4. Amare una dea

L’odore era insopportabile. Ossa e sangue… sangue che sgorgava dal terreno e fluiva in rivoli sulle pietre affilate, mentre gas nauseabondi avvolgevano ogni cosa. Una figura si mosse in mezzo ai vapori infernali: un uomo nudo e solo si trascinava dolorante giù per un dirupo, simile a un granchio schiacciato che non sa dov’è diretto.

Le dita di Elminster erano monconi sanguinanti, lacerati da decine di rocce affilate come rasoi, ma le frustate mentali lo obbligavano a proseguire, tremante, senza meta. Una mosca dopo l’altra si posava sulla sua carne tremula e beveva avidamente il sangue prima di deporre le uova sotto la pelle del mago. Con un solo braccio su cui appoggiarsi, il Vecchio Mago non aveva modo di scacciarle. Non poteva far altro che grugnire e gettarsi sulla schiena. In quel modo riuscì a schiacciare una mosca ronzante e stridula, ma le altre volarono via… per poi posarsi sul ventre di El prima che questi potesse raddrizzarsi.

Davanti a lui si estendeva un paesaggio roccioso tormentato, fino a una gola dalla quale s’innalzavano minacciosi pennacchi di fumo bollente. Larve lunghe come tre uomini e sinuose come serpenti cadevano da alcune di quelle nubi in movimento, per nascondersi e scivolare tra le rocce. Gran parte di esse sembravano in grado di fiutare l’odore del sangue dov’era più intenso; strisciavano infatti verso un luogo in cui si muovevano masse amorfe e pallide. Lemuri dal manto lievemente luccicante si nutrivano in una piccola fossa colma di larve… ignari del fatto che altre larve frugavano nelle loro estremità posteriori.

Una vista corroborante… non che Elminster badasse molto a dove andasse in quella terra di morte e di crudeltà. Dappertutto vi erano pericoli nascosti, in agguato. Esplosioni di fuoco si verificavano dalle montagne distanti; di tanto in tanto spinagon e altre creature diaboliche si levavano con le loro ali battenti per attraversare il vuoto sopra la gola e guardare affamate le lotte sottostanti.

Più in basso, sul terreno, ondeggiava qualcosa che pareva una sorta di merletto, fatto di fauci, d’artigli e di occhi, uniti da funi di carne color malva. Una lancia uncinata si sollevò, pronta a infierire brutalmente su un demone caduto al suolo. La zuffa che seguì fu breve e la strana creatura volante si levò nuovamente nell’aria, più grande e pesante di prima.

Si levò nel cielo e virò in direzione di Elminster, scendendo in picchiata con le sue molte fauci dentate che ruotavano anteriormente. Si avvicinava sempre più, le bocche spalancate, consapevole che la preda non si sarebbe potuta nascondere.

Il Vecchio Mago lo osservò con aria truce. Nergal avrebbe manifestato il suo potere attraverso di lui, per difendere quel corpo che aveva tanto maltrattato, o avrebbe lasciato che il mostro lo squarciasse e lo divorasse… salvando solo la sua testa?

La creatura dalle molteplici fauci continuava la sua discesa, perdendo fili di bava verde. Decine di occhi neri e dorati incontrarono quelli di Elminster, luccicando in famelica attesa. Beh, la risposta non avrebbe tardato ad arrivare…

GUARDO E RIGUARDO, ELMINSTER, I RICORDI CHE MI MOSTRI A MO’ DI SCUDO, EPPURE NON TROVO NULLA DI CIÒ CHE CERCO.

DOVE SONO I SEGRETI DEL FUOCO ARGENTEO? DOVE SONO GLI INCANTESIMI, I LIBRI DI MAGIA E GLI ANELLI NASCOSTI, GLI SCETTRI E TUTTO IL RESTO, CHE RISPLENDONO DI POTERE CHE POSSO USARE? ALLORA?

L’arcidemone frugò ancora, esaminando un ricordo dopo l’altro con gli artigli. Impaziente, si faceva strada nelle buie caverne della memoria di El.

Una regina elfo in piedi su una scogliera, i brandelli della tunica lacerata da una spada e inzuppata di sangue, che si agitano nella brezza serale. Mentre guarda, torva, la terra sulla quale tramonta il sole, le sue braccia cingono le spalle larghe di un nano arcigno in armatura. Lui le prende la mano e piange sul suo ventre. La sua ascia insanguinata ciondola dalla cintura di guerra, appesa a un braccio irsuto, stanco…

AAHH! NELLA TUA MENTE VI SONO SECOLI E SECOLI DI CIARPAME! CHE COSA M’IMPORTA DI MORTALI ORMAI RIDOTTI IN POLVERE E DI REGNI DA TEMPO CADUTI?

Una giovane maga dagli occhi scintillanti si diletta a fare il suo primo grande incantesimo. Ha il viso radioso, pieno di luce. Fa compiere al cadavere ossuto e ingiallito del suo maestro un abbraccio passionale, e ricopre di baci le sue labbra devastate…

SEMPRE ATTENTO ALLA BELLEZZA, EH? PER ME È BELLA LA DEBOLEZZA… UNA FESSURA NELLA QUALE INSINUARSI, UNA BUONA PRESA DA USARSI SU UN NEMICO. SÌÌÌÌ…

Guerrieri dall’aria truce si appoggiano alle loro asce e ai loro spadoni. Una fredda espressione di minaccia riempie i loro sguardi mentre osservano i maghi avanzare. Elminster è fra loro. Uno spadaccino si agita troppo. Una figura incappucciata si volta di scatto e apre la mano. Un sigillo verde e luminoso si materializza proprio di fronte al guerriero nervoso, paralizzandolo. I maghi si allontanano e i guerrieri li guardano in cagnesco, silenziosi…

Nergal vagava di qua e di là, frugando nell’oscurità polverosa dove le piccole cose si rintanavano e quelle grandi dormivano. Il demone avanzava grugnendo. La consapevolezza nascosta di Elminster lo precedeva, acquattandosi qua e là dietro ombre mentali, ricordi che diventavano fitte ragnatele nella sua scia.

RISPONDIMI, UMANO! PENSI DI RIUSCIRE A NASCONDERTI NELLA TUA MENTE?

A un mondo di distanza, fauci e artigli si avventarono sulla preda. Il mago urlò, o tentò di farlo, accasciandosi quando un dolore rosso avvampò nelle volte buie della sua mente.

Nergal emise un verso spazientito e irritato, e linee di fuoco blu saettarono nell’oscurità. Si udirono rumori ed echi di quelli che sarebbero potuti essere ringhi o urla. Gli artigli e le fauci erano scomparsi.

El si rese vagamente conto d’essersi nuovamente accasciato sulle pietre affilate e indifferenti.

RISPONDIMI, ELMINSTER! ASCOLTA IL MIO RICHIAMO, MALEDETTO!

Lo sono già. Rannicchiato qui con i miei ricordi che fluiscono dal mio corpo come acqua, che scorrono fra le mie dita e scompaiono per sempre, per sempre…

PROPRIO COSÌ. PIANGI E LAMENTATI, MAGO! PIANGI E LAMENTATI.

[sonde mentali improvvise, che si serrano a mo’ di morsa]

MA PRIMA, MOSTRAMI LA TUA DEA CHE CONDIVIDE CON TE I SUOI RICORDI. COME FINISCONO NELLA TUA MENTE? IN CHE MODO? FAMMI VEDERE! ORA!

Occhi scuri nuotano nei sogni. Le visioni affluiscono copiose, svegliando di soprassalto un Vecchio Mago appisolato. Sorpreso, questi si mette a sedere sul letto, i suoi occhi emanano un fuoco di color bianco e blu. Le fiamme si riflettono negli occhi di colei che gli giace accanto… la sorridente Storm in un primo tempo, e più tardi la fiera Strega-Regina di Aglarond. I capelli della donna si agitano attorno alle spalle magre come lame argentee bramose di colpire il nemico, da quando…

SÌ, SÌ. DI DONNE NE HAI AVUTE DA VENDERE! LASCIAMI ENTRARE, MAGO! NON FARMI VEDERE LA TUA FACCIA DOPO CHE LEI TI HA TOCCATO LA MENTE! MOSTRAMI!

[fuoco bianco e blu accecante]

AARGGH! COME HAI OSATO?

[frustata mentale dolore rosso agonia nera rovina purpurea]

SMETTI DI GRIDARE! PENSI D’ESSERE L’UNICO MORTALE PRESUNTUOSO A CUI ABBIA SPREMUTO LA MENTE?

[guarigione riluttante]

ECCO. ORA SMETTI DI GIOCARE, ALTRIMENTI ASSAGGERAI DI PEGGIO.

Non sto giocando. Volevi vedere il tocco mentale di Mystra, ed è ciò che ti ho mostrato. Il fuoco immortale.

LEI SI MANIFESTA SOLO IN SOGNO, E TU VEDI I RICORDI CHE LASCIA SOLO QUANDO SE N’È ANDATA? BAH! NON INGANNARMI! LI DEVE TRASMETTERE DIRETTAMENTE ALTRIMENTI TI LASCEREBBE PRIVO DI CONTROLLO.

Sì, lo fa, il più delle volte. Quando parliamo direttamente, io ho immagini del momento, non ricordi che valga la pena di condividere.

NULLA DI PIÙ? MAI?

[rapido sguardo]

AHA!

[immagini confuse, che passano rapide]

AHA! CHE COS’ERA QUELLO?

[giù, tormentato dal demone, verso la lucentezza… di Mystra, molto, molto tempo addietro, nella terra della giovinezza di Elminster…]

Occhi pieni di stelle, fissi nei suoi. Elminster lottò per respirare quando labbra di fuoco e, nel contempo, di ghiaccio, gli baciarono la gola, avanzarono lungo la spalla e lo morsero delicatamente. Fuoco argenteo fluì dalla ferita. Si mescolò alla fiamma bianca e blu che costituiva i suoi capelli, le sue mani e una tunica regale che fluiva, infinita, dal suo corpo.

Fluttuarono nell’aria, una stella bianca e blu sopra Athalantar; El intravide alcuni fuochi tremolanti di lanterna nell’oscurità sottostante, mentre si rotolavano insieme.

«La tua provocatoria tenerezza, El… aahh, potrei assaporarne all’infinito. Abbandonati, mio Eletto. Abbandonati a Mystra.»

«Volentieri», mormorò Elminster, giovane e docile, gli occhi scintillanti.

Mentre s’innalzavano nel fuoco ardente, ricordi che non gli appartenevano invasero la sua mente. Le immagini turbinavano, cozzavano, si rincorrevano in un tumulto di torri abbattute e di draghi impegnati in combattimenti all’ultimo sangue. La terra fu scossa. La roccia tremò e si levò a formare alti picchi. Maghi arroganti illuminarono il cielo d’incantesimi…

PERCIÒ I SUOI RICORDI PENETRANO IN TE QUANDO LE VOSTRE MENTI SONO UNITE? DEV’ESSERE SUA INTENZIONE CONDIVIDERLI, ALTRIMENTI SIGNIFICA CHE SERVI UNA DIVINITÀ DEBOLE…

[pianto, caduta dalla luce nell’oscurità, sconforto e solitudine]

OH, SMETTILA! POTRAI AVER AMATO UNA DEA ED ESSERE SOPRAVVISSUTO, MA SE SFIDI ME MORIRAI! MOSTRAMI ANCORA IL FUOCO ARGENTEO, CHE FLUISCE DENTRO DI TE! SÌ! SÌÌÌ!

[sonde mentali scagliate brutalmente, che trafiggono il vivido ricordo]

[pianto, lacrime scintillanti, resa]

Tenui stelle estive brillavano su Myth Drannor. Elminster fluttuava pensieroso nel cielo, guardando le spire scintillanti e maestose sotto di sé. Presto sarebbero crollate, se gli inganni, l’orgoglio smisurato e l’ingerenza pericolosa degli Starym fossero passati inosservati. Una tale bellezza perduta…

Come Netheril prima di essa, esclamò una voce vibrante nelle profondità della sua mente. Fuoco bianco e blu avvampò nell’aria intorno a lui. È il destino delle cose, mio caro Eletto.

«Sacra Mystra», sussurrò El. Il fuoco si fece più intenso e più scuro, fino a diventare una distesa blu-nera di innumerevoli e minuscole stelle… il sé più intimo della dea. «Sono molto felice di vederti. Mi sono sentito triste e solo.»

Anch’io. Quegli occhi in cui poteva cadere, per sempre, si aprirono nell’aria di fronte a lui, e lo trascinarono dentro. Confortiamoci a vicenda, nel corpo e nella mente.

Il fuoco argenteo s’insinuò come un vortice nell’uomo fluttuante, sollevandosi con eccitazione frenetica per incontrare la fiamma più grande che lo aveva originato. Le stelle si unirono a formare braccia e labbra sottili, che si affievolirono in un bagliore cupo quando il flusso d’immagini cominciò. Le due menti s’incontrarono. Il fuoco argenteo si sollevò e balzò in avanti e all’indietro, sempre più veloce. Con un grido di contentezza simile a un fiero squillo di tromba Elminster Aumar urlò il proprio nome per tenersi aggrappato a se stesso… ecco, ecco che accade…

[fuoco, bianco e furioso, travolgente, s’innalza verso uno splendore glorioso, accecante]

D’un tratto il fuoco era scomparso, ed Elminster stava sussultando sulle rocce sotto un cielo tinto di rosso. Un grido muto e agghiacciante squarciò l’aria dell’Inferno dietro di lui.

Demoni minori turbinarono nel cielo, come pipistrelli che escono da una caverna al tramonto, e volarono verso quel verso agonico e straziante, impazienti di vedere la vittima capitolata.

Debole e nauseato, il vecchio con un braccio solo si rotolò in una fessura e si coprì con le ossa incenerite di un demone morto da tempo. Il cranio cornuto e grottesco gli sorrise col suo sguardo eterno. Se la fortuna o la grazia di Mystra l’avessero assistito, adesso non avrebbe avuto alcun Nergal a proteggerlo dagli artigli di baatezu di passaggio.

Già, era giunto a tanto… a rallegrarsi della possibilità di rimanere solo e indifeso in Averno.

Chiudendo gli occhi El si immerse in quel pensiero ironico e discese nuovamente nelle volte oscure della sua memoria, cercando Nergal. Il demone reietto si era già rivelato un bruto, dotato di un’intelligenza di poco superiore a un astuto mercenario di Faerûn. Se un semplice ricordo del tocco mentale di Mystra gli aveva causato tale dolore, forse era abbastanza debole perché un Eletto della dea… anche se debole ed esausto… riuscisse a liberarsi di lui.

Cauto e silenzioso, Elminster scivolò nella sua mente, cercando il luogo che era diventato una rovina purpurea… la parte perduta per sempre. La rovina si stava estendendo…

Laggiù, fra un bagliore rosso sangue e frammenti scheggiati di ricordi, trovò Nergal. Spalle imponenti, il corpo grigio screziato irto di barbigli, i tentacoli ancora irrigiditi dal dolore, le grandi mani artigliate che cercavano tentoni…

[Dolore… furia dei Nove Inferni, che dolore! Dunque ciò era quello che potevano fare le dee… e i maghi imbroglioni…]

Sempre cautamente, El s’inginocchiò. Poi evocò una piccola quantità di fuoco argenteo; con la punta di un dito tracciò una linea sulla pietra consumata e impolverata. La linea iniziò a fumare a mano a mano che il mago bruciava il percorso sul pavimento dei suoi ricordi, cedendo sempre più memorie in modo da tenersi lontano dal suo raccapricciante aguzzino. Intorno a quel pilastro di cose da dimenticare, e a quell’altro, di rimpianti, poi giù per quel sentiero oscuro, furtivo e rapido…

CHE SUCCEDE? MORTALE, CHE STAI FACENDO?

E ora oltre quella stanza, senza rispondere, e giù per le scale, in fretta, con le pareti che tremano a sinistra, dove l’arcidemone inizia ad agitarsi…

CHE COSA STAI FACENDO?

Non rispondere, ma affrettati ora, trascina il fuoco argenteo in una linea luminosa e lacerante, ancora qualche gradino e a sinistra, qui, fra i pilastri e nell’arcata oltrestante… esplosione, ma la stanza s’illumina, rosso e luce davanti a sé, e lui è in attesa…

Serra la mano sul fuoco argenteo, ordinagli di abbassarsi, sprofonda nelle rocce, diventa scuro e silenzioso, una statua in questa stanza di statue. Attenta, fredda e silenziosa. Sii pietra. Non esistere. Sii perduto e dimenticato.

Gli arcidemoni camminano e strisciano. Rumore di passi e un debole fruscio. Un incedere lento e pesante. Arriva. I passi si avvicinano. Sii pietra. Sta per arrivare. Lento e cauto. Siamo stanchi, non è vero, Onnipotente di Averno?

Passi. Artigli che raschiano la pietra.

ELMINSTER, ALZATI. SO CHE CI SEI.

Silenzio di tomba. Il dolore giungerà comunque, perciò sii pietra, e lascia che la rabbia lo accechi.

[sonda fredda come il ghiaccio, lenta, affilata e deliberata, centra il bersaglio]

[spasmo, agonia straziante]

SÌ. NON INGANNARMI, PICCOLA SERPE DI FUOCO ARGENTEO. NERGAL SPADRONEGGIAVA ALL’INFERNO QUANDO ATHALANTAR NON ERA ANCORA NATA.

[dolore dolore dolore]

[soddisfazione macabra, l’affermazione di Nergal che risuona nella mente distrutta di un mago mortale, che si contorce e sbava, e si solleva in Averno come un idiota sogghignante, disseminando ossa]

Un abishai apparve all’orizzonte, artigli protesi, sogghignante fra i numerosi denti, ali nere e morte certa…

Un fuoco color rosso purpureo fuoriuscì dalle fauci spalancate del nemico, e la sua testa esplose, imbrattando Elminster di sudiciume umido e rendendolo di nuovo consapevole di Averno. Il mago si alzò in piedi nella fenditura che aveva scelto come nascondiglio; il corpo senza testa dell’abishai s’accasciò sulle pietre davanti a lui, i muscoli che ancora si muovevano nel tentativo di volare. Più oltre, un enorme drago svolazzò nel cielo, nero e terribile. La belva azzannò rapida alcuni spinagon in fuga, come uno squalo che nuota in mezzo a un branco di pinnedargento. Una colonna di fuoco s’innalzò dal fianco di una rupe nera alla sua sinistra…

UN ABISHAI IN MENO CHE PUÒ ROVINARE IL MIO GIOCATTOLO. SII RICONOSCENTE, MAGO. NON TI HO ANCORA UCCISO.

Non ti ho sferrato alcun attacco. Quando t’impossessi dei miei ricordi, essi sono quello che sono: non posso cambiarli. Senti ciò che sentii io allora.

DAVVERO STUPEFACENTE! NON MI MERAVIGLIO CHE TU SIA ANCORA QUI A SFIDARMI.

Elminster rimase cautamente immobile e silenzioso nella fessura e nella sua mente.

UN’UNIONE DI MENTI, E DI RICORDI DELIBERATAMENTE CONDIVISI. CIÒ RINNOVA LA TUA LEALTÀ E TI FA CONOSCERE L’ESTASI, FINCHÉ NON SVILUPPI ASSUEFAZIONE PER IL TOCCO DIVINO: ALLORA FARESTI QUALSIASI COSA PER SPERIMENTARLO ANCORA.

Elminster chinò la testa. Sì, è un’interpretazione possibile.

[ghigno torvo] NON PUOI SEMPLICEMENTE DIRE CHE HO RAGIONE, UMANO?

Mystra la vedrebbe diversamente, replicò El mostrando quanta più dignità mentale possibile. [immagine di braccia conserte, busto eretto, mento sollevato]

SICURAMENTE TI HA INCULCATO IL SENSO DELLA SFIDA, O TI HA SCELTO PER TALE QUALITÀ. IL CHE VI RENDE ENTRAMBI DEGLI STOLTI.

[improvvisa sonda mentale]

[sussulto]

[immagine brillante, dopo immagine, dopo immagine]

DUNQUE, NIENTE UNIONI CON COLEI CHE ORA È MYSTRA.

Pensiero condiviso: il che significa che non rimane alcun legame che possa permettere a Mystra di raggiungere il suo Eletto e causare danni all’Inferno.

[sollievo] DUNQUE, PICCOLO UOMO, TORNIAMO A QUEL FUOCO ARGENTEO.

Dolore lancinante, seguito da un senso di torpore. Elminster vacillò nella fessura. Una larva più grande di lui si era impennata e aveva affondato i denti nella sua spalla sinistra. Il suo corpo lucente ondeggiò sul suo torace e iniziò a farsi strada dentro di lui…

Contorcendosi dal dolore, El cercò di scacciarla, ma la risata di Nergal lo fece sussultare.

TORMENTATO DALLE LARVE! TI SI ADDICE, INFIDO MORTALE! ORA, ESCI DA QUELLA FESSURA E STRISCIA! SÌ, COSÌ!

Barcollante, El si ritrovò a camminare nuovamente fra le rocce frastagliate, mentre il peso della larva, che ora era avvolta intorno al suo corpo e stava cercando, avida, di aprirsi un varco dentro di lui, lo costringeva a sbandare e a ondeggiare.

LA MIA MAGIA TI TERRÀ IN VITA, MIO ONORATO OSPITE. TUTTAVIA, MI SPIACE ANNUNCIARTI CHE SOFFRIRAI. [scoppio di risa]

L’AVVENTURA, PICCOLO UOMO, È QUEL CHE CI VUOLE. LA MIA SI SVOLGERÀ NELLA TUA MENTE, IN MANIERA PIÙ CAUTA DI PRIMA. LA TUA SARÀ UNA PASSEGGIATA PER L’INFERNO.

NON TEMERE; TI TERRÒ IN VITA. DESIDERO QUEL FUOCO ARGENTEO.

[dolore, dolore che si abbatte bruscamente, dolore che si diffonde, la larva che lacera e si agita]

AVANTI, UMANO. ECCO… LA MAGIA È UNA COSA SPLENDIDA, NON È VERO? ORA ESAMINIAMO I PRIMI TEMPI DEL TUO SERVIZIO, CREATURA DI MYSTRA, E LE TUE AVVENTURE DI ALLORA. MOSTRAMI QUANDO LAVORAVI CON ALTRI, IN MODO CHE IO POSSA VEDERE LA MANO DELLA DEA IMPEGNATA A PLASMARTI.

[volti di amici, merli di castelli, una luna seminascosta, vicoli scuri e spade sguainate…]

ECCO! FAMMI VEDERE TUTTO, ELMINSTER!

[merlature diverse, volti differenti, uno fluttua in primo piano: un mago barbuto, grasso e accigliato, che avanza barcollando, pieno di sé…]

SÌ, QUELLO VA BENE! MOSTRAMI!

Ascoltami, Vangerdahast. Per amore della Signora che entrambi serviamo, ascoltami.

SMETTI DI BORBOTTARE MENTALMENTE, MAGO! VA’ AVANTI!

[immagini che vorticano luminose, si srotolano…]

«D-da questa p-parte, Signor Mago A-altissimo», tartagliò il Custode delle Volte, che tanto somigliava a un topo.

«Sì, si sì», rispose irritato Vangerdahast. Avendo, tempo addietro, svolto la sua parte nell’elaborazione di incantesimi protettivi della Stanza delle Pergamene e dei Registri, ed essendo l’unico funzionario di corte a consultare spesso tali documenti, il mago aveva una chiara idea di dove si trovasse quella stanza tanto grande e centrale. Come se, al momento, non avesse abbastanza preoccupazioni, ma che diavolo aveva quel…

Si fermò bruscamente, e ciò che vide lo lasciò a bocca aperta. Un istante più tardi si ricompose, ma era ormai troppo tardi perché gli occhi attenti del Custode non lo notassero. L’ometto non osò sorridere, ma non riuscì a celare il divertimento nello sguardo fattosi improvvisamente trionfante.

«Lasciaci soli», sbottò il Mago Reale, «e chiudi le porte quando esci».

Vangerdahast non si disturbò a guardare il cortigiano frettoloso, e non mosse un muscolo finché le doppie porte di bronzo, enormi e pesanti, non si richiusero alle sue spalle… lasciandolo solo con la cosa.

La cosa che non si sarebbe dovuta trovare in quel luogo.

I suoi predecessori, varie generazioni di Maghi della Guerra e pochi maghi in visita che meritavano una simile fiducia, avevano tessuto un incantesimo dopo l’altro sulle pareti, sui pavimenti e sul soffitto della stanza e dei locali che la circondavano. Magie difensive, designate a sventare qualsiasi nuova tecnica di spionaggio e di teletrasporto o altre vie d’accesso. Nei secoli esse avevano formato una ragnatela complicata che nessun uomo vivo conosceva o poteva dipanare senza mesi di lavoro e a rischio della vita.

Vangerdahast stesso aveva celato le magie esistenti con numerosi stratagemmi destinati a vanificare i tentativi di chiunque, tranne che dei più esperti operatori d’incantesimi di desiderio. Aveva, inoltre, elaborato magie meno raffinate, che avrebbero conferito agli incantesimi d’intrusione, a meno che non fossero preceduti da una chiave segreta, effetti paralizzanti e devastanti per la mente e il corpo di chi li avesse sferrati Ora, tuttavia, non osava inviare nemmeno un dardo magico alla cosa che fuoriusciva dal pavimento, per timore che si ritorcesse contro di lui.

Il Mago Reale si accorse di trattenere il fiato e respirò profondamente. Fece qualche cauto passo di lato e scrutò quell’enigma che era comparso nella sala.

Una mano maschile che si agitava… le dita lunghe, prive di anelli, che avevano lasciato strisce di pelle più chiara, con qualche pelo scuro sul dorso… protrudeva dal pavimento di marmo liscio. La lastra di dodici metri pesava numerose tonnellate. Sembrava che il proprietario della mano fosse sepolto sotto la lastra, poiché la mano non appariva recisa.

Vangerdahast ebbe l’istinto improvviso di sferrarle un bel calcio per verificare, ma i maghi reali di Cormyr non diventano vecchi e grassi compiendo azioni stupide. Perciò non fece nulla e si guardò intorno per assicurarsi che non mancasse niente e che tutto fosse al suo posto. Girò intorno alla mano, che non si era mossa di un millimetro e continuò a pensare.

Infine uscì dalla stanza. Ordinò, severo, al Custode preoccupato e al cerchio impassibile di guardie del Drago Purpureo appostate fuori, di sgomberare quell’ala del palazzo e poi di recarsi nella Stanza dello Stolto Sfrontato. Il mago rimase poi in silenzio, in attesa che gli echi dei loro passi obbedienti svanissero.

Vangerdahast pronunciò una parola a bassa voce, con la quale risvegliò le magie guardiane, che gli avrebbero rivelato la presenza di eventuali spie nascoste o in agguato. Non fu sorpreso nell’apprendere che non v’era nessun intruso nelle vicinanze. Assicurandosi di essere su una piastrella specifica del pavimento, il mago toccò uno degli anelli della catena nascosta che portava al collo e pronunciò una parola che aveva sperato di non dover più usare.

Improvvisamente, su una piastrella adiacente, si materializzò un uomo alto, in tunica nera, una mano sulla barba e uno sguardo tutt’altro che lieto. «Sì?» sbottò.

Vangerdahast s’inchinò lievemente davanti all’ospite. «Le mie scuse, Lord Khelben. Sii il benvenuto nel palazzo reale di Cormyr, in Suzail.»

«Vangy», brontolò Khelben, «so dove si trova il palazzo reale. E accetterò anche le tue scuse; la tua ospitalità mi onora, e ti sarei ancor più grato se mi spiegassi la ragione per la quale sono stato convocato». Gli angoli della sua bocca s’incresparono. «Una risposta sufficientemente interessante potrebbe anche placare l’ira di Laeral per la mia scomparsa improvvisa. Ti ricordo l’uso del condizionale “potrebbe” e di rispondermi a tono.»

Il mago fece un respiro profondo e incrociò il suo sguardo. «Siamo all’esterno della Stanza delle Pergamene e dei Registri; tu hai contribuito alla creazione di alcuni incantesimi di difesa, ancora attivi. Qualcosa è apparso là dentro e io spero che tu possa identificarlo e spiegarmi il perché della sua comparsa.»

Blackstaff sollevò un sopracciglio scuro, si voltò verso le doppie porte massicce e fece un gesto sinuoso con una mano.

Vi fu un istante di silenzio, poi le porte caddero in frantumi tra nubi di polvere, con un boato che crebbe e si affievolì in un attimo. Il torrente di metallo sgretolato era svanito, ingoiato dall’aria soprastante le piastrelle sulle quali erano in piedi i due uomini.

«Come…?»

«Uno degli incantesimi che escogitai molto tempo fa. Nessuna porta di questo luogo può resistermi.»

Ora fu Vangerdahast ad alzare un sopracciglio dubbioso. «Oh! Perché l’hai fatto!»

Khelben scrollò le spalle. «Tutti abbiamo il nostro modo di agire.» Puntò un dito sul pavimento tirato a lucido della Stanza, indicando la mano umana che si levava inverosimilmente dal marmo liscio. «Quella, per esempio, è opera di Elminster.»

«Che cosai» ringhiò il Mago Reale. «Ne sei certo!»

Khelben avanzò fino a un punto preciso del pavimento e mormorò una parola. L’aria avvampò per un istante, il mago sollevò una mano nel bagliore, e quando questo svanì, il Signore Mago di Waterdeep stava impugnando una grossa bottiglia decorata.

«Inconfondibile. Ho già visto prima tale incantesimo. Qualcuno ha fatto scattare una delle sue trappole… probabilmente posta in un luogo dove s’incontra con la Simbul.»

«Dunque è un Mago Rosso», rifletté Vangerdahast. «O forse… era.»

Khelben annuì, e si mise a bere dalla bottiglia, senza preoccuparsi di prendere un calice.

Il Mago Reale guardò la bottiglia con aria infelice. Quante altre sorprese nascoste aveva in serbo la ragnatela d’incantesimi della sala? «Come facciamo a sbarazzarcene!» chiese titubante a Khelben.

Il collega si passò la lingua sulle labbra e sollevò nuovamente la bottiglia. «Sono sicuro che sai come contattarlo», rispose. «Anche se non vuoi farlo.»

Vangerdahast fece una smorfia, come se fosse afflitto da un dolore improvviso. Superando riluttante la soglia, non più protetta dalle porte, il mago di corte sollevò una mano e mormorò qualcosa.

Khelben rimase a guardare, un sorriso appena abbozzato sul volto.

Improvvisamente un cerchio di luce avvampò sul pavimento e, un attimo dopo, qualcuno apparve nel centro.

Una donna alta e magra, che qualcuno avrebbe osato definire ossuta, poiché quando si voltò le si videro chiaramente le costole. Una chioma di capelli argentei ribelli si agitava intorno a lei come un covo di serpenti. Si voltò verso l’uomo che l’aveva evocata. Vangerdahast deglutì vistosamente.

Gli occhi furiosi della Simbul, Strega-Regina di Aglarond, erano a soli tre passi dai suoi. La donna era nuda e non sembrava divertita.

«Vangerda…» iniziò, la voce pericolosamente bassa e vellutata. Granelli blu di fuoco magico si raccolsero sul suo palmo sinistro e la maga si voltò per dare un’occhiata alla stanza.

L’espressione sul suo volto cambiò all’istante. Emise un gridolino di gioia e, a piedi nudi, silenziosamente, si affrettò a raggiungere la mano che spuntava dal pavimento.

Si chinò a guardarla… entrambi gli uomini la fissarono per un attimo, poi distolsero lo sguardo, si schiarirono la gola, e posarono nuovamente lo sguardo su di lei. La Simbul batté le mani e sibilò contenta: «Adrelgus, sì,… tanto folle da tentare di uccidermi!».

La donna si voltò a guardare i due maghi, si mise le mani sui fianchi e borbottò: «Era questo ciò che intendeva El per il mio “piccolo regalo proteso verso di me”!».

Batté di nuovo le mani e mormorò qualcosa d’incomprensibile. La mano scomparve improvvisamente e il pavimento di marmo riacquisì lucentezza e integrità, come se quella cosa non ci fosse mai stata.

La Simbul fece loro un allegro cenno di saluto, agitò i capelli con una mossa deliberatamente sensuale e schioccò le dita, poi svanì anche lei.

Inevitabilmente i due maghi fissarono il punto che aveva appena occupato, si schiarirono di nuovo la gola, dopodiché si voltarono a guardarsi.

«Se proprio devi farti catturare», affermò Khelben con voce fredda, «fa’ almeno che non sia una donna, o per lo meno, non quella donna».

Vangerdahast posò involontariamente lo sguardo sul punto in cui era spuntata la mano. Non vi era alcuna traccia della presenza di un Mago Rosso.

«Quanti palazzi, volte e castelli in tutta Faerûn, creduti luoghi sicuri dai loro padroni», chiese, nauseato, «possono essere violati con tanta facilità!»

Khelben sorrise con un solo angolo della bocca. «Oh», rispose tranquillo, «ne saresti sorpreso».

NO, NO! [grugniti di rabbia] NON MAGHI A CUI HAI INSEGNATO O CHE TI PORTI A LETTO! I PRIMI TEMPI, HO DETTO!

BAH! SE MYSTRA NON TI HA CRESCIUTO O CREATO, SICURAMENTE TI HA SCELTO. PORTAMI INDIETRO, PRIMA DELLA TUA NASCITA, IN QUALSIASI RICORDO TI ABBIA TRASMESSO RELATIVO ALLA SUA SCELTA… E VEDIAMO PERCHÉ.

STUPIDO MAGO!

* * *

Il Mago Reale di Cormyr alzò lo sguardo verso la Regina Filfaeril e vide nei suoi occhi la rabbia scintillante che si aspettava. Grazie, o dei protettori.

«Avete fatto bene a chiamarmi, Altezza», affermò serio Vangerdahast.

La regina annuì, il volto impassibile, e cominciò a indicare le guardie alla porta, le sue ancelle, i due maghi dietro Vangerdahast e, infine, la porta.

«M-mia Signora?» osò chiedere una delle guardie, guadagnandosi un rimprovero silenzioso e un gesto imperioso che gli ingiungeva di andarsene. Ciò fu sufficiente per dare avvio alla migrazione frettolosa e silenziosa.

Il mago di corte rimase in piedi, immobile davanti alla regina, finché i presenti non se ne furono andati, lasciandoli completamente soli.

«Signora?» esclamò l’uomo, senza curarsi di nascondere un sospiro.

«Vangy», sbottò la regina, emettendo a sua volta un sospiro esasperato, «chiamami Faeril o Fee o anche “stupida puttana”, ma smettila di guardarmi come se avessi condannato il regno con le mie mani! Che cosa mai stavi facendo di tanto importante se non scoprire l’ennesimo complotto contro il trono?»

«Signora», cominciò, avanzando per prenderle la mano, «non lo so. Stavo venendo qui, in risposta alla vostra chiamata, quando… quando mi sono ricordato una cosa».

La regina lasciò che il suo sopracciglio alzato in segno d’incredulità parlasse al posto suo.

Vangerdahast abbozzò un sorriso amaro e aggiunse: «Non sono ancora rimbambito, Faeril. Era un ricordo piuttosto importante, di Blackstaff e della regina di Aglarond, qui in queste sale, e non capisco perché mi sia tornato in mente. Improvviso e tanto vivido… tutta la scena si è svolta davanti a me, come se la stessi rivivendo».

La regina assottigliò gli occhi. «Khelben e la Simbul qui? Quand’è successo esattamente?»

Vangerdahast sospirò. «Signora», affermò, «non fa parte dei tradimenti attuali. Ve lo spiegherò dopo, quando mi avrete informato di quale complotto si tratti questa volta. Non sarà di Lady Kessemer, per caso?»

Filfaeril lo fissò. «E tu come lo sai?»

Il Mago Reale tossì. «Signora», le ricordò gentilmente, «sono un mago».

Negli occhi della donna brillò di nuovo una scintilla di rabbia. «Lo sapevi, e non me l’hai detto

Vangerdahast prestò molta attenzione a non sospirare e a non ruotare gli occhi. «Signora», cominciò cauto…

* * *

«Beeene, Regina di Aglarond, finalmente capiti dalle mie parti! Un piccolo sssbaglio, ma temo proprio sssarà l’ultimo!»

Le ampie ali da pipistrello del demone gongolante la colpirono in cielo e la fecero precipitare. La donna cadde duramente sulle rocce. Gli artigli crudeli di una decina di diavoli sogghignanti la tennero prigioniera e la graffiarono prima che riuscisse ad alzarsi, lasciandola nuda… appena il tempo per consentire alla frusta della grande bestia di abbattersi su di lei.

Mystra! Che fuoco! Urlante e singhiozzante sotto le grinfie dei tirapiedi del demone, la Simbul non riuscì nemmeno a reagire al dolore. Artigli l’afferrarono per i capelli e per la gola, tirandole la testa all’indietro e facendola inarcare. La fronte sanguinante, squarciata dalla frusta, rivolta verso un cielo dello stesso colore del sangue.

«Beeene, che gusto avrà un’umana toccata da una dea, mi domando», sibilò la creatura infernale, allungando un braccio nero oltremodo lungo.

Impotente, le braccia e le gambe divaricate, la Simbul riuscì soltanto a gemere, mentre la mano artigliata si richiudeva sul suo petto e stringeva. Le unghie affondarono nel suo corpo. La carne del demone era bollente.

Sentiva l’odore della sua pelle bruciata e sfrigolante, e il puzzo la soffocava ancor più del dolore. In qualche modo riuscì a gridare: «No! No! Nooooo!».

Il suo urlo fece tintinnare e sibilare tutti i cristalli e le gemme che fluttuavano nel buio intorno a lei. Ansimando, Alassra Silverhand fissò il soffitto della stanza.

Niente demoni, niente cielo tinto di rosso… era sola, a letto, madida di sudore. Le sue dita affondavano nel lenzuolo di seta e oro sottostante e niente la copriva se non aria… aria fredda. Eppure lei era in fiamme, bruciava come avesse la febbre…

No, il fuoco le ardeva nel petto! La Simbul pronunciò a fatica la parola che faceva illuminare il soffitto, poi, alla luce, esaminò il suo corpo. Era sporca di sangue scuro e secco… ma non abbastanza da coprire l’orribile cicatrice di una bruciatura sul petto.

Era un solco profondo, una bruciatura che avrebbe portato per sempre, a meno che non fosse riuscita a sanarla con la magia. Sembrava il segno di dita grosse e lunghe, dagli artigli affilati.

Ansimando di rabbia, di paura e nello stesso tempo di dolore, si mise seduta e si passò una mano sulla ferita. Sì, era reale.

Strinse i denti per la collera ancor prima di afferrare rapida due gemme incastonate nel bordo del letto. La magia si accese dentro di esse; il bagliore della prima indicò che il suo corpo non era contaminato, perciò Alassra lasciò che la seconda compisse l’opera di guarigione.

Respirando meglio a mano a mano che il dolore diminuiva, la regina di Aglarond reclinò il capo e i capelli s’agitarono come soffici serpenti attorno alle sue spalle nude. «Tharamma di Thay, e il suo incantesimo degli incubi! Deve essere lui!»

La gemma di guarigione si spense e i suoi piedi nudi si appoggiarono al pavimento. A grandi passi e con fare imperioso, la Simbul si lanciò, furiosa, lungo corridoi bui, mentre le porte si aprivano ubbidienti al suo passaggio.

Le guardie assonnate scattarono sull’attenti e non osarono muovere un muscolo mentre la regina passava loro accanto. Anelli, bastoni, tuniche e mantelli giungevano turbinanti alla regina di Aglarond vestendola per la battaglia via via che avanzava. Alassra ringhiò una parola e le porte incantate all’estremità di un ultimo corridoio si aprirono, lasciando entrare il freddo chiaro di luna.

«Bene», esclamò selvaggiamente, rivolta al gelido vento notturno, mentre usciva su una balconata illuminata dalla luna, «almeno questa volta so quale Mago Rosso non vedrà l’alba!»

Incantesimi scintillarono fra le dita affusolate della donna. Poi la regina si dileguò in un’ombra furente, che tremolò per un istante sotto la luna, turbinò sulle ali del vento, a est, nell’oscurità, e scomparve.

* * *

[Nel cuore furioso dell’Inferno un Vecchio Mago si lascia ricadere con un sospiro e si guarda la mano vuota e fratturata] Sì. Sei proprio stupido, mago.

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