20. Preghiere e complotti

Nergal il Potente non era affatto contento. Continuava a misurare, irrequieto, le ombre sotto il suo strapiombo favorito, domandandosi dove l’avrebbe condotto questa volta il suo giocattolo umano. La dea gli aveva detto che avrebbe tolto dalla sua memoria tutto ciò che poteva essere utile ad arcidemoni bramosi? A che pro?

D’altra parte, a cosa servivano tutte quelle anziane nobildonne accoltellate nella città umana di Waterdeep? Quanta magia ci aveva guadagnato?

Dall’altra parte di Averno, in quella caverna, aveva recuperato magicamente l’umano. Non voleva che un esercito lo trovasse, tanto meno Malachlabra, sfuggita alla morte per un graffio di corno.

Elminster era di nuovo libero, di ruzzolare dove voleva… in quel momento, a quanto pareva, stava rotolando dal fianco roccioso e ripido di una collina. Sembrava si stesse nuovamente rigenerando, e Nergal lo stava tenendo d’occhio. Per quanto fingesse d’essere debole e impotente, l’umano stava ricorrendo al fuoco argenteo, ma Nergal non riusciva mai a coglierlo sul fatto.

Due abishai saltarono fuori da una fenditura, afferrarono uno spinagon in volo e lo divorarono. Con uno sbadiglio il demone reietto si voltò e ricominciò a camminare all’ombra della sporgenza.

Quel piccolo mago esasperante lo stava trascinando in un’altra lunga caccia mentale. Magia utile, un accidente! Stavolta, tuttavia, avrebbe seguito il tracciato dei suoi ricordi fino alla fine, tenace come un segugio dell’Inferno, per sorprendere il Vecchio Mago e, chissà, forse sarebbe riuscito, finalmente, a spezzarlo. Non gli rimaneva altra scelta; i suoi tentativi di frugare nella mente del mago senza che lui stesso gli facesse da guida erano falliti miseramente. La mente degli umani ricordava tanto un pozzo nero.

* * *

Le stelle ammiccavano lievi e incessanti sul soffitto sopra di lei; una creazione del mago, naturalmente. Un altro incantesimo che si era riproposta di chiedergli, ma di cui si era sempre scordata. Un’altra magia e un altro segreto che sarebbero andati perduti per sempre con lui, se fosse morto.

Stesa da sola sul letto rotondo, nella stanza più alta della Torre di Shadowdale, la Simbul fissò triste le stelle, tanto vicine sopra di lei, finché non si offuscarono nuovamente fra le sue lacrime.

«Mystra», sussurrò nell’oscurità, «preservalo! Oh, dea, se mi ami…!».

In qualche modo si ritrovò in ginocchio sul pavimento freddo acanto al letto, i logori tappetini di pelliccia gettati contro la parete. Due moccoli vecchi e spessi si ergevano dal pavimento, al quale si erano attaccati mediante la cera sciolta e rappresa… i resti di una preghiera fatta a Mystra tempo addietro. Elminster doveva essersi inginocchiato nudo fra esse, proprio come stava facendo lei in quel momento, per elevare la sua supplica alla dea.

Singhiozzando, Alassra Silverhand decise di riutilizzare le candele. Le accese con il più piccolo incantesimo e col fuoco della sua volontà. Mentre le fiammelle s’innalzavano, la donna si posizionò in modo che le sue lacrime cadessero su ognuna di esse, poi esclamò con ardore: «Madre Mystra, somma Signora di tutti coloro che operano magia, ascolta la mia preghiera, ti prego. Farò tutto ciò che comanderai, qualsiasi cosa, rinuncerò alla vita, all’Arte, al regno, alla salute, all’aspetto o all’intelletto, a qualunque cosa, se mi conferirai magia sufficiente per salvare Elminster. Oh, Mystra, ascoltami!».

D’un tratto, senza rumore né traccia di fumo, entrambe le candele si spensero. La peluria sottile del corpo della Simbul si rizzò quando un potere improvviso si risvegliò e fluì in lei. L’oscurità era illuminata soltanto da una fiamma blu, tremante, proveniente dalla sua bocca. Il suo respiro era in fiamme.

Guerriera delle Sette, esclamò la voce di Mystra dalle tenebre circostanti, sono qui, ho ascoltato il tuo grido d’aiuto. Ascolta bene ciò che entrambe dobbiamo fare…

* * *

Qualcosa si mosse fra le rocce e gli alberi rinsecchiti. I loro rami erano stati spezzati più volte per divertimento dai demoni di passaggio ed erano irti di spine.

Elminster era di nuovo intero, sebbene continuasse a strisciare con lentezza, acquattato, e a restare immobile ogniqualvolta un demone lo sorvolava. Si trovava in qualche punto di Averno, non sapeva dove… ma era lontano da qualsiasi cancello d’uscita dall’Inferno a lui noto. Quasi tutti si trovavano in fortezze imponenti e ben sorvegliate. Dei due situati nella periferia di Averno, uno sorgeva dietro a una cascata di sangue, da qualche parte nella Fenditura di Arlkan, l’altro in cima alla Guglia di Tabira, dove un tempo una erinni era stata impalata per disobbedienza e aveva chiesto pietà fino alla morte. Le sue ossa penzolavano ancora dalla roccia appuntita, e il cancello si apriva solo se qualcuno toccava una di esse e pronunciava le parole giuste.

Almeno quelle, se le ricordava. Ora tutto ciò che doveva fare, nudo e privo d’ogni incantesimo, era trovare la cascata o la guglia, eludere eventuali guardiani o qualsiasi demone malvagio lo vedesse, e…

Qualcosa si mosse ancora fra le rocce davanti a lui. Sembrava quasi una donna, se le donne umane fossero state alte tre metri e mezzo, avessero avuto la pelle color rubino e due teste di cavallo al posto dei seni. Quelle strane appendici gli mostrarono i denti non appena la creatura uscì allo scoperto per sbarrargli la strada. Le sue gambe aggraziate terminavano in zoccoli fessi, tra di esse una coda sottile e uncinata. Le ali di pipistrello si ripiegarono a formare un’unica enorme ala di carne alta sopra la testa. Quest’ultima pareva umana, eccetto che per le sottili zanne e gli occhi senza pupille, simili a due fiamme bianche.

Sollevò le braccia in segno d’avvertimento, braccia che ostentavano una fila di barbigli crudeli, e con voce bassa e rauca chiese bruscamente: «E tu chi… no, che cosa sei?».

«Ciò che sembro», rispose El. «Un umano.»

Un sopracciglio s’inarcò e una lingua sottile, irta di barbigli, leccò le zanne fini in maniera molto eloquente.

«No», esclamò il Vecchio Mago, chiamando a raccolta fuoco argenteo dentro di sé, nel caso ne avesse avuto bisogno di lì a poco, «non lo farai. Io sono… appartengo a Nergal, e qualsiasi attacco alla mia persona lo porterà qui. Non vale la pena correre il rischio per qualche boccone di umano crudo e insapore.»

Il nome del suo padrone provocò un sibilo. La creatura infernale si ritrasse fra le rocce.

El continuò a scendere la collina e aveva di poco oltrepassato tali pietre che il demone parlò ancora. «Non possiedi magia?»

Elminster si voltò lentamente, e allargò le mani vuote. «No. Ti sembra forse che ne abbia?»

«Sono tanto affamata», affermò lamentosa la voce. «Nergal dovrà accettare di perderti.»

Poi spiccò un balzo.

El si acquattò rapido, unì i piedi e saltò di lato come una rana. La creatura atterrò violentemente sulle rocce oltrestanti, slittò e si fermò con uno sputo e un ringhio.

Il fianco della collina era ripido e spoglio. L’unico riparo era il cumulo di rocce e di alberi spinosi da dove era sbucato il demone. Truce, El spiccò un altro balzo e trottò verso di esso. Un paio d’ali s’agitarono dietro di lui e il mago si spostò lateralmente e virò dietro a un masso di forma allungata.

La diavolessa sibilò vicino al suo orecchio passandogli di nuovo accanto a mani protese, ma lo mancò. «Rimani fermo, umano, e renderò la tua morte meno dolorosa!»

«Oh, questa sì che è una proposta allettante», rispose Elminster beffardo, sfuggendo all’ennesimo tentativo di cattura. «Mi avevi quasi preso!»

Ringhiando, il demone saltò nell’aria e planò su di lui. Il mago si tuffò nella tana della creatura, un’insenatura scura fra le rocce, il cui fondo era disseminato di ossa vecchie e rosicchiate. Alcune rocce crollate formavano una sorta di tetto. Una volta dentro, lei lo avrebbe seguito e, senza dubbio, l’uscita sarebbe stata bloccata dal suo corpo enorme.

El continuò ad avanzare nell’oscurità fetida.

Con un piccolo sorriso di trionfo il demone ripiegò le ali e lo seguì. «Ora sei mio», mormorò.

Il Vecchio Mago si era addentrato finché le rocce glielo avevano permesso. L’unica luce proveniva dalle fiamme bianche degli occhi della donna. Le teste di cavallo sul petto fecero per morderlo mentre il demone avanzava, le braccia allargate per evitare che fuggisse.

«Solo per porti una domanda molto originale», affermò El tranquillamente: «Chi e che cosa sei?».

«Il mio nome è Marane», rispose il demone, avvicinandosi. «Marane l’Affamata!»

Elminster si tese e si chinò. Doveva lanciare il fuoco argenteo in modo rapido, quando Nergal lo spione non sarebbe stato in grado di vedere bene ciò che stava facendo, perciò i loro corpi dovevano essere quasi uniti. In qualche modo avrebbe dovuto evitare le zanne della donna e le teste di cavallo più in basso. Una pietra rotolò sotto i suoi piedi e il mago vacillò e per poco non cadde.

Marane sibilò di nuovo, ma non attaccò.

El sollevò lo sguardo e vide accendersi deboli bagliori sopra e dietro di sé. Questi illuminarono il corpo del demone reietto mentre s’inarcava sopra di lui per raggiungere la pietra e rimetterla a posto.

«Che cosa sono queste luci?» chiese, fingendo meraviglia. Nel frattempo si acquattò, si voltò e con la spalla sfiorò la gamba aggraziata del demone.

«Luci magiche», sbottò lei, «rubate a una preda anni fa. Peccato che tu non abbia nulla da aggiungere alla mia collezione. Ma ora basta.»

Marane si voltò, e allungò una mano dalle lunghe unghie a mo’ d’artiglio verso i suoi occhi, al che El sollevò il braccio lungo la gamba di lei e rilasciò il fuoco argenteo.

«Come vuoi», assentì freddamente. L’intero corpo della donna fu scosso da convulsioni e si levò in alto, schiacciandole la testa contro le rocce.

Dalla bocca di Marane uscì un filo di fumo, poi il demone piombò floscio sul pavimento e i suoi occhi si velarono. Qualcosa si mosse nella mente di Elminster, e il mago mantenne vivida l’immagine degli artigli di Marane che si allungavano verso di lui. Sforzandosi di non pensare e di non guardare ciò che stava facendo, cercò la pietra tastoni, finché non la sentì rotolare via. Poi infilò una mano fra le luci fredde che apparvero nuovamente dietro di essa.

C’era qualcosa che al tatto sembrava una bacchetta. Il mago l’afferrò, lasciò che il suo incantesimo gli rivelasse la parola d’ordine e la natura dell’oggetto… era una bacchetta lancia-fulmini, grazie a Mystra e a Tymora… poi la infilò nella bocca aperta di Marane, evocò il fuoco argenteo per mantenersi in vita e l’attivò.

Un fuoco bianco e blu tuonò nella minuscola tana. Le membra del demone s’agitarono convulsamente e il puzzo di carne bruciata si levò forte e gli prese la gola. Marane s’accasciò e iniziò ad avvizzire.

HO, HOO! MAGIA! DEVO AVERLA!

Il latrato mentale di Nergal fu quasi assordante. El sorrise, arcigno, e frugò tra le magie con entrambe le mani, lasciando che il caos di parole d’ordine, di effetti e di poteri lo pervadesse mentre cercava qualcosa… qualsiasi cosa… di utile.

Anelli che sputavano fuoco, bacchette che scioglievano la carne, bracieri che… ma aspetta! Questo!

Con mani tremanti El l’afferrò e lo tenne stretto, solo per un istante. Nel contempo evocò una barriera di fuoco argenteo nella mente, in modo che Nergal non riuscisse a leggergli il pensiero. Sì, quello avrebbe fatto al caso suo: uno scettro lungo appena quanto la sua mano, scuro e ben rifinito. Netherese, costruito dal Mastro Ombra Telamoni Tanthul molto, molto tempo prima. Poteva generare due mani, o tre, o sei, da una sola. Tre mani, o tre cuori, o tre gambe, a piacere, ma solo di ossa, sangue e carne. Un modo per formare eserciti o guarire i menomati…

Il mago uscì rapido dalla tana, la mente sempre piena di fuoco, e nascose il piccolo scettro sotto una pietra, accanto a un albero. Poi si rituffò nell’insenatura, e cominciò ad aggirarsi con aria stupita fra gli oggetti magici e a fissare le sottili zanne di Marane.

Con un grugnito d’eccitazione, Nergal atterrò sul terreno all’esterno della tana.

El lasciò che il fuoco svanisse e che i suoi pensieri fluissero deliberatamente con furia convulsa. Questi dovrebbero bastare! Lascia che il vecchio Nergal metta piede qui, e lo ridurrò in cenere! Che diamine, non esiste demone in Averno che possa sopravvivere a tutto ciò, ora che ho riversato il mio fuoco argenteo dentro di essi! Posso… oh, dei!

Alto e terribile, Nergal s’affacciò all’insenatura e vi inserì un groviglio di tentacoli sferzanti. Elminster fu sbattuto contro una pietra, scivolò lungo di essa, s’accasciò a terra quasi incosciente e fu trascinato fuori, alla luce, accecato e soffocato nella morsa di un tentacolo, mentre tintinnii e clangori gli suggerivano che Nergal stava radunando freneticamente gli oggetti magici.

POTREI SCHIACCIARTI IL CRANIO COME UN FRUTTO MATURO, UOMO. DAMMI UNA BUONA RAGIONE PER NON FARLO.

Il fuoco argenteo esploderebbe dal mio corpo e ucciderebbe anche te.

MA DAVVERO? NE SEI CERTO?

Sì. Meglio lasciar stare la testa e il collo.

E VA BENE, assentì il demone con tono crudele, stringendolo e torcendolo con maggiore forza.

Solo il fuoco argenteo evitò che El svenisse in preda a un dolore nauseante. Il mago si rese vagamente conto che il demone gli aveva staccato entrambe le braccia all’altezza dei gomiti, lasciando solo due monconi irregolari e gocciolanti di sangue.

El chiamò a raccolta il fuoco affinché gli desse forza, e finse un lamento pazzo e disperato mentre si alzava, scalciava e agitava ciò che rimaneva delle sue braccia. Il fuoco argenteo che fuoriuscì gocciolante fu sufficiente a far sibilare di dolore il demone e a farlo indietreggiare. In un attimo il mago infilò i monconi nelle ferite di Nergal, come un bambino che agita inutilmente un bastone in preda a una rabbia cieca.

Dopo un momento Nergal emise una risata aspra e gli assestò un colpo che lo scaraventò contro una roccia distante. Il dolore lo fece sussultare e gridare nuovamente. «Stupido mago.»

Stupido demone, pensò El, ho infilato le mie braccia rotte dentro di te e ho lasciato frammenti ossei. In profondità, sotto le parti che hai guarito. Non sarà come l’Anello di Sangue di Alassra, ma funzionerà. Vedrai. Poi lasciò che il fuoco si spegnesse… e fu quasi assordato dalla voce mentale di Nergal che irruppe nella sua testa.

TI COMPIACI DI NUOVO DELLA TUA INTELLIGENZA! MA ORA BASTA! QUESTO RICORDO, E QUESTO, E ANCHE QUEST’ALTRO, MOSTRAMI GLI INCANTESIMI PER TENERTI IN VITA… HAH! COSÌ!… ORA SO FARE QUESTO!

[tentacoli protesi che colpiscono un torso arcuato, e poi tirano con forza… carne che si lacera… sangue…]

[urla, agonia straziante No, demone no, agghh, dei per favore no!]

BENE COSÌ, SUPPLICA! AVANTI, CONTINUA! SUPPLICA, E IO TI IGNORERÒ! HAHAHAA!

[risata diabolica, ruggiti di rabbia e di gioia, tentacoli che sbrindellano e percuotono, spappolando quel poco che rimane]

Una creatura imponente, che ancora una volta aveva assunto le sembianze di un demone degli abissi, guardava torva, dall’alto in basso, i pezzi bruciacchiati, che si muovevano appena, di quello che un tempo era stato un uomo. Con un ringhio riluttante, Nergal allungò i tentacoli per radunare la carne tremolante e guarire Elminster, cucendolo pezzo per pezzo. Lentamente, rimise insieme un corpo devastato e flaccido.

VIVI, STUPIDO MAGO. TI HO QUASI UCCISO PER DAVVERO, MA SEI UN GIOCATTOLO CHE IO POSSIEDO, E ALTRI DEMONI NO. INOLTRE, SEI PERLOMENO… INTERESSANTE.

SO CHE COSA STAI FACENDO. PIÙ VOLTE MI HAI CONDOTTO ABILMENTE FRA LE OMBRE, RIVELANDOMI SOLO CIÒ CHE È POCO IMPORTANTE E NASCONDENDOMI CIÒ CHE CERCO.

ORA È FINITA. IRROMPERÒ NELLA TUA MENTE E LA DEVASTERÒ OGNI VOLTA CHE TENTERAI DI RIFARLO. ORA HO GRAN PARTE DEI TUOI INCANTESIMI, NON PUOI RESISTERMI. QUESTA VOLTA CERCO RICORDI DI ELMINSTER CHE USA POTERE SU INDIVIDUI IMPORTANTI DEI REGNI, NON MAGHI, BENSÌ GOVERNANTI, CHE QUANDO PARLANO VENGONO ASCOLTATI, [sbuffata] A DIFFERENZA MIA.

[verme mentale, che s’insinua in profondità, giù, giù, sempre più in basso…]

«Interessante», affermò la Srinshee dolcemente, sfiorandogli il mento con la punta delle dita. «Gran parte dei miei parenti cormanthoniani temono la derisione dei loro pari più di ogni altra cosa e, a seguire, la perdita della ricchezza e del potere magico. Tu temi di deludere i tuoi amici e di consegnarli alla morte. Sei più anziano, per saggezza, di molti elfi di questa città, e più tragico. Hai perduto più amici e parenti dei più giovani di Cormanthor; solo noi anziani abbiamo provato il fardello delle lacrime che ti porti appresso. Eppure c’è qualcos’altro in te… una spina dorsale di potere, sempre presente, che ti scalda di continuo durante le tempeste della vita».

La sua mano toccò il cavallo della tunica di filigrana lavorata che indossava, ed estrasse un pugnale minuscolo da un fodero nascosto. Lo sguardo fisso in quello del suo interlocutore, la donna mormorò: «Perdonami. Il mio non è un attacco, ma devo sapere». Scegliendo un punto sulla parte esterna dell’avambraccio, la Srinshee gli fece scorrere il pugnale scintillante lungo la pelle. Zampillò un po’ di sangue e poi… qualche scintilla.

La donna mormorò qualcosa e allungò un dito. Il bagliore argenteo che scaturì dal corpo dell’uomo la fece urlare e indietreggiare barcollante, avvolta dalle fiamme.

Elminster si voltò, appoggiò una mano sulla ferita che gli aveva provocato e si scusò balbettando.

Debolmente, tra fili di fumo e brandelli di stoffa, la Srinshee rispose: «No, uomo, la colpa è mia. Ho pronunciato un incantesimo che tentava di rubarti il fuoco argenteo dalla ferita. Mystra è più presente in te di quanto non pensassi».

TUTTO QUI? CREDI DI CAVARTELA CON COSÌ POCO? CHE NE DICI SE TI SOTTRAGGO QUALCOSA DALLA MEMORIA, COSÌ? NO, NON URLARE. TE LO SEI VOLUTO! VEDIAMO CHE C’È QUI…

Elminster sollevò lo sguardo dal libro, accigliato. Che cosa succede…?

Un granello di luce comparve nell’aria…

Il mago balzò in piedi, gettò da parte il tomo e afferrò la bacchetta difensiva, nuova e potente.

La luce era diventata alta quasi quanto lui, d’un bagliore accecante. Era dorata e in qualche modo aveva eluso le sue difese! Che cosa poteva mai…

La luce proveniva da una spada. Sottile, magnifica, una spada elfa incantata, sostenuta da un esile braccio: la Srinshee!

«Auluua!» gridò Elminster, la bacchetta crepitante fra le mani, pronta in caso di necessità. «Sei tu?»

La minuscola donna elfa gli sorrise, nonostante apparisse triste e cupa in volto. «Solo tu mi chiami così, El. Ah, ma è bello risentire la tua voce!»

Lasciò cadere la spada e gli corse incontro, lasciando fluttuare l’arma dietro di lei. Un bagliore dorato si levò a spirale dalla sua punta.

El aggrottò la fronte e guardò la spada. «È la Spada del Dominio!»

Poi la donna gli si gettò fra le braccia, sollevò gli occhi lucidi di lacrime e il mago si dimenticò la spada e la magia. «Stringimi», mormorò lei, la voce tremolante, sull’orlo delle lacrime, «e… baciami! Baciami, che tu sia dannato, insieme a Mystra e a tutti i fieri elfi e rovina, rovina ovunque!».

La donna stava piangendo quando El si chinò e appoggiò le labbra sulle sue; la sollevò fra le braccia, la bocca elfa avida ed esigente, le mani sottili strette come artigli intorno alle braccia e alle spalle del mago. Le loro menti si toccarono, quella della Srinshee un mare scuro e tempestoso, piena di disperazione e di bisogno, quella di El sorpresa e calda, desiderosa di consolare…

Un po’ di sangue gli uscì dalla bocca, nel punto in cui la donna l’aveva morso. La Srinshee reclinò il capo, rabbrividendo, e sibilò: «Ascoltami. Ascoltami, poiché ho molta fretta e dei diversi dai tuoi m’incalzano. Una magia malvagia potrebbe colpirmi rapida alle spalle!».

El sogghignò. «Hai sempre condotto una vita interessante, di complotti e di segreti. Parla, ti ascolto!»

Con un ampio sorriso, la donna gli assestò uno schiaffo. Recuperato di buon umore, gli sussurrò all’orecchio: «Devo scomparire per un po’, forse per molto tempo. Probabilmente non ci vedremo più e non potrai più tenermi stretta. Sappi che Mystra mi ha concesso un favore. Potrò sempre parlare con te attraverso il fuoco argenteo. Ascoltalo quando canta, e chiamami: io sarò con te. Ora baciami ancora, maledetto! Potrebbe essere l’ultimo bacio che…».

[schiaffo]

[confusione d’immagini che sbiadiscono, s’infrangono come i vetri di uno specchio e svaniscono]

DUNQUE QUESTO È IL PICCOLO SEGRETO CHE MI STAVI NASCONDENDO? HAI PARLATO CON LEI PER TUTTO QUESTO TEMPO, NON È VERO? HAI CHIAMATO I TUOI AMICI ALL’INFERNO, CONTRO DI ME, ALCUNI HANNO SENZA DUBBIO ELABORATO PIANI ASTUTI, MENTRE I PIÙ PRECIPITOSI E STUPIDI TENTAVANO DI ATTRAVERSARE AVERNO PER DISTRUGGERMI! SONO AL LAVORO IN QUESTO MOMENTO, NON È VERO? VERME UMANO!

No, Lord Nergal! Ascoltami: non posso più parlare con la Srinshee!

[occhiata sospetta]

Guarda, qui. È la verità, vedi?

OH. È MORTA, EH?

Non lo so. Abbiamo parlato molte volte, quando uno dei due si sentiva molto solo, per anni, secoli. Fino alla Caduta degli Dei, quando Mystra mi affidò il suo potere. Allora, molte cose furono cancellate dentro di me, e questa è una di esse. A meno che la Srinshee non venga da me, e non operi qualche magia al di là delle mie capacità, non ho più modo di parlarle.

PROVO QUASI PIETÀ, UMANO. QUASI.

[perplessità, impeto di rabbia che lascia il posto alla confusione totale]

E ORA CHE MI SUCCEDE, PERCHÉ HO DETTO CIÒ? PERCHÉ HO PROVATO PIETÀ?

[sorriso silenzioso]

NO, ELMINSTER, NON STO DIVENTANDO DEBOLE E SENTIMENTALE. BACIA QUALCUN ALTRO. IO SONO ALLA RICERCA DELLA MAGIA. DI PENSIERI E RICORDI CHE POSSA USARE ALL’INFERNO, E TU LO SAI. MOSTRAMI DELL’ALTRO!

Naturalmente. È quello che sto facendo: mostrarti magia, usi ed effetti.

BAH! RIESCI A SPACCARE UN CAPELLO IN QUATTRO ANCOR MEGLIO DI AMNIZU! UMANO, MI DISGUSTI!

Un altro risultato di cui andar fieri. Ne sto facendo collezione.

A CHE TI SERVE UNA COLLEZIONE, SFACCIATO MORTALE, SE NON PUOI RICORDARE NULLA DI TALI RISULTATI O, MEGLIO, NIENTE DI NIENTE? PRESTO AVRÒ TUTTO IO E LASCERÒ IL POTENTE ELMINSTER A PARLARE A VANVERA PER IL RESTO DEI SUOI GIORNI.

Minacce. [sospiro mentale] Ciò mi ricorda qualcosa…

[luccichio mentale, ricordi che scorrono fino a un punto particolare…]

«Halueve Starym», sbottò gelido l’uomo in nero, «è tanto saggio?».

L’elfo con tre bracieri crepitanti fluttuanti a mezz’aria davanti a lui si voltò, gli occhi fiammeggianti di rabbia, e sogghignò: «Ah! L’umano che ha condannato la serena Cormanthor! Non parlarmi di saggezza, Uccisore della Serenità!».

«Bene, allora», ribatté Elminster Aumar avanzando con tranquillità, «allora parlerò della follia… della tua. Perché folle è chiunque pensa di incantare demoni per piegarli al suo servizio ed esserne padrone».

VENGONO EVOCATI I FUOCHI DELL’INFERNO, HMMM? È STATO GIÀ FATTO PRIMA, LO SAI.

Sì. E molte volte.

VA’ AVANTI, MAGO!

Il ghigno di Halueve Starym si ampliò in un ringhio. «Non parlarmi di follia, umano», esclamò con rabbia. «Vattene intanto che hai ancora le gambe per farlo! Posso inviare demoni al tuo letto, affinché ti scortichino, un arto alla volta!» Sul suo volto comparve un sorriso mellifluo, malvagio, poi, sarcasticamente, aggiunse: «Dovrai dormire prima o poi, lo sai, debole e gracile umano ficcanaso». Nonostante, all’apparenza, non avesse sollevato nemmeno un dito per lanciare un incantesimo, una linea di fiamme balzellanti si formò fra i due maghi, circondando Halueve Starym. «Vattene, Elminster. La tua Arte è tanto debole che posso schiacciarti quando voglio e, se mi secchi ancora, ti distruggerò. Vai via, mentre mi sento ancora compassionevole!»

Il potere si destò spontaneo in Elminster, e alcune scintille argentee vorticarono brevemente davanti ai suoi occhi. Il mago s’irrigidì.

Non fuggire. Ha rilasciato una magia immediata che cerca di nutrirsi di te, mangiandoti carne e sangue, e la mente stessa. Resta semplicemente dove sei e non fare nulla se non difenderti coi tuoi incantesimi: il fuoco argenteo sarà la sua rovina. Attento al braciere alla tua destra; è un demone in agguato.

Auluua! Elminster sentì il cuore balzargli nel petto. Sei ancora lì!

Per poco. [sorriso] Lasciati baciare, prima che scompaia…

Una sorta di calore lo pervase, una sensazione come d’acqua dolce e. di brezza leggera, di sole estivo, e di carezze dal potere magico…

L’incantesimo assassino che lo colpì, lo destò da tali piacevolezze, s’avventò sul suo scudo magico e lo ridusse in pezzi.

El rivolse a Starym un sorriso glaciale. «Ahi, ahi, ahi», esclamò beffardo. «Ring flang floom, e sono ancora qui. Credo che i tuoi incantesimi non siano poi tanto potenti. Forse inganni Halueve Starym ancor più di quanto tu non faccia con Elminster Aumar. Ti sei approfittato abbastanza di me?»

L’elfo emise un urlo furioso e sollevò le mani a mo’ d’artigli, scagliando un incantesimo, il cui impiego era da sciocchi anche con indosso un’armatura magica da battaglia. La stanza s’incrinò e tremò ancor prima che Elminster venisse colpito.

Il fuoco argenteo avvampò e decretò il destino di Halueve Starym. El si assicurò che il primo fulmine distruggesse il braciere di destra, e fu accontentato, poiché le pareti cominciarono a cedere attorno a lui, con un gemito lungo, stridulo e disperato…

ORA, QUESTO, PICCOLO UOMO, ALMENO MI PORTA ALLA TUA GIOVINEZZA E AGLI INCONTRI CON MAGHI… E CREDO ANCHE VICINO A MYSTRA. NON HAI PAURA DI UCCIDERE DEMONI, VEDO.

Dopo i miei primi secoli, Lord Nergal, ho vinto molte delle mie paure. Di questi tempi, non me ne rimane quasi nessuna.

LO VEDREMO, UMANO. OH, SÌ, LO VEDREMO DI CERTO.

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