3. La qualità dell’esca

Protendo la mano e il pesce nuota dritto nella mia rete… come sempre.

Dipende tutto dalla qualità dell’esca che si offre.

Fzoul Chembryl, Sommo Signore degli Zhentarim

Conquistando ciò che voglio nel mondo: Parole secondo le quali tutti i Confratelli devono vivere

(testo di un discorso, fatto circolare fra gli Zhentarim)

Anno dell’Arpa Senza Corde

Adesso alcuni dei partecipanti alla festa erano decisamente ubriachi, e Narnra fu costretta ad aggirare persone stese al suolo in preda allo stordimento indotto dal vino oppure impegnate a vomitare… alcune sotto lo sguardo attento di vigili guardie del corpo… nel tentativo di individuare il vecchio mago o qualcuno che potesse essere lui.

Lungo il tragitto era intanto riuscita ad afferrare un solo pasticcio di carne, conquistandolo con un balzo acrobatico che purtroppo le aveva fruttato più di uno sguardo di ammirazione, e lo aveva trovato decisamente delizioso, con il sugo che conteneva rene di agnello e un po’ di selvaggina; il ricco retrogusto che esso le aveva lasciato in bocca le aleggiava ancora sulla lingua, caldo e confortante.

Quella non poteva essere la famigerata Skullport, perché nessuna di quelle persone le appariva familiare e il loro linguaggio suonava diverso, sia pure in maniera minima, senza contare che, a giudicare dai discorsi, lì si stava complottando una ribellione contro un re che era a stento tale, o qualcosa del genere… possibile che quella gente fosse davvero tanto audace, o tanto stupida? Narnra aveva la sgradevole sensazione che una quantità di guerrieri regi fosse in procinto di lanciarsi alla carica attraverso porte e arcate che lei non era ancora riuscita a individuare, decisa a massacrare chiunque avesse trovato in quel luogo, inclusi eventuali ladri girovaghi provenienti da Waterdeep.

Come una stupida ingenua, aveva attraversato una porta magica di qualche tipo ed era finita nel bel mezzo di un’avventura che presto le sarebbe potuta costare la vita. Per gli dei, doveva trovare quel vecchio mago!

Naturalmente, era anche possibile che lui fosse sgusciato via per andare altrove e che non avesse nulla a che fare con quel branco di ubriaconi; forse, in quello stesso momento era impegnato a radunare le truppe che li avrebbero sterminati, oppure era possibile che fosse lui stesso il capo di quella cospirazione… anche se, considerato il modo in cui si era comportato con lei, Narnra non riusciva a capire perché non si fosse limitato ad avanzare nel centro della stanza e ridurre tutti all’obbedienza con un incantesimo.

Quali che fossero gli intenti del vecchio mago, comunque, se era decisa a salvare la propria pelle liscia, seppur poco attraente, Narnra Shalace avrebbe fatto meglio a esplorare ogni cantina per vedere dove portasse e quali arcate sfociassero all’aperto, perché non era salutare rischiare di finire intrappolata in quel posto che, a giudicare dall’odore, poteva benissimo trovarsi molto sotto il livello del mare, ed essere quindi inondabile a piacimento con il ricorso a un incantesimo che ne infrangesse le pareti o con la semplice apertura di una chiusa… cosa che avrebbe risparmiato alle autorità anche la fatica di inseguire i ribelli e di intimare loro la resa.

Ormai pareva che molti fra i presenti stessero cominciando ad allontanarsi alla spicciolata dalla folla che si accalcava sotto le lampade, e da ogni parte piccoli gruppi di individui impegnati a complottare in toni eccitati stavano cercando l’intimità offerta dagli angoli in penombra. Poiché ovunque circolavano guardie del corpo dall’aria attenta, Narnra badò a non mostrarsi troppo interessata a chiunque mentre proseguiva attraverso arcate laterali e intorno alle colonne, alla ricerca di una rampa di gradini che portasse verso l’alto.

«Vedi, il bello della cosa è proprio questo…»

Narnra si allontanò di scatto dal mercante e dai suoi amici ubriachi e ridacchianti, passando nella stanza accanto.

«Ah mio signore, finalmente», sussurrò in tono intenso una voce di donna, mentre la sua proprietaria aggrediva le vesti di un uomo che appariva più sconcertato che mosso da passione, il tutto mentre tre guardie del corpo formavano un piccolo cerchio impassibile intorno alla coppia di amanti, volgendo loro le spalle a braccia conserte. Ignorando tutti, Narnra proseguì per la sua strada.

Nella cantina successiva s’imbatté in quattro uomini che procedevano con passo spedito, uno di essi più indietro degli altri e intento a chiamarli.

«Sorval? Sei Sorval Maethur?», chiese il quarto uomo, in tono all’apparenza deliziato, nel raggiungere gli altri tre mercanti.

«Sì, sono Sorval», replicò uno di essi, voltandosi. «E tu sei…»

«Lieto di darti la morte!» fu la risposta ringhiante, mentre una daga veniva conficcata in una gola e una lampada veniva scagliata contro la faccia di uno dei compagni della vittima; quanto al terzo uomo, si diede alla fuga con un urlo di terrore.

Gorgogliando per lo sforzo vano di riuscire a parlare, spruzzando grandi quantità di sangue dalla gola squarciata, Sorval si accasciò al suolo e il suo assassino si ritrasse, allontanandosi con passo tranquillo dal cadavere che ancora si contorceva e dall’uomo gemente che si artigliava gli occhi ustionati.

Narnra si sforzò di allontanarsi a sua volta con altrettanta indifferenza, consapevole che da un momento all’altro l’assassino si sarebbe potuto voltare per verificare se c’erano stati testimoni da eliminare a loro volta, e che la sua vita sarebbe potuta dipendere da… ma certo!

L’assassino di Sorval le scoccò uno sguardo minaccioso, ma Narnra lo ignorò apertamente e continuò a camminare, mormorando ad alta voce, come se stesse parlando fra sé:

«Dunque, com’è che funzionava quell’incantesimo…»

Con la daga sporca di sangue ancora stretta in pugno, l’uomo esitò per un momento, fissandola con occhi roventi, poi decise che allontanarsi dalla scena del delitto era una mossa più saggia dell’affrontare qualcuno che non conosceva… notando l’improvviso sgranarsi dei suoi occhi, Narnra comprese che l’uomo si era accorto che lei era una donna, e che aveva il volto mascherato.

Parecchi gruppi di uomini stavano intanto confluendo in una stanza lontana, reggendo in mano lanterne accese la cui luce oscillante si stava spostando verso l’alto. Subito Narnra si avviò in quella direzione con passo deciso, estraendo la daga con un gesto marcato, in modo da essere certa che l’assassino di Sorval notasse la cosa, poi agitò le dita dell’altra mano sulla lama in una serie di gesti complicati, sperando di indurre l’uomo a supporre che lei stesse operando una magia di qualche tipo, e deglutì a fatica. Non era la prima volta che vedeva tagliare una gola, ma Sorval aveva versato così tanto sangue benedetto dagli dei…

L’assassino si incamminò intanto in una direzione diversa e scomparve ben presto dietro le colonne e oltre le arcate, mentre Narnra continuava a camminare cercando di dimenticare gli ultimi, orribili momenti di agonia di Sorval. Chiunque fosse stato, non poteva aver meritato… basta!

Agitando una mano, come per allontanare quelle immagini, Narnra si guardò di nuovo alle spalle, constatando che non c’era nessun assassino che la stesse seguendo di soppiatto.

Un’altra coppia di amanti era stretta in un abbraccio appassionato in un angolo in ombra della camera successiva, mentre sul lato opposto della stessa stanza alcuni uomini furenti stavano cercando di trafiggersi a vicenda con le daghe, peraltro troppo ubriachi per riuscire a fare altro se non ringhiarsi a vicenda minacce e imprecazioni incoerenti, cadere, ruggire ancora di rabbia e cadere nuovamente. La «Legittima Cospirazione»… come no!

Qua e là le danze erano ancora in corso, anche se la musica di flauti e tamburi pareva essere cessata, alle sue spalle, e davanti a lei gli uomini continuavano instancabilmente a conversare, le parole che rimbalzavano dagli uni agli altri come pietre lanciate da una fionda in un susseguirsi di eccitate supposizioni sul modo in cui le ricchezze avrebbero cominciato ad affluire nelle loro tasche una volta che «quei bastardi Obarskyr fossero tutti morti».

Nel sentire quel nome, Narnra si accigliò. Per quanto ne sapeva, gli Obarskyr erano la famiglia reale di un regno che si trovava a est di Waterdeep… un posto di gente per bene, degna di fiducia e osservante delle leggi, una nazione che aveva uno strano nome… Cromyar? Cromeer? Cormeer… Cormyr, così si chiamava!

Dei, era a mezzo mondo di distanza da casa!

Bene, questo ti insegni a non seguire i maghi passando attraverso arcate di luce, disse a se stessa, con rabbia. Idiota.

Con la daga in pugno, si unì agli uomini che stavano salendo le scale, e nessuno di essi le prestò la minima attenzione, in quanto erano tutti immersi nei loro piani, nelle loro supposizioni e in sogni di ricchezze sempre più vaste. Due volte alcuni di essi si arrestarono per assumere una posa drammatica e apostrofare i compagni in tono declamatorio, solo per essere spintonati alle spalle e sentirsi apostrofare con esclamazioni come «Muoviti!» oppure «Spostati!» o anche «Non intralciare la Cospirazione!»

I vecchi gradini larghi e logori parevano non finire mai, suddivisi in piccole rampe alternate a pianerottoli da cui partivano altre rampe ancora, e nel salire Narnra sentì aumentare l’umidità, mista ora a filamenti di nebbia che penetravano nell’affollata rampa della scala.

All’improvviso, si ritrovò sotto un portico dalle molteplici colonne, su un molo che si affacciava sulle luci scintillanti e sulle guglie buie di una città di rispettabili dimensioni, protendendosi su una distesa di acqua nebbiosa e puzzolente. Piccoli velieri e imbarcazioni da diporto decorate da lanterne accese beccheggiavano a ridosso del molo, ancorati a pali di metallo dotate di numerosi anelli, che non avevano nulla a che vedere con i massicci piloni d’ancoraggio del Porto di Waterdeep. Quello era il mare, certo… un mare… ma era così diverso da quello della Città degli Splendori!

Un arcuato ponte di pietra collegava la terra su cui lei si trovava a una piccola isola coperta di edifici fatiscenti, con i tetti di ardesia che apparivano pericolanti e le ringhiere tinte di marrone dalla ruggine; su di essa non si vedevano luci di sorta, e neppure su quella che sembrava essere una seconda isola, al di là della prima, dove chiatte semisommerse erano allineate lungo moli in rovina cosparsi di escrementi di uccelli.

D’istinto, Narnra si allontanò dalla calca di uomini che, continuando a chiacchierare, si stavano avviando verso il ponte o in direzione delle imbarcazioni, sulle quali era possibile vedere marinai dall’espressione paziente che attendevano il loro arrivo. Narnra invece si spostò lungo il molo coperto, alla ricerca di un modo per salire in una posizione sopraelevata che le permettesse di guardarsi intorno e di esaminare quel luogo nuovo… ma dove trovarla?

Alle sue spalle, qualcuno cadde nell’acqua con un sonoro sciacquio, seguito da risa ubriache, mentre su una barca vicina qualcun altro approfittava della confusione per tagliare una gola e spingere in mare il cadavere, che Narnra vide scivolare in acqua a testa in giù senza il minimo suono.

Intanto, un terzo uomo accese una lanterna a mano per issare rudemente l’ubriaco caduto in acqua a bordo di un’altra chiatta, e quel chiarore permise a Narnra di vedere bene l’acqua per la prima volta, nel momento in cui le vesti chiare dell’uomo ne emergevano: essa era scura come torba e ancor più puzzolente, adesso che la sua superficie era stata disturbata. Arricciando il naso, la ragazza volse le spalle al mare e s’immobilizzò di colpo.

Fermo in fondo al molo, un gruppo di uomini silenziosi la stava fissando intensamente. Tutti erano vestiti di cuoio scuro, alcuni avevano in mano una spada o una rete da cattura, altri impugnavano piccole balestre di un genere che Narnra aveva avuto modo di vedere anche troppo spesso a Waterdeep. Altri ancora, poi, erano muniti di delicati e affusolati pezzi di legno: bastoni magici!

Era stato un movimento di uno di quei bastoni a spingere indietro una densa cortina di nebbia in modo da rivelare alla vista quegli uomini… e donne, come Narnra constatò a una seconda occhiata… e adesso essi stavano avanzando con aria decisa, tenendosi uniti a formare una banda minacciosa.

Alle proprie spalle, la ragazza sentì altre risate, nuovi sciacquii… poi un grido d’allarme.

A bordo di una chiatta echeggiò un improvviso clangore di metallo, il suono di lame incrociate con ira, poi nell’aria echeggiò un grido improvviso:

«Siamo traditi! I Maghi della Guerra sono qui!»

Quel grido si spense in un orribile, umido gorgoglio, seguito da un nuovo clangore di spade e da un urlo.

Uno degli uomini che stavano avanzando lungo il molo in direzione di Narnra stava tenendo la testa inclinata da un lato, come se fosse stato intento ad ascoltare qualcuno che non era lì, e mentre camminava stava borbottando un flusso costante di ordini.

«Horngentle, Lord Blackwater è stato visto qui: arrestalo. Thoaburr: uno di noi, il novizio Beltrar Morgrin… sì, è un Mago della Guerra, quindi tutti gli altri ne stiano alla larga… ha tradito ed è ancora giù nelle cantine… non deve vivere abbastanza a lungo da vedere l’alba, ma va eliminato senza chiasso. Constai? A quanto pare, la Regale Lady Mistwind ha scelto questa sede per la sua caccia all’uomo notturna. Spaventala a dovere, ma lascia che se ne vada libera. Bereldyn, ho bisogno che rintracci quel mago che qualcuno ha visto arrivare… si fa chiamare Khornandar di Westgate, ma Laspeera ritiene che possa essere un mago molto più potente che si fa passare per un ambizioso principiante a corto di incantesimi. Lui è…»

Quel gruppo di uomini dall’aspetto cupo e deciso era ormai solo a pochi passi di distanza, e Narnra constatò con sgomento che sembravano essere Arpisti, anzi, lo erano, visto che uno di essi portava una piccola spilla a forma d’arpa d’argento appuntata vicino alla gola e che un altro ne sfoggiava una identica su una benda che gli copriva un occhio; per di più, lei si trovava proprio sulla loro strada ed era quindi impossibile che non l’avessero notata, anche se nessuno l’aveva ancora presa di mira con una balestra o aveva sollevato la spada per minacciarla.

L’Ombra di Seta si costrinse a rimanere immobile, perché a quel punto voltarsi e darsi alla fuga sarebbe probabilmente servito soltanto a procurarle una rapida morte sotto forma di una raffica di quadrelle di balestra.

«Pare che i Cormaeril siano tutti presenti», annunciò, con voce calma. «Attenti anche a Mathanter di Sembia.»

In realtà non avrebbe saputo riconoscere un Cormaeril neppure se ci fosse andata a sbattere contro e non aveva mai visto o sentito nominare quel Mathanter prima di quella notte, ma l’aveva colpita per il fatto che aveva portato con sé una scorta di oltre una dozzina di guardie del corpo in armatura completa.

L’Arpista più vicino le scoccò un’occhiata penetrante.

«Armeld?» chiamò, senza voltare la testa o distogliere lo sguardo da lei.

L’uomo impegnato a impartire ordini volse appena lo sguardo per esaminare la ragazza mascherata mentre la oltrepassava… adesso le stavano scorrendo tutt’intorno, su entrambi i lati, con la sola eccezione di quell’unico Arpista che era fermo davanti a lei… e replicò:

«Mai vista prima. Non è dei tuoi?».

«Ricorda», stava dicendo un uomo dall’aria seriosa e dalle vesti nere, rivolto a un anziano individuo che impugnava due bastoni magici, mentre entrambi passavano accanto a Narnra, sul lato opposto, «alcuni sono da arrestare, altri da eliminare nel modo più discreto possibile, e altri ancora vanno soltanto spaventati… quindi per favore non incenerire tutti quelli che vedi. Almeno per questa volta, controllati. Fallo per favore».

«No», replicò intanto l’Arpista, scuotendo il capo e sollevando la spada fino a quando la sua punta nera si venne a trovare appena sotto il seno di Narnra, che deglutì a fatica e si sforzò di non guardare verso di essa.

«Non sono un membro di questa “Legittima Cospirazione”», dichiarò, con fare quasi severo. «Io aborro le cospirazioni», continuò cercando di imitare il tono che aveva sentito usare una volta a una vecchia matriarca di nobile lignaggio impegnata a dare una strigliata a un capitano della Guardia, un insieme di imperiosità e di disgusto, uniti a un pizzico di commiserazione.

«Caladnei?» domandò a bassa voce l’Arpista, mentre un bagliore gli attraversava fugace lo sguardo.

«No», ribatté Narnra, sempre con lo stesso tono, non sapendo che altro dire. «Non sono lei.»

«Questo è un bene», commentò una voce asciutta, proveniente da un punto alle spalle dell’Arpista, «dato che l’ultima volta che mi sono guardata in uno specchio ne ho derivato l’assoluta certezza di essere io Caladnei».

Poi un volto bruno illuminato da un accenno di sorriso apparve sopra la spalla dell’Arpista e due occhi scuri esaminarono freddamente Narnra da sotto sopracciglia nerissime. «Allora… possiedi un nome che puoi definire tuo… Incappucciata?»

Un formicolio di magia si riversò su Narnra prima ancora che Caladnei avesse finito di parlare, e senza neppure soffermarsi a riflettere la ladra di Waterdeep si incurvò in avanti con aria tesa, quasi stesse affrontando un combattimento.

«Io sono la Maga Reale di Cormyr», continuò con gentilezza la donna alle spalle dell’Arpista, «e quello era un incantesimo della verità… nulla di più. Qui la mia parola è legge… ed è un crimine essere evasivi con me oppure oppormi un rifiuto, quindi ti prego di darmi una risposta esauriente».

Tremando, Narnra adocchiò la lama impugnata con decisione dall’Arpista e prese nota dell’espressione determinata dello sguardo di Caladnei, poi La Maga Reale si spostò da un lato e segnalò a Narnra di continuare a guardarla, in modo da costringerla a distogliere lo sguardo dall’Arpista che la stava minacciando.

Sospirando, Narnra si erse sulla persona e si girò per fare quello che le era stato chiesto. La Maga Reale era vestita di cuoio e calzata di stivali come un guerriero, con i lunghi capelli neri legati sulla nuca con un nastro; la sua cintura era carica di un assortimento di sacche e di daghe e lei non sfoggiava nessuno stemma né portava indosso gioielli.

«Guardami», ripeté in tono sempre gentile.

Comprendendo quale fosse il suo intento, Narnra incontrò il suo sguardo con il proprio e si trovò intrappolata a fissare due fiamme oscure.

Un urlo fendette l’aria, seguito da un pesante rumore di stivali in corsa e da un altro sciacquio, ma nessuno dei tre fermi a quell’estremità del molo prestò alla cosa la minima attenzione.

«Ti ho fatto una domanda. Forniscimi il tuo nome completo.»

«Io… io mi chiamo Narnra. Narnra Shalace, di Waterdeep.»

«Stai cospirando contro la Corona di Cormyr?»

«Signora, non so neppure chi porti la Corona di Cormyr… e finché non me lo hai detto tu, non ero neppure certa di trovarmi in Cormyr.

Io… io non ero mai stata nella tua terra, prima di stanotte.»

«Allora com’è che ti sei venuta a trovare su quest’isola?»

Narnra sospirò.

«Ecco, c’era un mago…» cominciò, poi esitò, non sapendo quale fosse il modo migliore per spiegare l’accaduto, perché a Waterdeep ammettere apertamente di essere un ladro significava essere puniti indipendentemente da quello che si aveva o non si aveva fatto.

In quel momento, l’Arpista fermo accanto a lei emise uno strano grugnito e andò improvvisamente a sbattere contro una lontana colonna, il corpo avvolto dalle fiamme, mentre Caladnei barcollava e si serrava il capo come se qualcuno le avesse urlato negli orecchi, e le pietre del molo sotto gli stivali di Narnra sussultarono e si sollevarono, quasi che una massa gigantesca stesse nuotando sotto di esse. La ragazza vide le pietre schizzare in alto e ricadere lungo tutto il molo, poi si girò di scatto e si allontanò di corsa dai due che la stavano interrogando, prima che il soffitto che la sovrastava si crepasse, che una colonna crollasse molto più avanti e che il ponte di collegamento con l’isola successiva, affollato di uomini che urlavano e che si spintonavano, s’infrangesse in una dozzina di punti, sprofondando nelle acque del porto con uno schianto che fece riversare sul molo un muro di acqua fetida. Lanciandosi verso una colonna, Narnra si aggrappò saldamente a essa per evitare di essere spazzata via.

L’acqua le stava ancora vorticando intorno quando una scarica di luce accecante fendette la nebbia, generando una quantità di urla, poi qualcuno suonò quello che sembrava essere un corno da guerra, e dai punti più disparati una serie di quadrelle di balestra fendette la notte, dardi che ronzavano lungo i moli come calabroni in caccia.

Imprecando, Narnra fuggì senza curarsi di dove stava andando, sapeva solo che voleva allontanarsi da lì.

Ovunque c’erano piccole bande armate di Arpisti e di Maghi della Guerra, e molte delle colonne disposte lungo il molo erano adesso decorate dai corpi accasciati e addormentati di persone dagli abiti eleganti ora laceri e fradici, che erano state legate alle colonne e le une alle altre per i polsi, la gola o le caviglie… presumibilmente da quegli stessi Arpisti che ora le stavano sorvegliando attentamente.

Uno di essi apostrofò Narnra con un grido e si spostò per intercettarla, la spada spianata.

«Mi manda Caladnei!» ringhiò la ragazza. «Togliti di mezzo!»

Prontamente, l’uomo ritrasse la spada e le permise di proseguire.

Il molo però era ormai quasi finito e parecchi Arpisti la stavano osservando, quindi doveva oltrepassare una delle arcate buie. Esse però dovevano dare accesso a una serie di magazzini, e quale missione urgente lei poteva mai avere da assolvere in essi? No, doveva rientrare nelle cantine, non aveva scelta, e la fetida acqua del porto non le offriva un’alternativa perché, a parte il fatto che il suo aspetto non le piaceva per niente, tentare quella via di fuga quando c’erano intorno così tante balestre e tanti maghi capaci di scagliare fulmini avrebbe significato andare incontro a una morte certa. Dunque, la scala di accesso alle cantine si era trovata quasi sulla stessa linea del ponte che non esisteva più, quindi nonostante il fatto che in quell’area non sembrava fossero giunti schizzi d’acqua, quella che aveva davanti doveva essere l’arcata giusta…

«Ah! Un altro ratto che cerca di tornare nella tana!»

Oltre una dozzina di uomini erano raccolti intorno all’imboccatura della scala, impegnati a parlare, e due di essi per poco non l’avevano già trapassata con la spada.

Narnra schivò di lato senza rallentare.

«Ordini di Caladnei!» ribatté, cercando di usare di nuovo il tono secco della matriarca di Waterdeep. «Toglietevi di mezzo!»

«Armeld?» chiese, da sopra la spalla, uno degli uomini che le bloccavano il passo.

«Poco fa stava parlando con la Maga Reale. Lasciatela passare e andate con lei… giusto voi due… per vedere dove va e che cosa fa», ordinò Armeld, poi tornò a girarsi verso gli uomini che gli stavano facendo rapporto, e nel proseguire giù per la scala tallonata dalla sua sgradita scorta, Narnra li sentì riprendere a parlare: «Dozzine di sgradevoli accoltellamenti e annegamenti… credo si sia trattato di regolamenti di conti… abbondanza di sesso e di vino, le solite cose…».

«Ci sono in giro altri maghi, adesso che quell’Idiota-Scaglia-Fulmini è morto?»

«Ce ne dovrebbero essere, ma…»

Qualcuno imprecò nell’oscurità sottostante, dove le lampade erano ora decisamente meno numerose, e nel proseguire la sua corsa, Narnra si allontanò dalla cima delle scale abbastanza da non sentire più le voci nel tempo che quelle imprecazioni impiegarono a spegnersi, insieme al clangore d’acciaio e al gemito soffocato che le avevano prontamente seguite.

«… se l’è squagliata!» disse d’un tratto qualcuno, quasi vicino all’orecchio di Narnra, mentre lei superava a precipizio un angolo e si lanciava giù per la successiva rampa di scale. «Ehi!»

«Fermatela!» scattò un’altra voce, poi si sentì un tonfo sonoro quando qualcuno si parò involontariamente davanti ai due Arpisti che la stavano inseguendo, e i tre uomini rimbalzarono e rotolarono giù per i gradini sulla sua scia in un groviglio rumoroso le cui imprecazioni si trasformarono ben presto in gemiti. Narnra non osò rallentare per guardare cosa fosse successo, ma nello svoltare sul pianerottolo successivo intravide momentaneamente quella che sembrava essere la sagoma di un uomo, delineata dalla luce di una lampada, che stava superando d’un balzo i corpi rotolanti per continuare a inseguirla.

Poi sdrucciolò su qualcosa di viscido… probabilmente sangue… e per poco non cadde a sua volta; invece, andò a sbattere contro il muro con una violenza tale da toglierle il respiro e scivolò dolorosamente lungo la sua superficie fino ad arrestarsi con il respiro affannoso per cercare a tentoni la ringhiera, che non poteva vedere perché laggiù il buio era assoluto, anche se era possibile scorgere molto più in basso il bagliore sobbalzante di alcune torce.

«Bene», commentò con malvagia soddisfazione una voce maschile, scaturendo dall’oscurità, appena sotto di lei, «se sono saliti a bordo di quella barca, adesso devono essere sul fondo di uno dei fetidi canali di Marsember, perché si tratta di quella che…».

«Un momento!» scattò un altro uomo. «Credevo che quello che stava rotolando giù per le scale fosse un cadavere, ma adesso sento ansimare, quindi si tratta di qualcuno che è ancora vivo

«Tasta a sinistra», borbottò la prima voce, e mentre si accoccolava su se stessa, bilanciandosi per spiccare un balzo disperato, Narnra sentì dei movimenti furtivi.

Poi una luce divampò sotto di lei, un fioco chiarore magico che scaturiva dal pomo di una daga protesa sopra il centro degli scalini da qualcuno vestito di cuoio scuro e accoccolato a ridosso della parete sulla sua sinistra; un altro uomo era invece accucciato contro il muro di destra, Proprio davanti a lei.

«Una ragazza!» esclamò l’uomo sulla sinistra, in tono sorpreso.

«Mascherata», rispose l’altro, in tono tale da dare l’impressione che portare una maschera fosse il crimine più nefasto che si potesse commettere in Cormyr.

«Siamo dalla stessa parte», annunciò Narnra, in un tono secco che imitava alla perfezione quello di un’irritata nobile matriarca di Waterdeep. «Mi stavo precipitando qua sotto per ordine di Caladnei quando sono scivolata su queste dannate scale.»

«Perché la maschera?»

«Il mio volto non è più molto attraente, signore», ribatté Narnra, con finta amarezza. «Un prezzo del mio fedele servizio.»

«Oh. Capisco. Ah… mi dispiace. Non hai una lampada?»

«No, e neppure il permesso di usarne una. I miei ordini non lo prevedono.»

«Deve trattarsi di Armeld», commentò l’altro, in tono disgustato. «È sempre convinto di essere un nobile guerriero avviato incontro a una fine gloriosa. Passa pure, signora», continuò, facendosi da parte, «ma usa la ringhiera, che attraversa almeno il prossimo pianerottolo. Questi nobili marsembani si sono costruiti dei magazzini dannatamente lussuosi, tanto da indurre a chiedersi che sorta di merci vi riponessero».

«Già, è vero. Signori, vi ringrazio», replicò con cautela l’Ombra di Seta, affrettandosi a proseguire a ridosso della ringhiera.

* * *

«No, Thauvas, non è questo il modo», affermò in tono cordiale Senzanome Cormaeril, la punta della sua spada che trapassava di stretta misura la pelle del Mago Rosso, nel punto in cui la gola si congiungeva alla mascella. «Perché voi Thayani rendete sempre le cose così complicate? Affari, sono solo affari, ricordi? Lascia che te lo ripeta, in parole semplici: io ti rivolgo alcune domande e tu mi fornisci altrettante risposte sincere… una cosa a cui non sei abituato, lo so, ma ti garantisco che non fa poi così male, una volta che si è imparato a farlo. Mi riveli qualche piccola verità, io ti lascio andare, e dopo tu avrai tutto il tempo che vorrai per tramare la mia morte… semplice, non credi?»

«Idiota di un nobile», sibilò il Mago Rosso, il volto sudato e pallido quanto un teschio. «Sai a quale rischio stai esponendo la bella Cormyr con quest’azione avventata? O a quale sorte terribile stai condannando te stesso?»

L’alto uomo sfregiato che impugnava il grosso stocco sorrise.

«Sì», rispose con la massima gentilezza.

Intanto, il Mago Rosso riuscì finalmente a completare l’intricata serie di gesti che stava eseguendo di nascosto, dietro la schiena.

«Sssardamar!» esclamò in tono di trionfo, e si allontanò con una torsione dall’affilata punta della spada, gridando: «Muori, stolto. Osare di minacciare in questo modo un mago di Thay! Razza di cane contadino!».

La magia divampò con un ruggito intorno all’uomo che si faceva chiamare Khornandar, avide fiamme si protesero verso il nobile dai capelli corvini.

Questi però non ebbe la compiacenza di urlare, di carbonizzarsi e di ‘ morire; invece, perse spada, capelli corvini e volto rasato per pararsi sorridente in mezzo alle fiamme nei panni di un uomo in vecchie vesti sporche, con la barba bianca e un naso aquilino sovrastato da sopracciglia cespugliose… e con un fuoco ancora più intenso fra le mani.

«Ah, pare proprio che di questi tempi gli stolti osino proprio qualsiasi cosa, vero?» chiese in tono allegro. «Adesso mi riconosci, Thauvas Zlorn? In Thay, in mezzo a tutte le vanterie e all’allegro contare gatti non ancora messi nel sacco, mentre si trama di continuo per acquisire il dominio di Toril, menzionate ancora, di tanto in tanto, il nome di Elminster, anche solo per mettere in guardia i giovani maghi dai pericoli del mondo?»

Con il sangue che gli colava dalla gola, Zlorn venne sollevato in aria da una magia capace di annullare la sua come se fosse stata un semplice trucco da illusionista, e venne tenuto sospeso nel vuoto. Deglutendo a fatica, il Mago Rosso riuscì nell’impresa pressoché impossibile di impallidire ulteriormente, e svenne.

«Mystra mia», mormorò Elminster, in tono disgustato, «di questi tempi lasciano uscire proprio di tutto da Thay, non trovi?».

* * *

In fondo alla scala regnava il buio, in quanto le sole fonti di luce erano le lanterne e le torce che si muovevano avanti e indietro in mano a gruppi di individui dall’aria cupa intenti a perquisire le cantine, tutti uomini e donne umani che erano dotati di spade, balestre e spille d’argento a forma d’arpa o che brandivano bastoni magici ed esibivano l’espressione vacua di persone che stessero ascoltando una conversazione in corso nella loro mente e udibile soltanto per loro.

Narnra esitò, inizialmente incerta sulla direzione da prendere. Sapeva approssimativamente da quale parte si trovava l’arcata che le serviva, ma senza il mago essa era chiusa, e con ogni probabilità non sarebbe neppure riuscita a individuarne la posizione esatta. Inoltre, considerati tutti i cadaveri e il sangue versato che c’erano là sotto, sarebbe stato davvero orribile se gli altri se ne fossero andati tutti e l’avessero lasciata a cercare a tentoni la via d’uscita nel buio più assoluto, insieme ai topi. Per lei, l’alternativa migliore consisteva nell’unirsi a una banda di cercatori, farsi accettare come una di loro e raggiungere insieme a essi la città al di là del ponte infranto, A quel punto, supponeva, avrebbe dovuto cominciare una nuova vita, senza possedere quasi nulla e in un regno straniero dove era già stata giudicata una possibile traditrice da parte di un mago reale.

«Grazie, dei misericordiosi», borbottò in tono sardonico… poi s’irrigidì quando due cose si verificarono contemporaneamente: da un lato lei si ricordò della sagoma che aveva visto scendere le scale, presumibilmente al suo inseguimento, ma non ancora abbastanza vicina da raggiungerla, e dall’altro un Arpista si allontanò di colpo da un gruppo di passaggio per protendere verso di lei una torcia accesa.

«Per te», disse, laconico. «Ordine di Caladnei.»

Narnra lo fissò a bocca aperta, poi accettò passivamente la torcia, perché non riusciva a pensare a niente altro da fare. Essa schizzava pece, come facevano tutte, e bruciava con un’intensità tale da scaldarle una guancia… decisamente reale, e avvolta in tanti strati di tela oleata da poter durare per ore. Naturalmente, il suo chiarore spiccava nitido nelle cantine buie… ma del resto, con la Maga Reale che stava proiettando incantesimi su di lei, doveva già essere visibile quanto un faro nella notte.

L’Ombra di Seta emise un profondo sospiro e allargò le mani in un gesto di esasperazione… per essere una ladra di Waterdeep dotata di tanto talento, non si poteva dire che fosse anche un’abile stratega… prima di avviarsi con passo deciso attraverso le cantine, diretta verso il punto in cui si era trovata l’arcata. Esisteva infatti la possibilità, per quanto minima, che il vecchio mago fosse tornato là o decidesse in seguito di farlo, e lei sentiva di dover almeno dare un’occhiata, se non voleva tormentarsi per sempre all’idea di non averlo fatto.

Il suo tragitto la portò attraverso quasi una dozzina di cantine, nelle quali vide una ventina di cadaveri e molti, molti più prigionieri stretti gli uni agli altri con aria cupa. A quanto pareva, le file della Legittima Cospirazione erano state ridotte ai suoi misteriosi organizzatori e forse a ma manciata di fuggiaschi che erano riusciti a eclissarsi.

Sì quello era il posto giusto, quello doveva essere il passaggio da cui era arrivata, e…

Un improvviso, freddo bagliore magico divampò sulla sinistra, attraverso un’altra arcata. Protendendo il più possibile la torcia accesa alle proprie spalle, Narnra si avvicinò con cautela per vedere chi stesse usando la magia là sotto, molto lontano dai gruppi di perquisitori dall’aria cupa.

L’istante successivo tornò a irrigidirsi e si volse con estrema lentezza, chiedendosi perché tutti si fossero tenuti alla larga da quell’area, e perché adesso alle sue spalle ci fosse il silenzio più assoluto.

La luce della sua torcia le mostrava tutt’intorno soltanto colonne e vuota oscurità…

Con un ringhio improvviso, Narnra scagliò la torcia quanto più in alto e lontano le era possibile, nella direzione da cui era giunta.

Dal momento che la volta era alta, la torcia ruotò su se stessa più volte con notevole energia, lasciandosi alle spalle una scia di scintille e di fiamme prima di atterrare con una vampata che si ridusse immediatamente a poche, incerte lingue di fiamma… peraltro sufficienti a illuminare le gambe ben modellate e rivestite di cuoio di una figura isolata che la stava seguendo.

La persona in questione abbassò una mano per indicare la torcia, che si sollevò nell’aria riprendendo a bruciare e fluttuò verso Narnra rimanendo diritta ed emanando una luce più che sufficiente a rivelare alla giovane ladra il volto sorridente della Maga Reale di Cormyr.

Deglutendo a fatica, Narnra sollevò una mano in un gesto di saluto e protese l’altra ad afferrare la torcia, augurandosi che Caladnei non fosse tanto crudele nel suo esercizio dell’Arte da trasformarla in un inferno di fuoco che la incenerisse o in qualche altro simile strumento di morte.

La torcia rimase quella che era, e con un sospiro che era un misto di sollievo e di rassegnazione, Narnra tornò a girarsi verso quegli strani bagliori prodotti dalla magia, ma dopo aver mosso appena pochi passi si volse di scatto per verificare se Caladnei la stesse seguendo. Nel buio totale le fu impossibile vedere qualcosa, ma una voce asciutta le sussurro all’orecchio, all’apparenza tanto vicina da renderle impossibile trattenere un sussulto.

Sei proprio un faro, Narnra Shalace di Waterdeep. Continua a farmi strada, e vediamo insieme che cosa succede.

Levando il viso verso l’invisibile soffitto che la sovrastava, Narnra scagliò una silenziosa imprecazione all’indirizzo del Mascherato e di Tymora, soppesò la torcia fra le mani con crescente disperazione e riprese ad avanzare.

Adesso l’arcata era molto vicina, distante appena una dozzina di passi, sulla sua sinistra. Tenendo la torcia il più basso possibile e spostata al massimo sulla destra, Narnra si avviò da quella parte, strisciando lungo la parete verso l’apertura. Certo, stava reggendo un faro fiammeggiante, ma forse in quella cantina c’erano luce e lotte tali da impedire che l’attenzione si appuntasse su una torcia in più che si stava avvicinando. Forse…

Inginocchiatasi, l’Ombra di Seta di Waterdeep abbassò la testa al livello del pavimento di pietra e sbirciò oltre l’arcata.

Nella cantina c’erano soltanto due uomini… e la loro magia. Uno di essi era il vecchio mago che costituiva la sua unica via d’uscita da tutti quei pericoli, l’altro era un uomo più giovane che stava farfugliando in preda al terrore, sospeso a mezz’aria e avvolto da lucenti e vorticanti nubi di magia.

Quindi era intrappolata fra Caladnei di Cormyr, che stava avanzando alle sue spalle lenta e inesorabile, pilotandola con l’abilità con cui qualsiasi mandriano avrebbe accalcato dei buoi in un recinto, e il vecchio mago che l’aveva sconfitta con tanta facilità.

Senza dubbio, la Maga Reale aveva eretto intorno a sé incantesimi su incantesimi con cui schermarsi… e la portata del potere del vecchio mago era ovvia, dato che l’aria stessa splendeva e pulsava a causa di esso, con tanta violenza da farle quasi dolere gli orecchi.

«Sai, avresti potuto farlo nella maniera più facile», disse Elminster all’uomo tremante e madido di sudore sospeso nell’aria sopra di lui. «Io sono un tiranno benevolo, e richiedo soltanto pochi attimi del tuo prezioso tempo… un impedimento nella precipitosa tabella di marcia con cui ti proponi di conquistare il dominio del mondo, lo ammetto, ma tale da darti comunque una possibilità di continuare a esercitarti a gongolare e a gridare frasi argute riguardo al tuo futuro valore… e invece no, Thauvas, tu hai dovuto opporre resistenza. E io che credevo che i Thayani comprendessero alla perfezione i rispettivi ruoli di padrone e di schiavo! Tu mi deludi. Allora, parla», continuò, in tono d’un tratto più tagliente. «Tu sei…»

«T… Thauvas Zlorn, Mago Rosso di Thay.»

«Grazie. Dunque, Thauvas, tu hai fatto tutta questa strada per raggiungere l’umida Marsember… che non è certo il porto più vicino che si possa raggiungere dalle coste thayane… soltanto per partecipare a una festa in una cantina in compagnia di sconosciuti, giusto?»

«S… s… sì… uh… ah… voglio dire, no

«La tua mente divaga ed è turbata, caratteristiche che non vanno bene in qualcuno che cerca di acquisire il dominio della magia», commentò Elminster, scuotendo il capo. «Il giorno in cui potrai diventare un qualche tipo di zulkir sembra essere davvero distante. Sei venuto per unirti a questa Legittima Cospirazione, o almeno per vedere di cosa si trattava, vero? Oppure è stato Thay a fomentarla e tu stavi soltanto adempiendo a una missione che ti è stata assegnata?»

Il volto di Zlorn tremò e si contorse, mentre lui lottava contro il sondaggio spaventosamente forte che gli stava trapassando ricordi e pensieri come un cuoco avrebbe potuto trapassare un melone con uno spiedo. Suo malgrado, poi, le labbra gli si mossero per obbedire alla pressione di una seconda, inesorabile magia che lo costringeva a dire la verità.

«S… s… sì», balbettò.

«Sì a quale delle due ipotesi, eloquentissimo Thauvas? Parla ad alta voce, in modo che tutti ti possano sentire.»

In reazione a quelle parole del vecchio mago, Narnra s’immobilizzò, poi si girò di scatto per guardare verso Caladnei, scoprendo che il volto della maga reale esprimeva il suo stesso stupore.

«Sì», si affrettò ad annaspare il Mago Rosso. «Mi è stato assegnato questo incarico… molti Maghi Rossi emergenti sono coinvolti… una prova per ciascuno di noi… i Sembiani sponsorizzano questa cospirazione… è cominciata come scontento fra gli esuli di Cormyr, naturalmente… finora noi Thayani ci stiamo naturalmente tenendo il più nascosti possibile…»

Mentre la volontà sempre più concentrata di Elminster penetrava attraverso strati e strati di ricordi, di pensieri e di preziosi segreti, sbucciando la mente del Thayano come se fosse stata una cipolla, uno strato dopo l’altro, Thauvas Zlorn cominciò a singhiozzare e a parlare a ruota sempre più libera.

«E quel tuo allegro accenno ai Coraggiosi Avventurieri? Fanno forse parte del complotto? Si tratta di accordi che sono già in essere o di piani futuri?»

«Io… io… io… è stata una mia idea… Velmaerass ne è rimasto molto soddisfatto… si è complimentato con me…»

«Sentirlo mi riscalda decisamente l’anima», commentò Elminster, in tono asciutto. «Potrebbe perfino assegnarti uno o due tharch, se per allora sarai ancora vivo.»

Thauvas stava già piangendo per il terrore, due lucenti linee di lacrime che gli scorrevano lungo le guance, e adesso prese addirittura a battere i denti. Sospirando, il Vecchio Mago aggirò con noncuranza una mano.

«Allora dormi… almeno per ora… e conserva quel poco senno che hai», affermò con disprezzo. «Tutto questo svenire e farfugliare… quando impareranno mai questi cuccioli che essere un mago significa vagliare in anticipo le possibili conseguenze, valutarle e agire tenendone debitamente conto? O forse riflettere prima di lanciarsi allegramente nel bel mezzo di una guerra è diventata cosa da riservare soltanto ai vecchi stolti?»

D’un tratto si volse di scatto e una forza invisibile quanto irresistibile afferrò la gola e i polsi di Narnra, sollevandola da terra con tutta la torcia prima che avesse anche solo il tempo di sussultare.

«E tu, piccola Dama Mascherata? Quanto hai riflettuto tu, prima di lanciarti attraverso quella porta per venirmi dietro, eh? Oppure sei tanto giovane che l’avventura ti affascina al punto da indurti a gettarti in essa a capofitto?»

Narnra Shalace si ritrovò sospesa nell’aria pulsante, con vaghe volute candide di puro potere magico che le aleggiavano intorno, lo sguardo rivolto verso il sottostante volto barbuto del vecchio mago, che sfoggiava ora un asciutto sorriso.

La ragazza annaspò per respirare, d’un tratto fradicia di sudore, e si chiese se lo strisciante senso di torpore che avvertiva intorno al collo e agli orecchi fosse un segno della magia che le si stava insinuando nella mente, se anche lei si sarebbe ritrovata singhiozzante e farfugliante, con i denti che battevano e la lingua che non le obbediva più. Quel vecchio l’avrebbe uccisa, oppure l’avrebbe trasformata in un relitto demente, rovinandola con la sua magia?

«Io… io… io…»

«Sei decisamente troppo agitata, Signora della Notte. Non ho nessun particolare desiderio di operare un incantesimo di assassinio proprio sotto il naso della Maga Reale di Cormyr, che a quel punto riterrebbe suo dovere intraprendere azioni che finirebbero soltanto per danneggiarla. Tutto quello che voglio è qualcosa che dovrebbe soddisfare tutti noi: una condivisione della verità.»

«La verità, ragazza, è una cosa preziosa», proseguì, trapassandola con lo sguardo dei suoi occhi fra il grigio e l’azzurro. «Tagliente, certo, impiegata troppo di rado nella vita quotidiana… e di conseguenza fin troppo preziosa. Sei disposta a condividerla con me?»

Impotente, Narnra deglutì a fatica, abbassò lo sguardo sul vecchio e si sforzò di trovare una risposta.

«Oppure preferisci la morte?» sussurrò il Vecchio Mago, fissandola negli occhi.

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