Lo spinagon cadde dalla rupe, la testa ridotta a un guscio vuoto e bruciato. Un filo di fumo usciva dalle cavità che fino a poco prima contenevano gli occhi. Nergal non voleva lasciare tracce che conducessero a lui, e il lavoro della sua spia forzata era terminato.
Aveva visto un demone degli abissi che non era tale sfrecciare come una palla di fuoco nero, le ali raccolte, inutilizzate. La Simbul aveva nascosto accuratamente la sua armatura di spade roteanti, ma non si era curata del fatto che ci fosse qualcosa di strano nella forma che aveva assunto. Finché gli abishai di passaggio si astenevano dall’attaccare un demone degli abissi che per qualche motivo non era tale, per lei non faceva differenza.
La maga si stava apprestando a colpire Harhoring, il mostro reietto che aveva involontariamente ricevuto quel fardello indesiderato che era diventato Elminster. Nergal aveva costretto il prigioniero ad assumere la forma di un femore di demone annerito, per meglio nascondere il mago nell’immensa cava d’ossa che Harhoring chiamava casa. Il futuro Signore di tutto l’Inferno non desiderava affatto che il Signore delle Ossa notasse il regalo mentre lui era ancora legato a Elminster mentalmente.
Con un ringhio, Nergal si domandò, e non per la prima volta, perché stesse perdendo tempo a cercare di sottrarre ricordi utili al mago. El gli aveva puntualmente mostrato inutili cortesie prestate a sconosciuti, invece dei segreti per esercitare grande magia. Quell’umano aveva forse una scorta infinita di futili ricordi?
Per quanto tempo un mortale poteva prendersi gioco di un demone?
Per tre volte, ormai, Nergal aveva tentato con ogni mezzo di carpire un ricordo, uno qualsiasi, in cui Elminster operava un incantesimo, insegnava o riceveva insegnamenti magici, accumulava o nascondeva oggetti incantati. La mente dell’umano si era sbriciolata, sì, collassata come doveva di fronte alla sua furia, eppure, in qualche modo, quand’egli cessava di caricare, sicuro di poter finalmente afferrare qualcosa, si ritrovava ancora una volta a mani vuote. Come diavolo faceva l’umano? Era debole nel corpo, non possedeva magia nascosta, eccetto il fuoco argenteo latente da qualche parte dentro di lui, era stato devastato e guarito ormai numerose volte, e si era trasformato involontariamente ancor più spesso… e ancora lottava, argutamente, nelle profondità di quella stessa mente che Nergal stava saccheggiando. Ogni ricordo consegnatogli andava perduto per l’uomo, ciononostante scherzava, faceva commenti sarcastici ed era ancora sano di mente.
Sano per quanto un arcidemone potesse giudicare…
Per tutti i fuochi, non aveva nessuna intenzione di abbandonare l’impresa. Tutto quel lavoro per nulla. No, aveva deciso di dilaniare la mente di Elminster, ricordo dopo ricordo, per tutti i noiosi anni che il vecchio mago era riuscito a vivere, e di scovare quella magia. La magia che avrebbe finalmente reso Nergal un signore dell’Inferno.
Che la Simbul uccidesse pure i suoi rivali, l’uno dopo l’altro, mentre un nuovo verme mentale frugava nella mente del suo amato. La maga avrebbe dovuto lavorare sodo per salvare un involucro bavoso e ormai privo di valore.
Nergal pronunciò attentamente l’incantesimo, lasciando che il vecchio si sgretolasse un istante prima d’iniziare. Doveva trovare Elminster al primo colpo, senza che la regina di Aglarond o Harhoring se ne accorgessero.
Tirò un profondo sospiro di sollievo quando l’oscurità familiare delle stanze a volta apparve ancora nella sua testa. Era di nuovo nella mente di Elminster, ma non si accorse che il suo ospite aveva usato il fuoco argenteo per tentare freneticamente di guarire nel breve tempo in cui il demone aveva abbandonato il suo cervello. Perlomeno fisicamente, El era di nuovo intero, seppur debole e stanco.
SALVE ELMINSTER, ARCIMAGO DI SHADOWDALE, pensò con tono beffardo.
Salve Nergal, Signore dell’Inferno, rispose El con altrettanto scherno.
La rabbia s’impossessò come fuoco ardente dell’arcidemone tentacolato, ma questi la soffocò truce e s’insinuò più in profondità nella mente dell’umano, con la delicatezza di un amante che accarezza, non con la furia di un saccheggiatore intenzionato a razziare e a distruggere.
RICOMINCIAMO DACCAPO, PICCOLO MAIALE DI UN UMANO.
[frustata mentale, dolore, ghigno diabolico e selvaggio, immagini nitide lacerate, scaraventate da parte da artigli che scavano, scatenati]
AHA! CHE ABBIAMO QUI?
[immagini che giungono]
Gli occhi del cancelliere erano neri e scintillanti. Quando le si scagliò contro, sembrava uno dei corvi dei merli.
«Abbiamo udito fin troppe menzogne dalle vostre labbra, mia signora», affermò freddo. «Ditemi la verità, e in fretta, o potrei decidere di non perdere mai più tempo con voi.»
Improvvisamente le dita dell’uomo s’infilarono tra i suoi capelli e trascinarono Silaril in ginocchio, con violenza. Gli anelli del cancelliere erano freddi a contatto con la sua guancia, poi questi estrasse rumorosamente la spada dal fodero.
«Ne ho abbastanza delle vostre parole contorte, “signora”. Ho mostrato fin troppa pazienza.»
L’acciaio punzecchiò la gola di Silaril. La donna si impose di rimanere in silenzio, il volto immobile, ma non poté fermare il movimento del suo petto, che si sollevava e si abbassava sfiorando il braccio che la teneva prigioniera.
Il cancelliere era consapevole della paura della donna e le sue labbra si allargarono in un sorriso lento e glaciale. «Ora la tua bella bocca mi dirà la verità. Se rifiuti, o dici il falso, il tuo corpo assaggerà un po’ della verità di questa spada. La mia pazienza è terminata.»
ORA, CHE DIAMINE È QUESTO, MI DOMANDO? PECCATO CHE IL RESTO SIA ANDATO PERDUTO! NOI ARCIDEMONI SIAMO COSÌ POTENTI, SAI, CHE PERSINO QUANDO TENTIAMO DI STARE ATTENTI, LE COSE FINISCONO PER ROMPERSI. COSE COME, AD ESEMPIO, I MAGHI UMANI SFACCIATI.
Capisco il tuo essere maldestro, Nergal. Hai in mente qualcosa in particolare che vorresti vedere?
NO, MAGO, HO PERMESSO CHE MI GUIDASSI ABBASTANZA A LUNGO. PERALTRO, MI HAI CONDOTTO SU UNA STRADA PIACEVOLE, LUNGA E INUTILE. CREDO CHE ORA GUARDERÒ DOVE VORRÒ, SENZA LA TUA GUIDA, E FORSE RIUSCIRÒ A TROVARE CIÒ CHE CERCO SENZA LE CHIACCHIERE PRESUNTUOSE DI UN UMANO LA CUI VITA È APPESA A UN FILO SOTTILISSIMO.
[silenzio]
[risata diabolica]
[immagini che vorticano]
Da qualche parte negli Stonelands, Manshoon sollevò il capo e guardò la via dalla quale era venuto, con calma e freddezza. Il puzzo di carne putrida era forte attorno a lui. Le sue narici si contrassero per il fetore nauseabondo. Per un attimo si ricordò la sua prima terribile esperienza con gli zombie, in una cripta lontana, molti anni prima… Uno non può dimenticare quell’odore.
[sospiro diabolico, molte immagini scartate, altre distrutte] BENE…
QUESTA!
Il teschio guardò tutto, annuendo di proposito di tanto in tanto.
BAH! NON È RIMASTO NULLA…
[altre immagini che scintillano fiere]
L’altro beholder roteò un paio di antenne per guardare il compagno. «Riusciremo a sconfiggere Manshoon, se dovesse ottenere il fuoco magico!»
Il primo occhio tiranno ballonzolò lievemente su e giù nell’aria, come per scrollare le spalle. «Hai visto con che facilità ha vacillato al nostro invito», affermò, con tono freddo e beffardo. «Sicuramente un tiranno e un mago potente, secondo le stime umane… ma accecato dall’avidità, dalla diffidenza e dalla paranoia, dal bisogno di potere, dalla brama di trionfo. Quell’uomo è una creatura deforme e contorta. Il fuoco magico non può eliminare tali difetti.»
Il secondo beholder batté le palpebre. «D’accordo.»
DIVERTENTE, ELMINSTER. UN AVVERTIMENTO PER ME, SUPPONGO? OH, MOLTO DIVERTENTE. BEH, SE HAI INTENZIONE DI INSISTERE NELL’OSTACOLARE LA MIA RICERCA, MOSTRAMI UNO DEI SETTE IMMEDIATAMENTE! MOSTRAMI… STORM!
[artigli simili a tenaglie d’acciaio si stringono ferocemente; volontà scura incendiata da rabbia che imperversa violenta]
[dolore]
[ringhio di soddisfazione]
[dolore]
MUOVITI, MAGO!
Il chiaro di luna illuminò una spalla nuda, magnifica, quando Storm Silverhand si sollevò sul gomito e appoggiò una mano ferma sulla bocca di Elminster, «Smetti di dire scemenze e vai a dormire», esclamò con dolcezza, poi spostò la mano sul suo petto, costringendolo a sdraiarsi sul letto.
Il mago prese fiato per protestare e sottolineare l’importanza di ciò che stava cercando di dirle.
La donna appoggiò la bocca dove aveva premuto prima la mano, gli insinuò la lingua fra le labbra e lentamente gli sussurrò: «Ora dormi, ho detto. Nonostante le mie provocazioni a fare il contrario».
Quella sembrò una buona idea a Elminster, fluttuare intorpidito e stanco nel caos, che fluiva senza causargli più dolore alla mente, contusa e ammaccata. Trovò una caverna scura, ancora integra, dove i ricordi erano coperti di polvere e di ragnatele per il lungo disuso, si rannicchiò e lasciò che Averno si allontanasse da lui come aveva cominciato a fare Toril.
NO, NON METTERTI A DORMIRE! NON SONO AFFATTO CONTENTO.
HAI INTENZIONE DI MOSTRARMI TUTTI I BACI CHE HAI RICEVUTO NELLA TUA FIN TROPPO LUNGA E MISERABILE VITA, UMANO? STAI GIOCANDO COL FUOCO!
[sferzata mentale bruciante, esplosioni brillanti di dolore, frantumi di memoria che rotolano via]
EBBENE, MAGO? PARLAMI!
[dolore, agitazione, lotta, respiro ansimante per rispondere mentalmente]
Ogni ricordo che ti mostro, demone, è un ricordo in meno per me. Farti vedere ogni cosa, e perdere tutto, non sarebbe un atto degno di un uomo sano di mente.
E TU SEI UN UOMO SANO DI MENTE?
[silenzio]
EBBENE?
[silenzio risoluto]
[risata diabolica, che rimbomba e si estende a ogni angolo buio di una mente tremante]
«Questo è ridicolo!» imprecò Rathan mentre scendevano di corsa le scale, fra lo scricchiolio della pelle e il frastuono metallico delle maglie. «Su e giù dalla torre! Perché tutti questi idioti non possono marciare fino al cancello e dichiararsi, come accade nelle favole dei bambini? Sarebbe molto più facile per i miei piedi dolenti!»
«Cercherò di ricordarlo loro», rispose Torm allegramente. «Sono certo che si tratti di un malinteso, e che una premurosa cura per i tuoi alluci infiammati è e sarà la prima grande preoccupazione di tutti gli eserciti armati di Zhent che partecipano alla scorreria nella valle!»
La risposta di Rathan fu un sincero ruggito di rabbia. Tastò la fiaschetta di vinfuoco, che gli ballonzolava alla cintola, mentre correva giù per le scale. Tre pianerottoli dopo, la stappò e se la portò alle labbra, più o meno nel momento in cui il suo gomito ebbe un breve ma doloroso impatto con un blocco sporgente del muro di pietra.
Il vinfuoco brucia se rovesciato negli occhi, e i sacerdoti sovrappeso delle dee della fortuna dimenticano ogni precauzione quando espletano le funzioni sacre. Accadde, dunque, che Rathan si sbilanciò e si mosse troppo in fretta. Momentaneamente accecato e alle prese con il tappo della fiaschetta, quando invece avrebbe dovuto tenere una mano libera per la ringhiera, l’uomo si lanciò dove immaginava le scale curvassero.
Ma incorse in uno spiacevole errore.
Il muro si rivelò impietosamente duro, quasi compiaciuto nella sua resistenza passiva, e curvo. Le scale si rivelarono altrettanto dure, rese lisce da anni di calpestio, e per di più molto ripide. Rathan era grosso, tondo e i suoi versi di dolore riecheggiarono forte. Rimbalzò contro il muro una volta, due, tre, respinto dalla colonna centrale, ruzzolò sugli spigoli di tre gradini molto affilati e colpì di nuovo la parete esterna curva, annaffiandola generosamente col vinfuoco, per poi rotolare come una palla inarrestabile.
Tymora incoraggia i suoi fedeli a rischiare, ma Rathan Thentraver non era un uomo magro e nemmeno energico. La sua armatura impressionava più l’occhio che la spada… e le pietre irremovibili.
La discesa precipitosa giù per le scale iniziò con un grido e un acciottolio, e si trasformò via via in uno sferragliare d’armatura, nel rumore di un corpo pesante che abbraccia il suo destino con rabbia sacra, invece che col silenzio della rassegnazione o dell’indifferenza.
Torm era sveglio e rapido, ma non aveva molto spazio per saltare senza andare inevitabilmente a sbattere contro il muro, i gradini o il soffitto. Il suo balzo frenetico per evitare l’amico che rotolava fallì miseramente. L’uomo rimbalzò contro il soffitto e ricadde sul compagno. Con una sequela d’imprecazioni, Torm fu travolto e cominciò anch’egli a rotolare giù per le scale.
Il sorriso di Tymora attirò un capitano dei soldati Zhent nell’anticamera. Le balestre dei suoi uomini avevano eliminato le guardie poste all’entrata della torre e messo in fuga i pochi difensori dalle cucine. Il suo compito era chiaro. «Aprite quella porta», sbottò, fra le urla e le risate di uomini e il frastuono dei cavalli che passavano all’esterno.
Ubbidienti, i suoi eseguirono l’ordine, spade e balestre pronte all’attacco. Dietro la porta una tromba di scale, grazie al cielo senza soldati o trappole di sorta. La guardia più coraggiosa fece un cauto passo avanti e sbirciò nell’oscurità.
«Beh?» chiese il capitano.
«Si sente qualcosa», rispose il soldato corrugando la fronte. «Una specie di fragore…»
L’ufficiale sbuffò. «Una “specie di fragore”? Che tipo di fragore!»
La sagoma rotolante di Rathan superò l’ultima curva, rimbalzò sul bordo di un gradino particolarmente duro e irruppe nell’anticamera come un mastodonte corazzato, abbattendo il capitano delle guardie. I soldati Zhent si sparpagliarono quando un grugnito rauco si levò dalla carcassa, seguito da un rivolo di sangue; il soldato alle porte si voltò e ringhiò: «Questa specie di fragore, Signore». La balestra sollevata, l’uomo si avvicinò con aria truce al groviglio di pezzi d’armatura e di carne ansimante.
La palla più piccola e più silenziosa, Torm, rotolò oltre la soglia e lo colpì alle gambe. Con uno schiocco, la balestra scagliò il suo dardo colpendo lo Zhent più vicino. La testa dell’arciere sbatté quasi altrettanto rumorosamente sul pavimento.
Torm si fermò contro il compagno in un groviglio ansimante e imprecante. «Adesso come stanno i tuoi alluci, Vecchio Testadibarile?»
La risposta di Rathan fu lunga, chiassosa e molto colorita. Tymora non era visibilmente presente per trasalire e farsi piccola piccola, perciò lo fece Torm al posto suo.
BEH, DAVVERO STUPEFACENTE. INUTILE, SÌ, MA ALMENO STUPEFACENTE.
[immagini che precipitano]
«È mia speranza, Signore, che non lo scopriate mai», rispose Tessaril con sguardo serio. Mentre parlava, si udì un frastuono improvviso, all’interno.
UN ALTRO FRASTUONO? HMM. IL RESTO È PERDUTO. UN’ALTRA RAGAZZA UMANA, QUESTA HA GLI OCCHI COME FUMO. NON RIMANE ALTRO CHE UN FRAMMENTO… MA NON È DI NUOVO LA SUA FACCIA, LAGGIÙ?
«Ora», esclamò Tessaril, «noi aspettiamo. Qualcuno desidera qualcosa da mangiare, prima di conquistare Zhentil Keep?».
BAH! SOLO UN FRAMMENTO, ANCORA… AVREI GIURATO CI FOSSE ALTRO…
Se maneggiassi i miei ricordi con più gentilezza, demone, potresti vedere di più. C’era dell’altro, ma ora non più; hai distrutto tutto!
NON DIRMI CHE COSA DEVO FARE, OMUNCOLO! NERGAL FRUGA COME GLI PARE!
[frustata mentale, dolore, immagini che scorrono convulse]
Ridacchiarono, poi il Mago Reale di Cormyr sollevò un sopracciglio e chiese, incredulo: «Questa ragazzina di nome Shandril?».
«Sì, Shandril. Non sapeva che nessuno osa attaccare Manshoon nella sua tana, perciò l’ha fatto senza esitazioni.»
ANCORA LA RAGAZZINA DEL FUOCO MAGICO. ANCHE TU HAI IL FUOCO MAGICO, NON È VERO?
[silenzio]
ELMINSTER! ELMINSTER!
Perdonami demone, il dolore mi impediva di sentirti…
BELLA TATTICA, UMANO. MOLTO ACUTO. NON IMPORTA, CERCHERÒ SENZA IL TUO AIUTO O I TUOI SFACCIATI COMMENTI.
[turbinio d’immagini]
BAH! VOGLIO VEDERE UN ALTRO DEI TUOI VERI RICORDI, CHIARO E LUNGO, E CHE MI SIA UTILE, QUALCOSA DI VIVIDO E D’IMPORTANTE SU UNA DELLE SETTE SORELLE CHE SI RIUNISCONO NEL SUO POTERE. MOSTRAMI TALE RICORDO, E SUBITO.
STORM SEMBRAVA ANDAR BENE L’ULTIMA VOLTA. È STATA LA TUA AMANTE UNA VOLTA O DUE, NON È VERO? DAMMI STORM, E POI UN’ALTRA FRA LE SETTE.
Nelle vicinanze un cumulo di corpi di Zhentarim dilaniati si sollevò, si spostò e si agitò. Da sotto emerse una Storm ansimante, ferita e insanguinata.
AHA! UN ALTRO RICORDO, E NON DISTRUTTO! CI PENSO IO!
Il silenzio cadde sul campo dei caduti.
[grugnito] BEH, L’HO DISTRUTTO SOLO IN PARTE. NON C’È… MA QUESTO COS’È? ANCORA SHANDRIL?
«Devi unirti agli Arpisti, ragazza», affermò Elminster con tono grave.
Shandril sollevò lo sguardo, una sorta di fuoco magico luccicante nelle pupille, e rispose: «“Devo”! E perché!».
Il Vecchio Mago scrollò le spalle. «In qualche modo», ribatté con voce fredda, indicando con una mano la distruzione fumante che li circondava, «devi imparare quando evitare una cosa come questa».
BAH! TU CHE INSEGNI, SÌ, MA CHE UTILITÀ POSSO TRARRE DA QUESTO RICORDO?
[immagini scagliate da parte, vorticanti]
«Non posso sprecare incantesimi per loro. Impiccateli, affinché i cittadini vedano.»
«Voi guarderete dal balcone come sempre, Signore?»
«No. Ho un po’ di lavoro da sbrigare, e le morti decretate sono pressoché uguali alle altre. Esistono cose nella vita che mi danno maggiore piacere, e molto più divertimento.»
CHI ERA QUELLO?
Manshoon, un mago più intelligente di quanto pensino molti, che gioca a fare il sinistro governatore di Zhentil Keep, alcuni anni fa.
E CHI SONO QUEI DUE BUFFONI? LI HO GIÀ VISTI PRIMA NELLA TUA MENTE…
Avventurieri. I Cavalieri di Myth Drannor.
È POSSIBILE CHE STIANO PARLANDO DI MAGIA?
Quei due parlano solo di bere, di ricchezze, di donne, di risse e di magia, perciò hai una possibilità su cinque…
HMMPH. PIÙ DI QUELLE CHE SINORA MI HAI DATO.
[l’immagine scelta si srotola ampia e luminosa]
Torm tossì. «Ahem», iniziò, senza giri di parole. «Per tutti gli dei benevoli che ci guardano, gentili signori e signore, siate allegri! Questo è un gran giorno, senza alcun dubbio. Rathan il Potente cavalca ancora, e io con lui. Cento giorni orsono partii per primo, la spada in mano (malgrado si sia rivelata spesso pesante come il piombo), per imporvi questo sacerdote. Vi siete attenuti ai suoi sermoni con virilità e femminilità, come richiede il vostro stile sfarzoso e variegato. In verità, ciò mi rincuora, perciò vi invito: ancora una volta nella mischia dall’aspetto truce, qualsiasi sia la vostra divinità… ancora una volta!»
«Basta con questi discorsi cavallereschi», lo interruppe bruscamente Rathan. «Qui sono io l’abile oratore!»
«Non con una fiaschetta tanto piccola, non lo sei di certo», rispose malizioso Torm, appena fuori della portata dell’amico.
[risata diabolica] BUFFO. MOLTO BUFFO. HAI QUALCOS’ALTRO SU QUESTI DUE?
[silenzio, immagini che turbinano in prima linea]
«Furie e gargoyle siano maledetti, uomo», esclamò Torm con finta rabbia. «Ho ordinato il letto nuziale, e ti ho pagato bene! Non mi hai detto nulla del fatto che avrei dovuto procurarmi una sposa! Che diamine, a Waterdeep con sei monete d’oro, ti compri la calda compagnia di una ragazza, per tutta la notte!»
Rathan tossì discretamente sopra la spalla dell’oste dallo sguardo torvo, e mormorò: «Audace spada del mio cuore, dimentichi una cosa: siamo a Waterdeep. La tua affermazione suona un po’ falsa».
Il locandiere gli girò attorno, ancora furioso, e grugnì: «A meno che non paghiate per un letto, signore, fareste bene a fargli da sposa e a dividere!».
Rathan inarcò le sopracciglia e lanciò a Torm un’occhiata interrogativa, che poco dopo si tramutò in sbalordimento. «No!» esclamò. «Questo no!»
L’oste si voltò per vedere che cosa avesse causato quella reazione. A sangue freddo, Rathan sollevò la mazza all’altezza delle spalle e assestò un abile colpo alla nuca del locandiere. L’uomo si accasciò per terra come un sacco di patate; Rathan rimase a osservarlo dall’alto, con aria innocente.
«Se lo portiamo nelle stalle», mormorò, rivolto a Torm, «io posso aver il tuo letto, tu il suo e, finalmente, una sposa!».
«Oh, no», lo avvisò Torm. «Non se ne parla neanche! Ho visto sua moglie… lei dovrebbe stare nelle stalle!» L’uomo si accigliò per il gesticolare improvviso e frenetico dell’amico e chiese irritato: «Che diamine…?».
La padellata che lo atterrò fece trasalire Rathan. Nei pochi secondi prima di voltarsi e darsela a gambe, il robusto sacerdote di Tymora rifletté su come la collera possa rendere attraenti anche le donne di centottanta chili, col viso costellato di porri. Di una decina di chili più magro della moglie dell’oste, Rathan riuscì a sfuggirle, anche se per un soffio, fino all’abbeveratoio dei cavalli… dove, purtroppo, scivolò su qualcosa.
HAH! BAH! QUESTI DUE IDIOTI SONO UNO SPASSO! HAI ALTRI EPISODI?
Da un’altra parte, Lord Nergal, fra i miei ricordi di Shadowdale. Lascia che…
OH, NO.
NO.
IL DIVERTIMENTO PUÒ ATTENDERE. NON TI PERMETTERÒ DI TRASCINARMI NEI VICOLI SECONDARI DELLA TUA MENTE. MI HAI QUASI INGANNATO, UMANO… QUASI. RESTA BUONO E ZITTO. ME NE ANDRÒ DI NUOVO A FRUGARE.
[Una nuvola di immagini vorticanti esplode in cascate scintillanti e si dissolve… e da essa viene estratta una scena, che si svolge luminosa]
Il Re di Cormyr, in piedi sul campo di battaglia, scosse lievemente il capo, le labbra increspate e il volto truce. «Il mio sentiero si apre chiaro davanti a me», affermò, rivolto all’uomo che gli stava accanto. «Quella strada diritta e stretta porta alla tomba.»
Il Mago Reale di Cormyr emise un educato colpo di tosse e osservò: «Mio re, il sentiero che vedete è quello di ogni uomo. I re hanno semplicemente modo di ignorare il proprio destino più a lungo di altri. Grazie alle distrazioni di cose più affascinanti».
«Ah», mormorò Azoun sollevando la spada, «capisco. Eserciti invasori, draghi che sollevano i tetti delle fortezze, incantesimi mortali che cadono dal cielo con artigli affilati… questo genere di “cose affascinanti”?».
Vangerdahast annuì. «Sì, insieme alle pitture di molti soffitti di boudoir», affermò guardandosi le unghie con aria innocente.
Se l’occhiata che Azoun gli lanciò fosse stata un po’ più pungente, la vita del mago reale sarebbe terminata all’istante.
D’altra parte - rifletté quest’ultimo quando i loro sguardi s’incontrarono - come del resto avrebbe ritenuto Elminster, lui aveva scelto la strada della codardia.
SEI STATO IL SUO TUTORE, VERO? MI DOMANDO CHI, A PARTE LA TUA CARA DEA, NATURALMENTE, TI ABBIA INSEGNATO LA MAGIA? TI VA DI CONDIVIDERE ALCUNI DI QUEI RICORDI?
Se insisti, perché naturalmente…
NO! NO, MAGO! RIMANI SEDUTO TRANQUILLO, TROVERÒ IO LA STRADA. MI RISPARMIERÒ ARRABBIATURE, E TU TANTO DOLORE. CAPITO?
Come desideri, demone.
[soddisfazione diabolica, immagini che balenano confuse, per poi vorticare oltre]
«La vita», affermò l’arcimago, «è come una larva che si contorce… non è vero?»
[perplessità] È TUTTO CIÒ CHE NE È RIMASTO? CHI ERA QUELLO? ELMINSTER?
No, Nergal, era un altro vecchio mago arrogante, non io.
LO SO, IDIOTA! TI STAVO CHIAMANDO AFFINCHÉ MI RISPONDESSI!
Ah. Beh, io me ne stavo seduto e buono, lasciando che trovassi la tua strada.
[grugnito di collera] IO TI DISTRUGGO, GRACILE UMANO!
L’hai già fatto, e non mi sembri soddisfatto del risultato. Con tanta poca determinazione, Nergal, come potrai salire sul trono dell’Inferno?
NON FARTI BEFFE DI ME, ELMINSTER, A MENO CHE TU NON VOGLIA TRASCORRERE L’ETERNITÀ NEL TORMENTO.
Per molti aspetti, demone, è quello che sto facendo. Riflettici, e arrabbiati meno.
[ringhio, frustata mentale, fulmini esplosivi, urla strazianti d’agonia, soddisfazione diabolica, immagini che turbinano come brace luminosa scagliata da un fuoco ruggente]
«Sacri… hobgoblin… danzanti», mormorò Asper lentamente, la voce tremante.
E CHI O CHE COS’ERA QUELLO? EL… OH, NON IMPORTA.
TE LA FARÒ PAGARE PER QUESTO, UMANO. LO GIURO SU…
OHO! INIZIA!
Due corna alte come uomini trafissero il cielo rosso sangue. Le loro punte crudeli, lievemente curve l’una verso l’altra, erano adorne di teschi di spinagon anneriti. La testa che le portava sarebbe potuta appartenere a una capra gigantesca, e i suoi occhi grandi, penetranti e luccicanti, erano indizio di un’intelligenza sveglia e crudele. Era un peccato che il volto di Harhoring fosse anche permanentemente segnato dal dolore procuratogli dalla Maledizione di Asmodeus.
All’Inferno non era raro che qualcuno cadesse in disgrazia al cospetto del Signore degli Abissi, ma pochi ne portavano il segno sotto forma di tormento costante e attivo. Il Cornuto era l’unica di tali vittime che fosse in grado di muoversi e di aspirare al più piccolo straccio di libertà, malgrado fosse una libertà minata dal dolore, voluto da Asmodeus come monito perpetuo.
Vermi che Harhoring non poteva uccidere, poiché erano fatti delle sue stesse viscere, lo divoravano senza fine, strisciando dentro e fuori dal suo ventre gonfio. Rigagnoli di sangue e di fluidi nauseanti gocciolavano incessantemente dalle ferite che questi gli causavano. Gli stessi artigli e incantesimi del mostro trapassavano i vermi maledetti come fossero fumo.
Solo demoni comandati e bestie catturate potevano colpire i parassiti e rallentare il logoramento che giorno dopo giorno indeboliva Harhoring. Per così dire, solo un considerevole nutrimento e una raccolta frenetica di magia da parte del demone-capra lo mantenevano in vita. Questi sapeva che Asmodeus lo guardava e gongolava, perciò di rado placava, e solo lievemente, la sua ferocia.
Proprio in quell’istante Harhoring si stava godendo uno dei «rari» momenti di soddisfazione: appollaiato su un pinnacolo reso viscido dal proprio sangue, stava azzannando avidamente le costole di un drago che, con la magia, aveva costretto a schiantarsi a tutta velocità sul fianco della montagna. Tre volte aveva dovuto combattere i demoni degli abissi venuti a reclamarne il cuore o il cervello, e aveva ormai rinunciato a scacciare spinagon e abishai dai bocconi sanguinolenti di carne di drago e dalle squame erranti.
Quello era il primo lauto pasto che si godeva dopo giorni, ma il demone cornuto s’aspettava molto presto d’essere interrotto. L’impossibilità di spostare l’enorme carcassa del drago lo costringeva a rimanere in un punto e a mangiare dove si trovava, il che significava essere facile preda dei nemici. Harhoring aveva preparato qualche magia e, mentre mangiava, teneva gli occhi ben aperti. All’Inferno gli errori erano lussi che pochi potevano concedersi.
Ecco! Qualcosa si avvicinava rapidamente, avanzando senza alcun tentativo di nascondersi o di usare scaltrezza, lanciato nel cielo di Averno come un fulmine scuro e silenzioso di carne di demone…
Harhoring aveva occhi di lince, e in quel momento li usò. Era un nemico sconosciuto, o un vecchio rivale che indossava un travestimento mai visto prima. Sembrava un demone degli abissi, ma volava con le ah ripiegate all’indietro, come fosse un dardo scoccato da un arco. Anche il suo corpo aveva qualcosa di strano, era come se fosse contornato da numerose minuscole gambe, che vorticavano costantemente…
Harhoring salutò il nemico in avvicinamento con un sorriso dentato, decorato da un pezzo di drago crudo e sanguinante, e scagliò il suo primo incantesimo.
Artigli d’acido sferzarono l’aria. Il reticolo di morte gocciolante sfrigolò e sputò quando il nemico lo colpì. Qualche brandello d’armatura parve trattenere l’energia e, dopo che l’acido l’ebbe consumato, precipitò al suolo.
Il nemico sembrava essere una donna umana, avvolta più nei suoi capelli che in qualsiasi altro indumento. Erano lunghi e mossi, come i tentacoli di un calamaro a caccia di prede, e recavano bacchette, anelli e altri oggetti magici… e li puntavano persino!
Il secondo incantesimo di Harhoring la colpì in faccia. La magia generò stelle dalle lunghe spine che si agitavano in tutte le direzioni, poi le fece esplodere, scagliandone i proiettili mortali. La donna seminuda si dibatté nel suo stesso sangue, costellata da decine di spine simili a giavellotti, e iniziò a precipitare…
Fuochi dell’Abisso! Sarebbe caduta dritta nelle viscere ancora fumanti del drago! E se fosse sopravvissuta e si fosse difesa… che cosa sarebbe rimasto del pranzo di Harhoring?
Un po’ allarmato, ma con gioia selvaggia, il demone cornuto lanciò un uncino di sangue magico e tirò forte. L’incantesimo avrebbe agganciato l’umana, dilaniandola, e l’avrebbe portata ai suoi piedi.
L’uncino colpì il bersaglio: la donna gettò la testa all’indietro, la carne del collo esposta, e urlò il suo dolore al cielo tinto di rosso. Poi sembrò attraversare con un balzo lo spazio che li separava, a un certo punto cadde in picchiata e sul suo volto comparve un ghigno simile a quello di Harhoring.
La magia scintillò e fluì attorno alla donna quando le due creature stavano per scontrarsi. Improvvisamente allarmato, il demone cornuto evocò, in ritardo, gli artigli brucianti per aumentare il taglio micidiale dei suoi.
Questi stavano per materializzarsi quando il nemico si schiantò contro il suo petto, le mani trasformate in due tizzoni ardenti.
Harhoring conobbe il dolore più acuto che avesse mai sentito per mano di Asmodeus. Agonia rossa e stridente! Il Signore delle Ossa ruggì mentre il nemico lo trafiggeva e, impotente, con movimenti convulsi, lo spinse via per liberarsene, procurandosi ulteriore dolore.
L’incantesimo della donna aveva trasformato brevemente le sue mani in forche metalliche, ognuna munita di una lunga punta che sprofondò nella carne del demone-capra. Un uncino crudele sottostante ampliò ulteriormente le ferite. Le punte s’insinuarono in profondità, e una trapassò il corpo di Harhoring.
Tremante e vacillante, il demone sputò sangue infuocato su di lei e trasudò fiamme mentre cercava di scacciarla. Alla fine riuscì ad allontanarsi convulsamente dalle punte metalliche.
Con freddezza, la maga agganciò entrambi gli uncini alle viscere esposte del demone, mentre questi si staccava da lei. Si tirò indietro da una parte, e la furia della spinta la portò oltre il demone urlante, che venne bruscamente strattonato.
Strillando, il demone dalle lunghe corna cadde dal pinnacolo e si schiantò violentemente sulle rocce sottostanti. Nella caduta, viscere fumanti si staccarono dal suo corpo. I vermi maledetti s’impennarono e si contorsero in un’agitazione famelica attorno al diaframma.
Mentre si dimenava sulle rocce in preda a un dolore straziante, Harhoring maledisse la mano di Asmodeus, che impediva ai reietti di invocare altri demoni in loro soccorso. Per tutto il sangue di Averno, aveva bisogno d’aiuto!
Con uno scintillio entrambe le mani della donna riassunsero la forma umana. La maga avvolse un pezzo dell’intestino scintillante del demone intorno a un avambraccio e cominciò a comporre un nuovo incantesimo con la mano libera.
Harhoring si rotolò sulle rocce, cercando si alzarsi nonostante il dolore delle ossa rotte. Doveva assolutamente riuscire a fare una magia.
HARHORING OFFRE POCA RESISTENZA, A QUANTO PARE. HMMM. CREDEVO FOSSE UNO DEI PIÙ FORTI TRA NOI REIETTI.
VIENI, PICCOLO MAGO: È GIUNTO IL MOMENTO CHE TU VEDA UN ALTRO ANGOLO DI AVERNO.
[il verme mentale si assopisce, l’incantesimo ha inizio, magia nera e forte si leva alta]
Un fuoco bianco e blu percorse le viscere del demone-capra, ringhiando nel suo rapido viaggio dalla maga umana arcigna e tremante alla creatura infernale dilaniata e agonizzante.
«Dov’è, demone?» sbottò la Simbul. La morte stava per raggiungere il Signore delle Ossa. «Che hai fatto del mio uomo?»
Negli occhi del demone cornuto la rabbia si mescolò alla perplessità. Poi questi sollevò un braccio tremante verso di lei e scagliò contro un’ultima, disperata magia. La parola stridula che pronunciò subito dopo era l’inizio di un incantesimo, non una risposta… ma in quel momento l’incantesimo di sangue della donna lo raggiunse.
L’esplosione dilaniò la creatura infernale, le spalle immense e tutto il resto, imbrattando le rocce circostanti. La Simbul rimase immobile, immersa nell’icore scuro. Il sangue scese come una pioggia macabra e soffocò il suo sospiro. Il contatto era svanito: era di nuovo sola; Elminster se n’era andato di nuovo, portato in qualche altro luogo di Averno.
«Qualcuno vuole numerosi demoni morti», gridò, con stanchezza. «Di certo esistono modi più efficaci di eliminarli che non dar loro in pasto un mago umano. Persino questo.»
Abbassò lo sguardo sulle sue membra bagnate di sangue. Alcuni minuscoli frammenti d’armatura vorticavano ancora intorno a lei. La Simbul scosse il capo e con un incantesimo accurato trasformò le schegge in ali scure. Si sarebbe dovuta accontentare della via più lenta durante il resto della ricerca, nel caso la sua magia, ormai in fase di esaurimento, le fosse servita per un’altra lotta.
«È tempo che l’Inferno tremi un po’ di più», mormorò e spiccò un balzo nel cielo color porpora.
Due occhi feroci si socchiusero. «Hai visto», rombò una voce aspra.
«Sì», rispose il demone degli abissi più vicino. «Un’altra incursione, che è più di quello che sembra. Nessuna maga umana sarebbe stata in grado di uccidere Orochal, per non parlare di Tasnya la scostumata e di un cacciatore tanto spietato come Harhoring. Tre demoni dati alle fiamme quando nessuno di essi sarebbe dovuto soccombere».
«Già. Raduna le truppe. Che Averno sia scosso dal fuoco! Voglio che questa intrusa umana si agiti e supplichi sul mio spiedo in mezzo alle fiamme.»
«Al suo comando», esclamò il demone degli abissi, chinando il capo. Poi prese il volo in maniera goffa e frettolosa. Il divertimento era raro all’Inferno e nessuno se lo voleva perdere.
Una sfera di fuoco schizzò fuori da un braciere, con un rombo tanto improvviso e netto da sembrare un gong. Varie teste cornute si voltarono.
«Avete visto?» chiese una voce profonda che fece tremare il terreno con la sua forza, e i presenti di paura.
«Sì, Terribile Signore», sibilarono i demoni, più o meno in coro, riluttanti e ansiosi.
«Alle armi», esclamò la voce. «Non deludetemi.»
Le fiamme si levarono dal braciere, ancor più feroci di prima, e si udì un tumulto improvviso quando i demoni s’affannarono a lasciare quel luogo tremante.
BENE, BENE. LA TUA STREGA-REGINA HA DESTATO NON POCA ATTENZIONE QUI ALL’INFERNO, FRA I PROFONDI E I POTENTI. ESERCITI PRONTI, MAGIA CONSIDEREVOLE PESCATA DAI NASCONDIGLI, NERGAL FELICE…
Gli schiavi umani tornano utili ancora una volta, hmm?
INTELLIGENZA, INTELLIGENZA! DEVO SORBIRMI LA SFACCIATAGGINE DI ELMINSTER, I SUOI COMMENTI PUNGENTI, ELMINSTER CHE RISOLVE TUTTO CON UN SORRISO PER GLI SCIOCCHI CON CUI HA A CHE FARE! POTREI RIDURTI IN UNA POLTIGLIA SANGUINANTE IN UN SOLO ISTANTE, CHE LE FIAMME TI CONSUMINO!
Ma non lo fai. Perché?
PERCHÉ NESSUN ALTRO DEMONE HA TRA LE MANI UN UOMO CHE SERVE PERSONALMENTE UNA DEA E DETIENE TUTTO IL SUO POTERE. ALCUNI DIAVOLI RAGGIRANO, MINACCIANO O INFLUENZANO LE COSCIENZE FUORI DALL’INFERNO, MA TU SEI MIO, CORPO E MENTE. SENZA DUBBIO POTENTE E SAGGIO, E POTENZIALMENTE MOLTO UTILE.
EPPURE, NON RIESCO A IMPARARE NULLA DI UTILE DA TE. NON ANCORA.
E…?
E NON HO INTENZIONE DI ATTENDERE A LUNGO. O TI ARRENDI A ME, O MORIRAI NEL MODO PIÙ ATROCE CHE RIUSCIRÒ A ESCOGITARE.
SEMPRE CHE MALACHLABRA NON TI OTTENGA PER PRIMA.
[domanda umana inespressa, sopracciglio mentale inarcato]
OH, SÌ. È SOPRAVVISSUTA ALLA NOSTRA PICCOLA BATTAGLIA PER IL TUO POSSESSO, A QUANTO PARE, MA SI È NASCOSTA PER PAURA DI NERGAL IL POTENTE… PERCIÒ L’UNICA COSA DA FARE È ANDARE DA LEI. O MEGLIO, SPEDIRLE DUE REGALI. TU E LA TUA AMATA VENDICATRICE.
[scrosci di risate diaboliche]