17. Gran fuoco all’Inferno

MOLTO DIVERTENTE, MAGO. LO VEDRÒ TUTTO, MAGIA O NON MAGIA. PROCEDI.

Come desideri. [immagini che avvampano]

Laeral giaceva sul pavimento, pietre sotto e sopra di lei. Enormi blocchi del soffitto si erano sfracellati accanto, sopra e intorno a lei. La polvere si stava ancora depositando al suolo. La maga avvertì un dolore lancinante irradiarsi dalla gamba destra e al fianco sinistro. Le pietre cadenti dovevano averle fratturato qualche osso.

Gli echi del crollo si spensero in angoli lontani e invisibili della stanza. La donna era rimasta incosciente solo per uno o due secondi. Sopra di lei una lastra di pietra si era incuneata contro un’altra, lasciando sotto uno spazio che l’aveva salvata da una morte certa… fino a quel momento. Al di là delle lastre, grazie alla debole luce delle sue piccole sfere, Laeral riuscì a vedere il trono di pietra vuoto.

Al che ordinò alle luci danzanti di diminuire d’intensità, compito questo assai facile con il dolore che stava minando la sua concentrazione, poi rimase distesa in silenzio, a mordersi il labbro. Era inchiodata a terra, impotente, impossibilitata a muoversi. Sarebbe stata una morte fredda e lunga.

La maga si domandò, scoraggiata, quanto sarebbe sopravvissuta. Un errore, solo uno… e una lezione rapida: la morte cattura i maghi tanto facilmente quanto un paio di mani forti.

Per favore, Mystra: fa’ che sia rapida.

Laeral chiamò a raccolta le sue deboli facoltà mentali per inviare un ultimo messaggio al suo apprendista lontano, al fine di indicargli l’ubicazione dei libri d’incantesimi e dei tesori segreti e di congedarsi con un addio. Lo sforzo le costò l’ultima delle luci evocate; un attimo dopo la ragazza si ritrovò improvvisamente al buio.

Un nuovo rumore invase la stanza polverosa.

Una risata fredda, familiare. Un bagliore evocato da qualcun altro illuminò la stanza e si fece più intenso. In quella luce la maga vide Blaskyn uscire dall’ombra, l’Elmo dell’Invisibilità sotto il braccio. L’uomo ridacchiò ancora, guardando verso di lei.

Rapida, Laeral chiuse gli occhi lasciando solo due fessure e rimase immobile. Fin dapprincipio il suo apprendista si era dimostrato molto bravo negli incantesimi distruttivi.

«Così finisce il mio apprendistato», affermò Blaskyn trionfante. «La “padronanza della magia” del trono sarà mia!» mormorò. L’uomo agitò svelto e sicuro le mani.

Laeral chiuse gli occhi, ribollendo di rabbia. Il suo apprendista conosceva molto di più la magia di quanto non le avesse fatto credere.

La ragazza sentì sollevarsi lentamente le rocce sopra di lei, un incantesimo di telecinesi, senza dubbio. Il peso schiacciante svanì, delicatamente, senza rumore. Le rocce che l’inchiodavano erano scomparse.

Con volontà d’acciaio, la maga resistette al forte istinto di cambiare posizione per placare un po’ il dolore; doveva apparire morta… altrimenti lo sarebbe stata presto. Si sentì sfilare la bacchetta dalle dita semiaperte. «Intatta? Perfetto», esclamò la voce di Blaskyn da un punto molto vicino sopra di lei. Laeral, per quanto attanagliata dal dolore, mantenne il viso immobile. «Hmm… gli anelli.»

Si sentì sfilare anche gli anelli dalle dita e udì il suo ex apprendista sospirare disgustato per il sangue di cui erano imbrattate.

Abili dita le percorsero il corpo e le sottrassero i pugnali che teneva negli stivali e il fodero della bacchetta nascosto nel corpetto. Si udì uno sfregamento di rocce quando tali oggetti vennero rimossi e poi di nuovo la voce disgustata di Blaskyn.

«Rotti. Beh, rimane solo questo.» Il pendente grezzo e disadorno che aveva indossato per tanto tempo le fu strappato bruscamente dal collo, con un rumore di cinghia spezzata. «È un oggetto magico; su questo non c’è dubbio.»

La ragazza rimase immobile mentre le dita dell’uomo si muovevano sul suo corpo. L’unica arte che le rimaneva era costituita da qualche incantesimo contenuto nella sua mente e da un certo oggetto magico, un orecchino solitario nascosto fra i capelli. Lui l’avrebbe trovato, fin troppo presto, poi l’avrebbe lasciata morire.

Dita curiose trovarono il punto scabroso in cui la gamba si era rotta e lo palparono, in cerca di tesori nascosti. Che male! Incapace di controllarsi, Laeral rabbrividì e piagnucolò.

Due mani crudeli le sollevarono brusche il mento, e le scossero la testa finché lei non aprì gli occhi sconvolti dal dolore e non fissò gli occhi freddi e vicini del suo ex apprendista.

Blaskyn sorrise. «Sei ancora viva, eh? Bene, vivrai abbastanza a lungo per rivelarmi dov’è nascosta la tua magia, e abbastanza a lungo, forse, per… altre cose!»

La ragazza piagnucolò. Con un tocco beffardamente carezzevole l’uomo le spostò la gamba, e le due estremità ossee spezzate sfregarono l’una contro l’altra. Laeral provò a gridare, ma riuscì a emettere solo un singhiozzo. Blaskyn ridacchiò all’udire quel suono e, crudelmente, la lasciò ricadere fra le pietre.

Una rossa foschia di dolore le offuscò gli occhi e attraverso di essa la maga vide il giovane camminare verso il trono, rivolgerle con scherno un saluto e sedersi con un ghigno trionfante.

In quello stesso istante il suo viso mutò: sembrò risplendere di fuoco bianco e il sorriso scomparve quasi immediatamente dalle labbra. Un bagliore perlaceo s’irradiò dalla pietra, sempre più intenso. Ammutolita, Laeral osservò il fuoco bianco scorrergli su e giù lungo gli arti.

La carne di Blaskyn s’afflosciò, la pelle avvizzì e penzolò dalle ossa messe d’un tratto in rilievo. L’uomo si mise a urlare.

Lo sguardo terrorizzato della donna incrociò il suo, e Laeral vide gli occhi dell’uomo prender fuoco e bruciare. La sclera s’annerì e si rimpicciolì fino a trasformarsi in un puntino di luce scintillante.

Mentre anche le gengive e le labbra si raggrinzivano, Blaskyn gridò con voce cupa: «Laeral! Padrona! Aiutami-i-i!».

I denti gli schizzarono fuori dalla bocca agonizzante; il suo grido divenne un verso soffocato e il corpo fu colto da tremiti e spasmi. Il mago sembrava incapace di alzarsi dal trono in fiamme.

Cadde il silenzio. Quello che era stato il suo apprendista sembrò calmarsi… o perdere coscienza. Laeral assunse la posizione più comoda possibile e si domandò se Blaskyn fosse morto.

D’un tratto il corpo inerte seduto sul trono iniziò a sorridere. Le sue mascelle prive di labbra si mossero lievemente, pronunciando alcune parole. «Ah… ah… un bel corpo, questo. Migliore di quello della ragazza, malgrado gli abbia insegnato ben poca Arte. Mi sarà utile.»

Ciò che rimaneva di Blaskyn si alzò rigidamente. La bacchetta, i pugnali e tutto il resto caddero sul pavimento con un forte clangore e gli anelli rotolarono lentamente nell’oscurità.

Sin toppo presto, il volto scavato si chinò sulla maga.

HA HA! QUESTA SOMIGLIA A UNA DI QUELLE BELLE COMMEDIE CHE I NOBILI DI WATERDEEP INSCENANO ALLE LORO FESTE!

Già, ed è tutto vero.

OH? PUOI PROVARLO?

Devo fidarmi di Mystra.

[sguardo minaccioso, sbuffata] BEH, UNO DI NOI DEVE FARLO, SUPPONGO, ALTRIMENTI NON VEDRÒ MAI LA TUA MAGIA. PROCEDI.

Esatto.

«Questo stolto pensava di interrogarti prima di reclamarti per sé e ucciderti», affermò una voce fredda. Somigliava più a quella dello zombie che aveva distrutto che alla voce di Blaskyn. «lo sono Thalon e non ho bisogno di sprecare parole per cercare di carpirti segreti servendoti nell’inganno. I miei artigli ti cucineranno nel punto in cui ti trovi e, quando avranno finito e io mangerò la tua carne, saprò tutto ciò che conosci. Il tuo cranio raggiungerà gli altri sullo scaffale… i crani degli stolti che hanno accompagnato maghi bramosi di potere e magia. “Non sederti da solo” e tutto il resto…»

Il viso scarno la guardò quasi con approvazione. «I maghi giovani e forti mi sono serviti da corpi, nel corso degli anni. Il tuo è spezzato e più debole del corpo di questo idiota.»

Mentre parlava, gli artigli striscianti attorniarono Laeral. Poi le dita scheletriche le strapparono i vestiti e scostarono le pietre. Ossa secche s’affaccendarono sopra e sotto la sua carne nuda, trascinando rami e rametti presi chissà dove sotto di lei e causandole un immenso dolore.

Gli occhi brucianti che poco prima erano appartenuti a Blaskyn la scrutarono freddi.

«Questo sciocco ti desiderava ardentemente, Laeral», mormorò la voce cupa, quasi con allegria, «ma la tua carne mi è molto più utile cotta, da mangiare. È passato molto tempo… spero sia rimasta un po’ di salsa arundoon».

Thalon si voltò, si arrestò e raccolse il pendente della maga. Poi abbozzò un sorriso sinistro. «Il folle non sapeva nemmeno che cosa fosse», affermò, provandoselo intorno al collo. «I miei ringraziamenti, maga, è rimasta una sola sfera, ma sono trascorsi anni dall’ultima volta che ho indossato un girocollo di proiettili! Da quando… ma non è necessario che tu lo sappia.» Si girò e si diresse verso le scale, camminando più rapido e sciolto a ogni passo.

«Non andartene… prima che sia tornato», le urlò la voce compiaciuta.

Laeral rabbrividì e piagnucolò per la sofferenza che tutto quel movimento le aveva causato.

Gli artigli continuarono a strisciare imperterriti. Rischiando di svenire per il dolore, la ragazza sollevò una mano intorpidita e si tolse cautamente l’orecchino dal lobo. La sua ultima magia. Chiuse la mano su di esso e si lasciò ricadere sulla catasta di legna.

Un rumore strano e orrendo giunse dalle scale, sempre più vicino: lo zombie stava canticchiando. Il suo volto bianco e scavato le sorrise crudelmente.

D’un tratto Laeral sentì un liquido freddo e appiccicoso rovesciarsi sopra di lei. Thalon stava svuotando il contenuto di una bottiglia di cristallo direttamente sulle sue membra.

«Salsa arundoon», esclamò l’arcimago senza scomporsi. «Perfettamente conservata, grazie agli incantesimi della bottiglia. Ne metterò un po’ in un posto sicuro, per la prossima volta. Quando tornerò, Laeral, ti darò un bacio; il tuo ultimo, temo, poiché soffierò dentro di te il fuoco del drago, e brucerai… I menestrelli parlano ancora dei baci brucianti! lo ho ispirato quell’espressione, malgrado il suo vero significato sembra essere stato dimenticato.»

Thalon indugiò sopra di lei, pensieroso. «Molte cose di me sono state dimenticate nei Regni. Con questo corpo giovane e bello, e la tua conoscenza di chi esercita la magia e dove, tutto cambierà. Un mago mi porterà a un altro, finché non avrò divorato ciò di cui tutti loro sono a conoscenza. Ti ringrazio per quest’opportunità, Laeral. Sei stata molto gentile.»

La maga lottò per tenere gli occhi aperti, nonostante le ondate di dolore le causassero sonnolenza. Thalon sembrò deluso. «Come, niente lacrime! Niente suppliche! Mi aspettavo almeno una reazione.»

Laeral gli sorrise a denti stretti mentre sollevava la mano. «L’avrai!» sibilò in tutta risposta, fra nuove fitte di dolore. «Alahabad!» sussurrò poi con ferocia.

Mentre volava nell’aria, l’orecchino si contorse e divenne una mano metallica, piccola come quella di un bambino, e colpì Thalon al petto, spingendolo all’indietro con forza.

Laeral vide l’arcimago vacillare, la mano metallica chiudersi e stringere l’ultima sfera del pendente che era stata la sua magia più potente per molti anni, poi si concentrò e voltò il capo.

AH! ORA LA SUA VENDETTA! ANCORA, UMANO… MOSTRAMI DELL’ALTRO!

Naturalmente. Ho trascorso tutta la vita a mostrar cose alla gente…

La maga chiuse gli occhi, perciò la fiammata che le bruciacchiò la faccia e il fianco non l’accecò. Il lampo scosse il soffitto sopra di lei e le macerie circostanti. Una coltre di polvere cominciò a caderle addosso come un mantello. Altro dolore. Minuscole schegge le si conficcarono nel fianco… i frammenti ossei di ciò che rimaneva di Blaskyn, pensò Laeral stancamente.

La ragazza rimase immobile. Il tremore cessò e lei ringraziò Tymora e Mystra. Quasi in risposta, si levò un lamento flebile di rabbia e delusione, confuso con gli echi risonanti dell’esplosione, poi lentamente si affievolì con essi.

Tocca a te ora provare dolore e delusione, pensò furiosa Laeral, mentre l’oblio nero la reclamava.

CHE COSA? VENGO PRIVATO DELLA SUA GIOIA PER IL NEMICO UCCISO? GLI UMANI SONO RAMOSCELLI DEBOLI!

Abbi pazienza, Lord Nergal, e vedrai…

[grugnito, silenzio riluttante]

Molto tempo dopo si risvegliò per il dolore e per il freddo. Guardò verso il trono: emanava ancora un debole bagliore bianco, ma non vi era nessuna traccia dello zombie. Ciò che cercava era ai piedi della pietra.

La maga digrignò i denti e si rotolò su un fianco, la gamba rotta flaccida e inutilizzabile. Il dolore ottenebrante, mentre si trascinava fra i rami pungenti e le mani scheletriche immobili, la fece singhiozzare e urlare. Strisciò lentamente sul pavimento, domandandosi se sarebbe riuscita a raggiungerla in tempo.

BEH, SE TUTTO CIÒ TI È STATO TRASMESSO DA MYSTRA, LA MAGA DEV’ESSERE SOPRAVVISSUTA, NO?

Tutto a suo tempo, demone. Tutto a suo tempo. Così è più divertente…

DIVERTENTE! [sbuffata] ORA SO DI ESSERE NELLA MENTE DI UN UMANO!

Forse prima ne dubitavi?

Passò molto tempo, in realtà, prima che arrivasse nel punto in cui era caduta la bacchetta. Laeral la strinse in mano, cautamente; le tremavano le dita. Svitò uno dei pomelli delle estremità finché il pezzo d’ottone rotondeggiante non si staccò e dalla bacchetta non uscì un piccola fiala.

Tolse il tappo con i denti e bevve avidamente la pozione fresca e dolce. Una sensazione di sollievo le pervase il corpo. Si sdraiò, con un sospiro di gratitudine, e attese che il liquido guaritore le conferisse nuova energia.

Quando si sentì sufficientemente forte, svitò l’altra estremità della bacchetta e bevve rapidamente una seconda pozione. Non appena ebbe svuotato la fiala, Laeral raddrizzò la gamba rotta con mani ferme e denti serrati. Sentì un dolore bruciante e acuto per un breve istante, poi solo un male sordo.

Con pazienza la maga di Loudwater raccolse di nuovo la bacchetta e la agitò. Questa volta ne uscì una pergamena. «La mia magia più preziosa, davvero», esclamò a voce alta, poi aggiunse con un sussurro feroce: «Blaskyn… idiota!».

Lesse dapprima il rotolo più esterno, esercitando su di sé l’incantesimo guaritore. Quando si fu ripresa completamente, evocò di nuovo una luce per esplorare a fondo la torre e recuperare eventuali magie nascoste. Nemmeno una volta toccò il trono.

Non individuò alcun libro d’incantesimi e sospettò che si trovassero tutti proprio sotto il blocco di pietra. Lo guardò una volta, sembrava fosse là ad attenderla, ammiccante e silenzioso nel suo bagliore, poi scosse la testa. Le sue labbra vennero sfiorate da un flebile sorriso.

Un giorno avrebbe potuto inviare un altro nemico a cercarla, se non avesse provveduto in fretta a distruggerlo. Ma terminare la lunga carriera di Thalon era un’impresa da compiere un altro giorno. Laeral srotolò l’ultimo foglio della pergamena, quello più interno. L’incantesimo di teletrasporto che l’avrebbe riportata a casa. Senza dire addio a Thalon, lesse la scritta e lasciò quel luogo.

HAI INTENZIONE DI MOSTRARMI UN PO’ DI MAGIA, UMANO? HAI INTENZIONE DI CONTINUARE A VIVERE?

[silenzio]

BAH. MOSTRAMI IL RESTO. [grugnito]

In piedi nella stanza degli incantesimi a lei familiare, nuda e sporca, senza più alcun apprendista né molti incantesimi, Laeral di Loudwater sorrise ironicamente.

«E dall’Arte ottieni grande vista, e saggezza al di là di ogni mago», leggeva il verso. Diceva il vero; effettivamente aveva visto molto di ciò che un potere incontrollato e una padronanza fanatica dell’Arte facevano agli arcimaghi.

Laeral sospirò e gettò, incurante, il suo involto (ciò che rimaneva della sua tunica, legata a mo’ di sacco attorno ai rimasugli di magia che aveva recuperato) dall’altra parte della stanza.

In quel momento il suo obiettivo principale si trovava dabbasso, in fondo al giardino: il torrente, in cui si sarebbe potuta togliere di dosso la polvere, lo sporco, i frammenti d’osso, e gli-dei-solo-sapevano-cos’altro le si era appiccicato addosso grazie alla collosa salsa arundoon di Thalon.

Laeral scese le scale fino al pianerottolo dov’erano appesi i suoi abiti. Vi passò accanto, diretta verso un tavolo disordinato, le cui caselle contenevano rotoli impolverati, scritti anni addietro. Ne prese uno che non avrebbe mai pensato di usare e si mise a leggerlo mentre scendeva, lentamente, un’altra rampa di scale fino al giardino.

La pergamena si dissolse fra le sue dita, e le sfere fluttuanti che aveva evocato le fornirono luce sufficiente per vedere mentre si faceva il bagno. Sussurrò la parola che apriva il lucchetto della porta e uscì nella notte con una bottiglia di vino per lavarsi di dosso la salsa oleosa. La strinse a sé e si tuffò di testa nel torrente.

L’indomani avrebbe dovuto trovare un altro apprendista… dov’era, a proposito, quella lista che Orliph degli Arpisti le aveva lasciato! Vi erano scritti una decina di nomi, tra cui qualcuno interessante.

Oh, sì. Schioccò le dita e dal cielo notturno sopra di lei comparve una pergamena, che le si srotolò davanti al naso e si posizionò in modo da cogliere la luce delle sfere che le fluttuavano intorno.

Laeral si strofinò e si stirò nell’acqua fresca, emettendo lievi mormorii di soddisfazione mentre finalmente si liberava della salsa appiccicosa. Gettando indietro i capelli bagnati, diede un’occhiata all’elenco.

Un brivido freddo le percorse lentamente la colonna vertebrale, insinuandosi nel suo corpo come uno degli artigli della torre dell’arcimago. L’elenco conteneva almeno venti nomi, ne era certa. Ma in quel momento ve n’era soltanto uno, scritto con sangue scuro e fresco, ancora fluente: «Thalon».

Laeral increspò le labbra. Ne aveva abbastanza, quel trono doveva scomparire al più presto. Domani.

HAH. MI DELUDI ANCORA UNA VOLTA. MI PROMETTI MAGIA, MI AGITI INCANTESIMI DAVANTI AL NASO… E POI, NIENTE AZIONE, NIENTE DI NIENTE.

NE HO ABBASTANZA DEGLI ALTRI. TU HAI INSEGNATO LA MAGIA A TROPPI, E SO CHE MYSTRA HA OSSERVATO IL TUO OPERATO PIÙ DI UNA VOLTA. MOSTRAMI CIÒ CHE HA VISTO…

[immagini che scorrono, poi scintillano e vengono scartate, accantonate nell’impeto di scrutare in profondità…]

* * *

Gli abishai si acquattarono sulle rocce appuntite e taglienti che circondavano la conca, a guardia del vortice magico. Questo non aveva turbinato e sputato a lungo. I vessilli sulle loro lance, che proclamavano quell’avvallamento territorio del Grande Tiamat dalle Molteteste, erano nuovi. Gran parte degli abishai erano rivolti all’esterno, intenti a scrutare le creste fumanti in cerca di guai che sapevano non si sarebbero fatti attendere. Solo alcuni dei redhide più grandi e più anziani erano affacciati all’interno, a osservare il caos vorticante della spirale incantata.

Gli «occhi dell’Inferno», li chiamava qualcuno. Essi erano, in verità, più simili ad artigli che operavano ciecamente, raccogliendo creature, gemme, oggetti magici, acqua o qualsiasi altra cosa il demone ucciso nell’esercizio dell’incantesimo avesse desiderato maggiormente. I vortici magici afferravano cose da mondi lontani e le risputavano all’Inferno. Nutrivano Averno e gli fornivano una fonte costante d’intrattenimento… e di problemi. Magie sconosciute e pericolose erano all’ordine del giorno, e talora comparivano creature che potevano uccidere con la stessa facilità con cui potevano essere uccise…

Quel vortice in particolare aveva, fin dalla sua scoperta, portato di tanto in tanto pecore belanti, dagli occhi terrorizzati, e pesce bagnato e scintillante. Alle pecore veniva spezzato il collo ancor prima che potessero scappare, per quanto i guardiani le lasciassero, talora, correre in giro per divertimento. Ma quello non era un vortice che sputava pietre, ogni sorta di cose vecchie e strane e un sacco di magia che doveva essere tenuta sotto controllo.

Alcuni redhide erano quasi desiderosi di un po’ d’avventura. Persino squartare le pecore nei modi più crudeli perde dopo un po’ il suo fascino.

Non si aspettavano, tuttavia, che il vortice sputasse una cometa di fuoco bianco e blu… e men che meno di vedere, in cima a essa, una femmina umana con occhi simili a due carboni neri e per capelli fiamme argentee.

La Simbul era consapevole che le sue bacchette, due bastoncini di legno, dopo tutto, non sarebbero durate a lungo fra il fumo bruciante e le sfere di fuoco vaganti di Averno. Iniziò ad afferrare e colpire, afferrare e colpire, in una brillante ragnatela magica che lasciava ogni arma sospesa, e capace di seminare morte, dopo che l’aveva abbandonata per impugnarne un’altra. Gli abishai esplosero in mille pezzi prima ancora che i guardiani del vortice si rendessero conto di che cosa questo avesse portato loro. Il loro aggressore era già lontano, e volava basso sul terreno roccioso, tremante, nascosto da una coltre di fumo appositamente evocata. Dietro la donna, brandelli di abishai iniziarono a ricadere sulle rocce, fra i resti in fiamme di qualche vessillo.

El! Amore mio, dove sei?

[risposta senza parole, avvertimento che un demone occupa la sua mente, consapevolezza diabolica che avvampa e si volta a guardare, contatto interrotto]

Da qualche parte in quella direzione! L’azione furtiva non faceva per lei. Persino la Simbul trovava le numerose armate infernali un po’ troppo calde per i suoi gusti. In fondo, lei non era altro che una scintilla scaturita da Mystra, e persino la Signora era stata costretta a ritirarsi. Un attacco rapido e violento era il metodo migliore per la Simbul, quello che più le si addiceva.

Sfere di fuoco guizzarono e formarono archi all’orizzonte, scintille luminose contro un cielo rosso senza stelle. Una creatura simile a un drago svolazzò goffa dietro un picco quando la maga lanciò un’occhiata nella sua direzione.

Il terreno scompariva in un baratro ampio, dalle pareti scoscese. In quella gola alcuni spinagon volavano veloci quanto permettevano loro le ali sbrindellate, cercando si sfuggire a uno stormo di caccia di abishai neri.

Ci fu un serpeggiare di code sinuose, uno sbattere d’ali e un frenetico artigliare. La Simbul passò in mezzo a quel trambusto come una furia, senza rallentare, lasciando dietro di sé i corpi straziati delle creature che si erano trovate sul suo cammino. La serie di demoni bruciacchiati e sfrigolanti fu prontamente dilaniata da altre creature infernali.

Circondata dal puzzo d’aceto dei corpi degli abishai e dal fetore sulfureo del sangue demoniaco, superò rapida una catena di rupi a forma d’artiglio. Demoni enormi stavano appollaiati su un pinnacolo sovrastante quella terra torturata, baatezu alti e terribili con ali da pipistrello arcuate sopra la testa. Si alzarono in volo non appena la videro, ghignando e urlando per l’attesa. Il più possente si levò per sferrare il primo e più appagante attacco.

La Strega-Regina non rallentò nemmeno quando il demone degli abissi le si parò davanti. Le grandi ali oscurarono il cielo, le braccia possenti si allargarono e le zanne scintillarono in una risata compiaciuta. La Simbul scagliò un incantesimo davanti a sé: una brillante esplosione di fulmini che gli sferzò il petto come le code di una frusta e che lo fece grugnire divertito per quella debole magia.

Il demone stava ancora ridendo quando gli artigli della volontà della maga lo squarciarono, gettando la sua mascella in faccia a un cornugon sorpreso e il cranio nelle fauci ringhianti di un altro.

«Mi piacerebbe restare», grugnì la Simbul rivolta al vento mentre proseguiva il viaggio e il sangue caldo del suo nemico la avvolgeva come una nube urticante, «ma al momento sono occupata. Forse un’altra volta, tra non molto».

Alassra instaurò un altro contatto mentale e ad attenderla trovò sia il suo amato sia la furia oscura di un arcidemone. Riuscì, tuttavia, a interromperlo prima che il fulmine mentale di Nergal la raggiungesse. Torcendosi nell’aria, la Simbul si gettò di schiena in una brusca virata che l’avrebbe condotta dove Elminster era tenuto prigioniero.

Se si fosse spostata un po’ più rapidamente fra i fetori fumanti dell’Inferno, forse sarebbe arrivata in tempo…

* * *

NON VA AFFATTO BENE!

Nergal allentò la presa sulla mente di Elminster, lasciando il prigioniero a piagnucolare e a battere le palpebre nel baccano improvviso, tra le esalazioni puzzolenti di Averno. Il mago sollevò il capo per scrutare il cielo rosso sangue.

«Sta arrivando», ringhiò, «e Orochal non è riuscito nemmeno a fermarla. Con che genere di donna te la fai, mago? Una donna capace di annientare un demone degli abissi senza nemmeno rallentare?».

Elminster, diventato ormai più simile a un verme, emise soltanto un gemito gorgogliante. Nergal abbassò lo sguardo e lo fissò per un istante, poi guardò il cielo e un punto scuro che avanzava rapido, sempre più vicino…

Imprecando, il demone sollevò le mani artigliate e le agitò per scagliare una magia tanto forte che lo lasciò tremante, o meglio, lanciò numerosi incantesimi insieme. Ciò gli costò molta energia e una cosa preziosa che conservava da molto tempo, una sfera di cristallo di rocca fuso, contenente una goccia di sangue di un certo demone.

Tuttavia, Nergal sorrise in quell’esplosione di zolfo. La magia portò lui lontano, in un altro angolo di Averno, ed Elminster Aumar in un luogo diverso, in grembo al demone di cui aveva custodito il sangue.

Qualche secondo più tardi la Simbul discese dal cielo come una sfera averniana, sputando fulmini sulle rocce nude prima occupate dal suo nemico.

Queste innescarono un’esplosione che avrebbe dovuto ucciderla, e la scaraventarono di nuovo in cielo.

La maga sorrise truce in mezzo a quella violenza. Alassra sapeva che l’aguzzino di El aveva scagliato il suo amato in una direzione, mentre lui aveva cercato riparo in un’altra. Poco importava. La pelle squamosa di questo o di quell’arcidemone non le interessava. Non era quello il momento per vendicarsi, poiché si trovava in quel luogo solo per riportare a casa il Vecchio Mago.

Questa volta la sua ricerca mentale fu rapida. El era laggiù. Proiettandosi fuori dai detriti, incurante della notevole magia necessaria allo scopo, la Strega-Regina di Aglarond si voltò nell’aria e si precipitò in un’altra direzione.

In tutta Averno i demoni sospesero ciò che stavano facendo e s’affrettarono ad assistere a quel nuovo spettacolo.

* * *

Tasnya s’inarcò sul suo letto di sangue. Era una creatura scura e sinuosa, dai seni irti di spine. Gli abishai che stavano lottando con lei urlarono quando le sue spine lunghe e ricurve li trafissero. Il suono si trasformò in una musica lamentosa, che rese il suo brindisi a base di sangue ancor più piacevole.

«Bene, bene», sibilò Tasnya, «che cos’abbiamo qui?».

La cosa inerte con cui Nergal si era divertito fino a poco prima giunse all’improvviso. Fu solo una distrazione passeggera; il demone la gettò di lato con un incantesimo e la fece sbattere violentemente contro rocce distanti. Nergal, senza dubbio, aveva posto in quella cosa incantesimi spia o magie esplosive.

Pochi istanti più tardi un fulmine di fuoco di un altro mondo, con un’arcimaga furiosa nel mezzo, sfrecciò nel cielo.

Tasnya dei Tormenti si rigirò nel letto. Abishai tremanti e urlanti la coprirono come un mantello grottesco, grondante di sangue. Il demone sollevò una mano indolente per tracciare un incantesimo che chiamava a raccolta tutto il sangue intorno a lei, e scagliò in aria fuoco insanguinato.

Questo si levò in alto per afferrare l’umana che avanzava rapidamente e si strinse in una spirale stritolante.

La Simbul virò una volta per evitarlo, e poi virò ancora.

Tasnya sorrise come un lupo affamato e sferrò un altro incantesimo meticoloso contro l’intrusa.

Ma questo cozzò violentemente contro una magia proveniente dalla direzione opposta. Balenarono alcune saette, e la terra tremò. Lance di fuoco insanguinato volarono in tutte le direzioni, impalando abishai e il giocattolo di Nergal.

Tasnya sollevò un sopracciglio e si sedette con movimento fluido in mezzo al sangue, in attesa della nemica, le spine allungabili simili a lance. Nessun incantesimo poteva penetrare la sua tenda magica. Il fuoco insanguinato avvolse la maga in un cono via via più stretto, che le avrebbe impedito di fuggire. Incantesimo dopo incantesimo, il corpo infernale di Tasnya si sarebbe trovato a contatto con quello più fragile dell’arcimaga umana.

«Petto contro petto, morso a morso, artiglio contro artiglio», mormorò il demone pregustando il divertimento, e la grande magia, che ne sarebbero derivati.

L’aria ruggì quando la Simbul di Aglarond si tuffò in picchiata verso l’arcidemone, che l’attendeva gongolante. Tutti i sortilegi della maga finirono, l’uno dopo l’altro, intrappolati nella magia risvegliata dell’arcidemone. Fiamme di sangue bagnato e scintillante ruggirono attorno alla maga, sollevandosi sino a formare un tunnel, trascinandola verso il basso, giù, giù, verso le spine…

Sussurrando parole frenetiche, la Simbul furiosa fece l’unica cosa che le rimaneva. Incurante delle unghie rotte e delle dita sanguinanti, si slacciò e si strappò l’armatura di dosso, con la massima rapidità possibile. Il metallo si distaccò con un gran clangore e la donna unì magicamente gambiere, corazza e tutto il resto in modo da ottenere uno scudo mutante con cui proteggersi. Un’accozzaglia di pezzi metallici incurvati precipitò verso le spine, luccicante per gli incantesimi che la Simbul stava ancora sibilando, quando avvenne lo scontro.

La maga strillò. Una spina spessa quanto lei trapassò il metallo contorto e le squarciò un fianco. Nuda e inzuppata di sangue Alassra rimbalzò di roccia dura in roccia dura, fin su un masso ancor più duro e ruzzolò con i denti serrati. L’ultimo dei suoi incantesimi fallì e il sangue bruciante scagliato dalla nemica si fece strada sfrigolante fra le pietre che la circondavano.

Dietro di lei, l’arcidemone aveva smesso di gridare. Non rimaneva più nulla di lei, se non alcune fiamme in una pozza di sangue bruciacchiato. La buca annerita e appiccicosa di ossa e di pietra era ancora sottoposta all’attacco dei pezzi di armatura che la Simbul aveva animato, trasformandoli in una schiera di spade che tagliavano, affettavano e trafiggevano. L’acciaio feroce risuonava incessante sulla roccia insensibile.

«Fuggita altrove per poi risorgere, se conosceva una magia tanto potente», mormorò la Simbul, ignorando il dolore delle scottature. Elminster avrebbe avuto, senza dubbio, bisogno degli amuleti che portava al collo e sotto i seni più di quanto necessitasse lei, se…

… se solo l’avesse trovato. Sulle rocce che aveva occupato sino a poco prima non vi era più nulla, se non uno spruzzo di sangue scuro. Alcune larve si affrettarono, avide, a rotolarvisi dentro.

La regina di Aglarond sospirò. «Vedi l’Inferno un pomeriggio e assicurati che molti si ricordino della tua visita.»

Stancamente, i demoni volanti più audaci cominciarono a volteggiare nel cielo distante, da dove potevano osservare il campo di battaglia.

La Simbul mormorò un incantesimo che le avrebbe riportato l’armatura di spade. Forse se la sarebbe messa attorno al corpo, in modo da creare una barriera semovente d’acciaio ostile, e avrebbe continuato a volare, in attesa del suo turno di abbracciare nemici.

Non aveva però alcuna fretta di finire come una pozza di sangue annerito ravvivata da qualche fiamma. Alassra guardò le aspre cime intorno a sé e i demoni dalle ali di pipistrello appollaiati in fila sopra di esse.

«Asmodeus», gridò nell’aria vuota, «forse possiamo trattare. Tu mi dai l’uomo per cui sono venuta, vivo, incontaminato, illeso, e io ucciderò qualsiasi arcidemone vorrai eliminare dalla scena. Siamo d’accordo?».

Il suono che si propagò fra le rocce sotto i suoi piedi nudi e sanguinanti sembrò uno sbuffo possente e divertito. Quando raggiunse i picchi circostanti, centinaia di demoni si levarono contemporaneamente in volo, spaventati, sbattendo le ali in modo frenetico e disperdendosi in tutte le direzioni.

Sola nel paesaggio dell’Inferno, la Simbul radunò la sua magia e i suoi indumenti ancora una volta intorno a sé. «Beh», mormorò con una scrollata di spalle, mentre s’inginocchiava a raccogliere una scheggia contorta d’armatura, «se dovessi cambiare idea…».

* * *

OH! OH! UN’AMANTE TOSTA, PICCOLO VERME. TI DARÒ MOLTO PRESTO A UN ALTRO MIO NON-AMICO, NON APPENA AVRÒ ESAMINATO BENE QUESTI RICORDI INTERESSANTI…

[urla]

HAH! ORA NON TI DIVERTI PIÙ A PROVOCARMI, EH? FINALMENTE SONO VICINO A QUALCOSA CHE PREFERIRESTI NON DARMI? CARO, CARO…

[scroscio sonoro di risate diaboliche]

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