3. Il giorno in cui la magia morì

Una fiamma ondeggiava sopra il tavolo della cucina della Torre di Elminster, a Shadowdale, fra due maghe accigliate e tremanti per la concentrazione.

La fiamma si nutriva di sola aria. Di colore blu vivido con screziature porpora e, talora, verdi, il fuoco sembrava volersi estinguere nonostante tutti gli sforzi della Simbul e di Jhessail… entrambe protese sul tavolo, le guance e il mento rigati di sudore. Fra la regina di Aglarond e la signora Cavaliere di Myth Drannor, la cui Arte era molto meno potente, l’aria sembrava crepitare di magia. Nelle vicinanze il Bardo di Shadowdale sedeva tranquillo, lo sguardo fisso sulla fiamma che prediceva il futuro. Lo scrivano di Elminster, Lhaeo, osservava in un angolo della stanza, una teiera ormai fredda dimenticata fra le mani. L’uomo non riuscì a soffocare un lungo sospiro di sollievo quando la signora bardo s’illuminò. Senza distogliere gli occhi dalla fiamma, Storm Silverhand annunciò: «Eccola… sì, è Sharantyr, sta ridendo e inseguendo qualcuno».

Jhessail si accigliò. «Ridendo e…? A chi mai potrebbe dare la caccia ridendo?»

«A Elminster», esclamarono all’unisono Lhaeo e la Simbul con tono pacato, assumendo la medesima espressione sagace. Al loro tono Jhessail sputacchiò divertita e il suo gesto fece ridere tutti; si udì anche una risatina spettrale provenire dall’aria vuota fra Storm e la Simbul: la sorella spettrale Syluné.

Storm perse il contatto nell’ilarità generale. Allargò le braccia impotente mentre la fiamma esplodeva in una nuvola di scintille ammiccanti, di colore blu e porpora, che alla fine si dissolsero nel nulla. Scosse il capo, sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia, massaggiandosi le tempie con dita stanche.

«Brave, voi due», esclamò, «considerando l’attuale inaffidabilità dell’Arte…»

«Noi tre», la corresse la Simbul. «Syluné ha fornito la concentrazione».

Storm sorrise sentendo un paio di labbra fredde sulla guancia. «I miei ringraziamenti, Sorella», affermò rivolta all’aria.

«Dov’erano!» chiese Jhessail, sporgendosi per avvicinare a sé una bottiglia.

La signora bardo scrollò le spalle. «Da qualche parte a sud-ovest rispetto a noi, più a sud, credo; probabilmente a Cormyr. Vicino alle montagne, in un castello o in altro luogo fortificato.»

La Simbul aggrottò la fronte. «La Valle Alta? La Gola Tuonante!»

Storm la guardò e si accigliò. «No, Sorella. Non devi rischiare la vita per cercarli. L’Arte potrebbe venirti meno in qualsiasi momento, e potresti attirare su di loro attenzioni indesiderate. Dobbiamo restare qui sedute senza fare nulla… per il momento.»

Shaerl fece una smorfia. «Quando sei una signora di corte, persino a Shadowdale, non fai altro che star seduta a far nulla.»

Illistyl le lanciò un’occhiataccia. «Lo terrò a mente quando ci sarà da fare il prossimo bucato. Potrebbe servirmi un altro paio di mani.»

Storm sbuffò. «Basta, voi due. Dobbiamo pensare alla sicurezza della valle. Dal Nord giungono notizie di grandi tempeste e terremoti, di dei che se ne vanno in giro e di magia libera. Molti di coloro che suonano l’arpa si riuniranno da me. Qualsiasi cosa accada, potete star sicuri che Zhentarim e altri… Mulmaster forse, o persino Maalthiir di Hillsfar… approfitteranno del caos generale per dichiarare guerra. Dobbiamo essere pronti.»

Tutti la fissarono, eccetto Illistyl, che si rivolse a Jhessail ed esclamò sarcastica: «E tu volevi un pizzico d’eccitazione quest’estate, o sbaglio! Dovevi proprio esprimere il desiderio ad alta voce, non è vero? Tu…».

Jhessail sospirò, scelse una mela di grandezza adeguata dal cesto della frutta sul tavolo e, con un movimento calmo ma inatteso, la spinse nella bocca di Illistyl.

L’apprendista riuscì a emettere un grido indignato poco prima che una nuova risata scoppiasse intorno al tavolo.

NON GIOCARE CON ME, MAGO! MI OFFRI UN RICORDO IN CUI NON CI SEI… MOLTO DIVERTENTE! UN ALTRO RICORDO CHE NON PUÒ ESSERE TUO! UN ALTRO RICORDO CONDIVISO CON I TUOI COLLEGHI, SERVITORI DI MYSTRA! COME FAI A SAPERE CHE COS’ACCADEVA?

Due occhi scuri, ampi come l’intero cielo stellato, guardavano in basso pieni di mistero… la Signora del Mistero, tutta sua…

Elminster sorrise a quel ricordo, rallentando la caduta per rimanere sospeso nell’oscurità punteggiata di stelle.

Sopra di lui, simile a un enorme artiglio scuro, Nergal rallentò a sua volta e sorrise freddo, mentre cercava di controllare la rabbia. Bene, allora, lasciamo pure che il piccolo mago umano si diverta.

Per qualche istante ancora.

Perciò questi ricordi erano di Mystra. Perciò anche il fuoco argenteo. Perfetto, lasciamo che Elminster rievochi altre cose di lei. Prima o poi, i segreti che cercava il futuro Signore di tutto l’Inferno sarebbero stati svelati.

Questo, per esempio…

Stelle cadenti nel cielo notturno sopra Shadowdale, le stesse stelle viste dalla lontana Waterdeep, dove la gente sui balconi mormorava e puntava il dito, la voce più preoccupata che eccitata… i visi rivolti verso la stanza superiore di una torre della città, dove magie complicate facevano splendere di stelle il soffitto sopra il letto…

* * *

Mentre attraversava la cucina con un fascio d’erbe fresche, appena tagliate, fra le mani, Storm s’irrigidì e soffocò una piccola imprecazione. Andava molto di fretta. La supplica di un Arpista morente l’aveva fatta tardare, e gli incantesimi non potevano accorciare il tempo che impiega un buon arrosto a cuocere. Inoltre, le brave mogli della valle stavano per portarle i figli a cui avrebbe narrato favole per tutta la sera. Si aspettavano di trovare il Bardo di Shadowdale in tunica sontuosa, non in un’uniforme da guerra di pelle, tutta macchiata di sangue e tagliata da lame di spada.

Perché proprio in quel momento le era venuto in mente il ricordo di quando cercavano Elminster? Alassra e Jhessail si erano sforzate molto… lei non lo se lo sarebbe dimenticato facilmente, ma perché ora?

Si accigliò, nell’oscurità deserta, per quanto in quel luogo non fosse mai completamente sola. «Sorella?» chiese all’aria vuota.

Il tocco di Syluné le sfiorò la guancia e le spalle come la più gentile delle brezze. Si, rispose mentalmente la voce, anch’io mi sono appena ricordata quella notte. Mi domando perché.

* * *

«Oh, amore», sussurrò Laeral con voce tremolante, le braccia strette attorno a Khelben nell’oscurità stellata della stanza da letto, «riuscivo a percepire il suo dolore. Che cosa terribile essere privati di tutta l’Arte!».

«Già.» Laeral sentì il Signore Mago di Waterdeep irrigidirsi fra le sue braccia. Con nervi d’acciaio l’uomo soffocò un brivido e con la gentilezza che lei tanto amava placò i timori della moglie. «Non augurerei a nessuno tale destino, nemmeno a chi indossasse le vesti di Thay o dei serpenti di Manshoon… eppure, tesoro, la nostra Signora ha scelto lui. È il più forte di tutti noi. La grande Arte si è accanita altre volte contro quell’uomo, e ha causato molti danni… ed egli è ancora qui, oggi, a raccontarlo.»

«Se nei Regni esiste un mago in grado di serbare il potere di Mystra, di vivere fino ad assistere al passaggio di quel fardello, di resistere alla tentazione di controllarlo e, nel farlo, al rischio di essere controllato da esso… quello è Elminster di Shadowdale.»

Questa volta Khelben rabbrividì e si voltò verso Laeral, il viso pallido e gli occhi grandi e scuri di paura. «Mio sarà il compito di portare avanti ciò che riesco del suo lavoro, e di raccogliere tutta la forza possibile, qui. Se l’Arte s’impadronisce di lui e lo trasforma in un farabutto selvaggio e crudele come Manshoon, sarà mio dovere distruggerlo.»

Si abbracciarono stretti nel grande letto, mentre le lacrime solcavano loro il volto. Nessuno riuscì a trovare per l’altro parole di conforto che non fossero sillabe vuote.

Nergal si agitò. STAI CERCANDO DI AVVERTIRE I TUOI AMICI, ELMINSTER? CREDI DAVVERO CHE TALI RICORDI POSSANO RAGGIUNGERLI E AVVISARLI DELLA TUA PRIGIONIA? LASCIA PERDERE, SCIOCCO… NULLA ESCE DALLA TUA MENTE SE NON ATTRAVERSO DI ME. IO SONO IL CANCELLO DI ZANNE, IL PORTALE CHE NON SI APRE. DISPERATI NELLA MIA OSCURITÀ E ARRENDITI. SVELAMI TUTTI I TUOI SEGRETI, PICCOLO MAGO, PRIMA CHE M’INQUIETI E TI APRA IN DUE PER CERCARE CIÒ CHE DESIDERO.

Fiamme d’argento che avvampano…

SÌ! ANCORA! FAMMI VEDERE, INUTILE UMANO! NERGAL TE LO ORDINA! AVANTI, O TI SOTTRAGGO LA SANITÀ DI MENTE CON GLI ARTIGLI DELLA PAURA!

Paura fredda nell’incantesimo, paura di diventare matto…

SÌ! PERCIÒ ARRENDITI! ARRENDITI A NERGAL!

Paura come una fiamma tremolante in una stanza scura, dove la magia scoppiettò e si esaurì fra dita sottili…

Illistyl emise un lungo sospiro e riprovò l’incantesimo. Di nuovo non accadde nulla. Le sue mani tremavano.

Mai la magia le era venuta meno. Oh, aveva sbagliato, una volta o due, ma l’errore era sempre stato suo, rimediabile con un po’ più d’attenzione e d’allenamento. Allora, infatti, il problema non era dovuto all’anarchia, all’inaffidabilità di ogni incantesimo.

Nella sua bocca la paura assunse il sapore del metallo freddo. Ora non c’era la Simbul, e Storm era lontana mezza valle… c’era solo Illistyl Elventree, sola in una stanza di pietra, fredda e cupa, della Torre Contorta.

«Che sta succedendo!» chiese ai Regni intorno a lei, mentre il petto le si sollevava ritmicamente per la paura. «Che cos’abbiamo fatto perché la magia ci tradisca?»

D’un tratto sentì bussare violentemente, la porta tremò e si spalancò. Illistyl urlò.

«Oh, Dei, guardate giù!» la rimproverò Jhessail, entrando nella stanza come un vento vendicativo, la tunica svolazzante. «Perché devi fare queste stupide magie? Metà delle guardie di sotto hanno appena perduto ogni fermaglio e ogni placca di metallo che avevano addosso, e ora stanno correndo in giro in stivali e mutande, il che è molto imbarazzante!»

Illistyl la guardò e scoppiò in una risata, che ben presto si trasformò in pianto, e poi di nuovo in riso. Jhessail afferrò l’apprendista per le esili spalle, la cullò e la strinse a sé.

«Viene, vieni, tesoro», la consolò. «Shadowdale è ancora vicino a noi… coraggio. Potrebbe andare peggio.»

Illystil emise un sospiro esitante. «In che modo?» chiese piano. «Non riesco a fare nemmeno l’incantesimo più semplice!»

Jhessail sospirò. «Beh», rispose ironica, «tutta la magia ci potrebbe abbandonare e gli dei potrebbero percorrere i Regni, e…»

Le braccia di Illistyl le si avvinghiarono con forza alla vita. «Non dirlo», sibilò all’orecchio della sua maestra. «Non pensarlo nemmeno! Jhess, ho paura. Paura.»

Jhessail Silvertree strinse teneramente la giovane maga fra le braccia. «Ne abbiamo tutti, tesoro. Persino gli dei, in questo momento. Quando piangevo, Elminster mi diceva sempre: vivi per un po’ con la paura. Impara a conoscerla e conoscerai di più te stessa.»

Illistyl rispose con un singhiozzo e si strinse ancor di più alla donna. «Anche lui se n’è andato! Jhess… dov’è?»

Jhessail sentì le lacrime salirle agli occhi. «Non lo so», mormorò. Rimasero abbracciate in silenzio. Poi, con voce non proprio ferma, aggiunse: «Tutti abbiamo paura. Dovremmo averne, ora, se siamo consapevoli di ciò che è accaduto… e sani di mente».

Illistyl indietreggiò e la fissò, gli occhi bagnati. «Pensi che i maghi siano sani di mente? Sei pazza!»

Jhessail rise tanto che dovette aggrapparsi a Illistyl per sostenersi, e insieme continuarono a ridere ancora per un po’.

D’un tratto si udì un calpestio di stivali, e Mourngrym si precipitò nella stanza, con torce e guardie al seguito.

«Che succede ora, donne?» chiese, impugnando una spada sguainata.

«La… sanità mentale dei maghi», ansimò Jhessail. «Un… argomento divertente a quanto pare.»

«L’ho sempre pensato», rispose il signore di Shadowdale, infilando la spada nel fodero. «Per quanto, con Elminster in giro, non abbia mai osato dirlo apertamente.»

Illistyl annuì. «E ora che se n’è andato, chissà dove…» La sua voce si era ridotta a un sussurro.

Mourngrym la guardò. «Ho tanta paura, fanciulla, che se rimango fermo troppo a lungo, la vescica mi riempirà gli stivali fino all’orlo. Se avessi un po’ di senno, anche tu proveresti tale paura.»

L’uomo si domandò, poi, perché le risate delle maghe fossero tanto selvagge.

LA MIA PAZIENZA HA UN LIMITE, UOMO. PENSI CHE MOSTRANDOMI TALI COSE IL TUO DESTINO CAMBI? VOGLIO CHE MI RIVELI I POTERI DI MYSTRA E COME SI CONTROLLANO, NON QUESTE SCENE DELLA VIGILIA DELLA PAZZIA E DEL FALLIMENTO DELLA MAGIA, PER QUANTO IMPORTANTI SIANO STATE PER TE.

Cerco di rivelarti tutto, Nergal. Sto tentando. Qui dentro c’è un immenso groviglio, da quando la vecchia Mystra morì e mi conferì i suoi poteri. Solo ora riesco a comprendere che cosa avessi fra le mani. Credimi.

IL TUO COMPORTAMENTO MI RENDE DIFFICILE CREDERTI, MAGO. CERCA DI SBRIGARTI.

* * *

«Signore?» Darthusk ritrasse la spada un istante prima che la punta raggiungesse la gola di Mourngrym Amcathra.

Il signore di Shadowdale fece un passo indietro, accigliato. Scosse il capo come se tentasse di togliersi un’idea dalla mente e fissò nel vuoto.

Darthusk agitò la mano, concitato. Tutte le guardie nella stanza sospesero l’allenamento e rimasero in silenzio a osservare, preoccupate, il loro signore. Si trattava di una sorta di trucco di Zhent, o…?

Mourngrym scosse nuovamente il capo, poi prese lo straccio dalla sua cintura e si asciugò il sudore dalla fronte. «Strano», affermò conciso quando risollevò la lama, «ma… era tanto vivido. Un ricordo passeggero di due nostre giovani maghe che un giorno risero fino allo sfinimento. Io entrai per vedere cosa fosse quel baccano, e…»

Agitò ancora la testa, perplesso e affermò: «Chiedo perdono, Darthusk. Io… la magia. È strana, sempre».

«Già, Signore», ribatté la guardia, mentre incrociavano le spade per ricominciare. «La magia lo è sempre. Io la considero un’arma a doppio taglio: ferisce tanto chi la impugna quanto il nemico. Mi meraviglia che più maghi non finiscano arsi vivi per davvero, giù nei Nove Inferni!»

Mourngrym s’irrigidì nuovamente e si rivolse a Darthusk, accigliato. «Che cos… non importa.» Dopodiché toccò la spada della guardia con la sua: si colpirono con forza vera, e il clangore dell’acciaio, accompagnato da una pioggia di scintille, si levò ancora intorno a loro. Mourngrym scosse il capo e borbottò: «Arsi nei Novi Inferni, già. Sono obbligato a usare la magia, ma fidarmi di essa? Mai!».

I loro sguardi s’incontrarono sopra le lame stridenti, signore e guardia, si sorrisero e gridarono all’unisono: «Mai!».

* * *

[la frustrazione, è una fiamma… già, una fiamma che brucia all’Inferno con dentro un mago troppo intelligente]

CHE COS’È, UOMO INSIGNIFICANTE? CHE COS’È QUEL PENSIERO DELLA FIAMMA CHE TENTI DI NASCONDERMI? PENSI CHE IL FUOCO POSSA FARMI DEL MALE?

Ah, no. «Mai.»

GIÀ, ALLORA NON FERMARTI PIÙ! MOSTRAMI IL RESTO! C’ERANO ALCUNE GUARDIE, SÌ, CON LE SPADE SGUAINATE, E LUCE…

E POI?

[un turbinio rapido di immagini]

Luce, porte dalle lunghe barre che si aprono, guardie che retrocedono stanche, con le spade sguainate in mano, si scostano per lasciarci passare…

Avanti, nella luce…

ERA ORA.

La luce del colore bianco e blu dell’Arte, del potere liberato di Mystra…

MOSTRAMELA!

Bianca e blu, vacillante… in una torre di pietra dove un uomo siede solitario a tessere incantesimi…

L’incantesimo non aveva mai fallito prima. Era una cosa semplice evocare la luce. Oh, era senza dubbio strabiliante per un ragazzo di campagna, creare radiosità dove poco prima non ne esisteva… e una cosa di cui può andare fiero un banale apprendista. Nell’incantesimo in sé non v’era, tuttavia, nulla di molto complesso o difficile.

Taern «Magiadituono» Hornblade, Arpista e mago del Palazzo di Spellguard di Silverymoon, si alzò improvvisamente, poi si risedette, accigliato e perplesso. Con la mente ripercorse tutto ciò che aveva fatto e riesaminò con cautela ogni singolo passo. No, non aveva commesso errori. L’incantesimo avrebbe dovuto funzionare.

Lanciò un sortilegio di controllo, lo sentì uscire dal corpo. Nessun campo magico e nessuna barriera, eccetto quelli che erano sempre esistiti in quel luogo, ostacolarono la sonda magica. L’incantesimo funzionò perfettamente, prova che nessuna magia era stata elaborata per assorbire o vanificare l’Arte. Tutto sembrava normale, le torce ardevano nei loro bracieri, come sempre. Eppure l’incantesimo era fallito.

Forse qualcuno che non poteva essere visto, né altrimenti intercettato, aveva agito per rubargli o disperdere l’Arte: no, era alquanto improbabile, o era accaduto qualcosa a Mystra o alla sua posizione agli occhi di Mystra, o ancora era diventato pazzo. Tutte alternative molto allegre.

Con le mani lievemente tremanti, Taern s’inginocchiò nella stanza degli incantesimi dalle pareti di pietra e pregò Mystra, muovendo supplicante le labbra incorniciate dalla barba grigia. Gli sembrava che un buco nero si fosse aperto improvvisamente sotto di lui, e che non potesse far nulla per evitare di precipitarvi dentro, di cadere nell’oblio. Che cos’aveva fatto? Che cosa gli era accaduto!

Era ancora inginocchiato quando una delle porte segrete della stanza si aprì, la porta che conduceva agli appartamenti di Alustriel, la Somma Signora di Silverymoon.

Taern Magiadituono era tanto sconvolto che non sollevò lo sguardo né interruppe le preghiere, nemmeno quando una mano delicata si appoggiò sulla sua spalla. Trasalì, invece, alle gentili parole, cariche di dolore, che seguirono.

«Trasforma la tua preghiera in un addio e in un ringraziamento alla Signora, Taern», mormorò Alustriel. «Poiché se n’è andata per sempre.»

Taern sollevò lo sguardo, inebetito, e vide il volto della regina di Silverymoon rigato di lacrime incontrollate. Un’aura di colore bianco e blu circondava i suoi lunghi capelli e si riversava fuori dagli occhi colmi di lacrime.

«Signora?» esclamò Taern, tendendole le mani. «Che cosa intendete?»

Alustriel prese le mani dell’uomo fra le sue. Possedeva un’Arte immensa, più di quanta ne avesse mai percepita prima.

«L’incantesimo non è fallito per colpa tua. È andato perduto, con tutta l’Arte operata in Faerûn in quell’istante, nel momento della morte di Mystra.»

«Mystra è… morta! Distrutta?»

«Distrutta, sì.» Alustriel s’inginocchiò sulla pietra accanto a lui, la lunga tunica frusciante. «Mentre sei qui, Magiadituono, potresti unirti alla mia preghiera ad Azuth, affinché guidi i viventi.»

«I maghi viventi! Come io e te?» Taern era impallidito; il buco nero era tutt’intorno a lui, e solo le mani della donna gli impedivano di tremare. Mani che emanavano un bagliore di colore bianco e blu.

Alustriel sorrise fra le lacrime, e mormorò: «Per un mago, sì. Per colui che ora detiene il potere di Mystra. Esso arde in lui e tutti noi dobbiamo sperare che non si pieghi alla tentazione di usarlo. E per chi verrà dopo di lui, per chi dovrà ergersi per prendere il posto e il potere di Mystra. Hanno bisogno delle nostre preghiere, e di qualsiasi aiuto saremo in grado di dar loro nei giorni a venire».

Taern avrebbe voluto non sentirsi tanto vecchio e stanco, i tempi del suo grande potere ormai svaniti. Nessuno dei suoi apprendisti era ancora pronto. Nessuno gli sarebbe stato utile in eventuali battaglie future.

Alustriel lo abbracciò e lo baciò sulla fronte. «Datti pace, Taern. Il potere della Signora mi ha toccato, e finché permane, ho la facoltà di leggerti la mente. Hai fatto grandi cose e, nei giorni a venire, sarà necessaria la tua saggezza più che il potere dell’arte.»

Dal punto in cui la donna l’aveva baciata Taern sentì il potere fluirgli nel corpo, lenitivo e corroborante nel medesimo tempo. Il mago fissò la sua regina pieno di stupore e di meraviglia: di nuovo pensò che avrebbe voluto non essere tanto vecchio.

Alustriel lo fissò con sguardo amorevole.

Taern arrossì all’improvviso e si portò entrambe le mani alle guance brucianti. Se poteva leggergli il pensiero… Taern le fu molto grato, poiché la donna gli prese una mano e se la portò alle labbra, senza ridere di lui.

ANCORA L’AMORE. VOI UMANI NON FATE NIENT’ALTRO?

Sì. Complottiamo, litighiamo e tradiamo quasi con la stessa solerzia degli arcidemoni.

NON PRENDERMI IN GIRO, ELMINSTER AUMAR. SEI IN MIO POTERE. MI BASTA CHIUDERE UNA MANO SU DI TE PER FARTI CESSARE DI ESISTERE. PER SEMPRE.

Promesse, promesse.

NON T’ILLUDERE DI POTER SCAMBIARE DUE CHIACCHIERE CON ME ALLA PARI, UMANO. SAPPI CHE LA MIA PAZIENZA SI STA ESAURENDO. MOSTRAMI ALTRA MAGIA DIVINA… ORA!

Dolore! Dolore in Averno, causato da un tentacolo divenuto un artiglio e affondato nel petto di un uomo che striscia per terra, che s’irrigidisce e ansima in preda al dolore, mentre sangue fresco fluisce dal suo corpo… poi cade all’indietro, la bocca spalancata, quasi in estasi, mentre l’artiglio si ritrae e gli guarisce la ferita, lasciando che l’uomo nudo cada con la faccia all’ingiù, tremante di debolezza e di dolore…

Debolezza, dei, e magia…

SVELAMI I SEGRETI, OMUNCOLO!

Ah. Debolezza nella magia fra gli dei. Già, che ciò sia ricordato…

«Mi vergogno a dirlo», sussurrò Nouméa, a voce tanto bassa che due orecchie mortali non avrebbero udito nulla, «ma sono lieta che la Signora non abbia scelto me. L’avrei delusa… come avrei deluso tutti».

Era in piedi in una caverna scura, illuminata solo da un fascio alto, sottile e conico di luce color grigio argenteo. Questa le rispose mentalmente.

Per tale motivo non sei stata scelta. La Signora è… era… saggia. Tuttavia, non vergognarti, Figlia. Nature diverse stabiliscono destini diversi per ciascuno di noi.

«E ora, Signore!»

Il cono argenteo tremolò. Andiamo avanti come prima. Nessuno deve sapere che cos’è accaduto. Mi sembra la cosa più saggia.

«La cosa più saggia!»

Non sono onnisciente, né tanto saggio, Lady Magister. Posso essere sicuro solo dopo aver toccato la mente di Elminster. Potrebbe essere necessario, se il potere che ha assunto comincia a dominarlo, che tu lo distrugga. Ora vieni con me, mentre parliamo mentalmente con il Vecchio Mago. Fonditi con me.

Lady Magister guardò il cono, perplessa. «Fondermi, Signor Azuth?»

Entra nello spazio che occupo io, e rimani all’interno della forma conica. È tutto ciò che mi rimane dopo la Caduta. Devo essere pronto a proteggerti, nel caso Elminster sia… cambiato.

Nouméa rabbrividì. Non sapeva che la voce di un dio potesse essere venata di paura… specialmente quella del suo saggio e imperturbabile maestro, il Signore della Magia in persona.

Rapida, avanzò e s’immerse, provando un brivido momentaneo, nel cono argenteo, tutto ciò che rimaneva dell’Altissimo. La sua mente si mise subito in viaggio, come un serpente che si srotola, e attraversò le immense distanze verso la torre di pietra, lievemente inclinata, di Shadowdale.

SEI PIENO DI TRUCCHI, O SBAGLIO? UN OTRE PIENO D’INGANNI. QUASI DIABOLICO QUANTO UNO DI NOI. SAI BENISSIMO CHE CERCO CIÒ CHE RICORDI DI MYSTRA. NON È VERO? RISPONDI! [fuoco bruciante]

[dolore] Sì. [dolore lancinante]

MOSTRAMI, ALLORA, QUALCOSA CHE HA LASCIATO NELLA TUA MENTE… ALTRIMENTI TI FACCIO IMPAZZIRE DAVVERO, SAGGIO E VECCHIO ELMINSTER!

Come tu comandi, Lord Nergal.

OSI PRENDERTI GIOCO DI ME? [lancio furioso di fiamme]

[dolore] Non io, Signore. Dei, non io!

Lacrime che scendevano dal cielo, dagli occhi attenti e scuri della Signora dei Misteri, in una notte precedente a quella in cui i suoi poteri vennero meno, e lei poté solo osservare ciò che accadeva mentre la magia declinava, in ogni angolo di Faerûn…

La giornata era calda e luminosa… ma c’era qualcosa di decisamente strano nei Regni.

A Chessenta, lo Sceptanar sbraitava di rabbia mentre tre dei suoi grandi maghi lottavano per controllare le folli trasformazioni che la loro Arte aveva inflitto ad alcune signore di corte. Era desiderio dello Sceptanar che le sue nobili consorti venissero alterate con la magia, che fosse loro tinta la pelle con sfumature esotiche, cambiata la statura e i lineamenti o dato loro qualcosa di diverso… squame, code serpentine, artigli, o persino ali di tessuto finissimo. Quella mattina gli incantesimi avevano fallito. Avevano apportato cambiamenti, sì, cambiamenti senza sosta, e trasformato le donne in creature mostruose che gridavano, abbaiavano o gorgogliavano per il dolore e lo stress causati dal loro mutare. I maghi più potenti dello Sceptanar si affannavano a elaborare incantesimi e, perplessi, lanciavano ogni sorta di magia. Ma nessun sortilegio riusciva ad arrestare quelle crudeli trasformazioni.

Inoltre, le voci degli dei che percorrevano i Regni diventavano sempre più specifiche col passare dei giorni. Lo Sceptanar iniziava ad avere molta paura.

* * *

«Signora?» La voce di Taern era roca per la preoccupazione, e il mago per poco non si alzò dallo sgabello sotto la lampada.

Nel mezzo della piscina, fra bagliori magici e oli profumati, versati da abili servitori, Alustriel si era irrigidita, la bocca spalancata. Si mise improvvisamente a sedere, increspando l’acqua, e si prese la testa fra le mani, come se qualcosa avesse preso fuoco al suo interno.

«Signora?» esclamò Taern a voce alta. «State bene?»

Alustriel sollevò una mano per zittirlo, poi gli chiese: «Taern, non ti sono venuti in mente dei ricordi in questo momento? Di noi due, magari, nella notte in cui l’Arte sembrò fallire?».

Taern scosse il capo, gli occhi spalancati e scuri. «La notte in cui sentii il potere di Mystra dentro di voi?» sussurrò, incurante dei servi in ascolto e del lieve mormorio d’eccitazione suscitato dalle sue parole. «Non dimenticherò mai quella notte, Signora. Tuttavia vi dirò la verità: mi è venuta in mente ora, perché ne avete parlato, ma non prima. Non stavo pensando che ai libri contabili e al denaro di cui stavamo discutendo.»

«Non stavi pensando ad Azuth, o a Lady Magister, o alla lontana Chessenta?»

Taern scosse il capo. «No, Signora», rispose con voce bassa e tono interrogativo. «Perché dovrei?»

«Già», gli fece eco la maga, immergendosi nella piscina fino a che le increspature non le lambirono il magnifico collo. «Perché dovrei?»

* * *

[le immagini continuano a vorticare nel bagliore rosso sangue dell’Inferno]

Ad Aglarond la Simbul proibì l’uso della magia contro i cavalieri di Thay, ordinando ai propri uomini di affidarsi, invece, alle spade. Quando i Maghi Rossi che guidavano l’attacco contro Aglarond tentarono di scagliare fulmini contro le guardie della Simbul, i loro incantesimi generarono cascate di fiori, sfere di cristallo e fango. Infine, un Mago Rosso cercò di fuggire conferendo alla barca rubata dei predoni il potere di volare, ma la sua Arte la trasformò in una vecchia forma di formaggio, che si sgretolò sotto i suoi piedi. Affondarono tutti nelle gelide acque del Mare di Dhurg, e solo pochi riemersero cinti dalle catene magiche della Simbul.

A Silverymoon un incantesimo semplice, finalizzato a illuminare i recessi di una cantina buia, fece crollare la torre soprastante. Il mago, rimasto sbigottito, era Lady Alustriel in persona.

A Waterdeep lo scherzo di un apprendista, in base a cui un cane incantato avrebbe dovuto convincere le belle ragazze di passaggio a incontrare il mago solitario, fallì miseramente. Chiunque fosse toccato dal cane si trasformava in un’altra creatura: un serpente, un gallo o un millepiedi. Quando una ragazza divenne un drago sibilante, il cane fuggì in preda al terrore. I maghi delle vicinanze, avvertiti del pericolo, scagliarono incantesimi per uccidere il mostro. Questi, tuttavia, non ebbero l’esito previsto e produssero una pioggia di fuoco dal cielo, cambiando in rosa traslucido il colore di alcuni edifici di pietra grigia (per la gioia, forse, del proprietario di uno di essi, poiché si trattava di un bordello di gran classe), e provocando buchi nelle strade. Il drago fuggì sulla cima del Monte Waterdeep. Lassù gli incantesimi di Khelben Blackstaff gli restituirono la forma originale, ovvero quella di una nobildonna terrorizzata. Persino il suo incantesimo, tuttavia, andò storto e, invece di abiti, la donna isterica si ritrovò coperta di piume di colore blu intenso.

A Calimport, due schiave con fruste munite di denti stavano duellando a morte per il divertimento dei loro crudeli sultani e padroni, e per pagare una scommessa. Entrambe erano indebolite, senza fiato e barcollanti, il sudore imperlava i loro corpi oliati come ammassi di gemme. Uno spettatore mago decise di aiutare la schiava del suo padrone con un incantesimo segreto. La sua Arte furtiva, mirata a farla diventare un po’ più rapida, la trasformò invece in un drago rosso ruggente. In un attimo la creatura divorò o schiacciò i sultani, lo sfortunato mago, e molti dei loro servitori. Poi fece cenno agli altri schiavi di salirle in groppa e, insieme, volarono via, verso nord-est e le Marching Mountains.

In ogni angolo dei Regni, la magia stava impazzendo. Anche nella Valle Alta, in mezzo al caos della magia risvegliata, si verificarono mutamenti fatidici. Forse era volontà degli dei, forse si trattava dell’opera deliberata di Mystra… o forse era un puro caso. Heladar Lancialunga non ebbe il tempo di scoprirlo.

HELADAR LANCIALUNGA? CHE ME NE IMPORTA DI GUERRIERI UMANI DEI REGNI PIÙ SUDICI DI TORIL? E CHE IMPORTAVA A MYSTRA DI LUI?

Lei era… è… una dea. Le importa eccome. Se non riesci a comprendere il bisogno di accudire e di educare ciò che governi, Nergal, non puoi sperare d’essere nulla più di un reietto o di un conquistatore. Non sarai mai un governatore. O lo sarai solo finché un mondo o un piano sottoposto al tuo controllo non troverà modo di sbarazzarsi di te.

NON FARMI LA PREDICA, OMUNCOLO! [violento fulmine mentale] IO NON LO CREDO AFFATTO!

[dolore; affanno, impotenza e contorsioni del servo brutalizzato]

E ORA PARLI ANCORA ELMINSTER? NON TI RIVOLGI PIÙ A ME CON QUEL TONO BEFFARDO E SAPIENTE?

MOSTRAMI UN ALTRO RICORDO CHE MYSTRA TI HA DATO. NIENTE TRUCCHI, NIENTE INDUGI. AVANTI. MUOVITI, [sguardo furioso]

Una testa scura, lo sguardo furioso…

Una sfera fluttuante, nera, fra le ombre sfuggenti…

Ombre che scompaiono davanti alla luce della torcia, e una vecchia struttura di pietra a volta, e una stanza che non aveva bisogno di…

Khelben sospirò e si sedette lontano dalla sfera di cristallo. Era grande tre volte la sua testa, liscia e scura, inerte come la morte. In risposta si udì un sospiro femminile.

Intorno a loro la cupola della stanza degli incantesimi ammiccava e brillava di stelle… come faceva sempre, indipendentemente dal momento della giornata o dal tempo atmosferico all’esterno della Torre di Blackstaff.

Il mago scosse lentamente il capo, guardando di nuovo la sfera di cristallo vuota. «Nulla.»

Laeral gli appoggiò una mano sulla spalla in gesto di conforto. «Stai tranquillo, mio signore. La colpa non è tua. La magia sembra fare i capricci in ogni luogo dei Regni.»

Khelben Arunsun si alzò e iniziò a passeggiare per la stanza. «Non è per questo, tesoro. La mia Arte è valida, credo. Ho raggiunto Lhaeo, lo scrivano del Vecchio Mago, ma non sa dove possa essere Elminster.»

Khelben scrollò le spalle. «Lhaeo sospetta… o meglio, spera… che una ranger dei Cavalieri di Myth Drannor sia con lui: una certa Sharantyr. Non riesco a raggiungerla e, a dire il vero, me la ricordo appena. Ci siamo incontrati solo una volta o due, ed era sempre circondata da altre persone, che conosco molto meglio.»

Laeral scivolò silenziosa dietro di lui e gli accarezzò le spalle. «Non mi aspettavo di ottenere un risultato migliore, e sarei molto sorpresa se tu mi dicessi il contrario. Possiamo solo continuare a tentare e a sperare.»

La signora studiò seria l’uomo che era suo signore, amante e padrone. «La tua preoccupazione è più profonda, mio Signore… c’è dell’altro. Sono pronta ad ascoltarti, se lo desideri.»

Khelben si voltò e la prese fra le braccia, senza sorridere. Dietro di lui una stella cadde nel vuoto scuro e infinito della stanza. «Ho tentato di raggiungere Azuth e la Signora. Li ho sentiti. Sono qui, nei Regni, con noi. Il potere di Azuth arde, ma è debole, è solo un lieve bagliore laddove un tempo c’era un fuoco, e non riesco a mettermi in contatto con lui. La sua Arte declina a mano a mano che la utilizza; sta aiutando gli esseri più piccoli come ha sempre fatto… e come farà, temo, fino a diventare solo un sussurro e un ricordo.»

Laeral lo fissò con occhi scuri, meravigliosi. «Ma questo non è ciò che più ti preoccupa. Si tratta della Signora!»

Khelben incrociò il suo sguardo e annuì, arcigno. «È prigioniera. Una magia la intrappola e assorbe il suo potere… una magia che non ho mai percepito prima e che ancora non comprendo.»

Laeral lo guardò inorridita. «Chi mai su Faerûn ha il potere di tenere prigioniera la Grande Mystra!»

Khelben sorrise amaramente. «Perbacco, un altro dio, naturalmente.»

DUNQUE MI MOSTRI ANCORA I TUOI AMICI PREOCCUPATI PER LA TUA ASSENZA. MOLTO TOCCANTE. E VA BENE, SCALTRO MAGO: FAMMI VEDERE UN ALTRO RICORDO DI MYSTRA, NEL QUALE SI VEDONO QUESTI TUOI AMICI CHE CERCANO DI FARE INCANTESIMI PER TROVARTI. FORSE QUESTO GROVIGLIO DI RICORDI CHE TI DIVERTE TANTO CI PORTERÀ DA QUALCHE PARTE…

Come desideri.

SMETTI DI FARTI BEFFE DI ME, MAGO! [schiaffo mentale]

Non prendo mai in giro, demone. [schiaffo mentale ricambiato]

[dolore; stupore] OSI TANTO?

No, Lord Nergal. Ma Mystra sì.

[confusione… paura] LEI È CONSAPEVOLE, CON TE… DENTRO DI TE?

Non in questo momento. Ma può diventarlo, se tocchi il ricordo giusto… scusami, il ricordo sbagliato. Allora mi raggiungerà, e tutto il tuo lavoro verrà cancellato.

[paura, rabbia] NO. NON HA ALCUN POTERE SU DI ME IN QUESTO LUOGO. L’INFERNO È GOVERNATO DAI DEMONI.

Naturalmente. Bel trono, a proposito.

[fiamme rosse di rabbia] DUNQUE NON PRENDI MAI IN GIRO NESSUNO, PICCOLO ESSERE INSIGNIFICANTE?

Mai. Cerca di tenerlo a mente.

[sguardo severo] SVELAMI IL RICORDO, ELMINSTER AUMAR.

«Solo gli dei sanno dove sono, ormai», affermò tranquilla Storm. «Credo che Elminster sia andato a ovest… ma potrebbe essere passato per una decina di porte segrete. Con un solo passo potrebbe aver raggiunto l’altra parte di Faerûn… o persino un altro piano.»

«Che pensiero incoraggiante», osservò sardonica Shaerl. «Devo dire a Mourngrym di rivalutare le difese della valle e includere una decina di Porte sconosciute, invisibili, ma troppo esposte, da cui si possono riversare eserciti invasori?»

«Calma, ragazza», intervenne Jhessail, picchiettandole la mano. «Bevi ancora un po’ di smorzafuoco», aggiunse, passandole la bottiglia di liquore rosso rubino. Illystil l’afferrò silenziosamente mentre le passava davanti e fu ripagata con un’alzata di sopracciglio da parte di Jhessail. La ragazza contraccambiò il gesto, interessata.

«Signore, signore», sospirò Storm, togliendo i piedi dal tavolo. «Dobbiamo soffiare e gnaulare come gatte rivali!»

Illystil scrollò le spalle. «È ciò che abbiamo sempre fatto prima», osservò con calma maliziosa.

Shaerl emise una risatina, e un attimo dopo tutte le altre si unirono a lei. La Signora di Shadowdale aveva portato le due maghe alla fattoria di Storm in tarda serata, dopo che gran parte degli uomini della Torre Contorta… incluso suo marito, Lord Mourngrym… erano andati a dormire. Tali riunioni di pettegolezzi si svolgevano solitamente di pomeriggio, ma erano tutte troppo agitate per dormire e si erano incontrate per caso, mentre si aggiravano per la torre a piedi nudi e in vestaglia.

Anche Storm Silverhand era sveglia quand’erano venute a chiamarla. Mentre si avvicinavano, le tre l’avevano udita parlare a bassa voce con qualcuno, ma quando avevano aperto la porta, lei era sola, un liuto appoggiato in grembo.

Avevano cantato una o due canzoni, spettegolato degli affari della valle, e avevano finito per parlare dell’assenza improvvisa di Elminster.

Illistyl era rimasta sorpresa di vedere le lacrime raccogliersi negli occhi di Storm. La signora bardo aveva parlato poco e mantenuto tale atteggiamento silenzioso… ma la sua tristezza aleggiava come un’ombra nella stanza, avvolgendo tutti i presenti. Illistyl l’avvertiva più intensamente di chiunque altra, ma non riusciva a trovare un modo gentile per scacciarla. Il suo sguardo percorse il tavolo e incrociò quello sapiente di Storm fisso su di lei.

Illistyl esplose: «Storm, che cosa c’è che non va? Vorrei aiutarti, ma non so nemmeno…».

La ragazza s’interruppe, spaventata, quando un pipistrello grande e nero come un manto entrò pesantemente dalla porta aperta, volteggiò basso sopra il tavolo e agitò l’aria davanti al camino. Un istante più tardi, si era trasformato in una donna alta e magra dalla tunica nera e sbrindellata. Gli occhi e i capelli della creatura si mossero selvaggi, e con un orgoglio feroce stampato sul volto questa si diresse silenziosa verso di loro.

«Sorella!» la salutò Storm con un sorriso di benvenuto. «Ti va di bere con noi un bicchiere di smorzafuoco!»

La Simbul tremò come un gatto spaventato. «Più tardi», esclamò, prendendo posto intorno al tavolo. «Dopo che avrò tentato di scoprire ciò che entrambe vogliamo sapere.»

«Ciò che tutte vogliamo sapere», replicò Storm con voce pacata. «Ho mandato anche due uomini validi alla loro ricerca. Due arpisti.» Nella stanza le corde della sua arpa sembrarono vibrare lievemente.

La Simbul guardò le altre, senza sorridere, le salutò con un gesto del capo, una ad una, e subito dopo chinò la testa e iniziò a mormorare le parole dell’Arte.

Nella stanza calò una forte tensione. La fiammella delle candele si affievolì fino a diventare una capocchia di spillo. La Simbul sedeva al centro del potere, nera e immobile. D’un tratto le sue spalle tremarono, la donna rimase senza fiato e le candele tornarono ad avvampare. La stanza era più luminosa… e tuttavia, pensò Illistyl, guardando al viso sconsolato e devastato della Simbul… non sembra affatto più sicura o più calda.

La Strega-Regina di Aglarond le guardò a una a una ed esclamò semplicemente: «Avrò bisogno del vostro aiuto, di tutte voi. Unite le vostre mani alle mie, proverò ancora».

Senza alcuna esitazione le donne si protesero intorno al tavolo, la bottiglia di liquore nel mezzo, come una fiamma rossa. La Simbul chiuse gli occhi, rabbrividì nuovamente e cominciò a concentrarsi. Come prima, la luce nella stanza si affievolì.

«Pensate», mormorò, «pensate a Sharantyr. Immaginate il suo volto, la sua voce, come si muove. Dobbiamo concentrarci su di lei, poiché Elminster è protetto dalle magie di ricerca».

Obbedienti, tutte pensarono a Shar. Jhessail chiuse gli occhi, il volto sereno. Illistyl e Shaerl aggrottarono le sopracciglia e strinsero forte le palpebre, per concentrarsi meglio. Legate alla Simbul, le maghe la sentirono attingere al potere, nutrirsi dei loro pensieri, delle loro emozioni e dei loro desideri.

Il potere turbinò nella stanza. Poi la maga lanciò il suo pensiero di ricerca, lontano. Come l’amo di un pescatore in acque scure, la Simbul si tuffò in un vuoto, in cui le altre non potevano seguirla.

Dopo un silenzio lungo e teso questa si scrollò come un cane appena uscito dall’acqua. «Abbiamo bisogno di più energia. Tutto è contorto, tutto è impazzito. Syluné… per favore!»

Tre paia d’occhi sorpresi videro le dita di Storm e della Simbul separarsi. Nell’aria fumosa tra le due maghe apparvero due mani evanescenti, che sembrarono crescere e acquisire consistenza in un silenzio spettrale. Entrambe afferrarono una mano viva.

Poi si udì un sussurro delicato: «Sono qui. Provate adesso, Sorelle».

Shaerl, Jhessail e Illistyl si guardarono per un istante, impaurite, fissarono la figura evanescente fra Storm e la Simbul, chiusero gli occhi e ricominciarono a cercare Sharantyr.

Trascorse un’eternità. Le candele si erano consumate. Le donne respiravano all’unisono, in maniera lenta e profonda. Toril, con maestosa lentezza, girava costantemente sotto i loro piedi.

Udirono qualcuno piagnucolare, e il cerchio si ruppe.

Storm si ritrovò a stringere in mano l’aria, e la Simbul cadde pesantemente con la faccia sul tavolo, facendo vacillare la bottiglia.

«Storm?» chiese ansiosa Shaerl, facendo per alzarsi. «È…?»

«Esausta», mormorò il Bardo di Shadowdale, appoggiandosi allo schienale della sedia. «Come lo sono io. È una magia che pochi conoscono… per fortuna, altrimenti, in breve tempo, mezza Faerûn sarebbe piena di maghi dissennati.»

Jhessail salvò la bottiglia e la porse silenziosa a Storm. La donna fissò il liquore, inebetita, per qualche secondo, poi l’afferrò, la stappò e ne bevve un lungo sorso. Quando la richiuse, era quasi vuota.

«Storm», chiese Illistyl tranquilla, la voce quasi ferma, «quella era…?»

«Nostra sorella, Syluné», rispose il bardo, con altrettanta tranquillità. «Sì, era lei, e ciò che abbiamo tentato di fare ha fatto più male a lei che a noi.»

La donna le scrutò con gli occhi scuri e aggiunse: «Dunque ora sapete. Accollatevi un altro segreto, per il bene della valle».

Tre paia d’occhi seri incontrarono il suo sguardo, e tre facce intente annuirono silenziose.

La Simbul si agitò e con la guancia ancora appoggiata sul tavolo esclamò: «È rimasta ancora un po’ di quella roba?».

Quando le risate si placarono, Illistyl osò poggiare teneramente le mani su quella che era, forse, la più potente maga vivente di Faerûn, la sollevò e le asciugò la fronte madida di sudore. La Simbul la ringraziò con un sorriso, poi si rivolse a tutte e affermò: «Bene, che abbiamo fallito lo sapete già, ma ci sono notizie peggiori».

Jhessail e Shaerl la guardarono con durezza. «Raccontaci», esclamò la Signora di Shadowdale.

«In tutti i Regni l’Arte sta impazzendo», rispose fredda la Simbul. «Dappertutto, e per tutti quelli che la esercitano… possiamo fare incantesimi, ma il nostro controllo fallisce, il più delle volte è completamente inesistente. La magia è uscita di senno, e non riusciamo a fermarla.»

Il terrore comparve e scomparve sul suo volto bianco. Allungò, pensosa, una mano verso la bottiglia. «In tutta Faerûn», aggiunse, «nessun mago, arcimago o apprendista può più fare affidamento sugli incantesimi».

Illistyl, Shaerl e Jhessail si scambiarono occhiate impaurite. Illistyl e la Signora di Shadowdale parlarono all’unisono, formulando la stessa domanda. «Nel nome di tutti gli del perché!»

Storm rispose dolcemente, gli occhi puntati sulla fiamma della candela più vicina: «È proprio questa la ragione… tutti gli dei. Sono stati ricacciati nei Regni, a combattere in mezzo a noi, a lottare e cimentarsi come gli uomini; Mystra è fra loro. È per questo che Elminster se n’è andato».

«Ricacciati?» chiese Illistyl in un sussurro. «Da chi? Chi può avere un tale potere?»

Storm allargò le braccia. «Nelle scritture antiche, veniva chiamato Superdio. Oggi, per quelli che sanno della sua esistenza, è “Colui che è nascosto”.» Il bardo sorrise. «Se lo incontrate, potreste chiedergli quale sia il suo vero nome e il suo fine: molte anime, mortali e divine, vorrebbero saperlo.»

Illistyl fece un respiro profondo ed esitante, poi sorrise. «Mi metterò subito all’opera.» Con mani tremanti raggiunse la bottiglia, bevve, e la ripose semivuota.

Shaerl scosse il capo. «Calma, fanciulla, altrimenti ti dovremo riportare alla torre a forza di braccia.»

Illistyl inarcò un sopracciglio. «Chi porterà chi, ragazza?»

Jhessail si alzò. «Venite, ragazze», esclamò. «Abbiamo già fatto troppi danni ‘stanotte. Storm deve dormire, anche se noi non abbiamo sonno.»

Storm ringraziò la maga con un’occhiata. Jhess captò quello sguardo e spinse le compagne fuori dalla porta, nella notte silenziosa.

Mentre le candele si spegnevano, l’una dopo l’altra, le due sorelle rimasero sedute al tavolo, immobili, lo sguardo assente.

Finalmente Storm socchiuse le labbra riluttanti. «Hai visto o percepito qualcosa mentre cercavi Shar? Qualsiasi cosa!»

«No», rispose la Simbul, fissandosi le mani. «Nulla. Ero come la mia peggiore apprendista… sola, titubante e impotente nell’oscurità.»

«lo ho visto tre cose, Sorella», mormorò la voce soprannaturale che non si aspettavano più di risentire. «Fuoco, e lacrime, e stelle… sopra la testa, sembrava, come se fosse tutto mescolato insieme. Le nostre stelle.»

Storm sollevò il capo, gli occhi colmi di lacrime. «Syluné», mormorò, «grazie. Allora non sono morti».

«Non ancora», affermò fredda la voce spettrale di Syluné, «non ancora».

* * *

Storm s’irrigidì improvvisamente sopra il calderone, lasciando quasi cadere il coltello. «Eccola di nuovo», sussurrò. «Sorella, che sta accadendo?»

Syluné divenne per un attimo una sagoma argentea nella luce del fuoco, poi scivolò ancora nell’ombra. «Non lo so, ma ho parlato mentalmente con Jhess e Illistyl, ed entrambe sono irrequiete… ma non sanno perché. Potrebbe essere un segno della Signora?»

Il Bardo di Shadowdale si accigliò. «Non è mai stata tanto enigmatica prima d’ora!»

La figura spettrale di sua sorella sorrise e scomparve, lasciando Storm a fissare una pentola di rame lucente. «E per questo non potrebbe esserlo ora? Ci rifletteremo più tardi, con calma. Per adesso, è meglio mettersi la tunica, Signora dell’Arpa… i tuoi primi ospiti sono sul viale di casa!»

Storm Silverhand si asciugò le mani, imprecò allegramente quando s’accorse di aver usato la tunica come asciugamano, poi se la infilò dalla testa, tutta umida, e si mise un fiore di campo nel corpetto, come ornamento malizioso. Più tardi, per l’amore di Mystra! In quei giorni sembrava che tutto dovesse attendere…

RABBIA, PICCOLO MAGO? ORA? LA RABBIA AVVAMPA IN TE COME UNA FIAMMA, PIÙ FORTE DI QUANDO TI HO PERCOSSO E TI HO IMPRIGIONATO! PERCHÉ?

Più tardi, demone. Te lo dirò più tardi.

NO, PRIGIONIERO, ME LO DIRAI ADESSO!

[dolore]

[urla, che si trasformano in singhiozzi, immagini turbinanti]

NON CROLLARE ADESSO, GRACILE UMANO! SO CHE SEI PIÙ FORTE DI COSÌ! LA SIMULAZIONE E LA PAURA SONO PER I DEMONI CHE CALPESTO… DA TE, ESIGO OBBEDIENZA IMMEDIATA! IMMEDIATA E ASSOLUTA! MI HAI SENTITO?

* * *

Khelben sollevò bruscamente la testa. «Hai sentito qualcosa? Un ruggito, come un comando distante?»

«Un comando, mio Arunsun?» gli sussurrò all’orecchio Laeral, quasi scherzosa. «No, ma ti dico una cosa: sposta ancora una volta la testa in questo modo mentre ho le forbici vicine e ciò che taglierò non saranno capelli, ma orecchie!»

Con un pizzico d’irritazione Khelben schioccò le dita, e le forbici scintillanti balzarono verso l’alto. Laeral guardò con cipiglio le forbici, vibranti nella sua mano, poi il consorte.

«Finiamo più tardi?» chiese stizzita. «Il Signore Mago di Waterdeep è contento di andare in città coi capelli corti da una parte e lunghi dall’altra?»

«Il Signor Mago di Waterdeep», ribatté lentamente Khelben, lo sguardo fisso nel nulla, «è turbato e non sa perché. Mettile via, tesoro, evita ogni incantesimo e ascolta. Ascolta soltanto. C’è qualcosa che non va».

Le forbici tintinnarono su un tavolo, e le sfere di luce che fluttuavano tutt’intorno a loro ammiccarono e si affievolirono mentre si abbassavano sul pavimento. Nell’oscurità improvvisa Khelben riusciva a vedere Laeral, in piedi come una statua, gli occhi scintillanti, mentre entrambi cercavano con la mente che cosa avesse sfiorato i pensieri di Khelben in maniera tanto effimera… tanto debole…

Poi la porta si spalancò, e un apprendista agitato si fermò a guardarli, il corpo stagliato contro la luce che entrava dal corridoio alle sue spalle.

«Signora e Signor Mago», sbraitò, «chiedo perdono! Ah, stavate…?»

«Tagliando i capelli?» chiese Laeral pacata, mentre le sfere di luce si riaccendevano in tutta la stanza. «Sì.» Abbozzando un sorriso gli chiese: «Dunque, Kareece: quale notizia scuote i Regni e richiede la nostra immediata attenzione?».

* * *

Ti ho sentito, demone. Per Mystra, se ti ho sentito.

NON EVOCARLA, ELMINSTER! ORA HO CAPITO IL TUO GIOCO. DEVI AVERE INCANTESIMI PRONTI E TENTI DI RISVEGLIARLI PRONUNCIANDO LE PAROLE CHE LI INNESCANO. PROVA TUTTO CIÒ CHE VUOI: FALLIRAI, CREDIMI, MA RICORDA UNA COSA: LA MIA PAZIENZA HA UN LIMITE.

[frustata mentale; dolore]

SÌ, RAMMENTALO, PICCOLO UOMO!

Più lunghi, i miei ricordi devono essere più lunghi… ma quando ne evoco uno, questo è perduto per sempre…

GIÀ, SVELAMELO E SARÀ CANCELLATO PER SEMPRE DALLA TUA MEMORIA! NON SIAMO PIÙ TANTO POTENTI ORA, EH?

[tuoni riecheggianti di risate diaboliche]

Sì, ho conosciuto giorni migliori... e notti, notti di gran lunga migliori.

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