8. Nuovi tormenti

Elminster avanzò barcollante sulle rocce affilate, ancora una volta vigile… e attanagliato dagli artigli di una nebbia rossa di dolore.

Gli sembrava di vacillare, di trascinarsi e di strisciare da un’eternità, le viscere dilaniate dal dolore, i pensieri un caos di foschi intrighi e di ricordi involontari, pungolato dall’arcidemone che si muoveva nella sua mente come un destriero esausto, le ali da pipistrello sbrindellate…

LA TUA MENTE È PIÙ AMPIA DI QUELLA DI QUALSIASI ALTRO UMANO CHE ABBIA CONOSCIUTO, osservò Nergal, la voce mentale suadente come sempre. Crudeltà avvolta da una grazia sottile…

Questa torchiatura potrebbe durare per sempre, e mi sto stancando.

Elminster si raddrizzò in modo da appoggiarsi a una pietra imbrattata di sangue vecchio, nero e spesso. I crani spaccati dei demoni scricchiolarono e rotolarono sotto i suoi piedi. E allora?

E ALLORA, MAGO AUDACE, È ORA DI FRUGARE SERIAMENTE NELLA TUA MENTE INTRICATA E CONTORTA, affermò Nergal con voce pungente come una spada. RIFIUTO LE VISIONI CHE MI MOSTRI PER FARMI PERDERE TEMPO. NON M’IMPORTA NULLA DELLE AVVENTURE E DEGLI AMORI DEL PASSATO. IO DESIDERO IL POTERE DI MYSTRA… SO CHE L’HAI ADOPERATO, E DAI RICORDI DEL SUO USO POSSO IMPARARE! PERCIÒ IMPEGNATI, UOMO… MOSTRAMELO E STRISCIA!

Non dovrebbe essere mostramelo o striscia? Tutto ciò che devi fare è… aaarggh!

[lance scure che trafiggono, dolore chiaro, fulminante, ruzzolone, memorie che affiorano e poi scompaiono, fitta lancinante, grida e urla fra le risate del demone, che si levano sino a sovrastare ogni rumore]

PICCOLO VERME, AVREI POTUTO FARTI QUESTO FIN DAL PRINCIPIO!

[sferzata mentale, urla selvagge]

HAH! AVREI DOVUTO FARTI QUESTO FIN DAL PRINCIPIO!

[caos turbinante e scintillante di ricordi cancellati, valanga di schegge e frammenti]

… Lei lo vide allontanarsi attraverso i campi, una forma grigia, curva e cenciosa. L’uomo continuò a camminare e si fece più piccolo, divenne una figura minuscola e scomparve.

E lei rabbrividì, sospirò e si voltò.

[immagini che scemano, cadono, sbiadiscono, perdute e dimenticate per sempre, ormai, sulla scia della furia dell’arcidemone]

Il guerriero abbassò lo sguardo sullo stormo di avvoltoi e sui corpi ammucchiati delle vittime e si appoggiò alla lancia.

Si estendevano in lontananza, dall’altura sulla quale si trovava, oltre le colline ondulate e la pianura; centinaia e centinaia di anime e altre ancora, in quel giorno. Davalaer pensò ai lamenti e al dolore che la notizia di quella battaglia, anche se vinta, avrebbe portato nelle valli. Troppi soldati non sarebbero più tornati a casa. Troppi uomini erano scomparsi per sempre.

Sì, molti pianti si sarebbero levati dalle case dei valligiani. Davalaer sospirò, guardando le sagome immobili sotto di lui. «Ma dimenticheranno», affermò con amarezza. «E poi… un giorno, da qualche parte… tutto ciò si ripeterà.»

BAH! LA TUA MENTE È UN LETAMAIO DI MOMENTI PATETICI! CHE COSA VUOI CHE M’INTERESSINO LE LACRIME DEGLI UMANI SCIOCCHI E DEBOLI?

[frammenti di ricordi scagliati lontano, rotti, perduti…]

COME RIESCI A NASCONDERMI CIÒ CHE CERCO, QUANDO LA MAGIA È IL TUO POTERE E IL LAVORO DI UNA VITA? COME? DIMMELO!

[occhi rossi che avvampano nell’oscurità di stanze distrutte, ricordi che giacciono al suolo, inutilizzabili, come frammenti di vetro e ragnatele devastate]

MYSTRA. ECCO COME. LA TUA DEA TI AIUTA.

[occhi diabolici diventano roghi devastanti]

VIENI FUORI, DEA!

[tenebre, frammenti di ricordi che cadono a terra con un sospiro]

ELMINSTER AUMAR, RIVELAMI MYSTRA! MOSTRAMI I RICORDI CHE HAI DI LEI! AVANTI!

[l’umano si rannicchia, esita, tormentato dal dolore]

Sì…

«Gli Starym hanno la tendenza a essere sciocchi e troppo orgogliosi», affermò pacata Lady Laurlaethee Shaurlanglar, «ma su una cosa hanno ragione: lasciare che queste bestie puzzolenti di umani si mescolino a noi significa macchiare il nostro onore e condannarci a morte. Per questo ti ho invitato, giocattolo della Srinshee. Il vino della luna che ti sei scolato con tanta eleganza conteneva una dose di srindym sufficiente a uccidere una dozzina di maghetti umani troppo ambiziosi.»

L’uomo che chiamavano Elminster lanciò tre rapide occhiate da falco, dietro e davanti a sé, facendo un passo di lato per sbirciare dietro un arazzo con la grazia di un giovane guerriero della Gente.

La signora elfo rise lievemente. «Siamo soli, condannato. Non ho bisogno di testimoni, né li desidero… nessuna guardia per tenere a bada le zampe di un animale morente. Sono l’ultima di una fiera stirpe di guerrieri, e mi proteggo da sola.»

Elminster osservò silenzioso quell’esile bellezza elfa seduta sulla sedia. Lady Laurlaethee era gracile anche per lo standard degli elfi. In piedi sarebbe stata poco più alta della vita di El. Due occhi brillanti, color zaffiro, lo scrutarono freddi, senza alcuna traccia di paura. Elminster abbozzò un sorriso e chiese: «E questo… perché?».

«Odio», rispose l’elfa, alzandosi con grazia e agilità. «Nei tuoi confronti e di quelli come te. Bestie che cercano di rubare ciò che non hanno l’intelligenza d’imparare. Se la Srinshee non fosse tanto istupidita dalla cupidigia, tu saresti ancora lì a sforzarti di evocare un piccolo bagliore dalla punta delle dita… un istante prima di ritrovarti a decorare la punta di una lancia di Cormanthor.»

«Beh, è una punta senza dubbio ben smussata», osservò Elminster. «Dato che sono una bestia assetata… e naturalmente priva di buone maniere, mi domandavo se avessi ancora un bicchiere di quell’ottimo vino. Credo che il srindym lo migliori alquanto.»

Gli occhi color zaffiro scintillarono. «Lei ti protegge!»

El chinò la testa. «Signora, L’ha fatto in passato.»

«Quella traditrice!» sbottò Lady Laurlaethee, raggiungendo un angolo in cui sfere di cristallo d’ogni dimensione ruotavano lentamente, emettendo una lieve melodia. «Una volta che la notizia di que…»

«Signora, devo mettervi in guardia dalla vostra stoltezza», la interruppe El alzando un po’ la voce. «Mi sembra di capire che voi pensiate io sia un portavoce della Srinshee. Non è così. Lei non sa nemmeno del nostro incontro, né mi fornisce alcuna difesa. Lo scudo che mi protegge è di mia creazione.»

La bellezza sublime di un volto elfo è rovinata quando le labbra perfette si torcono in un ghigno. «Dunque mi pensi tanto stolta, scimmione. Tu eserciti solo magia che hai sottratto, rubato o estorto con l’inganno a questo o a quell’altro elfo. Chi è questa “lei” che ti protegge se non un membro della Gente!»

«La Divina Mystra, la dea che servo», rispose El con tranquillità. Attese la reazione della donna, calmo, come se non temesse nulla.

«Bah!» sbottò Lady Laurlaethee, fermandosi dietro i suoi cristalli e guardando l’ospite che sperava di uccidere con essi. La luce che irradiavano le illuminò il volto da sotto con uno strano bagliore. «Tutta la magia deriva da quelli che noi veneriamo… i Veri Dei! Se questa tua “Mystra” ha qualche potere, non può essere altro che un volto e un nome trasmesso a voi sudici umani da una divinità degli elfi, la Gente Eletta!»

«Se così fosse», ribatté Elminster con un sorriso negli occhi che non toccò quasi le labbra, «e la mia magia trionfasse sulla vostra, significherebbe che una dea che entrambi onoriamo, qualsiasi sia il suo nome, ha scelto me e non voi, giusto!»

«Taci, scimmione!» ringhiò la padrona di casa. «Stenditi e muori! Come osi profanare l’aria della mia dimora, per non parlare delle mie orecchie, con una simile idea?»

L’elfa piegò le dita ad artiglio e l’aria sembrò scintillare e fermarsi, solo per un attimo, intorno a Elminster. Il mago le sorrise con aria indolente e avanzò.

Lady Laurlanthee s’irrigidì e impallidì, gli occhi furenti. L’aria intorno all’umano che avanzava inesorabile sembrò sospirare. La donna elfo spalancò gli occhi e indietreggiò d’un passo.

Elminster Aumar aggirò delicatamente le sfere di cristallo e continuò a camminare verso di lei. L’elfa mosse le agili dita e sibilò un incantesimo. L’aria si fece brulicante di piccole lance d’argento e di draghi evanescenti, ma l’uomo non accennò a fermarsi.

«Stai indietro, bestia!» urlò la donna, alzando la voce per la paura. «Sta’ indietro, oppure… oppure…»

Uno degli anelli che portava al dito baluginò e svanì. Due mani enormi spuntarono improvvisamente dal pavimento sotto gli stivali del suo ospite, e altre due dal soffitto… mani che però divennero polvere prima ancora di chiudersi sull’umano.

Laurlaethee serrò forte le labbra. Altri anelli si accesero, la donna urlò un incantesimo improvviso e si passò una mano sul palmo dell’altra, ferendolo con un anello appuntito. Una parola pronunciata rapidamente fece sì che le gocce di sangue gettate in aria prendessero fuoco e rimanessero immobili.

Elminster sorrise dolcemente e passò fra di esse senza batter ciglio quando esplosero.

Lady Laurlaethee era quasi in un angolo, la bocca tremante di paura. Le sue successive parole scossero la stanza e la fecero tuonare: lasciarono la donna visibilmente più raggrinzita e indebolita, ma non sembrarono turbare affatto l’uomo che avanzava verso di lei.

Con le scapole ossute sfiorò una parete adorna di fiori, poi l’ultima degli Shaurlanglar rabbrividì, inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Non aveva bisogno di vedere, né desiderava farlo, ciò che sarebbe accaduto da lì a poco.

La sua mano s’abbassò come una vipera all’attacco, sfilò il pugnale minuscolo dal fodero che teneva dietro la schiena e l’avvicinò al petto con movimento repentino. Quando questo avesse raggiunto il bersaglio, il suo sangue sarebbe schizzato sulla faccia del nemico e gli avrebbe lanciato una maledizione che nessuno scudo magico sarebbe stato in grado di vanificare. Laurlaethee Shaurlanglar non voleva vivere in un mondo dove le bestie salivano al potere. Non poteva credere che si fosse arrivati a ciò…

Sapeva bene dove colpire, ma non pensava che avrebbe provato una simile sensazione di gelo.

Freddo, tanto freddo, il sangue che sgorga e… e… gloria improvvisa! Calore, una canzone che si leva in alto, un’estasi che non provava da anni, da quando le braccia del suo amato Touor, da tempo scomparso, l’avevano tenuta stretta per l’ultima volta…

Batté le palpebre, aprì gli occhi… e si ritrovò a fissare quelli dell’odiato umano, a pochi centimetri dai suoi. La sua mano era appoggiata sul petto della donna e la magia che l’aveva guarita gli fluiva ancora dalle dita. Dita che raggiunsero il suo polso con infinita delicatezza e le presero la mano.

L’uomo s’inginocchiò e le baciò la punta delle dita. «Lady», esclamò con aria grave, «io sono venuto nella speranza di trovare un amico, non per annientare un nemico. Importa chi veneriamo se facciamo del bene al prossimo? Spero di potervi fare di nuovo visita e che non abbiate mai un motivo valido per usare questo su di me».

El si alzò tanto rapidamente quanto la mano dell’elfa quando aveva cercato la morte e lasciò cadere qualcosa sul suo palmo: il pugnale d’onore, ancora sporco del suo sangue. Mentre Laurlaethee lo guardava, il sangue si dileguò come fumo, lasciando la lama argentea lucida come prima.

La donna lo afferrò e lo sollevò, vergognandosi per il suo tremore. Il mago la stava osservando, a portata di lama, ma non fece nulla, se non guardarla negli occhi.

Laurlaethee Shaurlanglar gettò il pugnale lontano, senza guardare, e si mise a singhiozzare forte, come mai aveva fatto in vita sua, quasi accecata dal flusso di lacrime. Con gli occhi velati vide l’umano allontanarsi e attraversare la stanza fra i brandelli dei suoi più potenti incantesimi, fino a raggiungere il balcone da cui era venuto.

Allora Elminster si fermò, guardò indietro e sollevò una mano in un segno di saluto usato dagli elfi di altri tempi per mostrare rispetto agli anziani.

Mentre lo faceva, tutti gli incantesimi che aveva infranto tornarono in vita con un gran turbinio, e ripresero a brillare e sibilare potenti intorno a lei. La stanza fu scossa ancora una volta dalla forza dei loro poteri contrastanti. El li tenne sotto controllo, incantesimo dopo incantesimo, poi, con un gesto della mano, li fece vorticare e svanire. L’anello riapparve sul dito della donna elfo, ancora carico di potere, e gli incantesimi e il sangue versato tornarono a lei, facendola fremere nuovamente.

Laurlaethee rimase a bocca aperta dallo stupore. Nessuno poteva fare una cosa simile. Nessuno.

«Mystra è soprattutto pietosa», le giunsero forti all’orecchio le parole di Elminster. «Rallegratevi e siate in pace con voi stessa, Lady Shaurlanglar. Nessuno di noi è in collera con voi.»

Poi scomparve. L’anziana elfa sollevò una mano e si asciugò le lacrime. Per la prima volta da secoli… lunghi e lunghi secoli d’orgoglio solitario… provò meraviglia.

Voltò la testa per guardarsi nell’unico specchio della stanza e rimase a fissarsi pensierosa. Persino il tremore era svanito. Sembrava… più giovane! Si girò di fianco, prima a destra, poi a sinistra. Più giovane, più soda, più alta… la donna gettò il capo all’indietro e rise, incurante del fatto di sembrare un po’ matta. Poi, impaziente, si slegò la tunica e la lasciò cadere dietro di sé, uscì sul balcone completamente nuda e annusò l’aria in cerca della bottiglia di vino di luna. La trovò, naturalmente, purificata dal srindym.

Laurlaethee scosse il capo, un sorriso appena abbozzato, e si sporse a vedere gli uccelli volteggiare, frullare e cantare. Una brezza fresca si era alzata dalle ombre e soffiava oltre il parapetto, ma lei rimase imperterrita, e non rabbrividì nemmeno.

Lo stupore può essere un manto molto caldo.

PICCOLI DEI CHE BORBOTTANO ALTRE SMANCERIE? IL MIO CUORE TREMA, MA MI VIENE IL VOLTASTOMACO! PER IL FUOCO DEGLI ABISSI, UMANO, METTI A DURA PROVA LA MIA PAZIENZA! SUPPONGO FOSSE MYSTRA A OPERARE ATTRAVERSO DI TE, E QUINDI… A BEN GUARDARE… HAI ESEGUITO IL MIO COMANDO.

Esatto.

SILENZIO! SE AVRÒ BISOGNO DELLA TUA INTELLIGENZA, MAGO, NON MANCHERÒ D’INFORMARTI. ORA PUOI EVITARE IL TORMENTO MOSTRANDOMI TE STESSO MENTRE ESERCITI IL POTERE CHE MYSTRA TI HA CONCESSO… APERTAMENTE, COME UN’ARMA, IN MODO A ME UTILE E CHIARO… UN POTERE GRANDIOSO, BADA, NON COME SI IDENTIFICA UN FIORE DAL SUO PROFUMO O SCIOCCHEZZE SIMILI!

Ogni tuo comando è un mio desiderio.

E LA TUA BOCCA CONTINUA A ESSERE UN PO’ TROPPO IMPERTINENTE, IDIOTA DI UN MAGO! FAI COME TI HO DETTO… MUOVITI!

[flusso d’immagini brillanti, come stelle versate in un pozzo, che accelerano e si fanno più ampie, più profonde, rallentano, rallentano, un bagliore si leva in alto e oscura tutto]

La linea di fuoco blu avvampò intorno alle porte, sigillandole. Magie antiche isolarono la sala, in tutto il suo stato di rovina, dal resto della grande Faerûn. Al suo interno i più potenti si erano battuti in duelli ufficiali per secoli e secoli, fondendo la pietra in ammassi vetrosi, incastonandovi bagliori disperati, lasciandosi dietro l’odore della paura e la tensione pungente di innocui spiriti guardiani.

Un sorriso illuminò la faccia del combattente alto e magrissimo, ma in esso non v’era traccia di gioia o di amicizia.

«Credi forse», sibilò trionfante lo zombie, «che sarei venuto solo?»

Una stalattite dietro e sopra una spalla ossuta si offuscò e discese… trasformandosi in una sfera fluttuante dai molti occhi, che avanzò con i tentacoli a penzoloni e le numerose fauci che si aprivano e si chiudevano in cima ad essi. Dall’ombra vicina uscì volando un gargoyle dalle ali di pipistrello, che brandiva una spada di fiamma nera. Poi fu la volta di un enorme serpente che sollevò la sua testa gigantesca, d’una bellezza crudele e quasi umana. Accanto a esso vi era un’elfa graziosa, dalla pelle color ossidiana, i cui polsi erano circondati da sottili pugnali magici roteanti.

Tali creature avanzarono camminando, strisciando o fluttuando nella sala per minacciare lo sfidante solitario, un umano che non era né alto né magro quanto lo zombie. Non aveva la corporatura di un guerriero e non possedeva nulla d’affilato se non il naso aquilino.

L’uomo sollevò le sopracciglia. «Strani alleati, oserei dire», osservò con calma. «Come si è formata la vostra consorteria, questa sì che è una storia che mi piacerebbe ascoltare.» L’umano si sedette su un frammento di pietra crollato accanto a lui, appoggiò gli stivali impolverati su un altro frammento ed estrasse la pipa. «Allora!»

Lo zombie lo fissò, «Sei forse pazzo?»

Il mago prese un po’ di tabacco da una tasca e, con il pollice, cominciò a pressarlo nel fornello della pipa. «Probabilmente», rispose allegro. La morte avanzava verso di lui e lo accerchiava con grazia furtiva. «Sei sorpreso!»

Lo zombie non si curò di rispondere, ma esclamò frettolosamente: «Davanti a Mystra e ai Maghi Arcani, rivendico il diritto di sussunzione in questo duello, che tutti i poteri del mio oppositore siano concessi a me… all’attacco!».

Nonostante questi avesse vari alleati e non avesse concesso all’avversario di reclamare i suoi diritti prima dell’inizio dello scontro, in palese violazione delle regole di Spelldown Hall, e malgrado le creature che lo fronteggiavano rendessero la sua morte un’eventualità più che certa, l’umano cominciò a fumare la pipa e non si mosse.

Quando il primo incantesimo lo toccò, un fulmine luminoso scagliato dal tiranno della morte, la sala si riempì improvvisamente di fuoco bianco e blu e di un canto mormorato, femminile ed esultante. Alcuni arti protesi avvamparono e svanirono. Il gargoyle si sciolse in un rapido vorticare di fiamme nere e di frammenti di spada liquefatti. Il serpente gigante esplose come una salsiccia bollita in mille pezzi. In silenzio, scomparve anche il beholder.

Quando l’ultimo dei suoi alleati svanì nel nulla, lo zombie incredulo sussurrò: «Come…?».

«Mystra ti saluta», lo interruppe cordiale l’uomo seduto. Poi soffiò un cerchio di fumo in direzione del nemico e gli pose una domanda innocente. «Ciò significa forse che non vuoi raccontarmi la storia della vostra piccola alleanza!»

Lo zombie emise un urlo di rabbia nello stesso istante in cui si levava il canto di Mystra. Fiamme rosse e nere fuoriuscirono con un rombo dalla sua mano ossuta e attraversarono la sala, verso l’uomo con la pipa.

Elminster le vide arrivare. Quando lo colpirono, il corpo di El si contrasse e fu colto da spasmi che fecero schizzare la pipa verso il soffitto. Un po’ di fumo gli fuoriuscì dalle labbra quando annunciò, tranquillo: «Mystra ti risponde».

Poi chiuse le labbra e, quando le riaprì, tutto il fuoco bianco e blu di Faerûn uscì e spazzò via un’estremità di Spelldown Hall, lo zombie delirante e tutto il resto, in un unico momento assordante…

Un colore bianco e blu, tanto brillante…

AARGH! RRRAAAAAAGHH! OUGHHH!

[dolore profondo agli occhi, corna e tentacoli che rabbrividiscono, un corpo che oscilla e s’inginocchia, in preda a un’agonia impotente, strisciante, che si trasforma lentamente in un respiro affannoso]

[sbirciata cauta, uscita furtiva dall’ombra per guardare la rovina fumante di troppi ricordi, con le facoltà mentali di un arcidemone che si bruciano nel messo]

OHHH. URRHH. [l’arcidemone si rotola, piega gli artigli irrigiditi, flette i tentacoli contorti, distendendosi in un’improvvisa assenza di dolore] PER I DOLCI FUOCHI DI NESSUS!

Nergal?

SE PENSASSI CHE TU L’ABBIA FATTO DELIBERATAMENTE, MAGO, TI STRAPPEREI UN ARTO PER VOLTA E CALPESTEREI I TUOI RESTI!

Ti ho solo dato quello che volevi a tutti i costi.

GIÀ. MA NON MI HAI MOSTRATO NULLA DI UTILE. UNA FURIA SIMILE FUORIESCE RARAMENTE DA ME QUANDO APRO LA BOCCA.

Oh, su questo potrei anche non essere d’accordo…

RIDI PURE, PICCOLO UMANO. IL TORMENTO TI AFFLIGGERÀ MOLTO PRESTO.

[il demone si solleva dalle rovine, barcolla, i tentacoli sondano l’aria davanti a lui, la luce si fa più intensa mentre la ricerca ricomincia]

DUNQUE È QUESTO IL SAPORE DEL FUOCO DI UNA DEA. NON LESINARE SUGLI AVVERTIMENTI IN FUTURO, SE DOVRÒ AVERE A CHE FARE CON SORPRESE DEL GENERE!

Io non so, demone, che cosa possa sorprenderti.

DAVVERO? NEMMENO IO. [arcigno sorriso mentale] BENE, IMPAREREMO INS…

Alcuni spinagon sfrecciarono nel cielo rosso sangue, piombarono sopra una creatura grande e goffa, la infilzarono con forconi e la graffiarono con i piedi. L’essere si sollevò di scatto, sbarazzandosi di loro con due sferzate di tentacolo e ringhiò: «Chi osa….

Urlando, i demoni abbandonarono la conca e fuggirono in preda al panico.

Nergal li fissò mentre si allontanavano, dopo essere stato in grado di afferrare solo uno degli aggressori, poi con i suoi tentacoli serpentini strappò un arto dopo l’altro allo sventurato spinagon. L’arcidemone introdusse l’estremità di un tentacolo nella bocca della creatura, gli ruppe la mascella per evitare d’essere morso, e ne smorzò le urla. Infine scosse il capo.

Sia che fossero agenti inviati da un rivale o cacciatori senza cervello, quei moscerini volanti erano un monito, anche se giunto troppo tardi. Preso dal divertimento di frugare fra i ricordi umani, Nergal si era reso vulnerabile. Non tutti gli abitanti di Averno erano abbastanza saggi da evitare un arcidemone. Altri avrebbero potuto tentare la fortuna con un Nergal ansimante e ferito… per non parlare di quella cosa gracile, nuda e strisciante a cui era stato ridotto Elminster. Da solo, in mezzo al fumo e a creature in fuga, a poche gole di distanza, il mago sarebbe potuto benissimo finire tra le braccia di Tasnya, di Oomrith o di Skeldagon, o di una decina di altri demoni.

Doveva stare attento. Nergal raggiunse un luogo più facilmente difendibile, muovendosi attraverso le fessure fumanti del terreno. Un branco di nupperibos era radunato nel posto prescelto, perciò Nergal rivolse loro un sorriso che prometteva efferate crudeltà, le zanne in bella vista. Questi fuggirono in fretta, mugugnando. Poi l’arcidemone riportò l’attenzione sulle oscure caverne della mente di Elminster.

Sulla gioventù dell’umano nella città di Hastarl, e di lì, senza dubbio, sulla lunga e tortuosa serie di ricordi in cui il mago imparava a conoscere il potere di Mystra, di magie assimilate e quindi nascoste. Magie che ben presto sarebbero appartenute a lui.

Una risata diabolica echeggiò in una caverna attorno al signore dai molti tentacoli. Il suono riempì anche le cavità distrutte dietro gli occhi del Vecchio Mago. Gli aculei donatigli da Nergal per rendere Elminster un boccone meno ovvio, si rizzarono.

Membra languide, color rosso ciliegia, si stirarono, lucide del sangue di lemuri sbudellati e semischiacciati che riempivano il letto concavo.

«Dunque», affermò leziosa la sua proprietaria, mentre piccole fiamme le fuoriuscivano dalle labbra e s’innalzavano dai capezzoli di magnifici seni, «Nergal ha un nuovo giocattolo… allettante quanto basta da distrarlo dalle sue solite cacce e crudeltà. Tasnya se ne dovrà impossessare».

La creatura demoniaca si rotolò sopra i corpi dei lemuri, sfuggendo alle fauci affilate delle lamprede di terra, i cui morsi le causavano tanto dolore e piacere. Varie diavolesse s’inginocchiarono bramose ai piedi del letto. Lei ne fissò una con sguardo fiammeggiante. Una lingua, simile a quella di un umano, leccò le labbra lussuriose e le zanne sottili dietro di esse, pregustandosi il piacere di quella missione.

Tasnya non deluse la schiava, per quanto la sua voce fosse colma d’ironia. «Va’ avanti, leale Sressa», ordinò il demone alla erinni, «e scopri che cosa sta facendo Nergal. Fagli del male se puoi, e rubagli il prigioniero, vivo se possibile, e portamelo. Tasnya sa cosa fare con i maghi mortali… e con i rozzi arcidemoni che, furiosi, vengono a riprenderseli».

Загрузка...