15. La visita di Halaster

Artigli neri si richiusero crudelmente sulla carne bianca e tremula di una creatura strisciante.

ECCOTI FINALMENTE! TI STAI PRENDENDO ANCORA GIOCO DI ME!

Braccia possenti strattonarono e strapparono quella cosa che sarebbe potuta essere umana, e la scossero con violenza tale che alcune appendici sanguinanti si staccarono.

[piagnucolio]

HAH! CHE GRANDE ARCIMAGO!

[fulmine magico, sferragliare di catene]

[sfrigolio di carne che brucia, ululati di dolore]

HAH! TI HA SCOSSO, NON È VERO? SÌ, SONO IN GRADO DI SCAGLIARE INCANTESIMI MEGLIO DI MOLTI MORTALI. GUARDA, COLLARE E CATENA. MA CHE BRAVO CAGNOLINO.

[risata]

Che… cosa mi hai fatto?

TI HO MESSO AL GUINZAGLIO, PER EVITARE CHE ALTRI DEMONI TI MANGINO… O PEGGIO.

Esiste di peggio? [divertimento ironico]

OH, SÌ. PERCHÉ SE IO… MA NO. NON PARLEREMO DI TALI COSE. STAI CERCANDO DI ESTORCERMI I SEGRETI DELL’INFERNO? MORTALE, A CHE GIOCO STAI GIOCANDO?

[risatina mentale] Esatto.

Vi fu un momento di silenzio minaccioso su una cresta fumante di Averno, poi anche Nergal scoppiò a ridere.

UMANO, COMINCIO A PENSARE CHE MI MANCHERAI.

Te ne vai? Così presto?

[sbuffo mentale] IDIOTA. SEI UN MAGO BURLONE, NON È VERO?

SCENDI, CANE, E VIENI DA QUESTA PARTE, TI GUARIRÒ UN PO’. NON VOGLIO CHE TRACCE DEL TUO SANGUE ATTIRINO ATTENZIONI INDESIDERATE.

Dove stiamo andando?

DA UN’ALTRA PARTE. [grassa risata] PROVA A INDOVINARE, SAPUTELLO D’UN MAGO. CREDI CHE GLI UMANI SIANO GLI UNICI A SAPER USARE LA MAGIA POTENTE? SAI, CONOSCO UN INCANTESIMO CHE PUÒ IMPRIGIONARE UN DEMONE PER CENT’ANNI SOTTO FORMA DI SPADA. LO CHIAMIAMO «SPADA DEL DESTINO». AL MOMENTO VE NE SONO UNA DECINA O PIÙ NELLA TUA PREZIOSA TORIL, BRANDITE DA MANI INCONSAPEVOLI. HAI RUBATO SPADE DI RECENTE, MAGO?

Che cosa intendi con «di recente»?

[scroscio di risate] AH, ELMINSTER, FINIRAI PER UCCIDERMI!

Ahem, un modo di dire, suppongo.

EH? CERTO, CERTO. PICCOLO BASTARDO UMANO.

Silenziosamente, una roccia appuntita alle spalle dell’arcidemone si mosse, piegandosi come un dito scuro…

Nergal lasciò che il fuoco guaritore ardesse brevemente sull’umano tremante fra le sue mani. Si concentrò e guardò la sua magia trasformare lentamente l’uomo scarno in una creatura degli Inferi: un nupperibo, gonfio e sporco, di colore bianco-giallastro. Con un freddo sorriso lasciò penzolare Elminster, che iniziò a soffocare appeso all’estremità della catena irta di punte. Altro sangue fluì mentre il nuovo corpo del prigioniero urtava impotente contro i barbigli.

Nergal agitò la catena, facendo sbattere il mago contro una roccia. El si aggrappò freneticamente alla catena, per evitare che questa gli spezzasse il collo, e saltellò per sopravvivere, mentre l’arcidemone reclinava il capo e rideva a crepapelle.

Con uno scatto improvviso, la punta di roccia scura si gettò in avanti e trafisse il demone degli abissi come una lancia gigante.

Nergal urlò.

Impalato e in fiamme, il demone agitò vanamente le braccia verso il cielo, batté le grandi ali in preda al dolore e barcollò in avanti, nel tentativo di liberarsi, sanguinante, dalla roccia. La lancia di pietra emanò un bagliore bianco e blu e bruciò ulteriormente il demone urlante.

Quando questi riuscì a liberarsi, era visibilmente più piccolo, e a ogni passo era scosso da violenti tremori. Una serie improvvisa di piccole esplosioni - una magia lasciata in lui dalla pietra - gli dilaniò le viscere: sangue e interiora schizzarono in tutte le direzioni. Tremante e piegato su se stesso, Nergal si accasciò sulle rocce di Averno. Grugnì e si ridusse a un ammasso tremante di tentacoli.

La pietra che aveva trafitto l’arcidemone si mosse ancora. S’incurvò per toccare il terreno e la materia di cui era fatta fluì visibilmente. La punta si ampliò e divenne più dritta, si alzò in piedi e poi fece un passo ardito sulle rocce affilate dell’Inferno.

Un mago calvo, dalla barba bianca, apparve sopra la sagoma incatenata di Elminster. I suoi occhi scintillarono di fiamme bianche e blu mentre tesseva una rete dello stesso colore intorno al mago prigioniero.

La rete toccò la catena, crepitò furiosamente lungo il metallo e svanì. Halaster mormorò un’imprecazione e sollevò le mani per elaborare un altro incantesimo.

Aveva pronunciato solo tre parole quando una nuvola di pietre si sollevò da una cresta dietro di lui. Questa si scagliò violenta contro il mago e lo scaraventò in aria con un grido sbigottito. I sassi s’infransero sulle rocce di Averno e smisero di rimbalzare. Halaster era da qualche parte sotto di esse, invisibile, immobile.

«All’Inferno, umano, hai a disposizione un colpo solo», sbottò Nergal, sollevandosi da dietro la cresta, gli occhi rosso fiamma. Altri quattro massi erano stretti dai suoi tentacoli. «Meglio far sì che funzioni.»

Il cumulo di pietre che aveva scagliato si mosse una volta, due, poi andò in pezzi e una fiamma bianca e blu si levò ruggente dal suo centro.

Nergal sogghignò e scagliò fiamme nere e rosso rubino, che artigliarono rabbiose le rocce. Queste si frantumarono in schegge micidiali.

Elminster, ormai ridotto a un essere strisciante attanagliato dal dolore, si allontanò agitandosi freneticamente. Alcune schegge brucianti lo raggiunsero e sfrigolarono a contatto con la sua carne.

La fiamma bianca e blu si ergeva come una lama di pugnale al centro delle fiamme magiche evocate da Nergal e, d’un tratto, eruttò una raffica di fulmini che decapitarono il demone tentacolato.

«Hah!» ruggì una faccia che prontamente si sviluppò all’estremità di un tentacolo. «Pensavi d’avermi ucciso, mago? È così che si scaglia un incantesimo di fulmini accecanti!»

Una folata di saette due volte più grandi e più numerose di quelle di Halaster si diresse conto il mago. Le pietre sulle quali poggiava svanirono, esplosione dopo esplosione, e l’inviato di Mystra fu scaraventato in aria. Spandendo fuoco bianco e blu intorno a sé, il mago ricadde nell’inferno di rocce scricchiolanti e incandescenti e atterrò in un turbine convulso di magia. A fatica, si rimise in piedi.

«Sono qui per il tuo sangue, demone», ringhiò Halaster, sollevando le mani crepitanti di saette.

«E io», ribatté Nergal mentre gli spuntavano tante code con pungiglioni di scorpione quanti erano i suoi tentacoli, «sono qui per il tuo!»

L’incantesimo del mago pazzo, una rete luminosa di lance argentee collegate da fulmini e circondate da spirali d’acqua sacra, s’abbatté sul demone reietto, che ruggì in tutto il suo dolore.

Il terreno sotto i piedi di Halaster si sollevò tramutandosi in enormi zanne ossee, scure e fumanti, somiglianti alla punta del primo attacco del mago. Come le lance argentee, anche le zanne trafissero il loro bersaglio.

Urlando con voce roca, Halaster si contorse, trafitto da ciò che si rivelò essere uno dei tentacoli del demone, un tentacolo che terminava con una punta ossea lunga e sottile. Scrollandosi di dosso gli effetti dell’incantesimo dell’arcimago, Nergal emise una risata breve e maligna, poi sollevò il nemico in aria.

L’aculeo era alto due volte il mago impalato. Insinuatosi fra le sue gambe, si era aperto un varco tra le viscere e i polmoni ed era sbucato fuori dalla gola di Halaster, spingendogli da parte la testa. Fiamme bianche e blu fuoriuscirono dal corpo del mago in una dozzina di punti, mentre i suoi occhi scuri e deboli cercavano Elminster.

«Mi… dispiace», mormorò a fatica. «Ho… tentato.»

Un fuoco bianco e blu avvampò, avvolse Halaster e lo sollevò dall’aculeo, che rimase improvvisamente nudo. Il fuoco turbinò nell’aria sotto forma di piccola sfera. Nergal sollevò una mano artigliata per afferrarla, ma questa divenne improvvisamente molto piccola e brillante. Il mago pazzo ruzzolò nella sfera come una bambola spezzata, scintillò e svanì.

Elminster e Nergal rimasero entrambi con lo sguardo fisso nel cielo rosso, improvvisamente vuoto. Poi, nello stesso istante, abbassarono gli occhi e scrutarono fra le rocce bruciacchiate e fumanti, alla ricerca di stelle bianche e blu o di altri segni della sopravvivenza di Halaster.

Di lui non era rimasto nulla.

Il demone emise una risata di sollievo, che ben presto si trasformò in gioia maligna.

COSÌ SVANISCE ANCHE LA TUA ULTIMA SPERANZA, ELMINSTER. ALTRI PATTI DI SALVATAGGIO? ALTRI MAGHI CHE TI SONO TANTO RICONOSCENTI DA RISCHIARE LA VITA VENENDO QUAGGIÙ?

[silenzio e stanchezza]

CREDO DI NO. BENE, ALLORA, LASCIA CHE MI RITUFFI NELLA TUA PICCOLA MENTE DEVASTATA E CHE ESAMINI ALTRI RICORDI DELLE TUE INGERENZE… QUESTA VOLTA FAI IN MODO CHE RIGUARDINO GOVERNATORI, MAGHI O AVVENTURIERI, NON AVVENENTI FANCIULLE DI PASSAGGIO. VOGLIO LA MAGIA, RICORDI? RICORDI?

[frustata mentale, dolore rosso, immagini luminose che scorrono in fretta, sbiadiscono e cadono, poi si risollevano vorticanti in un’unica scena…]

«Mio signore», mormorò la Simbul, e le lacrime scintillarono nei suoi occhi, «non posso più indugiare. Quei folli di Thay tenterebbero di sottrarmi nuovamente la terra. C’è bisogno di me».

Elminster sorrise.

Il Bardo Storm Silverhand sedeva nelle vicinanze e affilava pensierosa la lama della sua spada da battaglia, lunga e scheggiata. Solo lei e la Simbul lo conoscevano a sufficienza da cogliere la tristezza nascosta dietro il suo sguardo.

«Certo», rispose El semplicemente. «Queste cose, come sempre, non possono attendere.»

Il mago avanzò con rapidità sorprendente e l’abbracciò.

Il sole mattutino brillava limpido fra gli alberi di Shadowdale. Le ombre delle foglie screziavano le rocce sui fianchi scoscesi della Collina dell’Arpista. La spada di Storm rifletteva la luce del sole mentre la donna, silenziosa, la rigirava fra le mani.

Con la sua voce profonda e vecchia, El sussurrò alcune parole tra i capelli della Simbul e lei rispose sottovoce. Nessun altro doveva udirle, e Storm fece in modo di non ascoltare. Era fatta così.

I due grandi arcimaghi si voltarono lievemente verso di lei e si congedarono. Storm vide il breve bagliore di una grossa gemma blu che Elminster pose nella mano di Alassra. «Questa è una pietra speciale», lo udì mormorare. «Ti porterà da me, in caso di emergenza. Ora vai. Gli addii diventano sempre più difficili col passare degli anni.»

La Simbul annuì, infilò la gemma in una tasca della cintura e si voltò impulsivamente per baciarlo. Poi si girò in silenzio e spiccò un balzo, in un turbinio di vesti nere. Un falco dello stesso colore si levò nel sole con ali rapide, virò bruscamente verso est e scomparve all’orizzonte.

Il Vecchio Mago rimase immobile e in silenzio per lunghi minuti, lo sguardo rivolto al cielo. Quando gli uccelli tra le fronde degli alberi ricominciarono a cantare, Storm infilò la spada nel fodero e gli si avvicinò.

In silenzio i due vecchi amici si presero per mano e iniziarono insieme la discesa.

Dopo una decina di passi Elminster chiese: «Ti dispiace se piango, ragazza!».

Storm lo baciò teneramente sulla guancia e rispose: «Certo che no. Dovresti farlo più spesso».

«Che romanticismo», borbottò il mago con tono di scherzosa disapprovazione.

«Già», rispose lei, e gli mise un braccio intorno alle spalle, per confortarlo. Il mago mugugnò, ma non si divincolò. Storm non ebbe bisogno di guardarlo in faccia per sapere quanto fosse bagnata di lacrime.

DAVVERO TOCCANTE. LUSSURIA E PAROLE DOLCI. PIANGI, PICCOLO MAGO, PIANGI. SUPPONGO CHE TALI RICORDI TI CONFORTINO, MA NON RIESCO A CAPIRNE LA RAGIONE. IO SAREI FURIOSO. QUANTO TEMPO HAI PERSO DIETRO ALLE DONNE! MA ORA MUOVITI, E RISPARMIAMI TUTTO QUEST’«AMORE». L’AMORE NON ESISTE.

Non per i demoni. Ma io non sono un demone, Nergal.

BEH, SEI SULLA BUONA STRADA PER DIVENTARLO, ELMINSTER. CREDIMI.

Oh? È qualcosa a cui dovrei fare l’abitudine?

[risata diabolica] ORA BASTA, MAGO! STAI DI NUOVO SPRECANDO IL MIO TEMPO! SMETTILA, IDIOTA, NESSUNO VERRÀ IN TUO AIUTO QUESTA VOLTA! MOSTRAMI CIÒ CHE CERCO, O ALMENO CIÒ CHE È ACCADUTO DOPO CHE HAI SMESSO DI ABBRACCIARE, DI PIANGERE E DI BACIARE.

Come desideri.

[immagini scintillanti, che volteggiano sempre più in basso]

Era giovane, slanciata e molto bella. Tarth deglutì e cercò di non fissarla.

I suoi capelli color grigio-argentei scendevano in lunghe onde, avvolgendole uniformemente le braccia, la vita stretta e le lunghissime gambe. Adagiata su un ramo basso di un vecchio albero di indulwood, una pipa d’argilla fumante fra le mani, la ragazza lo guardò pensosa. I suoi occhi erano di colore blu-grigio, screziati d’oro, e molto grandi.

«Ah… buongiorno!» esclamò Tarth imbarazzato, appoggiandosi al bastone. Aveva saccheggiato magie antiche in tombe dimenticate nel Dragonreach, e sbirciato in libri proibiti, nascosti nei luoghi più impolverati e pericolosi, ma non era mai stato tanto vicino a un esemplare tanto bello di elfo della luna.

L’uomo abbozzò un goffo inchino e sorrise. Lei ricambiò il sorriso, in maniera incantevole. Tarth guardò nelle profondità di quegli occhi magnifici e si schiarì la gola.

«lo… io ho viaggiato a lungo, gentile signora, per raggiungere questo luogo. Potrebbe indicarmi, per favore, dove si trova la torre del saggio Elminster?»

La ragazza elfa annuì. «Su per quel sentiero, oltre lo stagno», rispose, la voce roca e tuttavia melodiosa. Poi ridacchiò.

Tart la fissò meravigliato.

Un braccio lungo e sottile si allungò verso di lui. «Questa è la sua pipa, che ho… preso in prestito. Potreste, per favore, riportargliela!»

Tarth annuì. Con un turbinio silenzioso di membra luccicanti, la ragazza svanì nell’ombra frondosa dell’albero, lasciandolo con la pipa, ancora fumante, fra le mani. L’uomo la fissò per un istante, poi sollevò lo sguardo alla chioma dell’albero, scrollò le spalle e riprese il cammino.

HO, HO! CREDO CHE PRESTO CONOSCERÒ MAGICI SEGRETI, FINALMENTE! O È UN ALTRO DEI TUOI TRUCCHI, MAGO? EH?

[silenzio]

ANCORA ALLE PRESE COL DOLORE? CHE PECCATO!

Il sentiero lasciava la strada principale che attraversava Shadowdale proprio davanti agli stivali consunti di Tarth. Nessun segno o pietra runica lo contrassegnava come tale, ma le indicazioni fornitegli erano abbastanza chiare. Il giovane mago rimase immobile a lungo, a fissare le pietre da lastrico consumate che si sollevavano appena dall’erba, poi si decise a imboccare il sentiero.

Questo lo condusse fra dimore cadenti, quindi attraverso un prato erboso verso il grande affioramento roccioso del Vecchio Cranio. Uno stagno tranquillo e pacifico scintillava alla sua sinistra, fra il cinguettio degli uccellini e i richiami dei borunduk. Tarth Hornwood, detto anche «Bastondituono», avanzò lento e timoroso su per il sentiero fino a vedere quello che si trovava in fondo: una torre di pietra bassa, che pendeva lievemente da una parte.

Tarth strinse, minaccioso, il bastone in una mano, sperando di non doverlo usare. Negli ultimi tempi il suo potere sembrava essersi indebolito. Su un dito dell’altra mano brillava l’Anello Perduto di Murbrand. Il mago sperava di non dover ricorrere nemmeno ai poteri di quest’ultimo. Nonostante giorni di ricerca e di sperimentazione, non aveva ancora capito come comandare quel prezioso gingillo.

Nel punto in cui una pista di muschio e di erba calpestata si separava dal sentiero e scendeva allo stagno, sorgeva una roccia grande e piatta. La sua sommità era liscia e consunta, come se nei secoli molte persone si fossero sedute su di essa. In quel momento vi era appoggiata una pipa ben intagliata, uguale a quella che lui aveva in mano. Era accesa e fumava quietamente nell’aria mattutina, per conto proprio.

Tarth la fissò. Era forse una trappola? O il Vecchio Mago in persona, trasformatosi per evitare intrusi e ficcanaso! Il giovane fissò a lungo la pipa, poi con una scrollata di spalle allungò la mano. Aveva affrontato altre volte il pericolo ed era ancora lì, a raccontarlo… inoltre quella era solo una pipa. O almeno così sperava. La toccò con le dita, era calda, dura e liscia, poi fece per ritrarre la mano.

Mentre indugiava avvertì un formicolio alle dita. Un uccello volò sopra di lui. Trascorsero alcuni minuti silenziosi. Con cautela Tarth prese la pipa e diede rapida un’occhiata intorno. Nessuna minaccia; nulla era cambiato. L’oggetto era identico a quello che gli aveva dato l’elfa.

Due pipe che fumavano da sole. Il mago le tenne cautamente davanti a sé, evitando di respirarne il fumo, e s’incamminò verso la torre.

La porta era piccola e disadorna. Tarth appese il bastone nell’incavo del braccio e allungò la mano libera verso il batacchio, con l’intenzione di bussare.

Le sue dita erano ancora a qualche centimetro di distanza da esso quando la porta si spalancò silenziosamente.

Il mago indietreggiò, allarmato. Dopo qualche istante fece un passo, poi esitò e sbirciò nel buio.

«Beh, non stare sulla soglia, fai entrare le mosche! Entra, e liberati del tuo fardello, qualsiasi sia il motivo per cui mi hai cercato, mago!» esclamò una voce imperiosa proveniente dall’interno.

Tarth deglutì e avanzò lentamente. «Come… come fate a sapere che esercito la magia!» chiese, prima ancora che se ne fosse reso conto.

«È scritto a grandi lettere sulla tua fronte, naturalmente», fu la risposta. «Non l’hai mai notato prima!» Seguì una sorta di grugnito e la voce continuò. «Hmm… devi essere un avventuriero, uno di quelli che non prestano attenzione al mondo che li circonda. Allora! Entra! Non è difficile: metti un piede davanti all’altro, usa il bastone per tenerti in equilibrio, poi ripeti l’esercizio, ed ecco fatto!»

Tarth fece come gli era stato detto e si ritrovò in una stanza scura, piena di polvere, stipata fino al soffitto di pergamene e di spessi tomi di pelle. Sopra una pila di libri particolarmente grossi sedeva un vecchio barbuto, la tunica svolazzante e un occhio penetrante fisso su Tarth.

In una mano teneva cautamente un minuscolo uccellino, anch’esso con lo sguardo rivolto al giovane mago. La bestiola cinguettò una volta, con sdegno.

Il vecchio allungò l’altra mano. «Le miei pipe», affermò semplicemente. «Devi aver incontrato Aelrue.»

Senza proferire parola, Tarth gli porse le pipe. Le dita del mago sfiorarono le sue e Tarth percepì un breve formicolio di puro potere. Rimase inebetito nella penombra della stanza disordinata, mentre l’uomo parlava a bassa voce all’uccellino, con parole che il giovane non comprendeva. Questo cinguettò ancora, brevemente, poi volò via nell’oscurità.

Quando se ne fu andato, il vecchio sollevò lo sguardo. «Un po’ di tè?» chiese, quasi con durezza. «Sembri assetato.» Senza attendere una risposta, urlò: «Tè, Lhaeo! Per due».

Con una mano indicò una vecchia botte, sulla quale erano ammucchiate numerose mappe stropicciate di Thay e dell’Estremo Est, i cui inchiostri magici emettevano un bagliore debole nella penombra.

«Sposta quelle e siediti», gli ordinò il vecchio. «Possiamo anche cominciare. Il tempo non speso non è tempo risparmiato. Qual è il tuo nome!»

Tarth gli riferì il suo primo nome, guardandosi invano attorno per trovare un posto su cui posare le mappe. Il vecchio sospirò e agitò una mano; le carte si sollevarono dalla presa di Tarth e fluttuarono fuori dalla vista, dietro a mucchi impressionanti di pergamene. Simultaneamente, le due pipe, rimaste sospese accanto alla spalla del vecchio, ammiccarono e si sollevarono nell’oscurità, fino a scomparire.

Il giovane mago si sedette frettolosamente e appoggiò il bastone alla spalla.

Elminster annuì. «Elminster di Shadowdale», si presentò il vecchio. «La ragione per cui sei venuto da me, figliolo!»

Tarth deglutì e cercò di apparire impavido e incurante. «Vorrei migliorare la mia Arte», mormorò. «Se voi siete disponibile e riterrete sufficiente il mio pagamento, mi piacerebbe apprendere da voi ciò che posso, per la fine della prossima luna.»

L’illustre saggio sollevò lo sguardo e fissò a lungo Tarth, l’aria meditabonda. I suoi occhi erano di un blu intenso. Il giovane mago si sentì subito a disagio, ma non osò distogliere lo sguardo. Alla fine Elminster annuì lentamente.

Un istante più tardi, Tarth vide una tazza di tè fumante che si abbassava silenziosa nell’oscurità, oltre il suo naso. Il giovane l’afferrò con mano tremante.

«Hai menzionato un pagamento», esclamò con voce imperiosa e secca. «Ti dispiacerebbe essere più specifico, ragazzo?»

«Ah, questo!» replicò Tarth, allungando una mano. «L’Anello Perduto di Murbrand!»

Cadde il silenzio. Lo stupore che si aspettava stentava a manifestarsi. Gli occhi azzurri e limpidi di Elminster lo scrutarono senza batter ciglio. Dall’oscurità soprastante scese un’altra tazza di tè, che si posò nella mano pronta dell’arcimago. I vecchi occhi non la degnarono di uno sguardo e rimasero fissi sul giovane. In attesa.

Tarth si affrettò a colmare il silenzio con parole eccitate. «Uno dei più grandi tesori dell’arte perduta di Myth Drannor! Un oggetto famoso nelle canzoni dei bardi e nelle antiche storie dei Regni! Un…»

«Una cosa il cui uso va molto al di là dei tuoi attuali poteri», lo interruppe seccamente El. Tarth lo guardò, afflitto.

«Beh, sì», ammise. «Ma ritrovarlo non è stato facile… e ho Arte sufficiente per poter affermare che è un oggetto di grande potere, il più grande che abbia mai visto».

Elminster annuì. «Esatto», esclamò e continuò a guardare il giovane da sopra la tazza, che nel frattempo aveva portato alle labbra. Calò di nuovo un lungo silenzio.

Tarth lasciò cadere la mano sulla coscia. «Allora?» chiese improvvisamente impaurito. Lo sguardo del vecchio sembrava scuro e minaccioso, e in qualche modo arrabbiato. Con fredda certezza Tarth sapeva che quel potente arcimago avrebbe potuto sottrargli l’anello e distruggere per sempre Tarth Hornwood in un lampo. Ora i suoi occhi lo fissavano, quasi divertiti. Vista da vicino, la morte doveva essere proprio così…

«Basta?», Tarth udì le sue labbra pronunciare con voce calma e ferma.

«Sì e no», fu la risposta. «È un anello abbastanza prezioso, sì. Ma non lo voglio. Tienilo tu». Un sorriso abbozzato gli storse i baffi. «Potresti diventare abbastanza potente da usarlo. Ti potrebbe persino servire.»

Tarth guardò brevemente l’anello che portava al dito, ricordando per un istante la mano ossuta che l’aveva portato. Ciò che rimaneva dell’ex proprietario giaceva a pezzi, nascosto sotto un enorme masso caduto, in una cripta profonda e velata di ragnatele dell’antica Myth Drannor.

Tarth non s’era aspettato di tenere l’anello tanto a lungo. Deglutì, colto nuovamente dalla paura. «Che cosa volete, allora!»

«In cambio del mio insegnamento! Che diamine, il tuo bastone, naturalmente», rispose El con calma e freddezza.

Per un lungo e tremante attimo a Tarth si fermò il respiro nei polmoni. Il bastone che portava sempre con sé, un pezzo di legno di shadowtop semplice e liscio, era la cosa più preziosa che possedesse.

Il suo primo tutore, nella lontana Amphail, gliel’aveva donato molto tempo prima. L’Arte del vecchio Nerndel era debole e lacunosa, per via dell’età, ma il mago lo aveva avvertito di tenere il bastone sempre al sicuro. «È un oggetto di grande potere», gli aveva detto Nerndel. «Conservalo bene. Forse ti renderà più felice di quanto non abbia fatto con me.»

«Il mio bastone!» chiese Tarth, avvilito. «No. No, non posso separarmene. Non lo farò! Mi rifiuto.»

«La porta, come ti ricordo, è alle tue spalle», affermò secco Elminster. «Hai trovato la via per entrare, e i tuoi piedi audaci ti serviranno anche per trovare l’uscita.»

«No!» esclamò il giovane mago. «No, no, chiedetemi qualcosa d’altro, un’altra forma di pagamento, se volete. Sono venuto fin qui…» Tarth si protese. «Per favore! Un servigio, per favore! Chiedere a un mago di separarsi dal suo bastone è troppo… e che cosa ve ne fareste voi, un grande arcimago, del mio bastone?»

«Più importante ancora», replicò Elminster a bassa voce, «è che cosa te ne fai tu di un tale bastone, Tarth».

«Che cosa intendete?»

«Il tuo bastone», affermò il Vecchio Mago, «s’indebolisce a ogni uso, non è vero!»

Trascorsi alcuni istanti di silenzio stupito, Tarth annuì con riluttanza.

«Anche tu», continuò Elminster, «diventi sempre più debole in materia di Arte, Tarth Hornwood, poiché finisci con l’affidarti sempre più a esso».

Tarth si accigliò. «Conoscete il mio cognome?»

Elminster sogghignò. «Sì. Un po’ di tempo fa un mio amico, il giovane Nerndel, per te il vecchio Nerndel, mi confidò che aveva scelto il suo erede d’Arte, un ragazzo sveglio. Mi chiese di badare a te, se fossi venuto da queste parti.»

«Allora, mi insegnerete?» chiese Tarth, di nuovo speranzoso.

«Sì. In cambio di un servigio.»

«Posso tenere il bastone!»

«Non ho detto questo. Il servigio che puoi rendermi, mago, è distruggere il tuo bastone. Mi pare che tu ne sia diventato troppo dipendente, dopo essere sopravvissuto ai pericoli di Myth Drannor e aver conquistato quell’anello che porti in modo tanto spavaldo. È tempo d’imparare a fidarti dei tuoi poteri, senza il sostegno del fuoco raggelante. Il servigio consisterà nell’eseguire un rito semplice ma preciso, per portare a termine la distruzione del bastone.»

«E se rifiuto?»

«Allora dovrai andartene», rispose sereno il vecchio. «E proseguire su qualsiasi sentiero ti portino i tuoi piedi fin troppo sicuri, finché non cadrai vittima, come di certo avverrà, di qualche brigante abile con le pietre, o di un goblin solitario che ti assalirà nel sonno. Nessun uomo che ostenta apertamente tanto potere può avere amici, né fidarsi dei compagni troppo a lungo. Se così farai, troverai presto una tomba aperta e fredda, ragazzo, e qualcun altro ruberà i tuoi gingilli.»

«Me la sono cavata bene finora», affermò Tarth, punto sul vivo. «So proteggere me stesso.»

«Davvero?» rispose El, comprensivo. «Quali difese hai preparato, allora, prima di avventurarti alla facile ricerca del mio potere!»

Il giovane rimase seduto in silenzio, di nuovo in preda a una fredda paura, Gli occhi del Vecchio Mago scintillarono nell’oscurità mentre lo fissavano, imperturbabili.

Alla fine Tarth scosse il capo in segno di resa, e allargò le mani. «Solo gli incantesimi che ho addosso.»

«E il tuo bastone, naturalmente», puntualizzò Elminster. «Forza figliolo, il tè si raffredda. Allora siamo d’accordo o te ne vai?»

«Se distruggo il bastone», chiese Tarth, cercando di non guardarlo, «mi promettete di fare di me un mago più potente e di lasciarmi libero?»

Elminster annuì. «Sì. Lo giuro. Ma bada: solo con la distruzione del bastone darai e troverai libertà e imparerai il vero potere e la vera felicità».

Tarth annuì, lento e riluttante, mentre altri pensieri gli turbinavano nella mente. «Allora siamo d’accordo», affermò. E un attimo dopo aggiunse: «Devo raggiungere i miei compagni d’avventura per qualche giorno, poi tornerò».

El annuì. «Va bene, non dimenticare la tua parte di bottino», gli suggerì con un sorriso. Tarth ricambiò e svuotò la tazza.

«Grazie per il tè», esclamò, alzandosi. Un po’ di polvere, smossa, si sollevò attorno a lui formando una nuvola densa.

«Il tè è l’ultima cosa per cui dovresti ringraziarmi», ribatté pacatamente il Vecchio Mago, poi agitò un dito. In silenzio, le due tazze vuote si sollevarono lentamente e scomparvero alla vista. A disagio, Tarth annuì e si avviò verso la porta, un po’ più rapidamente di quanto non avesse intenzione di fare. Questa si aprì da sola. Il mago sospirò e non vide Elminster che sorrideva alle sue spalle.

[sospiro] TE LA STAI PRENDENDO COMODA, NON È VERO?

Certo, altrimenti non funziona. Come alcune faccende qui, all’Inferno.

ASTUTO COME SEMPRE, SCHIAVO MENTALE. MA BADA DI NON TAGLIARTI CON LA TUA LINGUA AFFILATA.

[silenzio, immagini che affiorano quasi beffarde]

Qualcuno bussò alla porta di Sarlin. Sarlin il Supremo udì e si alzò in fretta. Erano tempi duri e il denaro scarseggiava.

Tarth Hornwood lo attendeva fuori, il volto abbronzato e un anello scintillante al dito. Il suo sguardo appariva un po’ più vecchio dell’ultima volta che gli aveva fatto visita. Di sicuro era reduce da qualche avventura.

«Che vuoi, Tarth?» chiese bruscamente Sarlin.

Il ragazzo fissò con calma il vecchio stregone malvagio e rispose semplicemente: «Affari. E niente trucchi, questa volta».

Sarlin non sorrise, e si limitò ad annuire. «Bene, allora: di che si tratta!»

Tarth sollevò lo splendido bastone che aveva in mano, scuro, liscio e diritto. «Vorrei che me ne facessi un altro uguale.»

Sarlin sollevò entrambe le sopracciglia. «Potrebbero occorrere anni», cominciò. «Hai…»

«Senza poteri», aggiunse rapido Tarth, «malgrado debba recare un dweomer ed essere in grado, diciamo, di emettere bagliore, e di spegnersi di nuovo. Ho bisogno di un bastone uguale a questo, tanto identico che nemmeno il più grande mago dei Regni possa distinguerli».

Sarlin sollevò un sopracciglio. «Sarà costoso», affermò dopo un attimo.

Tarth annuì. «Ho intenzione di pagarti con questo», rispose, allungando il pugno sul quale scintillava il gioiello. «È l’Anello Perduto di Murbrand.»

Sarlin si protese per osservarlo. «Tregua!» chiese.

«Tregua», assentì Tarth. Lo stregone allungò la mano e Tarth gli porse l’anello. Il vecchio lo esaminò con calma, girandolo e rigirandolo fra le dita per leggere le rune che Murbrand vi aveva inciso tempo addietro. Era indubbio, oppure tutti i libri di antica sapienza si sbagliavano: aveva fra le mani un anello potente. Quasi tremò per l’eccitazione.

Ma non era quello il suo modo di fare. Sarlin inarcò nuovamente le sopracciglia e, lentamente, con riluttanza, restituì l’anello al mago. «Questo bastone deve valere molto per te», affermò.

Tarth annuì. «Quasi quanto l’anello che sto offrendo», rispose mordace, «a un individuo che sappia come usarlo».

Sarlin sogghignò. «Dal momento che tu sai, naturalmente, come utilizzarlo», rispose. «Dammi il bastone adesso e l’anello quando avrò terminato, in cambio dei due bastoni. Torna fra quattro mattine.»

Fu il turno di Tarth a sollevare le sopracciglia. «Così presto?»

Sarlin scrollò le spalle. «Sono un maestro in ciò che faccio. Questo lo sai.»

Il giovane mago annuì. «Hai ragione. D’accordo, allora?»

Sarlin annuì a sua volta, quasi avidamente. «D’accordo.»

E ORA VIENI AL DUNQUE… ALTRIMENTI PAGHERAI COL DOLORE, MAGO…

«Sei pronto, figliolo?» chiese con delicatezza Elminster. Tarth annuì, il volto inespressivo. Il Vecchio Mago agitò una mano. «Allora comincia.»

Tarth stava in piedi nel cerchio che El aveva preparato per lui, nel cuore della foresta vicina a Shadowdale. Su una pietra alta e piatta al centro giaceva il bastone che Tarth aveva portato. Accanto a esso, un coltello affilato.

Il giovane mago si avvicinò alla pietra, il collo e la fronte improvvisamente madidi di sudore freddo. Sentiva lo sguardo del saggio come un peso sulla schiena; Tarth respirò profondamente, poi si scrollò e cominciò il rito che Elminster gli aveva insegnato.

Iniziava con una formula parlata, lenta e precisa. Hornwood la pronunciò, poi afferrò cauto il pugnale.

Mentre lo sollevava, il suo sguardo si posò sul bastone. Scuro, liscio e scintillante, era il pezzo di legno familiare e confortante con cui si era guadagnato il nome di «Bastondituono», ad Arabel. Quell’appellativo era nato quasi per scherzo, ma Tarth l’aveva fatto diventare un nome di tutto rispetto. Ora, per volontà di Elminster, se lo sarebbe lasciato alle spalle.

Tarth sospirò ancora, soffocò l’irritazione e sollevò il coltello, iniziando il canto. Lento e sussurrato, per cominciare. Il pugnale, colpito la luce, scintillò brevemente. Il mago sollevò allora l’altra mano e si ferì, con un movimento netto, deliberato.

Avvertì un formicolio freddo nel palmo e il sangue iniziò a fluire. Il giovane indietreggiò e infilzò il coltello nel terreno, fino all’elsa, sussurrando un’altra formula con lo stesso ritmo del canto. Quando si riavvicinò alla pietra, il sangue aveva cominciato a gocciolargli dalle dita.

Cauto, senza interrompere il canto, spostò la mano in modo che le gocce cadessero sopra il bastone. «Sei venuto per la saggezza dei saggi», gli aveva detto Elminster. «Tuttavia, questa da sola, non basta. Per ottenere la libertà è necessario anche il sangue degli eroi. Perciò devi spargere un po’ di sangue, piccolo mago.»

Tarth sentiva lo sguardo del Vecchio Mago sempre fisso su di lui, mentre sanguinava sul bastone. Le gocce che cadevano sulla pietra o sul terreno rimanevano, ma quelle che atterravano sul bastone scomparivano nell’istante in cui lo toccavano.

El lo aveva avvertito, qualsiasi cosa fosse successa, di non interrompere il canto. Tarth ubbidì, anche quando il bastone iniziò a emettere bagliore sulla pietra di fronte a lui. Una debole luce color rosso-oro avanzò lentamente lungo il legno, si fece più intensa e acquisì una sfumatura bianca.

Tarth indietreggiò, seguendo le istruzioni di Elminster, e cantò con voce più alta e rapida. Sapeva, senza guardare, di aver smesso di sanguinare: la magia gli stava guarendo la mano.

Il bastone si sollevò di qualche centimetro e iniziò a mormorare mentre fluttuava nell’aria, il suo bagliore via via più intenso.

Ora il rito richiedeva lacrime. Tarili fissò il bastone, batté le palpebre e rievocò tutte le avventure a cui era sopravvissuto negli inverni passati, col bastone come compagno. La sua magia era uno scudo contro il pericolo. Gli sarebbe mancato.

I ricordi l’assalirono e la sua voce si fece tremula. Gli sarebbe mancato molto. Gli occhi del giovane si riempirono di lacrime ed egli sentì un nodo alla gola quando rievocò il peso confortante del bastone nella sua mano, dopo le numerose battaglie. Talora l’aveva considerato una cosa viva, quasi una persona.

Ormai le lacrime scorrevano liberamente e Tarth avanzò come gli aveva detto di fare El, in modo che cadessero sul bastone luminoso.

In tutta risposta, questo iniziò a pulsare. Il ronzio aumentò e divenne un sibilo. Lento e maestoso, il bastone si sollevò, roteando nell’aria fino a fermarsi in posizione verticale. Anche l’aria intorno a esso iniziò a rifulgere fino a formare un alone luminoso. Tarth continuò a cantare, affascinato e speranzoso.

Il bastone si levò alto sopra la pietra, pulsante. Si accese e si spense più volte, poi la luce si affievolì sin quasi a spegnersi.

Dietro il giovane mago, al margine del cerchio, Elminster s’accigliò. Incrociò le braccia e rimase a guardare.

Il bastone pulsò più rapidamente, la luminosità si fece più intensa, svanì del tutto, poi ricomparve. Infine, il sibilo si smorzò e, all’improvviso, il bastone si sgretolò e svanì, spargendo cenere sulla roccia.

Tarth smise di cantare, esitante sul da farsi. Nel silenzio improvviso si voltò verso il Vecchio Mago, quasi con rabbia. «È tutto! A me è parso uno spreco!»

Elminster sorrise tristemente. «Lo spreco, giovane maestro d’Arte», affermò a bassa voce il saggio, «è stato barattare l’anello per così poco». Fece un gesto con la mano e nell’aria sopra la roccia ci fu un bagliore improvviso.

Comparve un bastone, scuro e lucente, molto familiare. Era il bastone di Thart, quello vero, che il giovane aveva nascosto al sicuro in una cella-studio nel tempio di Mystra più vicino, protetto dagli incantesimi più potenti che conosceva. Il mago rimase a bocca spalancata.

«Il bastone autentico, giovane eroe», affermò pacato Elminster. «L’onestà è la cosa migliore, anche nella magia. Ma questa è una lezione che s’impara a proprie spese. Ricomincia tutto daccapo, non appena ti sentirai abbastanza vecchio e saggio per farlo». Mentre parlava, il bastone volteggiò nell’aria e si posò, in silenzio, sulla pietra, raggiunto dal coltello, che si sfilò dal terreno. El allargò le mani con fare interrogativo, lo sguardo fisso in quello di Tarth, e un attimo dopo svanì, lasciando il vuoto dietro di sé.

Il giovane mago fissò il pendio ricoperto di felci occupato da Elminster un secondo prima, poi si guardò attorno lentamente, tremante. Era rimasto solo nella radura.

Il sentiero dal quale era venuto si snodava invitante nella quiete verde fra i vecchi alberi; Tarth lo guardò e deglutì, la bocca improvvisamente secca. Fece un rapido passo verso il sentiero, poi si guardò indietro. Il suo bastone giaceva luccicante sopra il grande sasso. Tarth si fermò, titubante, poi corse indietro e l’afferrò.

Quel peso familiare nella mano era rassicurante. Tarth lo conosceva fin troppo bene: era veramente il suo bastone, portato laggiù dalla magia di Elminster. Il giovane lo tenne sollevato per un istante, come per colpire un nemico invisibile, poi si voltò e si mise a correre per il sentiero.

Mentre fuggiva, le parole di commiato di El risuonarono nella sua mente. Una lezione che s’impara a proprie spese, ricomincia tutto daccapo non appena ti sentirai abbastanza vecchio e saggio per farlo. Tarth si fermò, il cuore in gola. Sentiva il peso del bastone fra le mani e il sudore gli colava lentamente negli occhi.

Il giovane batté le palpebre finché non riuscì a vedere di nuovo. Si mise a scrutare freneticamente il bosco intorno a sé. Nessuno lo stava guardando. Non un rumore, se non quello del suo respiro. Pensò brevemente all’incantesimo serbato nella sua memoria, che avrebbe potuto portarlo in un istante lontano da quel luogo, ed esso si agitò nella sua mente. Tarth lo scacciò dai suoi pensieri, guardò il bastone che teneva fra le mani e si voltò. Lentamente, ma con risolutezza, si avviò di nuovo verso il cerchio.

Il pugnale era sulla pietra al centro della radura, vuota e silenziosa. Tarth entrò nel cerchio e si fermò, il respiro affannoso e irregolare. Sollevando il bastone, il giovane mago lo contemplò a lungo, con amore, assaporandone il peso e il potere fra le mani; poi sospirò e raggiunse la pietra. Una volta appoggiatolo, gli occorse molto tempo per decidersi a lasciarlo andare.

Le labbra bianche, Tarth Hornwood rimase immobile nel cerchio per un tempo ancor più lungo. Poi avanzò d’un passo e pronunciò a bassa voce la formula che segnava l’inizio del rito. Mentre afferrava il coltello, non si accorse di Elminster, che nel frattempo era riapparso alle sue spalle.

Il Vecchio Mago sorrise e annuì con approvazione.

Il bastone si sollevò ancora. Questa volta le lacrime fluirono tanto copiose che il mago riusciva a malapena a intravedere il pezzo di legno. Il giovane fu pervaso da un doloroso senso di perdita e da una sensazione straziante, che lo attanagliava a ondate, in concomitanza con le pulsazioni del bastone.

Questo s’innalzò sopra la pietra. Il sibilo si fece più forte nelle orecchie di Tarth. All’improvviso s’illuminò di una luce accecante; il mago urlò, interrompendo il canto, poi cadde in ginocchio, impotente, scivolò sull’erba, e oltre…

[brontolio] QUANTO ANCORA, MAGO? QUANTO MANCA AL DUNQUE?

L’aria fresca gli sfiorò la fronte. Su di lui si posarono mani delicate… due, tre… al saggio erano forse spuntate altre mani?

Tarth batté le palpebre e si ritrovò a fissare un cielo azzurro e foglie danzanti sopra la sua testa. Era sdraiato supino su un terreno accidentato. Un forte aroma di tè caldo gli solleticò le narici.

«Sei di nuovo con noi, ragazzo!» gli chiese la voce ormai familiare di Elminster. Tarth si voltò a guardare il Vecchio Mago, aprendo la bocca per rispondere e rimase in quella posizione a lungo, in preda allo stupore.

El sedeva su una roccia, una tazza di tè in mano; indossava solo una sotto-tunica di cotone, rattoppata e logora, e i suoi soliti stivali consunti. Seduta accanto a lui vi era una donna slanciata, dagli occhi grigi, che osservò Tarth con interesse. In mano teneva due tazze fumanti e indossava la tunica fluente di Elminster.

«Buongiorno», affermò la signora, con voce gentile.

Il Vecchio Mago sogghignò. «Tarth Bastondituono», lo introdusse con tono solenne, indicando la donna, «ti presento il tuo bastone. Lady Nimra. Ai suoi tempi conosciuta come Nimra Novemani, dal suo incantesimo preferito».

Il suo ghigno si ampliò. «Hai sfruttato le sue forze per esercitare la tua Arte in questi lunghi anni, perciò ho fatto sì che tu gliene rendessi un po’, prima di distruggerla completamente. Ora, ho già perso abbastanza tempo. Alla mia torre vi aspetta un banchetto serale, quando troverete la strada del ritorno. Immagino abbiate molto da dirvi.»

Elminster ridacchiò per l’espressione attonita di Tarth. «Forza, ragazzo», lo redarguì, «non capita tutti i giorni che un mago abbia la possibilità di parlare tanto liberamente con il proprio bastone. Usa la tua parlantina.» Detto ciò, El agitò una mano e scomparve.

In silenzio, la donna porse al giovane una delle tazze.

Lui l’afferrò con circospezione, cercando di non rovesciarsela addosso, e si schiarì la gola. «Ah, è un piacere!» cominciò incerto e abbozzò un sorriso esitante…

GAH! ALTRE SVENEVOLEZZE? AH, VOI UMANI!

Più tardi, quella stessa sera, Tarth era di nuovo seduto con il Vecchio Mago fra i mucchi impolverati di pergamene. «Da quanto tempo sapevate di lei!» gli domandò curioso il giovane, indicando il soffitto. Lady Nimra stava dormendo nella stanza da letto di Elminster, proprio sopra di loro.

«Nimra fu imprigionata in un bastone più di settecento inverni fa, da un rivale, a Myth Drannor», rispose El lentamente. «Non l’abbiamo mai liberata, poiché il suo imprigionamento scatenò numerose creature maligne che teneva in suo potere. Esse la cercarono dappertutto: l’avrebbero trovata e distrutta, se avesse percorso i Regni nella sua vera forma. Il bastone era la protezione migliore che potesse trovare.»

«Che cos’è accaduto alle creature che la cercavano!»

«Distrutte a loro volta, nel corso dei secoli», rispose il Vecchio Mago. «Nerndel ne uccise più di una.»

«Il maestro Nerndel! Come ha fatto ad avere il bastone?» gli domandò Tarth sorpreso.

Elminster sogghignò. «Era lui il rivale di Nimra. Fu la sua trappola a imprigionarla. Sperava un giorno di poterla liberare e farle la corte, ma io collocai alcuni incantesimi nel bastone, in modo da poterlo trovare dovunque fosse nascosto, e in maniera che Nimra non potesse essere liberata se non dopo la morte dei suoi nemici. Inoltre, presi a Nerndel gli incantesimi che usò per intrappolarla, perciò ora sei legato a lei, giovane Mastro Mago.»

«Legato?» gli fece eco Tarth, senza comprendere.

«Sì. Nimra doveva a Nerndel sei servigi, il primo dei quali era formarlo. Il secondo era intraprendere un certo rituale. Ma lui la intrappolò in un bastone quando il primo compito non era ancora ultimato. Nimra non è libera dalla rete d’incantesimi del tuo tutore finché non completa la formazione, la tua, dal momento che sei l’erede di Nerndel.»

«La mia?» chiese Tarth, stupito. «E poi?»

Elminster scrollò le spalle. «La questione è fra voi due. Lei ti ha servito negli anni passati, di buon grado, anche se tu non lo sapevi, e credo che tu le piaccia. Le vostre vie potrebbero correre a lungo insieme.»

«Insieme», affermò il giovane in tono interrogativo, guardando il soffitto. «Ma come dovrei trattarla! Che cosa le dico! Dovrei tentare di farle eseguire i servigi che rimangono! Se ci provo, che cosa penserà di me? Devo temere che… ah, un suo attacco?»

Elminster sorrise lentamente e allargò le braccia. «In questo devi essere tu la guida di te stesso. Hai già dimostrato di saper prendere da solo la via giusta.»

Tarth lo fissò. Poi socchiuse all’improvviso gli occhi. «Voi avete accettato di insegnarmi fino al termine della prossima luna. Ditemi, allora, ciò che voglio sapere!»

El annuì. «Ho acconsentito, sì. Ma temo di poterti aiutare ben poco, Tarth. Non conosco le risposte alle domande che mi hai posto.»

«Si dice che siate il più saggio di tutti gli individui viventi, in molti campi!» protestò Tarth. «Uno che conosce tutte le risposte!»

Udirono un passo leggero sulla scala. Tarth si voltò e vide Lady Nimra, che gli sorrideva. Il mago guardò profondamente nei suoi occhi limpidi e si perse.

«Solo gli stolti conoscono tutte le risposte», replicò Elminster senza scomporsi. Poi svanì silenziosamente, sollevando un po’ di polvere intorno a sé.

«E così, Maestro Tarth», esclamò dolcemente Nimra, mentre si sedeva al posto del Vecchio Mago, «devi rispondere da solo alle tue domande, fare da solo le tue scelte e accettarne le conseguenze. Questo è ciò che significa essere un mago, dopo tutto».

Tarth annuì e si schiarì la voce. «Ah, uh… benvenuta!» cominciò con tono allegro.

Lei cominciò a ridere…

QUESTA È LA TUA «MAGIA POTENTE»? STAI METTENDO A DURA PROVA LA MIA PAZIENZA, PICCOLO MAGO!

CHE COSA ACCADE SE FACCIO LO STESSO CON LA TUA CATENA? E SE AL TEMPO STESSO LA INCENDIO. EH? EH?

[urla, stridule, selvagge e vane, che si affievoliscono lentamente]

OH, NO! NON COSÌ FACILMENTE! UN PO’ DI MAGIA GUARITRICE, UNO SCOSSONE, ED ECCOTI PRONTO PER RIASSAPORARE IL TORMENTO!

[risata diabolica ruggente, urla che si levano alte]

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