24. Breve eccitazione ad Aglarond

«Sono lieto di presentarvi», esclamò il Mascherato in tono scherzoso, indicando con uno svolazzo della mano la donna elegantemente vestita, «Thorneira Thalance, ora Sostituta Corona Reale di Aglarond».

Phaeldara sollevò lo sguardo dal trono. «Non per altri tre secondi, no. Ma la Furia Coronata non aveva detto di chiamarci semplicemente reggenti, e di abbandonare tutti questi titoli che fanno uscire dai gangheri araldi e inviati?»

«Per questo lo dico», rispose il Mascherato con una risatina. «Tre secondi, un accidente! Avresti dovuto alzarti di lì ben due secondi fa!»

Cortigiani e messaggeri allineati lungo le pareti si protesero, per non perdere nemmeno un istante o una sfumatura di quello spettacolo divertente.

Phaeldara si alzò, alta ed elegante e, rivolta a Evenyl, seduta su un divano fluttuante lì accanto, esclamò lamentosa: «Ci fu mai una donna tanto angariata?».

La quarta reggente temporanea sollevò lo sguardo con un sorriso innocente e sollevò una mano con le dita aperte e iniziò a contare. «Oh, lasciami pensare. Ci fu…»

Un bagliore e un tuono scossero la stanza del trono. I reali si voltarono quando i cortigiani sorpresi mormorano lungo le pareti. Ciò che videro li fece ammutolire.

La Strega-Regina di Aglaron apparve al centro della stanza, nuda come il giorno in cui era nata… spogliata, ammaccata e scomposta.

I capelli le turbinavano intorno alle spalle, come avessero vita propria. La maga si guardò attorno, gli occhi due stelle scure e micidiali. Se essere coperta solo da sporcizia e letame le creasse imbarazzo, non lo dava a vedere.

Le sue braccia cingevano la vita di un uomo anziano e barbuto, tutto ossa, ricoperto di fango, con due monconi al posto degli avambracci. Era curvo, flaccido come una bambola di pezza rotta di un bambino; era chiaro che solo la presa della donna gli impediva di cadere. Con fermezza, Alassra lo prese per i capelli e gli appoggiò la testa sopra la spalla. Poi sorrise rivolta alle facce sbalordite dei reali.

«Come si suol dire», esclamò secca la Strega-Regina di Aglarond, «siamo tornati».

Quasi in risposta, alcune esplosioni di fuoco venato di nero si verificarono dietro di lei, fra le grida dei cortigiani. Un odore di zolfo riempì la stanza e demoni ghignanti uscirono dalle fiamme, lunghe corna e ali di pipistrello, zannuti e terribili. Allungarono gli artigli per afferrare la Simbul e l’uomo fra le sue braccia.

«Geryon, Arciduca dell’Inferno, ci ha inviato», affermò uno di loro con soddisfazione, «per ricondurvi alla morte… in un lungo, lungo tormento!».

La Simbul sussurrò una parola e una serie di fulmini si levò dalle piastrelle sotto gli zoccoli dei demoni, lambì il soffitto e ricadde al suolo. Si udirono deboli urla, poi più nulla: rimasero solo piastrelle vuote e tracce di fumo oleoso di corpi diabolici dissolti.

La Strega-Regina sorrise al di là di quei resti.

Un’altra schiera di demoni emerse dalle fiamme, ma con un sorriso meno deciso.

«Credevate davvero che catturarmi nella mia tana sarebbe stato facile? Qui non sono sola.»

Una lingua di fuoco bianca e blu le scaturì dal palmo della mano. Dietro di lei i reggenti, un’espressione risoluta sul volto, protesero le mani e scagliarono fiamme blu un po’ più deboli.

«Nemmeno loro», replicò un cortigiano a gran voce, sollevando anch’egli la mano e lasciando che magia turbinante la riempisse: «Strega!».

«Già», esclamò un altro, più lontano, aprendosi il mantello. «Per Thay!»

«Sì», affermò una terza voce, dura e fredda. «Distruggiamo insieme la regina di Aglarond, per la più grande gloria di Thay!»

Con sguardo fiammeggiante un vecchio cortigiano sfilò un pugnale dalla cintola e lo conficcò in gola al Mago Rosso accanto a lui. La stanza si riempì di grida e d’incantesimi.

Le porte accanto al trono si spalancarono. Thaergar delle Porte entrò a gran passo brandendo una spada nuova fiammante. Osservò a bocca aperta il tumulto, poi estrasse un coltello dalla cintura e lo lanciò dritto fuori dalla porta, contro il gong d’allarme.

Quindi caricò, sollevando la spada. Fiamme rosse avvamparono nell’aria davanti a lui, scaraventandolo a terra. L’uomo sollevò lo sguardo verso la magia scura in tempo per vedere un demone enorme, color rosso rubino, uscire da essa, una forca in una mano e una frusta spinata nell’altra, e minacciare Phaeldara, la reggente più vicina.

«Un boccone prelibato», gongolò la creatura infernale, allungando una mano per afferrarla.

Thaergar delle Porte e la maga guardarono il demone degli abissi, i Maghi Rossi e i demoni che caricavano dietro di loro: la magia mortale sibilava e ruggiva in ogni dove.

«Oh, merda», esclamarono involontariamente all’unisono.

* * *

L’aria sopra il tavolo cominciò a scintillare. Scintille minuscole argento e blu comparse dal nulla presero a rincorrersi in una sfera piccola e solida.

Al loro bagliore una testa si sollevò bruscamente, e due occhi le fissarono stupiti e allarmati.

Un attimo dopo, una sedia cadde con un tonfo. L’uomo che vi era seduto attraversò la stanza con sorprendente velocità per la sua età. Afferrò due pugnali incrociati e arrugginiti da dietro uno scudo appeso al muro; questi si contorsero nelle sue mani e divennero uno scettro e una bacchetta. Puntandoli entrambi verso le luci turbinanti il Mago Reale di Cormyr ringhiò: «Per tutti i capricci della Sacra Mystra, come ha fatto a superare le difese? E poi, che cosa diavolo è?».

In tutta risposta le luci si abbassarono un po’ e si riversarono sul pavimento in una cascata d’argento, a formare una figura spettrale: un’elfa minuta e di una bellezza quasi perfetta, che sembrava non avere più di nove anni, eccezion fatta per gli occhi, vecchi e saggi come quelli di una dea,o perlomeno di un’Eletta che ha vissuto per molti secoli.

Vangerdahast abbassò scettro e bacchetta. «Chi… sei?» chiese con voce rauca.

«Molti mi chiamano la Srinshee», rispose. «In questo momento hanno bisogno di noi, nella sala del trono di Aglarond.»

«Aglarond? Perché mai?»

«Elminster è là, è scoppiata una battaglia e hanno urgente bisogno di entrambi… Mystra ci chiede d’intervenire», rispose semplicemente, poi gli tese una mano.

Vangy la fissò per un istante. Una gioia quasi feroce gli illuminò il volto e attraversò di nuovo la stanza come un ardente giovanotto. «Sì!» ringhiò con gli occhi scintillanti. «Oh,

* * *

Uomini urlavano, correvano, e agitavano spade nella stanza del trono di Aglarond. Incantesimi si scontravano e demoni balzavano di qua e di là, ma spesso barcollavano, strillavano e morivano.

Un fuoco ustionante scoppiò fra i cortigiani urlanti, e quanti stavano scagliando vigorosamente pugnali ai Maghi Rossi svanirono, trasformandosi in colonne di cenere crepitanti.

Fra i sopravvissuti terrorizzati, che fuggivano e si accalcavano, una serva lasciò cadere il suo vassoio d’argento con un gran fracasso quando gli artigli di un demone le afferrarono il corpetto. Allungando un braccio sinuoso, la ragazza infilò una mano attraverso il demone degli abissi sogghignante e questo scomparve con un rombo di fiamme blu e un grido straziante.

Un Mago Rosso fissò sbalordito la ragazza che si protese verso un altro demone, gli occhi fiammeggianti, e sbottò, «Ora basta».

Questa volta vi fu un doppio bagliore. Ragazza e demone svanirono simultaneamente. Poi nel punto occupato da Mystra fluttuarono nove stelle argentee, che tracciarono un cerchio verticale intorno a una fiamma blu.

Appena il tempo d’impallidire, e il Mago Rosso vide la fiamma morire e le stelle svanire sul pavimento. Nel punto in cui ognuna toccò le piastrelle, apparve improvvisamente un essere che osservò sorpreso la battaglia in corso.

«Khelben Blackstaff», ansimò il Mago Rosso, gli occhi fuori dalle orbite, «e… le Sette! Tutte insieme!». Fu quindi comprensibile che non riuscì ad annunciare l’arrivo del mago Vangerdahast e della donna elfa sotto forma spettrale, nel punto in cui toccarono terra le ultime due stelle…

Un attimo più tardi Khelben colpì tre demoni con saette urlanti. Un certo Mago Rosso, posizionato nel punto sbagliato, cessò di preoccuparsi per sempre di tutto.

La rabbia avvampò sul volto del Signore Mago di Waterdeep. Con un grugnito gettò in aria il suo bastone nero, che rimase sospeso in orizzontale, immobile e crepitante di magia. Molti dei fulmini e dei proiettili incantati virarono verso di esso per poi esplodere, innocui.

Ciò servì a ripulire l’aria e permise loro di vedere la Simbul, inginocchiata davanti a Elminster. La donna sollevò le mani per inviare fuoco argenteo a tutte le sorelle. A turno, da ognuna di loro, partì un fulmine, che vaporizzò tutti i demoni che osarono toccarlo.

«Sorella», ansimò Colombina, «che cosa fai? Mystra proibisce…».

«Non ora», sbottò arcigna la Strega-Regina di Aglarond. «Guardate!»

Questa volta la sua mano puntò verso l’aria scintillante, sopra il bastone di Khelben.

Gli incantesimi intrappolati e ruggenti si stavano trasformando rapidamente in una ragnatela di magia lucente. Linee di forza in costante mutamento riempirono l’aria in un baleno. La forma spettrale della Srinshee vi si gettò in mezzo. La ragnatela ammiccò mentre cresceva ulteriormente, ed era già quasi troppo luminosa da guardare.

«La Tela!» esclamò la Simbul. Col braccio indicò l’arco d’entrata, dove si erano radunate le ombre. «E il nostro nemico!»

No, non erano ombre, ma una tela di linee scure speculari a quelle della Tela. Estranei stavano entrando dall’arco sotto di essa: maghi con bacchette e bastoni che intonavano: «Shar! Shar!».

«Un’anti-Tela?» ansimò uno dei cortigiani più vecchi. «Può esistere una cosa simile?».

Il cortigiano dalla tunica scura accanto a lui rivolse un sorriso infido all’uomo, che era rimasto a bocca aperta, poi allungò un tentacolo attorno alla testa dell’anziano e la spezzò come niente fosse. «Può esistere sì!» commentò quasi allegramente rivolto al cadavere che si stava accasciando a terra. «E chi di noi cammina nelle tenebre vede in essa un brillante futuro!»

In tutta la sala uomini, donne e demoni stavano morendo per il cozzare di numerosi incantesimi. La magia colpiva con velocità terrificante. Tre demoni balzarono sulla Simbul, cercando di strapparle la testa e uno di essi le infilò freneticamente gli artigli in bocca per impedirle di pronunciare altri incantesimi.

L’uomo sporco e tremante dal quale era stata strappata giaceva dimenticato sul pavimento. Un tonfo titanico nelle vicinanze lo ridestò. Diede una scorsa al campo di battaglia, scosse la testa per il disgusto o la disperazione, quindi iniziò a trascinarsi. Passò fra corpi distesi scompostamente e macerie cadute dal soffitto. Le pareti della stanza s’increspavano per effetto della magia che vi s’infrangeva contro.

La Simbul era ancora alle prese con i suoi tre demoni. Fulmini di magia nera scaturirono dagli adoratori di Shar e disintegrarono le piastrelle attorno all’uomo strisciante, ricoprendolo di schegge di pietra.

El sembrò non notarle, e non si arrestò, continuando a scivolare per la stanza in maniera non molto diversa dalle larve di Averno.

«Chi…?» urlò un mago di Shar, quando avvistò l’uomo sul pavimento. «Fermatelo!»

Quell’ordine giunse troppo tardi per coloro che credevano ai sogni oscuri. Elminster Aumar, che molto tempo prima pascolava greggi nella terra dimenticata di Athalantar, cadde in avanti. La sua faccia ammaccata, imbruttita dal dolore, toccò il vassoio d’argento caduto dalle mani di Mystra.

Un rombo echeggiò nella sala del trono. Tutti smisero di combattere e si voltarono. Persino le esplosioni magiche e le urla dei morenti terminarono. Era il ruggito di una magia imponente, il potere di Mystra lasciato per il suo Eletto.

Al centro del bagliore blu vi era un uomo, un mago di nuovo tutto intero, una figura di fuoco bianco tinto di blu alle estremità.

Questi avanzò dal punto in cui vi era il vassoio, ondeggiando fra le pulsazioni di potere che facevano vibrare l’aria.

Alcuni raggi scaturirono dalle dita tremanti e dagli occhi scintillanti di Elminster e colpirono demoni e Maghi Rossi, adoratori di Malaugrym e di Shar, consumandoli in brevi istanti, fino a ripulire l’intera sala del trono.

Il Vecchio Mago sollevò entrambe le mani verso la tela scura che riempiva un’estremità della stanza e fiamme accecanti, bianche e blu e argento, scaturirono dai suoi palmi.

L’esplosione che seguì in quell’area del palazzo lasciò solo un cielo limpido e cumuli di cenere fumante. Elminster osservò la distruzione con la stessa meraviglia degli altri sopravvissuti. D’un tratto, nel bel mezzo di quel silenzio ronzante, il tetto lesionato sopra le loro teste emise un forte gemito e cedette.

Grossi blocchi di pietra piombarono a terra, massicci e micidiali. Se non fosse stato per le saette luminose scagliate freneticamente dalle Sette Sorelle acquattate e per le esplosioni prodotte da Blackstaff, quella stanza sarebbe diventata la tomba di tutti i presenti.

Grazie a loro il tetto si trasformò in polvere, che prese a scendere come una pioggia densa e soffocante, portando con sé una quiete quasi sinistra.

* * *

Un crepuscolo purpureo si stava già delineando nel cielo quando sul trono impolverato di Aglarond tornò la vera pace. Non c’era quasi più nessuno, i cortigiani, i cadaveri e gli inviati di Mystra, se n’erano andati tutti. Dalla sala si vedeva il cielo; vari blocchi di pietra crollati giacevano sparpagliati qua e là sotto le stelle ammiccanti.

Elminster e la Simbul erano l’uno fra le braccia dell’altra. Tre reggenti stavano inginocchiati poco lontano, in attesa di un ordine della loro regina. Il quarto reale mancava, ma gli altri cercarono di non pensare al suo nome e al suo volto. Avrebbero avuto tempo sufficiente per piangere, dopo.

«Oh, amore mio», esclamò la Simbul con ardore, «quando ho creduto di averti perso…».

«Piano», mormorò Elminster, baciandole il naso, la fronte e le orecchie. «È tutto passato… e ascolta signora del mio cuore: giuro, d’ora in poi, di trascorrere più tempo con te e di lasciare che Faerûn gestisca i suoi affari senza la mia ingerenza.»

«Questo sarà anche il mio giuramento», affermò la Regina di Aglarond con voce tremante e premette le labbra sulle sue.

«Ben detto», sibilò una voce da un vicino cumulo di macerie.

Phaeldara giaceva intrappolata con Thaergar delle Porte: entrambi erano bloccati da una lastra di pietra pesante tre volte più di loro messi insieme. Solo ciò che rimaneva della spada e dello scudo che il guerriero aveva afferrato dalla parete nel mezzo della battaglia aveva impedito alla pietra di schiacciarli. L’enorme peso impediva, tuttavia, loro di gridare. «Fa’ che… entrambi mantengano… la promessa!»

«Già», ansimò Thaergar, trasalendo quando Phaeldara si dimenò accanto al suo braccio spezzato. «Condivido… di cuore… la vostra opinione!»

I tre reggenti inginocchiati li udirono e urlarono, e quelle grida fecero accorrere Elminster e la Simbul.

Mentre venivano pronunciati freneticamente gli incantesimi che li avrebbero liberati, l’uomo e la donna semisvenuti sotto la pietra credettero di udire anche qualcos’altro.

Un riso strano ed echeggiante, forse di un dio e di una dea, non molto lontani…

FINE
Загрузка...