16. Una giornata impegnativa per i Maghi della Guerra

Allora il mio incantesimo esplose in mezzo a loro e… mirate!… ci furono dappertutto Maghi della Guerra arrostiti a fuoco vivo.


Morthrym di Selagunt

Sessanta estati di incantesimi: la mia carriera di potente mago

Anno della Torre

La foresta fu nuovamente scossa da un’esplosione, e un ramo fiammeggiante cadde sulla pista, rimbalzò una volta e rotolò lontano. Malakar Surth si diresse verso di esso con un sorriso sicuro e abbassò lo sguardo su un ricurvo frammento di elmo che stava lentamente smettendo di girare su se stesso.

«Questo è… trascendente», dichiarò, sollevando un altro di quegli oggetti e ammirandone la lucentezza. «Semplicemente trascendente.»

«Ed è anche facile», convenne Aumun Bezrar, alle sue spalle. «Ne abbiamo già eliminati più di una dozzina, giusto?»

«Quattordici», precisò Surth, sollevando lo sguardo verso la volta di fogliame, «e certo non grazie a te».

«Per gli dei, un momento! Ne ho distrutti cinque!»

«Ma saresti stato in grado di farlo, se io non ti avessi mostrato come sconfiggere questi… queste armature incantate? Bah, non perdiamoci a discutere e cavillare… dobbiamo andare avanti.»

«Uh, sì, avanti», ripeté Bezrar, poi si accigliò nel guardare Surth che procedeva a grandi passi lungo la pista, verso quella che sembrava una macchia di alberi ancor più fitta e cupa, un boschetto di cima d’ombra e legnocupo, piante antiche quanto il regno e larghe quanto capanne, che salivano verso l’alto nella penombra, con i viticci rivestiti di muschio che pendevano qua e là dai rami, simili a gigantesche ragnatele.

«Uh, Surth… ecco, soltanto una cosa: perché?»

L’alto e magro mercante di profumi, vini, cordiali e veleni s’immobilizzò per un momento.

«Non lo so», ammise poi. «Lo sapremo quando arriveremo a destinazione.»

E riprese a camminare, con Bezrar che si affrettava a seguirlo, proseguendo per un lungo tratto, con il respiro sempre più affannoso, prima di fermarsi ancora.

«Ehi, Mal?» chiamò.

«Non mi chiamare in quel modo!» ringhiò Surth, girandosi di scatto.

«Uh… ah… sì, certo, Mal. Io… ci sarebbe soltanto un’altra cosa.»

«Cosa?» domandò Surth in tono glaciale, sollevando il lucido oggetto ovale che aveva in mano come se avesse avuto intenzione di scagliarlo contro il suo socio.

«Uh… ecco… che ne sarà di noi quando avremo esaurito tutti questi arnesi?» balbettò Bezrar, esibendo a sua volta uno di quei congegni.

Malakar Surth aprì la bocca per dare una risposta rabbiosa… ma quando vide lo sguardo di Bezrar farsi spaventato e appuntarsi su qualcosa che si trovava dietro le sue spalle, la richiuse prontamente e si affrettò a voltarsi.

Tre orrori con l’elmo stavano emergendo dagli alberi, più avanti, fluttuando verso di loro all’unisono, minacciosi, e stavano convergendo su di lui. Tutti e tre erano armati di enormi asce da battaglia invece che di spada, e ciascuno di essi la teneva alzata, pronto a colpire.

«Tymora e Mystra, siate con noi in questo momento!» ringhiò il mercante, scagliando con disperazione un congegno lucente. Nel farlo, si rese conto di non sapere che ne sarebbe stato di uno di quei lucidi oggetti ovali se mai avesse sbagliato mira nel lanciarlo… e nel vedere altre forme in armatura emergere dall’ombra degli alberi pregò con fervore entrambe le dee perché gli evitassero di avere mai modo di scoprirlo.

L’istante successivo un’ondata di fuoco azzurro divampò nell’aria, ma ormai Surth sapeva che doveva abbassare la testa e ripararsi gli occhi. L’esplosione disintegrò una delle armature, ma gli altri due orrori con l’elmo continuarono ad avanzare verso di lui come se non fosse successo nulla.

«Brorm?» chiamò proprio in quel momento una voce lontana, in tono severo. «Sai che il Vecchio Incantesimi di Tuono non vuole che noi si esegua incantesimi qui, così vicino a lui! Non ho idea di cosa tu stia distruggendo, ma adesso smettila!»

Una forma in armatura incombette davanti a Surth, e un’ascia da battaglia brillò nel calare verso di lui.

«Mangia questa morte fiammeggiante, porco di metallo!» ringhiò Bezrar.

Poi ci fu un’altra fiammata azzurra, che fece rotolare Surth all’indietro, in una capriola che questa volta lo mandò a finire in un cespuglio di rovi.

Il mercante sbatté le palpebre, contemplando con aria stordita il proprio sangue, che brillava in una serie di gocce rosse lungo una lacerazione che gli attraversava la mano, poi sentì ancora quella voce, che adesso era un po’ più vicina e decisamente più furiosa.

«D’accordo, Brorm, adesso hai esagerato!» stava urlando. «Non m’interessa se il Vecchio adora il tuo pasticcio di spinaci… ti ridurrò il posteriore a strisce! E adesso non cercare di dartela a gambe… posso essere più vecchio di te, ma conosco i tuoi trucchi e dovrai faticare parecchio per cogliere di sorpresa il vecchio Phaldemar delle Sfere di Fuoco!»

Contemporaneamente, Bezrar distrusse la terza sentinella in armatura, e sulla scia dell’esplosione, i due storditi Marsembani sentirono l’invisibile Phaldemar imprecare pesantemente.

Ci fu poi un notevole rumore di fogliame smosso che proveniva dagli alberi sulla destra della pista, dove la foresta ammantava alcune tondeggianti colline, e di lì a poco un uomo vigoroso in tenuta da battaglia di cuoio entrò a grandi passi nel campo visivo dei due, avvolto in un lungo mantello di cuoio che gli si allargava alle spalle a causa della rapidità della sua andatura. L’uomo aveva la faccia che ricordava un vecchio stivale, incorniciata da capelli grigio acciaio, e stringeva nella mano sinistra una lunga bacchetta nera a cui erano applicate piccole punte e spirali che emettevano bagliori intermittenti in tutte le tonalità dello spettro. La mano destra era invece coperta da un lungo guanto bianco ed era avvolta da un alone luminoso che pareva essere incandescente.

«Brorm?» ringhiò, nel risalire la pista, scrutando con aria sospettosa in tutte le direzioni. «Per tutte le corazze d’ottone di Alusair, dove sei?»

Poi il suo sguardo si posò sulle schegge infrante di un orrore con l’elmo, sparse sullo stretto sentiero di terra battuta, proprio davanti ai suoi piedi.

Phaldemar delle Sfere di Fuoco fissò quei frammenti a bocca aperta per lo stupore… uno sconcerto che aumentò ulteriormente quando lui guardò lungo la pista e vide qua e là altri pezzi di metallo che fino a poco tempo prima dovevano essere state parti di armature da battaglia cormyriane di ottima fattura. Da dove si trovava, poteva vedere i pezzi di almeno due elmi senza dover neppure muovere un altro passo.

«Per Mystra», imprecò, a bassa voce ma con sentimento, e si affrettò ad attivare l’asta che aveva con sé per avvolgersi in un incantesimo di schermatura, perché la persona… o la cosa… responsabile dell’accaduto doveva essere ancora nelle vicinanze, dato che l’ultima esplosione si era verificata solo pochi istanti prima. Sì, laggiù! Alcune schegge stavano dondolando a causa dell’onda d’urto che le aveva scagliate dove ora si trovavano. Scuotendo il capo, il Mago della guerra assunse un atteggiamento guardingo e prese ad avanzare con cautela lungo la pista.

Quasi immediatamente vide uno stivale. La gamba che lo indossava apparteneva a un uomo vestito come un mercante della costa… calzoni, stivali e quel genere di tunica lunga fino ai fianchi che si vedeva di rado nella Foresta del Re o nelle Terre Alte, dove si usavano casacche con cappuccio per lavorare nei campi e tuniche fermate in vita da una cintura per cavalcare o aggirarsi nella foresta… che giaceva accanto a un cespuglio di rovi, con gli occhi chiusi e una mano coperta di sangue fresco. Phaldemar esaminò attentamente l’uomo, che non aveva mai visto prima, e nel posare lo sguardo sulla sua cintura, constatò che in essa era infilato soltanto un coltello lungo del genere in uso a Marsember. Chiunque fosse, quell’uomo aveva senza dubbio avuto qualcosa a che vedere con la distruzione degli orrori con l’elmo, ma di certo non sembrava essere un brigante, o un mago, o un nemico di Cormyr degno di tale nome. Quanto a determinare se era davvero privo di sensi o meno…

Phaldemar si chinò in avanti e puntò l’asta verso l’uomo, pensando che un’ondata d’acqua evocata con la magia avrebbe dovuto…

Uno schianto e un rumore di fogliame smosso provenienti da un punto sulla destra e dietro di lui, indussero il Mago della Guerra a girarsi di scatto, sollevando l’asta… ma era ancora a metà del gesto quando qualcosa di grosso, peloso, grasso e sudato gli piombò addosso e gli passò sopra di corsa, calpestandolo.

«Coooooorrraaagh!» stridette Aumun Tholant Bezrar, agitando selvaggiamente le braccia nel lanciarsi di corsa attraverso la foresta, andando a sbattere contro gli alberi ogni volta che la pista descriveva una curva che lui non pensava neppure a seguire, nel corso della sua fuga frenetica. «Cooorrhhhhh!»

Quell’urlo inarticolato era in effetti un tentativo di formulare la parola «corri» e di gridarla a Surth, che si trovava da qualche parte alle sue spalle, ma…

Il Mago della Guerra cadde al suolo con un grugnito e rimbalzò con violenza, l’asta che gli sfuggiva di mano, finendo fra i cespugli, poi il suo corpo si accasciò inerte e silenzioso, gli occhi chiusi.

Tremante di paura, Malakar Surth riuscì ad accertare almeno questo da quanto riusciva a vedere del mago attraverso le palpebre socchiuse. In lontananza, Bezrar stava ancora urlando fra gli alberi, le sue grida che echeggiavano in modo tale da far supporre che soltanto i sordi avrebbero potuto mancare di notare il rumore che lui stava facendo.

«Basta con i maghi! Non si fanno affari con loro, oh, no! Lo avevo detto a Surth! Glielo avevo detto! No! Niente magia, per nessun prezzo! No no no NO!»

Surth contrasse il volto in una smorfia, pensando che tutto quel frastuono avrebbe fatto accorrere al più presto quel «Brorm», e probabilmente un mucchio di altri maghi. Doveva andare via, subito!

Il Mago della Guerra steso al suolo gemette e mosse una mano, le palpebre che si agitavano appena. In preda a un terrore improvviso, Surth scattò in piedi e gli passò sopra di corsa.

Forse sarebbe riuscito a oltrepassare il Cormyriano senza intoppi, ma il mago dai capelli grigi sollevò una mano alla cieca, artigliando l’aria per cercare di ritrovare l’equilibrio, e Surth inciampò nell’arto proteso, cadendo in avanti.

Artigliando il muschio e il terriccio, senza rallentare i movimenti, il mercante si rimise in piedi con un frenetico gemito di paura e continuò a correre, precipitandosi lungo la pista sulla scia di Bezrar, che in lontananza stava ancora continuando a urlare.

Phaldemar delle Sfere di Fuoco gemette ancora, scosse la mano intorpidita e rotolò prono. In lontananza, una testa apparve fugacemente nel suo campo visivo prima che la fuga del suo proprietario la portasse oltre una curva fra gli alberi e la facesse scomparire in mezzo a una confusione di vecchi tronchi nodosi.

Qualcosa stava brillando sulla pista, sulla scia del misterioso uomo in fuga, un oggetto che brillava al sole nel girare su se stesso, cosa da cui si deduceva che doveva essere appena caduto.

Phaldemar si sollevò sulle ginocchia, poi si alzò in piedi e mosse due passi incerti; vedendo la propria asta, la recuperò, sussultando per l’insieme di nuovi dolori che avvertiva ovunque… per gli dei, quell’uomo lo aveva colpito con forza maggiore del pony che gli era passato sopra quando era ancora un ragazzo!… e andò a raccogliere l’oggetto caduto sulla pista.

Esso risultò abbastanza grande da riempirgli la mano, un ovale di metallo argenteo liscio e lucido, che assumeva una tonalità bluastra nel riflettere la luce solare. L’oggetto era spesso nel centro e sottile lungo i bordi, come un pasticcino imbottito, e su di esso erano incise… sì, quelle erano rune di potere, ma di un genere che lui non aveva mai visto prima, e che sembrava una scrittura orientale.

Socchiudendo gli occhi, rigirò l’oggetto fra le dita, senza però trovare sul rovescio nulla che gli fornisse maggiori informazioni, poi… qualcosa oscurò la luce alle sue spalle.

Questa volta, Phaldemar delle Sfere di Fuoco badò a girarsi abbastanza in fretta, accoccolato in avanti con l’asta spianata…

Due orrori con l’elmo stavano fluttuando verso di lui, lungo la pista, ma entrambi si arrestarono prontamente quando gli incantesimi di cui erano pervasi lo riconobbero come un comandante e non come un nemico. Accigliandosi, Phaldemar fissò ancora l’oggetto che aveva in mano, poi sollevò lo sguardo verso l’orrore con l’elmo più vicino… e obbedendo a un impulso improvviso gettò l’oggetto ovale verso il suo petto protetto dalla corazza.

La vibrazione dello schermo protettivo, che ancora lo avviluppava, salì di tono fino a trasformarsi in un acuto stridio quando l’orrore con l’elmo esplose, facendo carambolare su se stesso il suo compagno ancora intatto e scagliandolo attraverso l’aria a una distanza impressionante, mentre schegge bluastre di armatura di metallo sbattevano rumorosamente contro i rami in ogni direzione, ricadendo in mezzo al fogliame. Parecchi di quei pezzi si abbatterono contro il suo schermo e ne furono rallentati fino a scendere come piume, e a Phaldemar bastò muovere un passo di lato per evitare l’unico che era in rotta di collisione con la sua persona, scrutandolo con interesse mentre gli passava accanto.

L’orrore con l’elmo superstite si era intanto raddrizzato e stava fluttuando impassibile verso la pista, con la spada sollevata. Phaldemar gli scoccò un’occhiata, poi tornò a osservare i detriti ai suoi piedi e inarcò entrambe le sopracciglia con crescente preoccupazione.

«Ma guarda un po’», mormorò pensoso, abbassando la mano verso il corno per dare l’allarme che portava alla cintura. «Ma guarda un po’…»

* * *

Ah, Grande Mystra? Dea? Sei qui, nella mia mente?

Se ci sono, cosa dovrei fare?

Se ci sei, ribatté Narnra, con un asciutto sorriso, PERCHÉ ti stai aggirando nella mia mente senza dirmelo? Sei forse una Cormyriana?

Si aspettava come unica risposta il silenzio, e fu quello che ottenne, con un agitarsi dell’oscurità presente nella sua mente.

Sette scintille ammiccarono per un momento appena, quasi fossero divertite… e quello fu tutto.

* * *

Qualcosa di simile a un’ombra tremolante apparve nell’aria della stanza in cui Rauthur aveva inizialmente accompagnato il Mago Rosso, poi l’ombra assunse consistenza e materializzò un braccio e una testa che sbirciò con attenzione davanti a sé.

«Vengo da Suzail con urgenti notizie per Lord Vangerdahast», annunciò in tono eccitato, poi attese, ma la sola risposta fu il silenzio.

Sorridendo, la testa venne avanti, materializzando anche un corpo. Esso non aveva l’aspetto dell’abituale forma avvenente che Harnrim Starangh amava sfoggiare, ma del resto era soprannominato Incantesimi Oscuri per un valido motivo.

A parte lui, la stanza in penombra era deserta. Il Mago Rosso attivò un rapido incantesimo e annuì con aria soddisfatta.

«Non devo andare da quella parte, dove l’incantesimo di schermatura si fa più intenso», mormorò. «Qui però, questi sono schermi che posso manipolare…»

Nel corso della visita che avevano fatto insieme in quel luogo, la mente di quello stolto di Rauthur era stata un timoroso ribollire di ricordi accavallati, per cui adesso il più audace Mago Rosso che si trovasse in Cormyr sapeva che c’erano pergamene in abbondanza oltre quella porta del passaggio, come pure dietro quell’altra, da cui si accedeva anche a un armadio in cui erano riposti alcuni bastoni e un paio di bacchette, che però non sarebbe stato opportuno toccare perché in essi potevano essere inseriti incantesimi nascosti che permettessero di rintracciarli. Quanto alle sue magie veramente potenti… e sperimentali… Vangerdahast le teneva nascoste dietro schermi che potevano uccidere e che erano sintonizzati soltanto su di lui, ma in seguito ci sarebbero state occasioni in abbondanza per arrivare fino a esse. Prima, però…

«Blaedron? Sei tu?»

Starangh scagliò nell’aria un incantesimo del serpente assassino prima ancora di trasformare di nuovo il proprio corpo in un’ombra che tremolava in mezzo agli schermi pulsanti. Il Mago della Guerra che stava svoltando l’angolo con aria accigliata e con un bastone in mano andò a sbattere dritto contro il serpente e riuscì appena ad accennare un urlo soffocato prima che la sua faccia venisse risucchiata dalla magia… occhi, respiro, carne e tutto il resto.

Ossa coperte di sangue fissarono per un istante Starangh con le orbite vuote prima che il cadavere crollasse al suolo.

Sorridendo, Incantesimi Oscuri operò un’altra magia che trasformò il corpo in un’ombra incerta nascosta negli schermi. Ovviamente, esso sarebbe riapparso quando gli schermi fossero stati annullati, ma fino ad allora…

Abbandonato il bastone dove era caduto, il Mago Rosso si allontanò in fretta.

* * *

Ci fu un bagliore di fuoco fra il bianco e l’azzurro, e Vangerdahast scoppiò in una risata.

«Sì!» esclamò in tono deliziato, allargando le mani negli ultimi, ampi gesti dell’incantesimo. «Fatto… ed è perfetto!»

Ridacchiando in segno di trionfo, scribacchiò un’annotazione sulle sue pergamene, poi levò gli occhi al cielo quando la voce di Myrmeen risuonò alle sue spalle.

«Ora di fare una pausa, Maestro di Tutti la Magia?» chiese la donna. «Solo pochi istanti per bere un sorso d’acqua, stiracchiarti e pulirti il naso?».

Vangerdahast si volse di scatto, facendo fluttuare grandiosamente la propria veste, e rispose con un gesto estremamente rude che aveva visto usare dai Dragoni Purpurei, gli uni nei confronti degli altri, in più di un’occasione.

Myrmeen decise che questa volta spettava a lei levare gli occhi al cielo.

* * *

La mente di Rauthur aveva contenuto direttive molto chiare su come fare per aprire gli schermi dell’armeria se non si era sintonizzati con essi: bastava mormorare la frase giusta, eseguire i gesti necessari in maniera precisa e venire avanti…

Entrando in una camera dove due Maghi della Guerra si girarono a fissarlo con espressione stupita.

«Mi manda Laspeera!» disse loro Starangh ansioso. «C’è…»

A quel punto era ormai abbastanza vicino da poter toccare uno dei due uomini, ed eseguì un incantesimo che distorse la sola magia attiva del Mago della Guerra, uno schermo personale… nel nome di Loviatar e di Shar, quei maghi Cormyriani vivevano come conigli spaventati!..; trasformandolo in un tremolante campo di paralisi.

L’altro mago lo fissò a bocca aperta, poi mosse in fretta le dita per modellare un incantesimo, ma Starangh infilò la mano nella manica, estrasse un dardo avvelenato da una custodia che ne conteneva due e glielo scagliò in piena faccia.

Urlando, l’uomo si portò una mano all’occhio offeso, e Starangh scattò in avanti, sferrandogli un pugno violento alla gola. Il Mago della Guerra crollò al suolo gorgogliando, la bocca che già gli si stava coprendo di schiuma, accompagnata dall’inizio delle convulsioni.

Allontanandosi da lui, Starangh lo lasciò a dibattersi, decidendo che si sarebbe occupato di quei due dopo aver preso ciò per cui era lì.

Lo sportello dell’armadietto non aveva serratura, quindi si servì della punta di una daga per forzarlo e spalancarlo, evitando di toccarlo direttamente per precauzione, senza però che si scatenassero magie letali. Dentro c’erano dozzine di nicchie etichettate con caratteri a lui sconosciuti e piene di pergamene. Selezionandone tre a casaccio, ne scrutò il contenuto, poi tirò fuori un sacco dalla cintura, lo aprì e procedette a riempirlo. Ci sarebbe stato tempo più tardi per vedere di quali magie si era impadronito, perché attardarsi in quel luogo non sarebbe stato saggio. Badando ad attingere dalle nicchie che contenevano il numero minore di pergamene, riempì il sacco al massimo della sua capienza, poi… si bloccò di colpo nel protendere la mano quando vide qualcosa che ammiccava in una nicchia vuota: una minuscola stella di attivazione.

Il Mago Rosso si affrettò a indietreggiare, perché quelle erano cose che aveva visto utilizzare dai più potenti fra gli zulkir: a meno di essere toccate dalla persona giusta, o di essere neutralizzate nel modo più esatto, esse scatenavano il disastro su chiunque le disturbava. La sua presenza significava che Vangerdahast aveva un secondo contenitore pieno di pergamene dietro il primo… e che era molto più potente nell’utilizzo dell’Arte di quanto lui avesse creduto.

Accigliandosi, il Thayano si volse di scatto e lanciò con cura un incantesimo che avrebbe bruciato dall’interno il cervello dei due Maghi della Guerra, cancellando con esso ogni ricordo della sua presenza, e per ulteriore precauzione prelevò il suo dardo dalle fiamme ribollenti, portandolo via con sé. Gli ci erano voluti due anni di debolezza e di nausea per sviluppare una resistenza a dosi letali di staeradder, ma tuttora non riusciva a utilizzarlo senza temere di poter morire per un graffio dovuto a distrazione.

L’uomo che i Maghi della Guerra chiamavano Vecchio Incantesimi di Tuono non era un vecchio rimbecillito, bensì un mago anziano il cui potere magico era molto più grande di quanto gliene venisse attribuito da chiunque, in Thay, per cui sfidarlo con provocazioni ed elaborati incantesimi sarebbe stato un atto da stolti… e Harnrim Starangh non intendeva cedere all’impulsiva spericolatezza che aveva condotto alla morte così tanti giovani Maghi Rossi.

Quello era il momento del guanto di velluto e non del pugno che scagliava sfere di fuoco. Avrebbe fatto in modo che Joysil venisse a sapere dei piani di Vangerdahast, perché se lo avesse attaccato nella sua forma di drago avrebbe potuto distruggere o almeno indebolire il vecchio mago. Quale che fosse stato il suo esito, quello scontro avrebbe fatto affiorare altra magia che Harnrim Starangh avrebbe poi potuto casualmente trovare.

Incantesimi Oscuri di Thay abbandonò il rifugio con la massima rapidità e furtività di cui era capace.

* * *

Le fiamme vorticanti collassarono di nuovo, e questa volta portarono con loro un inoffensivo sgabello a tre piedi, che venne dirotto a esca fiammeggiante in un istante e subito dopo si trasformò in un mucchietto di cenere.

«Accidenti! Accidenti e dannazione!» imprecò stancamente Vangerdahast, appoggiandosi al tavolo da lavoro. «C’è qualcosa di sbagliato in quest’ultimo pezzo», continuò, battendo un dito su due file di rune, poi s’illuminò in volto ed esclamò: «Ehi, un momento! E se lo trasformassi…».

«In un melone? Magari, ma lo potrai fare benissimo domani», ribatté con fermezza Myrmeen Lhal, alzandosi di scatto dalla sedia e riponendo la spada nel fodero.

Preso saldamente per un gomito l’ex-Mago Reale, lo costrinse a volgere le spalle al tavolo. Socchiudendo gli occhi per il dolore di quella stretta, Vangerdahast cercò di mantenere la presa sulle sue annotazioni, poi ci rinunciò e si lasciò trascinare con passo incespicante.

«Ragazza, non devi trattarmi come se fossi un sacco di grano senza cervello!» protestò con fare burbero.

«No di certo», convenne in tono affettuoso Myrmeen, protendendosi verso di lui con un’espressione divertita nello sguardo, «e smetterò di farlo non appena tu la pianterai di comportarti come tale!».

«Ragazza! Uh, ragazza! Myrmeen, dannazione a te, ragazza! Ho appena qualche altra piccola modifica da apportare e avrò finito, accidenti!»

«Senza dubbio… e continuerai a lavorare per tutta la notte e la mattina successiva e gran parte della giornata che seguirà, per apportare quelle poche, piccole modifiche!»

«Ma questo è ovvio, ragazza», ribatté Vangerdahast, fissandola con sconcerto mentre si avviavano nel passaggio. «Si tratta di magia.»

«Non ne dubito», annuì la Signora di Arabel, senza smettere di costringerlo a procedere. «E una magia di genere diverso si verificherà presto in cucina, non appena sarai seduto là a riposare con un buon bicchiere di liquore in mano, mentre io comincio a cucinare. Per gli dei, hai aspettato per decenni di poter giocare con i tuoi incantesimi… quindi non vedo perché questo non possa attendere soltanto un’altra notte».

«Oh, ma…»

«Oh, ma stai quasi crollando al suolo per la stanchezza. Siediti», ingiunse la guerriera, praticamente spingendo Vangerdahast su una sedia e piazzandogli davanti il suo boccale migliore, che riempì fino all’orlo con…

«Per gli dei, donna! Vecchio Ambrafuoco! Dove lo hai trovato?»

«Nelle tue cantine», spiegò con voce mielata Myrmeen. «Non si conserverà in eterno, sai… e neppure tu. Quando sarai morto, desidererai di averne aperta qualche bottiglia in più, invece di lasciarla da parte in attesa del «momento adatto». Il momento adatto è sempre quello presente.»

I potenti schermi più interni del rifugio ronzarono e pulsarono intorno a loro mentre Myrmeen procedeva a slacciare con disinvoltura cinghie e fibbie dell’armatura, spargendone i pezzi tutt’intorno.

Vangerdahast sbatté le palpebre di fronte a quello spettacolo, poi si affrettò a distogliere lo sguardo e si schiarì rumorosamente la gola, prima di bere un altro sorso… e di tornare a guardare di soppiatto in direzione della donna.

Ignorandolo, Myrmeen afferrò un asciugamano che tutti i saggi guerrieri cormyriani tenevano all’interno della corazza, accanto a una daga di riserva, lo usò per asciugarsi il sudore e allungò la mano verso la padella più grande che aveva a disposizione.

«Quello che mi stupisce», osservò, nel mormorare la parola che Vangey utilizzava per accendere l’esca già predisposta nella stufa per poi passare nella ghiacciaia per prendere un po’ di strutto e alcune cipolle appese in un sacco accanto a esso, «è come tu sia riuscito a conservare una simile pancetta, mangiando come facevi».

«Ecco, ragazza», replicò Vangerdahast in tono amabile, nel sorseggiare il vino, «ero solo, e quindi rilassato. Per quanto mi capitasse di pensare tardivamente a mangiare qualcosa e per quanto potessi essere inetto nel preparare i cibi, almeno potevo cenare in tutta tranquillità. Niente stress, capisci?».

Myrmeen prese uno dei coltelli da cucina che aveva affilato e procedette a sminuzzare abilmente le cipolle. C’era una cosa da dire a favore della magia del vecchio Vangerdahast: il suo piccolo incantesimo faceva riscaldare in un attimo la stufa. Lanciando un’occhiata alla legna già pronta a portata di mano, Myrmeen giudicò che non fosse ancora il momento di aggiungerne e procedette a spalmare di strutto la padella.

«E con quanta frequenza hai finito per vomitare tutto nel lavandino o in quel secchio? L’ho già lavato tre volte, e ancora non riesco a eliminarne l’odore di vomito! Devo supporre che non fossi stressato neppure in quei momenti?»

Vangey bevve un sorso di vino, constatò con sorpresa come il boccale fosse già quasi vuoto e commento, rivolto al soffitto:

«Il problema, con le ragazze troppo intelligenti, è la loro lingua: affilata come una spada, e sempre pronta a fare continuamente a fette un uomo».

Myrmeen sbuffò nel rovesciare le prime cipolle nella padella, dove presero subito a sfrigolare.

«Il problema con i maghi troppo intelligenti», ribatté, «è la cocciutaggine con cui insistono per avere sempre ragione, il che in realtà significa che tutto il resto del mondo deve fare a modo loro. Se invece fossero davvero abbastanza intelligenti da saper agire nel modo giusto, la lingua di quelle ragazze si potrebbe riposare, senza aver bisogno di affettare nessuno».

Ridacchiando, Vangerdahast sollevò i piedi sullo sgabello, che per la prima volta da mesi poteva essere usato per quello scopo. Qualcuno… Myrmeen, di certo… doveva averlo liberato da tutte quelle vecchie pergamene, averlo tolto dal suo angolo e averlo messo dove lui poteva utilizzarlo. Davvero premurosa, la ragazza.

Appoggiandosi allo schienale della sedia, il mago si dilettò a pensare quale altro commento provocante avrebbe potuto escogitare per far ridere ancora Myrmeen e indurla a ribattere a tono, perché erano anni che non si divertiva a chiacchierare in quel modo.

L’ex-Mago reale di Cormyr si concesse un sospiro appagato e bevve quanto restava dell’ambrafuoco, mentre il gradevole profumo delle cipolle che friggevano si levava tutt’intorno a lui.

* * *

Lo schermo cieco alle sue spalle tremolò quando qualcuno lo attraversò.

«Huldyl?» chiamò poi una voce dal tono ansioso.

Per una frazione di secondo, Huldyl Rauthur si bloccò per la paura… poi serrò i pugni, trasse un profondo respiro e si volse, sereno in volto e con una tranquilla espressione interrogativa nello sguardo.

«Sì?»

Phaldemar Daunthrae era fermo davanti a lui nella sala di guardia, con il respiro un po’ affannoso e segnato dall’iniziale affiorare di quella che sarebbe presto diventava una splendida collezione di lividi, e stava stringendo in pugno la sua asta magica come se si stesse aspettando di dover combattere.

«Uno scontro di qualche tipo?» chiese Huldyl, adocchiando prima l’asta e poi chi la impugnava.

«Per quanto ho potuto stabilire, abbiamo perso almeno otto orrori di sentinella», riferì il Mago della Guerra più anziano. «Sono stati degli intrusi… almeno due, anche se io ne ho visto uno soltanto. Non avevano l’aspetto di guerrieri o di maghi… a dire il vero, sembravano più che altro mercanti marsembani… ma erano muniti di un qualche tipo di bombe magiche.»

«Bombe?» ripeté Huldyl.

«Ne scagli una contro un orrore con l’elmo, ed esso esplode in mille pezzi. Si tratta di piccoli dischi circolari d’argento, su cui sono incise delle rune nel linguaggio thayano o in qualche altra lingua dell’Est. Niente miccia, niente parole di attivazione… basta lanciarli, e… booom!»

«E questi intrusi sono riusciti ad andarsene senza lasciarsi alle spalle nessuna di queste… di queste bombe?»

«Ne ho trovata una, ne ho provato il funzionamento e questo ci è costato la perdita di un orrore. Credo che uno degli intrusi fosse rimasto stordito a causa di una delle esplosioni da lui stesso provocate… ho sentito il rumore, sono andato a controllare e l’ho trovato steso a terra; mentre mi stavo chinando per verificare meglio di cosa si trattasse, un altro intruso è emerso di colpo da un nascondiglio e mi ha travolto assalendomi alle spalle. Quando sono riuscito a riprendermi, anche il primo era scomparso».

«Otto sentinelle? Gli dei ci proteggano!»

«Forse si è trattato soltanto di una spedizione che mirava a danneggiare quante più sentinelle possibile», replicò Phaldemar, annuendo con aria cupa, «ma se avevano con loro dei sacchi di quelle bombe, e se io non fossi andato a controllare, a forza di esplosioni si sarebbero potuti aprire un varco fino alla porta di Lord Vangerdahast».

«Senza dubbio, sembra un tentativo quanto mai deciso di arrivare al rifugio», annuì Rauthur. «Bisogna informare i sommi cavalieri.»

«Infatti. Devo…»

«Sì, se non ti dispiace… e prima di andare a riposare, chiedi a Thaerma di darti un’occhiata, nel caso che ti abbiano causato qualche danno di cui non ti sei ancora accorto. Quei lividi hanno un brutto aspetto.»

«Thaerma? Dovrei tornare a corte?»

«Oh, sì, credo proprio di sì», ribadì Rauthur, in tono tale da mettere bene in chiaro che si trattava di un ordine. «Tamadanther ti ha sostituito nel servizio di guardia, come al solito?»

«Già», ringhiò Phaldemar, accennando ad andarsene con aria tutt’altro che soddisfatta.

«Suvvia», commentò Huldyl, in tono scherzoso. «Entro breve tempo, le mani gentili di Thaerma ti…»

«Lei e io ci conosciamo da parecchio tempo, ragazzo. Per me, questa non è la grande gioia che tu credi», ribatté Phaldemar, poi svoltò l’angolo e scomparve.

Scrollando le spalle, Huldyl accennò un mezzo sorriso e tornò a concentrarsi sulla sua partita di saccheggia-castello. In base alle carte, i cavalieri su grifoni del Signore Stregato gli avevano sferrato un attacco maledettamente dannoso, e adesso i suoi guerrieri delle torri erano già tutti morti. Con aria cupa, spostò uno dei pochi superstiti lungo il cerchio di torri.

Sto soltanto scegliendo in quale di esse dovrà morire, pensò, nel fissare la scacchiera in preda a nefasti presentimenti, una cosa che non gli era più successa da appena prima dell’ultima battaglia contro il Drago Demoniaco. Una scelta molto simile a quella che ho fatto per me stesso.

In quel preciso momento sentì un rumore di passi in corsa: qualcuno stava sopraggiungendo con tanta fretta frenetica da andare a sbattere per la premura contro le cose che incontrava lungo il tragitto.

«Huldyl! Huldyl!»

Darthym era uno dei pochi Maghi della Guerra mezz’elfi, e amava mostrarsi sempre cortese, pacato, modesto e riluttante ad abbassarsi a fare pettegolezzi o a indulgere in vane chiacchiere. Adesso però aveva gli occhi dilatati e il respiro affannoso.

«Huldyl, Jandur e Throckyl sono morti! Morti, annientati mediante magia!»

Rauthur si alzò di scatto dalla sedia, rovesciando carte e pedine in tutte le direzioni. Quella doveva essere opera di Starangh… ma lui doveva badare a reagire in maniera che apparisse naturale, e comunque aveva già quasi perso quella dannata partita.

«Cosa?» ruggì, cercando di mostrarsi sconvolto e furente quanto Darthym.

«Sono nell’armeria! Fatti a pezzi da un’esplosione! La testa di Throckyl è lì per terra, per conto suo, che sembra guardare fuori dalla porta, verso di me! Io…»

«Grazie, Darthym. Devo supporre che non ci sia nessuna traccia del colpevole? Senti, va’ a svegliare Sarmeir e digli a nome mio che deve montare la guardia qui insieme a te. Riferiscigli tutto quello che vuoi riguardo a cosa hai scoperto, ma provvedi a organizzare le difese del rifugio, qualora una qualsiasi delle guardie esterne dovesse segnalarti dei problemi. Hai tu il comando, perché io devo riferire senza indugio l’accaduto a Laspeera».

«S… sì, Rauthur!» esclamò il mezz’elfo, spiccando la corsa lungo il passaggio, lieto di avere qualcosa da fare e ordini diretti che gli permettevano di farlo.

Alle sue spalle, Huldyl scosse il capo con un cupo sorriso. Ah, quelli erano tempi così tormentati…

Passandosi una mano fra i radi capelli, si asciugò con le nocche la fronte sudata, s’immobilizzò e sgombrò la mente da ogni pensiero, verificando che ciò che stava cercando fosse ancora al suo posto, saldo come sempre. L’incantesimo di schermatura mentale che Starangh gli aveva fornito era un lieve sussurro in un angolo della sua mente, un muro pronto a bloccare qualsiasi magia che avesse cercato di sondargli i pensieri, perfino quella del sospettoso comandante in seconda di tutti i Maghi della Guerra di Cormyr. Adesso era pronto ad andare a fornire il suo rapporto.

Загрузка...