle camere da letto… e apprendendo molte più cose di quante ne sapessero in genere le ragazze così giovani.

Risse, liti fra ubriachi, piccoli affari condotti in fretta in una strada o in un vicolo buio, un accoltellamento o due, molti furti veloci… come quella notte, quando un furto del genere lasciò un grasso mercante seduto per terra a grugnire di dolore, mentre un disperato bracciante correva veloce lungo un vicolo, stringendo in mano una pesante borsa… per poi svoltare proprio sotto il punto in cui Narnra era appollaiata e salire a precipizio la traballante e scricchiolante scala esterna, il respiro affannoso. L’uomo protese una mano verso la maniglia, poi s’immobilizzò a scrutare la luce che filtrava da una stretta fessura della finestra, esitò per un momento in preda all’incertezza, sussurrando un’imprecazione all’indirizzo di qualcuno che aveva riconosciuto e che si trovava all’interno, poi si sollevò in punta di piedi per nascondere la borsa rubata sul bordo del tetto sovrastante. L’uomo entrò, la porta si richiuse rumorosamente, voci alterate giunsero dall’interno… e Narnra si sentì assalire da un’eccitazione tale da temere di poter stare addirittura male.

Poteva osare? In basso si scorgevano le lanterne della Guardia Cittadina, si sentivano uomini armati passare lungo la strada, ma le nubi stavano nascondendo la luna… e come una vipera Narnra strisciò giù per l’erto tetto a testa in avanti, sfiorando con il corpo le tegole per tenersi il più bassa possibile, mentre i richiami degli ufficiali della Guardia si facevano sempre più vicini… e infine arrivò a raggiungere con la mano la borsa, solida e pesante. Con estrema lentezza, la tirò a sé e si ritrasse fino a potersi girare per allontanarsi di soppiatto. Una volta al sicuro, su un altro tetto abbastanza distante, aspettò che le nubi si spostassero quanto bastava per lasciar trapelare la luce della luna e aprì la borsa, contemplando le monete che le brillavano fra le mani!


[Poi però le cose sono peggiorate per entrambe, giusto?]


Grandi ali da pipistrello e smosse scaglie marrone che sporgevano da una massa gigantesca, spalle simili a macigni che si muovevano mentre le ali si allargavano per cabrare e scendere in picchiata…

Giù verso di lei, con le grandi fauci spalancate e la coda che sferzava l’aria.

«Aiuto! Aiuto!» stava gridando debolmente Bertro, accecato dal suo stesso sangue, Umbero che giaceva di traverso su di lui, svenuto o forse morto.

Imprecando, ma soltanto perché la disperazione non le permetteva di dire altro, Caladnei si mise a correre, puntando dritta verso il grifone in picchiata, senza avere più a disposizione nessun incantesimo, nulla tranne la spada spezzata che aveva in pugno. Nonostante questo, si lanciò come una pazza verso la sorte segnata da quelle fauci, perché i suoi amici avevano bisogno di aiuto…


[No, ti voglio risparmiare quelle morti. Ogni spargimento di sangue lascia una macchia su chi vi assiste. Cosa mi dici della morte che ha ribaltato il tuo mondo?]

No! No, maga, dannazione a te! NON voglio… non…


Sua madre era rimasta a lavorare fino a tardi quell’ultima notte, prima che la grande esplosione lasciasse il suo corpo infranto e bruciato in mezzo ai resti devastati del salotto anteriore. Naturalmente, a ucciderla era stata la magia, ma da parte di chi? Un mago che l’odiava? No, qualcuno assoldato per ucciderla… ma dal Casato di Artemel, dai Lathkule, o da chi altri?

Bresnoss Artemel aveva portato di persona la tiara nella bottega, scortato da otto guardie del corpo che sfoggiavano apertamente la livrea degli Artemel. I rubini che l’adornavano erano grossi come il pugno di Narnra, e perfino i più piccoli erano grandi quanto il suo pollice. Essi dovevano essere nuovamente tagliati e montati in coppie identiche su un pettorale lungo fino all’ombelico.

Maerjanthra aveva appuntato la sottile cotta di maglia del pettorale su un manichino e si era accinta a iniziare il lavoro, mentre già nelle strade si diffondeva la notizia che una tiara del valore di milioni di monete d’oro era stata rubata nella camera da letto del signore del Casato Lathkule… i cui membri erano i migliori gioiellieri fra tutta la nobiltà di Waterdeep. Poi…


No! (furioso tumulto, artigli protesi) NO! Non voglio vedere questo! NON VOGLIO!


Più tardi, si ritrovò a vagare sola e disperata su tetti spietati e indifferenti, in pianto, furente. I rubini erano scomparsi dalla bottega prima ancora che lei venisse scagliata fuori dal proprio davanzale dalla violenta onda d’urto dell’esplosione, e non aveva potuto neppure rientrare per… per…


Esci dalla mia testa, Caladnei! Indietro, vattene, lasciami stare!


Mesi più tardi, sopraggiunse l’inverno con venti sempre più freddi, e lei era ancora sui tetti, sempre addolorata e ancora piena di interrogativi: i colpevoli erano gli Artemel, che avevano voluto chiudere la bocca a Maerjanthra delle Gemme, affinché non potesse rivelare a nessuno che i rubini le erano giunti in mano montati su una tiara? Oppure erano stati i Lathkule, decisi ad annientare una rivale di vecchia data nel campo del taglio delle pietre preziose, e magari convinti che fosse stata lei a rubare la tiara? Uno degli apprendisti aveva forse tradito sua madre, sussurrando informazioni ai Lathkule, oppure…?

Caladnei! (angoscia singhiozzante, cieca lotta)

[Ti chiedo scusa, Narnra. Anch’io ho conosciuto il dolore.]


In fretta, si stava dirigendo a casa, in Turmish, in sella a un cavallo preso a prestito, dopo aver appreso le cattive notizie. Percorrendo tortuosi viottoli di collina arrivò nel piccolo villaggio turmish di Tharnadar Edge. Sua madre vi era nata, ma adesso non c’era più, era dispersa in mare e non restava neppure un corpo da seppellire.

Suo padre Thabrant era ancora alto, ma adesso appariva cupo e indifferente, un guscio vuoto senza più vigore, incapace perfino di piangere. Lei versò lacrime a sufficienza per entrambi, abbracciandolo con forza, ma lui rimase immobile come una statua, mentre le diceva a bassa voce che non si sarebbe mai più fidato degli dei.

Poi le disse che intendeva tornare a casa, in Cormyr, per morire laggiù.

«Sceglierò la nave più piccola che riuscirò a trovare, Cala, con l’equipaggio peggiore. Spero che Talos e Umberlee mi prendano, una volta che sarò sul mare, come hanno fatto con lei. Prima di imbarcarmi, mi presenterò davanti ai loro altari per maledirli entrambi.»

Nessuno dei due aveva avuto la possibilità di dire addio a quella donna minuta, appassionata e di temperamento focoso, che era stata il fulcro della vita di entrambi. Maela Rynduvyn, snella, agile e silenziosa, con i capelli rossicci, gli stessi, strani occhi ereditati da Caladnei e la pelle scura, più a suo agio in abiti vecchi e a piedi scalzi. Era annegata in una tempesta al largo di Starmantle, mentre stava andando a Westgate per rivedere una sorella da tempo perduta.

Quel giorno, suo padre aveva proteso goffamente le mani nodose da intagliatore del legno, un gesto che Caladnei gli vedeva fare per la prima volta, e aveva stretto in mezzo a esse l’aria, quasi stesse trasportando qualcosa di prezioso, o sperasse di afferrarlo evitando di fissarlo direttamente ma tenendosi sempre pronto. Non aveva neppure guardato il pasto che Caladnei aveva preparato per entrambi, né qualsiasi altra cosa, a parte lei. Caladnei aveva rabbrividito di frequente mentre giaceva sveglia nel buio, osservando suo padre che, seduto accanto alla finestra, la fissava a sua volta… aveva rabbrividito perché sapeva che lui in realtà stava vedendo sua madre, soltanto sua madre.


Maga, non M’IMPORTA della morte di tua madre o di qualsiasi altra cosa della tua vita! Voglio solo che questa cosa finisca e che tu esca dalla mia mente, dalla mia… dalla mia…

[Calmati, Narnra, calmati. Mostrami la prima cosa che ti viene in mente.]


Sola e affamata, quel primo inverno, si vide offrire una caraffa da un uomo dal sorriso disinvolto, accoccolato accanto alla porta aperta della sua capanna, nel Quartiere dei Moli. Il contenuto della caraffa non era semplice vino, le accese un fuoco nel ventre che scacciò il gelo e l’aiutò a ridere. Per un po’ si scambiarono storielle divertenti e risero delle rispettive imitazioni dei venditori ambulanti, e dopo un po’ Urrusk l’invitò a entrare, allontanò le mosche da una coscia di capra arrosto già mezza mangiata e gliela porse.

Lo stomaco vuoto la indusse a lanciarsi sulla carne e a divorarla come una pantera, mentre lui rideva ancora, le riempiva spesso la caraffa e continuava a ridere nell’armeggiare per slacciarle i vestiti, non riuscendo a trovare la cintura e finendo per cadere a faccia in avanti contro i suoi stinchi.

Un altro uomo si affacciò sulla porta e allontanò Urrusk con un manrovescio.

«Idiota!» sibilò. «Ti pago per attirare le schiave, non per rovinarne il valore!».

Con un ringhio, protese la mano verso un ammasso di oggetti, nel solaio, e tirò giù un paio di manette tintinnanti, avanzando verso Narnra con un bagliore tale nello sguardo da far pensare che fosse intenzionato a continuare dove aveva costretto Urrusk a smettere, dopo aver…

Narnra si dibatté debolmente quando l’uomo le afferrò i polsi, ma le sue dita erano fredde e dure come la pietra, e ridendo lui la trascinò come se fosse stata una bambola verso un anello fissato alla parete. Poi Urrusk apparve barcollante dietro di lui, il volto distorto dall’ira, e gli passò intorno al collo la catena della seconda manetta, tirando con tutte le sue forze.

Con gli occhi che sporgevano dalle orbite, l’uomo più grosso ruggì e tirò a sua volta. Narnra ne approfittò per appoggiarsi al muro con le spalle e sferrargli un calcio fra le gambe, il più in alto possibile e con tutte le sue forze, finendo per cadere dolorosamente in posizione seduta sul pavimento mentre lui barcollava e andava a sbattere contro una parete con la faccia.

Un istante più tardi Narnra era fuori nella notte e stava correndo rapida come il vento, alla cieca, con una pattuglia della Guardia lanciata ben presto al suo inseguimento…

(Paura, disgusto, ira impotente, ancora, ira nauseata)


[Calmati, Narnra. Non sei la sola che abbia avuto problemi, a Waterdeep.]


Sudore e respiri affannosi, in quella stanza al piano superiore di una casa della Via del Veggente, dove il vecchio, guercio Nathdarr gestiva la sua scuola di scherma, più abile nel combattere con un solo occhio di quanto molti uomini lo fossero con due. Caladnei era la sola ragazza presente nella stanza, i suoi balzi disperati e l’agilità con cui manovrava la spada stavano trasformando lentamente il disprezzo del maestro in riluttante ammirazione, fino alla notte in cui Marcon e Thloram avevano fatto irruzione nella stanza con il respiro affannoso, gridandole di fuggire con loro… subito!

Mentre lei lavorava per diventare più abile nell’uso della spada, i suoi compagni della Fusciacca si erano dati da fare per spendere il loro denaro nella Città degli Splendori. Stupidamente, Rimardo e Vonda avevano cercato di derubare un nobile, i cui uomini li avevano catturati e torturati a morte, costringendoli a fornire i nomi di tutti i membri della Fusciacca della Stella Lucente… come le guardie del nobile avevano detto beffardamente a Marcon mentre cercavano di infilzarlo in una taverna, meno di un’ora prima.

Lui e Thloram si erano aperti un varco ed erano fuggiti con una vera e propria folla alle calcagna e quattro guardie in livrea morte alle loro spalle, e adesso la Guardia Cittadina si era unita alla caccia. Se però lei aveva ancora la maggior parte del suo oro, sapevano dove trovare qualcuno che, a pagamento, li avrebbe nascosti in una cassa che quella notte stessa sarebbe stata caricata su un carro e trasportata fuori città.

L’espressione ammirata di Nathdarr si era trasformata in acido disgusto e lui aveva scosso il capo nel guardarli fuggire nella notte uscendo dal retro… ma quando la folla si era presentata ululando alla porta principale della sua sala di addestramento, aveva trapassato con calma con la spada i primi tre che si erano fatti avanti prima ancora di trarre un altro respiro.


Davvero divertente. Quindi sei sopravvissuta a tutti gli altri e poi sei fuggita a nasconderti in Cormyr?

[Sei crudele, Narnra. Ora ti mostrerò perché mi sono separata dai membri della Fusciacca. Meriti di saperlo.]

Adesso che Thloram era morto e sepolto nella Fenditura, Marcon era il solo superstite della banda gioviale che l’aveva prelevata dal suo tavolo al Boccale Crepato. Oh, naturalmente aveva trovato dei rimpiazzi… numerosi maghi e guerrieri, più giovani e ancora più propensi alle spacconerie di quanto lo fosse stato Bertro… ma il divertimento era svanito, c’erano troppi ricordi tristi, troppi volti sorridenti erano scomparsi per sempre.

Di conseguenza, quando Meleghost Telchaedrin le mandò a dire di presentarsi da lui per un colloquio privato, lei non si preoccupò di informare Marcon. Se un decadente Halruaan aveva deciso di eliminarla, le andava bene così; in fin dei conti, prima o poi tutti andavano incontro agli dei, e Caladnei aveva smesso di temere che potesse giungere il suo momento.

La Fusciacca si è recata là, nelle torri della famiglia Telchaedrin, per accettare un incarico. Sarde Telchaedrin voleva che dessero la caccia a un erede rinnegato, prima che l’incantesimo di contaminazione del sangue da lui creato avesse finito per spargere la morte in ogni angolo di Halruaa. Caladnei aveva diffidato dall’inizio di quell’incarico, ma la quantità di denaro offerta era incredibile… un’altra cosa che generava in lei dei sospetti, anche se i suoi compagni, più giovani di lei, non sembravano accorgersene… e Marcon palesemente preferiva far finta di niente.

Lord Meleghost era uno zio anziano di Lord Sarde, considerato un «tipo strano» dai pochi Halruaan a cui Caladnei aveva avuto modo di fare il suo nome, perché in gioventù era andato fuori dalle Mura in cerca di avventure, e al suo ritorno aveva narrato un quantità di strane storie riguardo alle pittoresche terre di Faerûn, oltre le montagne.

Al suo arrivo, Caladnei lo trovò solo nella vuota sala di marmo dall’alta volta, fermo in piedi accanto a un’alta piattaforma, vicino a una grande finestra ovale alta quanto sei uomini; anche accanto a essa, Lord Meleghost appariva comunque di statura molto alta.

«Benvenuta», mormorò, senza le consuete, elaborate frasi di cortesia, porgendole la mano. «Ti ringrazio moltissimo per essere venuta, e ti prego di accettare la mia assicurazione che non intendo farti del male o ingannarti.»

Caladnei sbatté le palpebre per la sorpresa, poi gli strinse la mano con un sorriso.

«Sembri avere fretta, signore… e ammetto che rapidità e semplicità sono cose che trovo piacevoli. Per favore, spiegami cosa desideri da me senza ulteriori indugi.»

Meleghost annuì, scrutandola da sopra il lungo naso aquilino come una sorta di rapace vecchio e stanco.

«Come desideri», assentì. «Questo incarico è un inganno che vi condurrà al disastro, perché Sarde vi sta inducendo ad attaccare, senza saperlo, una famiglia rivale del nostro regno. Dovresti lasciare Halruaa adesso, e da sola.»

«Questa faccenda non mi è piaciuta dall’inizio», affermò lentamente Caladnei, poi avanzò di un passo e chiese: «Perché mi stai dicendo questo?»

Anche Meleghost si fece avanti, fino a quando i loro volti quasi si toccarono… e lei avvertì il suo alito, che aveva un gradevole aroma di spezie antiche.

«Un tempo», mormorò, «ho vissuto alcune avventure con tuo padre, e di stagione in stagione evoco la sua immagine, in modo da poter chiacchierare con lui. Bambina, Thabrant sta morendo. Vive in una capanna sulle colline a nord di Immersea, nel Cormyr settentrionale, e si sta spegnendo lentamente… e ha un disperato bisogno di rivederti. Mi ha chiesto di riferirti che adesso il suo orgoglio è svanito e che ha bisogno di te».

Tremante, sull’orlo del pianto, Caladnei deglutì a fatica, mentre il vecchio Halruaan la circondava con le braccia in un gesto di conforto e accostava la fronte alla sua.

Angosciata e confusa, un momento più tardi lei sentì un fuoco invaderle la mente, intenso e irresistibile…

Sussultò, o almeno le parve, e all’improvviso avvertì nella propria mente la presenza vibrante di un nuovo incantesimo, descritto con limpidezza cristallina: un incantesimo di traslocazione, che le avrebbe permesso di spostarsi di colpo da un luogo all’altro. Il teletrasporto! Quello era ciò che i maghi definivano un incantesimo di teletrasporto!

Questo ti dovrebbe aiutare a fuggire da Halruaa, a patto che non cerchi mai di usarlo dentro nessuno dei nostri edifici… questo incluso.

La voce del vecchio le echeggiò nella mente come un tuono lontano, e d’impulso lei rispose:

Non potrò mai ringraziarti abbastanza, ma insisto perché non sia un dono bensì uno scambio. Questa è la magia migliore che conosco. Per favore, accettala.

Un incantesimo di volo? Lo possiedo già, ma accetto con gioia il tuo. Sei una degna figlia di Thabrant Spada d’Argento, a onorare in questo modo un patto. Addio, Caladnei, abbi una buona vita.

Piangendo, lei lo baciò su una guancia, si volse di scatto e fuggì, eseguendo più di un incantesimo di teletrasporto per riuscire ad arrivare nel Cormyr settentrionale.


[Finalmente ci comprendiamo meglio a vicenda?]


Sì, dannazione a te, sì.


[È un bene. Tu mi piaci, Narnra Shalace, e spero che tu possa arrivare a pensare lo stesso di me. Adesso però tutto si sta facendo sfocato intorno a noi perché questo incantesimo è… stancante. Molto stancante, e tu hai continuato a dibatterti come un pesce preso all’amo.]


Caladnei, io mi SENTO un pesce preso all’amo!


Poi si trovò a risalire dall’oscurità, come un pesce che nuotasse verso la luce del sole, sbucando nella luce, nel rumore e…

Un bagliore d’argento, un fragore d’acqua che cadeva vorticando, campane e corni e luce intensa…


Narnra si ritrovò a fissare Caladnei negli occhi, che erano di un profondo castano tendente al rosso, con una punta di blu al centro; la Maga Reale incontrò e sostenne il suo sguardo.

Entrambe stavano piangendo in silenzio, il volto umido di lacrime, mentre giacevano vicine su un fianco, strette in un intenso abbraccio.

Al di là di Caladnei, Narnra vide poi Laspeera e Rhauligan che montavano la guardia vicino a loro, lei con un bastone magico in pugno, lui con la spada snudata.

Intrappolata. Era intrappolata, incatenata e ingannata.

In preda a un impeto improvviso d’ira rovente, Narnra si strappò dall’abbraccio di Caladnei in una tempesta di spinte, schiaffi e ginocchiate, e si proiettò all’indietro nell’aria.

Per reazione, gli incantesimi di protezione della Maga Reale entrarono in funzione come un velo di fiamme bianche che nascosero Caladnei alla vista, mentre Narnra atterrava rotolando e si rialzava già in corsa. Anche Laspeera e Rhauligan si stavano muovendo… per interporsi fra lei e la porta!

Singhiozzando amaramente, Narnra deviò per allontanarsi da entrambi e continuò a correre fino al più lontano angolo vuoto della camera, dove percosse il muro con i pugni fino a quando le fecero troppo male per continuare a colpire.

Accasciandosi su se stessa, appoggiò la fronte contro la liscia parete indifferente e singhiozzò fino a sentirsi svuotata… e sola.

«Allora?» mormorò la Maga Reale, da un punto alle sue spalle. «Non è l’addestramento abituale che impartisco ai miei agenti, ma ti senti appena un po’ più… soddisfatta?»

Narnra si volse di scatto per fissarla con occhi roventi.

«Dov’è la mia libertà?» ringhiò. «Quelle che mi dai sono catene mentali, ciò che hai scelto di mostrarmi del tuo passato e quello che hai voluto prendere dal mio. Soddisfatta… bah

Caladnei appariva infelice quanto lei, e nell’osservarla, Narnra vide una nuova lacrima scaturirle dall’occhio e rotolarle sulla guancia pallida.

«E qual è la tua scelta?» sussurrò la Maga Reale, protendendo una mano come se fosse stata una mendicante che implorava.

Narnra guardò per un istante quella mano profferta e distolse lo sguardo, con il respiro affannoso.

Che scelta ho? si chiese. In tutto Faerûn. C’è un posto dove possa fuggire? E cosa mi farà, se rifiuto?

La sua mente tornò a proporle un’immagine già nota. Caladnei che tremava di paura davanti al primo portale che avesse mai visto… e che poi si costringeva a ridere e ad avanzare nel suo fuoco azzurro, mordendosi la lingua per il terrore.

Caladnei che correva incontro a un grifone in picchiata, senza più incantesimi e con una spada spezzata come unica arma, perché i suoi amici avevano bisogno di lei…

Amici. Qualcuno con cui ridere. Quella riflessione le fece affiorare nella mente una nuova scena: Caladnei che rideva vicino a un fuoco, nascondendo con il riso il proprio imbarazzo e la propria sofferenza, mentre il vecchio Thloram le dava da bere del vino caldo speziato e tirava indietro le coltri di pelliccia, esponendo agli occhi di tutti la sua nudità nel procedere a ricucire la lacerazione prodotta da un colpo di spada da lei ricevuto nel contribuire alla vittoria di quel giorno.

Thloram, che giaceva sfracellato dopo la caduta nella grande fenditura, i suoi scherzi, le sue mani confortanti e il suo eccellente stufato alle spezie perduti per sempre, nell’arco di un istante…

Le sarebbe piaciuto aver potuto conoscere Thloram.

Quella donna aveva vissuto di gran lunga molto più di lei.

Come le leggende affermavano avesse fatto e stesse ancora facendo Elminster, dopo un migliaio di anni di battaglie, di scontri con mostri e maghi malvagi.

«Maga Reale», affermò lentamente Narnra, senza sollevare lo sguardo, dopo un lungo momento di silenzio, «ritengo che tu ti sia procurata un nuovo e fedele agente».

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