21. Una vendetta consumata calda

Il caso volle che una banda di avventurieri entrasse nella camera scura ed echeggiante di Sottomonte prima che la pazzia svanisse. Alla luce della torcia videro l’uomo che ululava e piagnucolava da solo al centro del vasto pavimento di pietra spoglia, e fuggirono in silenzio, con la massima rapidità.

Halaster aveva invocato tutto il potere affidatogli da Mystra per guarire la grande ferita che avrebbe dovuto ucciderlo. La terribile spina ossea che lo aveva trafitto, gli aveva dilaniato gli intestini. E ancor peggio, Nergal aveva unito alla sua magia una maledizione. Il signore di Sottomonte era vivo, ma non aveva più incantesimi per contrastare la crudeltà di Nergal. Aveva trascorso un giorno, o forse più, a rotolarsi sulla pietra fredda e impolverata, incapace di fermare le trasformazioni nauseanti che subiva il suo corpo: ali di pipistrello, squame, code e artigli spuntavano e svanivano, diminuivano e fluivano, incuranti delle urla e delle imprecazioni del mago sofferente.

Spine, corna e seni crescevano, si torcevano, e poi gli scorrevano lungo il corpo come onde sull’acqua. In mezzo a tutto quel caos e quel dolore Halaster giurò di tornare nei Nove Inferni: avrebbe fatto visita e tormentato il demone Nergal, anche a rischio di perire nell’intento, Elminster o non Elminster.

Finalmente la maledizione cessò. Halaster Blackcloak giaceva ansimante e madido di sudore. Fissò l’oscurità polverosa. I brandelli della tunica squarciata gli si erano appiccicati alla pelle.

«La vendetta», annunciò con calma, mentre rabbrividiva e sprofondava nell’oblio, «comincia ora».

Ciononostante, rimase a lungo immobile, anche quando il freddo gli fece battere i denti. Rimase sdraiato, a rievocare ogni minimo dettaglio di Nergal, movimenti, parole, reazioni, aspetto fisico, e a pensare quali incantesimi sarebbero stati l’arma migliore contro una creatura simile.

Altrettanto pazientemente, ricordò inconvenienti ed effetti precisi di ogni incantesimo adeguato, e le tattiche migliori per utilizzarli in Averno. Alla fine sorrise freddo e, rivolto all’oscurità, esclamò: «Sembra che Halaster Blackcloak possa diventare egli stesso un bravo demone».

Il sorriso scomparve lentamente dal suo volto, poi, con più dolcezza, affermò: «Lady Mystra, ho bisogno del vostro aiuto. Il compito che ho accettato si è rivelato superiore alle mie attuali capacità. Possiamo parlare?».

Il pavimento di pietra sotto di lui si scaldò e un formicolio gli pervase il corpo. D’un tratto non era più sudato e sporco, ma integro e forte e pienamente vigile. Era come se due braccia calde e materne lo stessero cingendo.

Il mago fece qualcosa che non faceva da secoli: mugugnò, si girò con soddisfazione su un lato, in posizione fetale, e s’addormentò.

Nel caldo oblio che seguì, Halaster sognò di succhiare un seno materno, di poter spiegare i suoi bisogni e di rivelare i suoi pensieri. In cambio ricevette gli incantesimi di cui necessitava e il consiglio saggio di un maestro di battaglia fra i maghi… A un certo punto fluttuò, supino, attraverso una schiera infinita di candele accese scaturita dal nulla. Le loro fiammelle scaldavano, ma non bruciavano…

Halaster Blackcloak si ritrovò improvvisamente in piedi in una stanza in cui raramente si recava, nelle profondità di Sottomonte: una cappella consacrata a Mystra. Non stava più sognando ed era solo. Due fiammelle tremolavano sopra l’altare di pietra spoglio che si ergeva di fronte a lui, ma nessuna candela le alimentava. Si sentì forte. La magia avvampò come fuoco impetuoso dentro di lui, una sensazione mai sperimentata prima. Tutti gli incantesimi a cui aveva pensato erano pronti nella sua mente, insieme ad altri, mai utilizzati e molto affascinanti. Il mago indossava una tunica semplice e nera, con stivali e cintura dello stesso colore. Non recavano ornamenti, ma erano di fattura raffinata e della taglia perfetta. Non indossava anelli, né simboli o altri decori. Qualcuno gli aveva spuntato la barba.

«Signora», affermò rivolto all’altare, «grazie. Sarà fatta la vostra volontà».

Voltò le spalle all’altare e fece nove passi, raggiungendo un punto al di là di quello adibito alla consacrazione, con l’intenzione di elaborare un incantesimo di volo per raggiungere l’Inferno.

Nel momento in cui pensò alla destinazione in Averno, quando ancora non aveva pronunciato la magia, il mondo intorno ad Halaster assunse un colore bianco e blu. L’uomo ebbe la sensazione di precipitare nel vuoto, ma non vide nulla intorno a sé che potesse confermarglielo. Quando la foschia bianca e blu si dileguò, il mago si ritrovò a mezz’aria, a una spanna da una pietra nera e scabrosa, in un luogo di rocce torturate e di spinagon urlanti, sotto a un cielo rosso sangue. Mise piede su Averno, e non vide, né udì, il filo spettrale che era giunto con lui all’Inferno dalle fiamme dell’altare.

Questo tremolò un po’ nella sua invisibilità, colmo di una rabbia ancor più feroce di quella del mago. La Strega-Regina di Aglarond era tornata negli inferi.

* * *

Un uomo massacrato vagava senza meta fra le distese di roccia di Averno, mentre rivoli di sangue gli colavano dai monconi delle braccia. Di tanto in tanto inciampava, e in quei momenti fiamme rosse e nere gli fuoriuscivano dagli occhi. Spinagon e abishai lo evitavano e volavano oltre. Persino i lemuri e le larve striscianti non osavano più avvicinarsi a lui.

Talora le sue labbra si aprivano ed egli mormorava echi della profonda voce mentale che tuonava nella sua testa. Talaltra grugniva e grufolava come un maiale o trillava come un uccellino. I demoni minori e più deboli si tenevano alla larga, poiché non desideravano condividere i tormenti di un altro.

Trascinandosi come un guscio vuoto, Elminster tornò nel luogo di rocce e di alberi in cui Nergal aveva divorato le ossa gocciolanti di Marane e aveva scaraventato il suo schiavo mentale ripetutamente contro le rocce. Lentamente, con estrema circospezione, il fuoco argenteo si levò in lui, generando una foschia e facendo vorticare i suoi ricordi come foglie secche sollevate da una brezza leggera. Il demone che lo teneva prigioniero si lanciò in essi grugnendo d’eccitazione, e non vide il momento in cui Elminster sollevò una pietra, afferrò ciò che vi stava sotto e infilò l’oggetto tra i capelli lunghi e arruffati, sopra l’orecchio sinistro.

Quel peso era concreto, rassicurante. El si rialzò e ricominciò a vagare apparentemente senza meta, dopo aver recuperato lo scettro magico nascosto in precedenza. Di fattura Netherese, opera del Mastro Ombra Telamont Tanthul, era in grado di sferrare un incantesimo clonatore, di «far crescere» più corpi da uno solo o da una parte di esso… e di formare eserciti.

Con risolutezza, Elminster nascose nuovamente quei pensieri sotto una coltre di fuoco argenteo e lasciò che Nergal gongolasse per i ricordi vividi e duraturi che stava inseguendo nella sua mente.

AH, PICCOLO UMANO, FINALMENTE DOVREMO ESSERE VICINI A QUALCOSA DI GROSSO. LO SENTO, COME SE IL TUO PREZIOSO FUOCO ARGENTEO STESSE NASCENDO DENTRO DI TE! SÌ! AVANTI, MOSTRAMI ALTRI RICORDI!

* * *

«Terribile Lord Geryon», mormorò il più giovane e il più ambizioso dei demoni degli abissi, puntando il dito contro uno scintillio comparso su una collina distante, disseminata di rocce, «laggiù».

L’Arciduca sorrise, sebbene l’elmo scuro che indossava mostrasse al gruppo di demoni solo la curva sottile delle labbra. «Grazie, Albitur. Il primo attacco è tuo.» Al che una grossa coda spinata si contorse.

Alcuni dei demoni riuniti indietreggiarono con fare quasi furtivo. Geryon era eccitato o arrabbiato, ma a chi desiderava sopravvivere non importava quale fosse il suo vero stato d’animo.

Per lo meno gli ordini che il Lord di Nessus aveva impartito loro non prevedevano un’attesa di anni o di un’eternità. Il grande Asmodeus aveva detto che Halaster sarebbe tornato presto, armato dalla sua dea con potere sufficiente da costituire una minaccia per l’Inferno. E, come sempre, ma questa volta più che mai, aveva avuto ragione.

Albitur prese il volo come un uragano scuro, radunando cornugon e demoni degli abissi senza nemmeno fermarsi. Questi attraversarono una caverna profonda densa di fumi velenosi, per poi sorvolare una cresta i cui pinnacoli rocciosi si ergevano come zanne. Dopodiché si gettarono in una picchiata micidiale verso la figura umana solitaria, silenziosi tranne che per il vento che sibilava fra le loro ali.

Quaranta e più demoni contro uno, ma nessuno di coloro che attorniavano Geryon rise o fece scommesse. A quanti demoni corrisponde l’aiuto di una dea?

L’umano vide la morte avventarsi sopra di lui. Sollevò le mani e gesticolò nell’aria.

I demoni gli erano vicini e, un attimo dopo, questi gli lanciarono contro fulmini luminosi. Sulle rocce accanto al mago solitario avvamparono alcune fiamme: muri di fuoco evocati dai demoni.

L’aria sopra i demoni si riempì improvvisamente di pietre grandi quanto una testa, che si abbatterono su di essi come una pioggia violenta. Un sasso frantumò il cranio di uno sventurato cornugon, lasciando al suo posto solo un collo insanguinato.

Halaster si agitò in mezzo ai fulmini scagliati dai demoni, ma gli spasmi sembrarono rinvigorirlo più che danneggiarlo.

Le creature infernali si abbatterono su di lui con fruste spinate che schioccavano e sferzavano l’aria, ma si scontrarono con una nube di piccole mani argentee, che iniziarono a strappare, cavare, strangolare e colpire, ustionando la carne diabolica.

Molti demoni degli abissi, accecati e feriti, caddero urlanti sopra le rocce, dove si rotolarono e si agitarono agonizzanti, destando le larve, che migrarono in massa nella loro direzione.

Sul terreno intorno al mago iniziarono ad accendersi dei fuochi; un’eruzione lo scaraventò con la faccia a terra. Demoni e cornugon dai muscoli possenti irruppero fra le fiamme, agitando le fruste con tanto vigore da aggrovigliarle e da essere costretti ad abbandonare la lotta incalzante. Gli altri si riversarono sul mago, sferrando pugni, calci e quant’altro; l’uomo scomparve, sommerso da un cumulo di carne rossa e nera.

«Dovrebbero aver quasi finito di smembrarlo», mormorò un demone accanto a Lord Geryon.

Ancor prima che la mano pelosa della Bestia Selvaggia si levasse in un gesto di rimprovero, si vide un lampo accecante di luce argentea provenire dal groviglio di demoni. Quei pochi che non furono scagliati in cielo urlando, ruzzolarono sulla schiena, inceneriti e ammutoliti per sempre.

«Qarlegon», chiamò con calma l’Arciduca.

Il demone convocato spiccò il volo come un segugio liberato dal guinzaglio. I suoi cornugon si levarono dalle rocce circostanti e lo seguirono.

Il secondo esercito, che contava più di sessanta soldati, si lanciò su Halaster da tutte le direzioni, come una rete che si stringe lentamente, mentre il comandante rimaneva a distanza, impartendo indicazioni a destra e a manca.

Halaster guardò i demoni che si avvicinavano con tanta circospezione, poi scagliò un fulmine a catena contro di essi. Questo sibilò e si spense, distrutto dalla natura stessa dei demoni.

La mano di Qarlegon si abbassò e, all’unisono, i demoni si gettarono in picchiata.

Il mago umano elaborò freneticamente alcuni incantesimi mentre l’esercito s’avvicinava, ma Geryon e gli altri demoni degli abissi trasalirono ancor prima che Halaster potesse scagliare qualche sortilegio. L’aria intorno a essi tremò momentaneamente. Corna, orecchie e punta delle dita formicolarono.

«Che cos’era quello?» esclamò un soldato, tornando tremante sul suo trespolo di roccia.

«Una magia davvero potente», rispose inutilmente un demone vecchio e segnato dalle cicatrici. «Forse la mano di Lord Asmodeus in persona.»

All’udire quel nome alcuni dei demoni più giovani chinarono il capo e fecero come per difendersi. Molti guardarono il mago umano e s’accigliarono.

«Non è stato lui», mormorò uno di essi, e gli altri annuirono.

Questa volta i demoni lo attaccarono simultaneamente con sferzate e pugni; poi si ritrassero, lasciando Halaster insanguinato e vacillante, ma confluirono ancora una volta, in modo che il mago soccombesse definitivamente.

Quando le creature si levarono di nuovo in volo, l’umano barcollava, un braccio penzolante dalla spalla, inutilizzabile. I suoi ululati improvvisi di dolore e i suoi saltelli suscitarono le loro risate crudeli.

Il terzo attacco causò uno scoppio di fuoco argenteo. Ma fu più debole del primo e solo mezza dozzina di demoni cadde al suolo morta e senza testa. Un numero doppio di soldati fu scagliato lontano o si allontanò urlando. La quarta carica si chiuse violentemente su Halaster, e il mago non si rialzò più.

I demoni degli abissi vicini a Geryon stavano cominciando a rilassarsi quando un flusso improvviso di fulmini bianchi e blu s’abbatté sulla mischia. I soldati infernali furono colpiti da un atroce dolore. Spiccarono il volo fra urla, ruggiti e grugniti… solo per essere trafitti uno dopo l’altro da nuovi fulmini. In pochi secondi perirono due dozzine di demoni.

«Chi…?» ansimò un demone degli abissi.

«Scoprilo», sbottò Geryon. «Perstur, Agamur!»

Obbedienti, le creature si levarono in cielo e, con rapidi spostamenti a zig zag più che in linea retta, si precipitarono verso il nuovo nemico. Una nuvola di fulmini celava alla vista l’aggressore. La nube allungò alcune dita crepitanti per sollevare teneramente nell’aria il corpo devastato e mugugnante del mago umano. Una luce bianca si accese intorno ad Halaster Blackcloak, tanto brillante da far voltare la testa a tutti i demoni. Quando svanì, il mago fluttuante non c’era più.

«Potrebbe trattarsi ancora di quella dea?» brontolò, incredula, una delle creature degli abissi.

La nuvola di saette indietreggiò lievemente e l’esercito di Qarlegon avanzò cauto per accerchiarla. Chiunque o qualsiasi cosa fosse il nuovo venuto, al momento era coperto da un ovale verticale di fuoco blu e non sembrava disposto a farsi accerchiare.

«Quella è la forma che ho visto usare a Mystra di Toril», grugnì il demone anziano e pieno di cicatrici.

Tre volte la nube ammiccò o balzò indietro, fuori dal cerchio di demoni che si stava formando. Tre volte questi avanzarono inesorabilmente per circondarla, spingendola su per il fianco della collina dove pinnacoli s’ergevano come spade nel cielo rosso sangue e una piccola gola portava a una bocca cava.

«Quella è la tana che un tempo usava Barbathra, sì?» chiese un demone. Il vecchio sfregiato e Geryon annuirono all’unisono, poi la Bestia Selvaggia aggiunse: «Ora è di Yarsabras».

Come se le parole dell’Arciduca fossero state un segnale, il demone reietto dalla testa di cane che aveva nominato balzò fuori dalla grotta con i numerosi artigli protesi a formare un muro di lame scintillanti.

L’intruso misterioso si chinò improvvisamente, con una grazia che i demoni paragonarono a quella degli elfi danzanti.

Yarsabras si librò in volo confuso verso la schiera di diavoli che avanzava, per distruggere, flagellare ed essere flagellato. Nei giorni migliori, le fedeli teste cornute non amavano molto i reietti, e quello non era certo uno di quei giorni. L’intruso avvolto nel fuoco balzò in alto e lanciò fulmini crepitanti fra le creature infernali.

«È una donna», affermò d’un tratto il demone anziano, dopo aver intravisto un paio di mani sollevate e intente a elaborare un incantesimo.

Geryon annuì. «Hai sempre avuto una vista acuta, Grimvold», ribatté poi con approvazione. «Divina o mortale?»

Il demone con le cicatrici s’accigliò. «Mortale, credo. Se ne sta bassa, mentre una creatura divina tende a torreggiare e a guardare dall’alto verso il basso.»

La Bestia Selvaggia annuì ancora.

«Strano», esclamò un’altra creatura che stava osservando la scena dalla rupe. «Prima ha colpito per uccidere… fulmini che hanno trafitto singoli soldati, di sua scelta. Ora tenta di tenere a bada lo stormo di Qarlegon. Perché?»

Tutti annuirono perplessi e aggrottarono la fronte.

Qualcuno chiese: «Forse sta aprendo un cancello?».

«Siamo qui per questo», rispose loro Geryon senza scomporsi. «Se impartisco l’ordine, dobbiamo chiamare a raccolta il maggior numero di forze e armare un esercito, per distruggere qualsiasi eventuale portale.»

«No!» esclamò all’improvviso Grimvold. Poi fece una magia proprio accanto al gomito dell’Arciduca.

Numerosi demoni degli abissi indietreggiarono, aspettandosi che Geryon reagisse con forza micidiale per punire l’impertinenza. Ma la Bestia Selvaggia non fece nulla. Il demone anziano urlò e il suo incantesimo amplificatore rese la voce stranamente echeggiante e lontana: «Qarlegon! Sposta i tuoi soldati! Verso la gola, subito! Spostatevi o morirete!».

«Per i fuochi di Nessus che cosa…» gridò rabbioso uno dei demoni. «Chi ti credi di essere, Vecchie Corna Sfregiate?»

«Perché?» chiese semplicemente un altro, mentre i demoni delle fosse sotto di lui guardavano in alto, sbalorditi. Qarlegon si levò sopra di essi, scrutando i dintorni con aria interrogativa.

«Guardate», affermò truce Grimvold, indicando l’orizzonte con un artiglio. «Quello.»

Ebbero appena il tempo di levare lo sguardo prima che la cosa piombasse turbinante dal cielo e si dirigesse verso di loro… o meglio, verso i demoni ammassati sul fianco della collina.

Era enorme, e proveniva da una parte lontana di Averno. Grande e scuro, il pugno di pietra era formato da una rupe, o dalla cima di una montagna, sradicata. Il masso gigantesco virò lievemente mentre si dirigeva verso la collina.

«Per tutti i fuochi», ansimò sbalordito uno dei demoni. «Sta per…»

«Era questa la magia che abbiamo sentito prima», affermò tranquillo Geryon e appoggiò un’enorme mano irsuta sulla spalla di Grimvold. «Tu li hai avvisati», aggiunse con un sospiro.

Lo schianto della grossa pietra scosse Averno in maniera tanto violenta da scaraventare tutti per terra. Il boato fu assordante. La rupe colpì, rimbalzò, tornò a colpire, poi rotolò per un istante e iniziò a frantumarsi. Tre dei suoi frammenti si schiantarono sui pinnacoli che coronavano il fianco della collina, poi rotolarono e travolsero ciò che rimaneva dell’esercito di Qarlegon.

«Beh», affermò un cornugon particolarmente stupido da un punto vicino alla sommità, «almeno ha ucciso anche l’intruso! Nulla può essere sopr…».

La creatura fu tra quelle che perirono incenerite un secondo più tardi, quando il fuoco blu fece comparire dal nulla un frammento della grande roccia, alto come un castello, e lo lasciò cadere sulla rupe, schiacciando gran parte dell’esercito di Geryon e riducendolo in un attimo in icore fumante.

L’Arciduca e Grimvold si scambiarono un’occhiata, ma nessuno dei due si mosse dalla propria postazione. «Se n’è andata», esclamò torvo il demone sfregiato. «Quello era il colpo finale.»

Geryon annuì e incrociò le possenti braccia sul petto. «È andata a cercare Nergal e il suo prigioniero umano, se l’intuito non m’inganna.»

Grimvold sospirò. «Dobbiamo armare un altro esercito?»

La Bestia Selvaggia sorrise con freddezza. «No. Lasciamo che Nergal, legittimo Principe dell’Inferno quale egli è, chiami a raccolta i suoi e assuma il comando. Averno accoglie tutti.»

Il demone dalle molte cicatrici sorrise lentamente all’udire il vecchio adagio. I due anziani stavano in piedi l’uno accanto all’altro sull’altura, quando una brezza sferzò loro il volto, portando con sé un sentore di morte. Entrambi respirarono profondamente, ricordando il sangue, le battaglie e il tormento dei bei tempi andati.

* * *

La Simbul era sola sopra un pinnacolo di roccia scura da qualche parte in Averno. I suoi lunghi capelli argentei sferzavano l’aria rosso sangue mentre lei riprendeva fiato. Era ancora molto debole per aver trasportato la cima di una montagna per mezzo Inferno e ucciso i suoi nemici, pochi istanti dopo aver riportato a Toril il povero Halaster, ormai impazzito. Tuttavia, anche l’uccisione di un migliaio di demoni anziché di poche centinaia, non significava nulla, se fra essi non c’era quello chiamato Nergal. In quel preciso istante le sue magie stavano sondando le gole e le creste tormentate di Averno in cerca di tracce di… laggiù!

Scagliò la saetta senza un attimo d’esitazione, inviando fuoco blu attraverso Averno. Salve, demone. Benvenuto in una vita di vero Inferno, portata fino a te dalla regina di Aglarond, in carne e ossa…

* * *

Il fuoco blu colpì il bersaglio con un boato. Nergal fu scaraventato in aria, il corpo in fiamme. Aarrgh! Che male! urlò, mentalmente e con la voce. Il demone elaborò frenetico una magia ancor prima di toccare terra.

L’incantesimo fece subito effetto e lui ed Elminster si ritrovarono all’improvviso da un’altra parte. In un luogo buio, segreto e gocciolante, una caverna lontana dal tumulto delle colline averniane.

[artigli che stringono crudelmente]

MAGO, MOSTRAMI RICORDI VIVIDI, SENZA OMETTERE NULLA. QUALSIASI COSA STESSE TENTANDO DI UCCIDERCI, QUI NON PUÒ RAGGIUNGERCI.

Oh? Saresti pronto a scommettere?

OVVIAMENTE, UMANO. SCOMMETTEREI LE NOSTRE VITE, CERTO.

[rispetto e rimprovero, in parti uguali, immagini fornite in silenzio]

Elminster sollevò lo sguardo dalle pagine che risplendevano di glifi di colore blu intenso e di sfumature ramate scintillanti. La sua espressione era gentile, ma il luccichio dello sguardo era metallico come quello dei simboli. «L’ora è tarda… le lampade sono basse. Le parole altrui diventano sgradevoli per le mie vecchie orecchie. Sgravati del tuo peso, ma fai in fretta.»

Torm annuì, sorrise dolcemente e, con un balzo, s’appollaiò sopra una pila precaria di pergamene. La polvere si sollevò e formò una sorta di manto intorno a lui. Con lo stesso sguardo di sopportazione di Elminster negli occhi, il mento appoggiato sulla mano, replicò con il medesimo tono usato dal Vecchio Mago. «Ho alcune cose da comunicarti, vecchio amico; parliamo un po’.»

DOVREI RIMANERNE STUPITO E IMPARARE LA LEZIONE? IN QUESTO RICORDO IO SAREI TE, E TU TI PRENDERESTI GIOCO DI ME COME FECE QUESTO TORM? BEH, LA TUA TATTICA HA FUNZIONATO, OMUNCOLO: SONO STUPITO.

TEMO PERÒ NON GRADIRAI IL RISULTATO.

HO INDIVIDUATO QUALCHE RICORDO, POCO FA, CHE MI HA RIVELATO CHE MYSTRA TI HA AFFIDATO IL COMPITO DI FORMARE LE SETTE SORELLE. HO INTENZIONE DI VEDERE QUEGLI INSEGNAMENTI, O CIÒ CHE ANCORA RICORDI DI ESSI, PER SAPERE COME APPRESERO I LORO POTERI ATTRAVERSO DI TE.

[immagini lucenti che fluttuano]

NO. NO, NON MOSTRARMELE. QUESTA VOLTA SCAVERÒ A FONDO E TROVERÒ QUELLO CHE TROVERÒ, NON VOGLIO CHE ME LE MOSTRI TU.

SE L’ESPLORAZIONE TI CAUSA DOLORE, RICORDA CHI DEVI RINGRAZIARE PER ESSA, PICCOLA CREATURA IMPETTITA E SFACCIATA.

Non è un’idea saggia, demone, ma credo che tu lo debba imparare a tue spese…

TI RINGRAZIO PER LA PREMURA, SCHIAVO MENTALE. ASSICURATI D’ESSERE SERVILE MENTRE PROCEDIAMO!

[fulmine mentale, sussulto e vacillamento, tentacoli che tamburellano impazienti mentre il demone avanza inesorabile…]

Mi rimane tanto poco. Non riesco a pensare… no, a ricordare. Sono svuotato, quasi svuotato, ho riversato tutto in questo demone. Sono… quasi una nullità. Fino all’ultimo incantesimo, ormai, tutto il mio sapere magico è passato a lui mentre io non noto più nulla, tutti gli anni di volti e di nomi, nemmeno le vergogne che nascondo a me stesso, per gran parte del tempo. Fino all’ultima cosa, da tempo sepolta e dimenticata. I miei ultimi piccoli segreti. Dei del cielo, tanti anni di fatiche, e ancora non sono pronto a lasciar andare tutto e ad abbandonarmi all’oscurità…

El, sei sempre stato un bastardo egoista.

Mystra, non abbandonarmi. Preservami. Per favore.

[immagini che avvampano]

La bocca di Elminster si seccò all’improvviso. «Dei, ma è magnifica», esclamò involontariamente.

La pietra indagatrice gli mostrò una donna alta e snella, vestita di pelle nera e seta purpurea, che avanzava a grandi passi lungo il sentiero. La lucida cascata di capelli neri come la notte scintillava alla luce del sole. La pelle era bianca e liscia, il volto… non aveva parole. La speranza lo infiammò lievemente ed egli lasciò che gli scaldasse il cuore. Era stato solo tanto a lungo.

Il sangue gli ribollì nelle vene. Amala, naturalmente, ma non perderti in essa. Lei ti tradirà.

La Srinshee gli parlava di rado in quei giorni, ed El aveva molto da dire, molto di cui discutere, ma…

Le mani di Elminster si strinsero intorno al bastone. «Davvero?» mormorò. «Allora perché non…?»

No. No, El. Devi darle un’opportunità. Mystra conta su di te, e a me sembra un’ottima idea. Amala, istruiscila, ma non perdere il tuo cuore per lei. Fa’ che ti ammiri, in modo da poterla tenere sotto controllo quando ti metterà da parte per intraprendere la propria strada nel mondo.

«Ma come sai tutto ciò?» sbottò Elminster. Batté forte il pugno sul bordo del tavolo lucidato. Il cranio cornuto appoggiato sopra rimbalzò rumorosamente e i cocci fluttuanti che un tempo erano una corona stridettero sinistramente.

Più tardi, El. La tua signora è arrivata.

«Io… per i Nove Inferni che Nergal desidera…»

HAH! HAI LETTO QUEI TUOI LIBRI, NON È VERO?

«… maledetti tutti i sedicenti apprendisti che hanno fretta d’imparare! lo…»

La donna dai capelli corvini spinse con calma la porta ed entrò, prima che El potesse cancellarne l’immagine dalla sfera di cristallo fluttuante. Lei la guardò di sbieco e sorridendo avanzò verso di lui. Incrociando le braccia al petto prosperoso, lo fissò con uno sguardo colmo di oscure promesse. «Mi hanno detto che cercate un apprendista», affermò con una voce somigliante alle fusa di un gatto.

Elminster si carezzò la barba e cercò di sembrare sorpreso. «Oh? E come vi viene in mente una tale assurdità?»

«Me l’ha detto Mystra», rispose semplicemente la magnifica donna. «Dall’altare davanti a cui mi sono inginocchiata la scorsa notte.»

Elminster abbozzò lentamente un sorriso. «Beh, allora dev’essere vero. Tuttavia pensavo più a un piccolo nano, burbero e molto mascolino, piuttosto che a…» Il mago sospirò. «Un’altra giovane e splendida umana, ma… suppongo… qual è il tuo nome, ragazza!»

«Symgharyl Maruel.» La donna esitò un istante, un po’ rossa in volto, poi reclinò la testa e annunciò fiera: «Alle fiere dei maghi mi faccio chiamare Ombretta. Ho visto la vostra corona di sfere di fuoco all’ultima mostra, Lord Elminster; molto impressionante».

«“Lord Elminster”? Spero di no. “Vecchio Mago” suona meglio, oppure “El”, o persino “Hei, Barbalunga!”. Dunque, Lansharra, come vorresti che ti chiamassi… se, per dire, dovessimo vivere insieme, come maestro e apprendista, per dieci o dodici estati almeno!»

Il volto della ragazza divenne improvvisamente pallido. «Come fate a conoscere il mio nome segreto!»

El le sorrise con dolcezza, scrollò le spalle e allargò le mani in un gesto d’innocenza. «Mystra parla anche a me.»

MA NON LA SMETTI MAI? DONNE, DONNE, DONNE… SE NON FOSSI STATO DONNA PER UN PO’, CREDO NE SARESTI DAVVERO DIPENDENTE.

NON VEDO MAGIA, UMANO! NON TI STARAI PER CASO ILLUDENDO CHE LA MIA PAZIENZA SIA AUMENTATA, VERO?

Su Toril, Mystra è magica.

SÌ, DAVVERO? OH. OHO. MOSTRAMI TUTTO, MAGO!

Naturalmente.

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