2. La calda pietà di un demone

Nulla è più importante del dolore: esso brucia e corrode la vita, attirando su di sé ogni attenzione, gettando persino gli arcimaghi nella disperazione più nera.

Quel particolare arcimago non era consapevole che della sua sofferenza. Elminster si rendeva conto che stava barcollando e cercava vanamente di stringere forte la spalla ferita e bruciante, mentre i tentacoli lo schiaffeggiavano e lo spintonavano indolenti. A poco a poco si accorse di un’altra cosa. Le rocce tormentate di Averno si ergevano tutt’intorno, protese come dita nere di cadaveri verso il cielo rosso sangue. Qualcuno nelle vicinanze stava gridando… un urlo primitivo, rauco, infinito, una sirena d’agonia fra le risa concitate di Nergal.

Rocce affilate lacerarono i piedi di El. Il mago sentì appena quel dolore, dilaniato com’era da una sofferenza ben più profonda, che lo lasciò debole e nauseato. Poi, a poco a poco, divenne consapevole di un terzo fatto: le grida strazianti provenivano da lui stesso.

«La sanità mentale», commentò noncurante l’arcidemone, «dura più a lungo quand’è permessa qualche forma di vocalizzazione. Talora viene sopravvalutata in molti schiavi di minor valore, ma a me serve che tu la mantenga un po’ più a lungo. Perciò canta». I tentacoli s’agitarono e s’insinuarono, indagatori, sotto la pelle umana…

El s’irrigidì, tentando in un certo qual modo di gridare più forte, mentre artigli di dolore gli trafiggevano il corpo. Il suo urlo si spense però quando iniziò a soffocare nel sangue che fuoriusciva dal suo stomaco lacerato.

«Nemmeno un coltello lanciato in segno di sfida?» lo schernì Nergal. «Neanche un piccolo incantesimo per farmi ruttare? Dov’è finita la tua potente magia!»

Elminster cadde in ginocchio, ma scoprì che i tentacoli che gli avvolgevano le gambe lo trattenevano in posizione semi-eretta, il corpo scomposto, massacrato, sollevato a mezz’aria, sopra le rocce. I tentacoli strinsero nuovamente e il braccio restante del mago si spezzò in tre punti.

Ossa seghettate spuntarono dalla carne, mentre il braccio gli veniva torto selvaggiamente… ossa che si pararono davanti agli occhi vitrei del Vecchio Mago come coltelli gocciolanti di sangue, mentre il demone si divertiva ad agitarlo di qua e di là.

«Nemmeno un incantesimo piccolo piccolo? Nessuna magia dagli anelli per contrastarmi?» La beffa del demone fu accompagnata da un’altra fitta di dolore nauseante, mentre gli anelli dell’unica mano che rimaneva ad El venivano strappati via… insieme alle dita che li portavano. «Mi deludi, grande mago. Mi aspettavo di più. Molto di più.»

Elminster iniziò a vomitare e non vide il tentacolo che gli fracassò il naso, trasformandolo in una massa di brandelli sanguinanti, o quello che gli si avvinghiò al torace, squarciandogli la pelle come una lama di rasoio. Le ventose si attaccarono ad alcuni strumenti magici ammiccanti, che Mystra aveva lasciato nella sua carne numerosi secoli addietro. Questi emisero un bagliore accecante e fecero sibilare il demone di dolore e di paura prima che i tentacoli li afferrassero e li gettassero lontano.

Un’esplosione scosse le rocce sotto i piedi di El, poi un’altra ancora. Nergal scoppiò in una risata quasi di sollievo.

«Gingilli sotto la pelle… perbacco, eri proprio uno schiavo di valore. Dovrei essere lusingato d’intrattenere una persona tanto importante. Anche se è vecchia, debole e indifesa, e non merita quasi la fatica di darle tormento. Tremante come un lemure… e altrettanto divertente.»

I tentacoli scossero il mago, e gli occhi rossi del demone avvamparono. «Guardami, umano… e bada!» righiò Nergal. «Io sono la tua rovina, e anche peggio. Tu sarai l’artiglio che squarcerà Faerûn, una volta che ti avrò preparato a dovere. Ma prima ci sono altre cosucce da fare. Ti strapperò tutto tranne una ciocca di quella barba, perché mi rimanga qualcosa con cui trascinarti, e per privarti di ciò che ti rende uomo…»

El gridò più forte, impotente.

«Io sono Nergal, vecchio idiota, e legittimo Principe dell’Inferno. Perciò presta attenzione alle mie parole. Pochi dei miei visitatori sanno apprezzare un discorso solenne, perciò ora ascolterai ogni mia sillaba. I miei incantesimi ti manterranno cosciente, per quanto forte sia il dolore che ti assale… mi sono stancato dei tuoi lamenti più in fretta di quanto pensassi. Perciò resterai in silenzio.»

Elminster si ritrovò d’improvviso senza voce, nonostante la sua gola mormorasse ancora e il suo corpo tremasse nello sforzo straziante di sputare il sangue.

Nergal gli sorrise allegramente. «Così va meglio», mormorò l’arcidemone, come se si stesse rivolgendo al figlio prediletto. La creatura si drizzò, i tentacoli sopra la testa a mo’ di coda di pavone, e parlò col fare di un re, che declama fieramente dal trono:

«Scacciato ed esiliato quaggiù, sono purtuttavia il più potente, supero anche Tiamat dalle Molte Fauci, che chiama Averno la sua dimora. Troppo fiero e troppo abile per servire il Serpente Regnante, ma troppo potente da essere eliminato. Dispater non è più grande di me, e nemmeno Baalzebul, perciò io sono una creatura utile. Un giorno Asmodeus potrebbe aver bisogno di me».

I tentacoli sollevarono carezzevoli la preda dilaniata. La pelle del mago si staccò a brandelli mentre Nergal avvicinava a sé ciò che rimaneva di lui, in modo da poterlo guardare negli occhi da vicino.

«E quel giorno», aggiunse il demone reietto con tono faceto ma più pacato, «sarà un grande piacere sfidare il signore di Nessus nella sua ora del bisogno. Sfidarlo con potere sufficiente a distruggere il suo trono, e a portare guerra all’Inferno passando sopra le sue ossa stridenti. E tu, piccolo umano strisciante, mi aiuterai a impadronirmi di alcune armi di cui necessito».

I tentacoli strinsero ed El sputò involontariamente un po’ di sangue.

«Io… ugh! Uh! Aagh!» fu tutto ciò che riuscì a sussurrare, nel tentativo di respirare attraverso il sangue che lo soffocava. Poi il momento a lui concesso per borbottare terminò, e nella sua gola s’insinuò un gelo silenzioso.

«Sono lieto che tu abbia assentito con tanto entusiasmo», mormorò Nergal. «Ascolta e impara, mio piccolo strumento. Io sono solo uno di coloro che, grandi e miserabili, attendono nascosti fra le ombre di Averno il giorno che, sappiamo, arriverà. Gli arcidemoni possono essere uccisi, ma non è facile annientarci per sempre. Il signore di Nessus deve bruciare un po’ del suo potere per riuscire nell’intento. L’ha fatto, sì, ma solo come castigo per l’azione più letale che potesse essere perpetrata contro di lui: un arcidemone che giace con un arcidemone al fine di generare un figlio all’insaputa di Asmodeus, e portare all’Inferno una creatura che il Signore di Laggiù non conosce.»

Con violenza i tentacoli scagliarono Elminster contro uno spuntone di roccia che, affilata e dura, s’insinuò nella sua carne morbida. Fissando il cielo insanguinato, El s’inarcò e si contorse in silenziosa agonia. Un tentacolo gli sollevò premuroso la testa, in modo che potesse vedere il suo corpo e scorgere il pinnacolo di roccia emergente dall’ammasso lucente dei suoi organi. Il mago lo fissò, troppo tormentato dal dolore per aggrapparsi allo sbiadito ricordo del volto di Mystra.

Nergal si protese sopra il prigioniero e, quasi allegramente, come stesse narrando una favola a un bimbo che si rifiuta di dormire, spiegò: «Lucifer non era che un esserino piagnucoloso quando Asmodeus lo divorò… nel vero senso della parola, dopo aver trasformato i suoi denti in zanne allo scopo. Io vidi tutto».

Alcuni tentacoli striscianti sollevarono il Vecchio Mago dalla roccia - dei, che dolore lancinante! - e lo tennero ancora una volta sospeso di fronte al volto di Nergal. Gli occhi dell’arcidemone erano diventati di colore rosso brillante.

«Egli punì Lucifer e Batna con il castigo estremo per aver generato quel bambino», aggiunse eccitata la creatura diabolica, «giustiziandoli mentre Baalzebul, il più acerrimo fra i nemici di Lucifer, stava a guardare. Strappò Baalzebul dal luogo in cui si trovava e lo trascinò attraverso gli Inferi, in suo potere, solo per mostrarci che era in grado di ridurre in polvere un principe e una principessa infernali mentre torturava un altro principe, nonostante la resistenza di tutti e tre. Consegnò Malbolge a Baalzebul solamente per tormentare Lucifer nei suoi ultimi istanti di vita e glielo sottrasse poco dopo, per elevare un altro alla grandezza che sarebbe dovuta essere mia

La voce di Nergal si tramutò in un ruggito, e i suoi tentacoli brutali scossero Elminster come un fantoccio. «Tutto ciò sarà mio, ma sarà solo una piccola parte di quello che avrò nel tempo a venire.» La voce dell’arcidemone si placò e aggiunse: «Molto prima di quanto m’aspettassi, ora che sei caduto nelle mie mani».

Dopodiché sfoderò un ampio sorriso e gli mostrò i numerosi denti. «Dovrei ringraziare Mystra. Per tutti gli anni in cui ha ficcato il naso nella tua vita, rendendoti a tua volta un ficcanaso, solo perché alla fine mi fossi utile. Vedi, vecchio Elminster, dopo tutto, sarai un uomo importante. Che ne dici?»

Con la voce impastata per il sangue, El riuscì a pronunciare poche tremanti parole: «La mia utilità diminuisce… quanto più… massacri il mio corpo».

Nergal gettò la testa all’indietro e scoppiò in una risata sguaiata, mentre alcuni tentacoli si trasformavano in agili dardi di carne viscida e avanzavano lentamente.

El strinse i denti e scosse il capo, nel vano tentativo di tenerli a bada. L’arcidemone li infilò senza sforzo nelle narici del mago e scese in profondità. Si udì uno strappo orribile e sordo, poi sgorgò altro sangue. La creatura infernale gettò via una massa sanguinolenta che era stata la lingua di Elminster, e con uno schiaffo gli fece girare la testa e, nel contempo, sputare il sangue che, soffocante, gli si stava raccogliendo in bocca.

«Massacrarlo? Perché, che bisogno hai della lingua se puoi conversare con la mente? Posso cavarti gli occhi e strapparti tutti gli organi… persino cenare col tuo fegato, diciamo, condito con sale e aceto… e poi ripristinarti con la mia magia. Pensi in modo limitato, uomo! Questo è l’Inferno, e qui gli arcidemoni possono fare qualsiasi cosa!»

El si sforzò, con successo, di sollevare incredulo un sopracciglio.

Gli occhi che lo stavano fissando avvamparono di rabbia e i tentacoli si sollevarono minacciosi. S’alzarono, si protesero e si riabbassarono.

Nergal annuì mesto e rivolse al prigioniero un sorriso gelido. «Beh, allora, diciamo “qualsiasi cosa che un altro arcidemone non riesce a impedire”, hmm?» I tentacoli deposero El contro una roccia affilata come il vetro. Il Vecchio Mago scivolò un po’, sussultando per altre fitte lancinanti, e s’arrestò in posizione seduta.

Il demone iniziò a camminare avanti e indietro, con passo felino e, nel contempo, serpentino. «I reietti sono dodici, di cui otto con sufficiente potere da sfidare, diciamo, Mammon, se la battaglia fosse a due, senza eserciti su cui fare affidamento. Non siamo amici, e Asmodeus sa che il rispetto che nutriamo gli uni per gli altri cela una grande crudeltà. Da rivali, rimaniamo in agguato nelle caverne e nelle gole montane di Averno, tramando ognuno complotti contro i demoni regnanti… ed evitando le pattuglie, poiché anche gli insetti pungenti hanno il potere d’indebolire e di dare fastidio.»

L’arcidemone si arrestò accanto al prigioniero accasciato e lo sovrastò con la sua mole imponente e scura. Punte ricurve e artigli gli spuntarono dalla carne come pinne di pescecani in perlustrazione e discesero fameliche lungo i tentacoli. I denti, ora sufficientemente lunghi da poter essere chiamati zanne, scintillarono in un sorriso tutt’altro che rassicurante.

«Uomini e demoni non sono poi tanto differenti perché tu non possa sapere a che cosa miriamo noi reietti: al potere. Lo cerchiamo continuamente, armati della nostra magia. I demoni dotati di mente propria possono comprendere ed elaborare incantesimi con la stessa facilità con cui gli uomini respirano. Noi abbiamo un’altra arma che i Signori dei Nove non possederanno mai: una quantità infinita di tempo a disposizione. Col mio tempo e la mia magia io osservo la tua Toril ricca di potere magico.»

Nergal incrociò le braccia brulicanti di piccoli occhi scintillanti, dall’aspetto umano, e inclinò i molteplici sguardi su Elminster.

«Gli individui di potere m’interessano, dai deboli maestri delle vostre cospirazioni di ladri ai draghi e ai signori spettri di Faerûn, che esercitano quasi un decimo della potenza magica che pensano di controllare.» Con un ghigno che sarebbe stato troppo ampio per una mascella umana, l’arcidemone ricominciò a misurare il terreno. «Perciò uso i miei incantesimi per spiare i faerûniani di potere che potrebbero rivelarsi utili. Ti sto osservando da molto tempo, Elminster Aumar. Tu sei la chiave, ci ho riflettuto a lungo. Non perché sei potente la metà di quello che credi di essere, né un avversario di rispetto per uno spinagon in una battaglia leale, ma perché rappresenti la mia via per ottenere il potere di Mystra sulla magia. Ha lavorato molto attraverso di te, e quello che possiede, se modificato a dovere, potrebbe riecheggiare altrettanto forte all’Inferno… dandomi controllo su tutta la magia, e in certo qual modo su quelli che la operano!»

Nergal scoppiò a ridere. «Quel tumulto sopra Shade ha catturato la mia attenzione, proprio al momento giusto, e ti ha condotto a me. Ora, tutto ciò che devo fare, per ottenere i poteri della signora che servi, o perlomeno per evocarli e controllarli, è possedere la tua mente.»

Alcuni tentacoli sollevarono Elminster dalle rocce e lo sostennero quasi con tenerezza. Un altro lo colpì con forza, facendo esplodere l’occhio sinistro del Vecchio Mago come un uovo crudo. Dopo un momento di confusione e di bagliore accecante, Elminster poté vedere nuovamente, seppure in maniera offuscata, attraverso un velo rosso sangue.

«Visto? Non puoi nemmeno morire», sussurrò Nergal all’orecchio di Elminster, dolce come un amante. «Comprendere le tue facoltà mentali mi consentirà di controllare il fuoco argenteo, tutti i tuoi piccoli poteri e i tuoi incantesimi preferiti, nonché il tuo bagaglio di ricordi. Quest’ultimo è la chiave per governare Toril con la magia e farne un regno tutto mio. Un Inferno lontano dall’Inferno, per così dire.»

Dita bollenti come ferri infuocati afferrarono le guance di El. La lingua biforcuta dell’arcidemone sibilò avidamente mentre egli chinava la testa per baciare il mago impotente e, d’un tratto, i suoi tentacoli si trasformavano in catene che lo immobilizzarono.

Le labbra di Nergal erano come di ghiaccio, d’un freddo tagliente che infierì nella bocca e nel naso devastati di Elminster. Questi tentò di mormorare, cercò di divincolarsi, ma non riuscì a far nulla finché l’arcidemone non lo lasciò con un sorriso soddisfatto.

«Assaggia la mia magia del verme mentale. Un incantesimo di mia invenzione, ideato per sottrarti i ricordi, per imparare il modo in cui evochi e controlli il potere di Mystra e tutto ciò che sai sulle cose e sugli esseri di potere di Faerûn e che posso carpirti e usare ai miei fini. Naturalmente, ogni ricordo che otterrò sarà cancellato dalla mente del saggio Elminster. Alla fine non rimarrà nulla di te, se non un vecchio scemo, bavoso e barcollante, che ricorda solo di essere stato potente un tempo, prima di incontrare Nergal.»

L’arcidemone scoppiò in una risata fragorosa e i suoi tentacoli saettanti toccarono Elminster qua e là, scagliando incantesimi più piccoli sul suo corpo, finché l’uomo nudo ed esausto non riuscì nuovamente a reggersi in piedi. Con andatura strascicata e traballante, che lo faceva ansimare di dolore, El cercò d’allontanarsi. I tentacoli gli sferzarono la carne viva, incitandolo a muoversi.

Lasciando dietro di sé una traccia di sangue, Elminster si affrettò oltre la portata di quelle crudeli appendici.

VAI, esclamò la voce beffarda di Nergal nelle profondità della sua mente. LE GLORIE DI AVERNO TI ATTENDONO. IO VIAGGERÒ CON TE PER VEDERE CHE COSA FUGGE O SI NASCONDE DA ME… E SARÒ SEMPRE CON TE, UNA SORPRESA PER QUANTI TI VORRANNO FAR DEL MALE. PERCIÒ VA’ DOVE VUOI, POTENTE MAGO.

Elminster rabbrividì. Forse non aveva più il corpo a pezzi, ma il dolore di centinaia di ferite minori lo attanagliava ancora. Non poteva più usare la magia, né contattare Mystra o qualcun altro. Qualsiasi cosa avesse fatto sarebbe stata svelata al demone che leggeva la sua mente. Per lui sarebbe stata la fine non appena Nergal avesse terminato di spremere la sua memoria, e Toril sarebbe andata distrutta con lui. Era libero di trascinarsi per Averno in quel corpo senza valore, se quella poteva essere considerata una libertà. Aveva percepito i pensieri indagatori di Nergal abbastanza da capire che il demone che lo aveva violato si dilettava a rovinare le menti.

Incurante, s’allontanò incespicando su per una cresta di roccia nuda. Mentre avanzava il terreno sotto di lui si mise a tremare; una rapida fiammata si levò nel cielo, causando le urla di un abishai che sbatté freneticamente le ali e si alzò in volo.

Con i piedi doloranti per le pietre affilate, El raggiunse la cima della cresta e osservò il paesaggio roccioso e desolato. Laggiù, spinangon e abishai s’aggiravano di soppiatto e si ringhiavano a vicenda; più lontano s’ergeva una rupe alta, dove si riunivano i demoni.

UNA PATTUGLIA, ABBASSATI.

Elminster rimase immobile, sbirciando a destra e a sinistra. Era il momento giusto per valutare il controllo che Nergal esercitava su di lui.

Senza alcun preavviso il suo corpo ondeggiò in maniera nauseante, come se un’anguilla o un serpente si muovesse in lui, ed El s’accasciò con violenza sulla pietra dura, rimbalzando una volta per la forza dell’impatto.

OBBEDISCI, GRANDE MAGO. SAPPI CHE ESISTONO MODI PIÙ DOLOROSI PER DOMARTI.

Elminster rabbrividì. Nella caduta aveva cacciato la mano in un groviglio di spine; mentre lottava per estrarla, piangendo dal dolore, si domandò come in quel tetro regno di roccia potesse esserci vita. Che cosa mangiavano i demoni? Altri demoni, per esempio, ma come facevano a moltiplicarsi tanto in fretta da nutrire quelle schiere di…

I VORTICI MAGICI CI SOSTENGONO.

I che?

I PICCOLI SEGRETI DELL’INFERNO. SONO ERRANTI, NESSUNO LI CREA. CI SONO DA SEMPRE… PICCOLI GORGHI DI MAGIA, CHE RUBANO ACQUA, CREATURE E OGGETTI DA ALTRI PIANI, E LI INCANALANO NELLE SPACCATURE DELLA ROCCIA. IL CIBO, NONCHÉ I TESORI, CI ARRIVA SOTTO FORMA DI VORTICI MAGICI.

Elminster sospirò, scosse il capo e cercò di alzarsi in piedi. Riuscì a sollevarsi sulle mani e sulle ginocchia ma sentì nuovamente quella sensazione strisciante dentro di sé. Picchiò la faccia per terra, e raspò la roccia con dita sanguinanti.

STAI GIÙ E VAI DA QUESTA PARTE.

Alla faccia della libertà di movimento. El sospirò, ma gli uscì solo un gorgoglio rauco, poi iniziò a gattonare. Una sfera di fuoco attraversò rombando il cielo, e il terreno tremò ancora.

Era in piedi sulle merlature battute dal vento di un castello che non esisteva più, a osservare qualcosa nel giardino sottostante, ricoperto di neve, agitarsi e sollevarsi improvvisamente, liberandosi da uno spesso manto di ghiaccio, e protendere un artiglio squamoso…

In una sala scura e buia dove scheletri sedevano accasciati su sedie alte, dallo schienale arcuato, pallidi bagliori tremolavano intorno alle loro dita ossute mentre gli incantesimi contenuti negli anelli che portavano s’apprestavano a morire, rilasciando magie che elaborate prima della nascita di Alaundo…

La forza che sondava la mente di Elminster vacillò, ed egli si ritrovò nuovamente in Averno. Un ruggito rabbioso gli rimbombò nella mente: PER TUTTI I FUOCHI BRUCIANTI! LA TUA MENTE È… UN DISASTRO!

El accennò un ghigno crudele e cercò di inviare un pensiero chiaro e risoluto all’entità che aleggiava nella sua mente.

Naturalmente. Sono un mago.

Uno schiaffo silenzioso lo colpì dall’oscurità della sua mente ed Elminster ruzzolò in un ruscello di quelle che parevano lacrime, o sangue. Si ritrovò a gridare, o perlomeno a tentare di farlo, e a scuotere una testa che non aveva…

Disperatamente, al di sotto dell’intimo manto di conforto in cui si era rifugiato, El rovesciò una pietra vicina al suo cuore e riscaldò la mano, solo per un istante, sul fuoco argenteo celato sotto di essa.

Poi, di nuovo calmo, si alzò nell’oscurità vellutata della sua mente e proseguì, scostando velo dopo velo, finché non vide ancora una volta il cielo rosso sangue di Averno. All’orizzonte, in lontananza, sfrecciò un’altra sfera infuocata.

COS’HAI FATTO…? IL FUOCO… HAI USATO IL FUOCO DI MYSTRA! DAMMELO!

El continuò a strisciare e rimase in silenzio, cercando di raggiungere e superare la cima del pendio prima d’essere costretto a voltarsi e a guardare il volto infuriato di Nergal.

Il demone reietto era in piedi, le braccia conserte e gli occhi fiammeggianti. I tentacoli si levarono al sopra della sua testa, bramosi di colpire. CONSEGNAMELO, UOMO! Tuonò la voce nella sua mente. MOSTRAMI COME EVOCHI IL FUOCO ARGENTEO!

El non smise di strisciare, incapace di vedere il paesaggio di Averno, mentre tentava di pensare all’oscurità assoluta, alle notti trascorse a brancolare lungo i sentieri di foreste buie, ai momenti persi a vagare in tombe umide e gocciolanti…

Alle sue spalle intravedeva un bagliore, e udiva una cacofonia di suoni striduli. Nergal stava avanzando: si aggrappava ai ricordi di El e li dilaniava, l’uno dopo l’altro, fino a disseppellire ciò che cercava nell’oscuro labirinto mentale di un mago condannato a dimenticare sin troppo poco.

Stendardi in fiamme, una battaglia sotto un sole luminoso molto tempo fa…

Elminster spostava i sassi, li rivoltava per rivelare il fuoco sottostante… un fuoco di sangue di drago fumante, versato istanti prima in un duello che…

NO! NON QUEL RICORDO! IL FUOCO ARGENTEO, PIAGNUCOLOSO D’UN VERME!

Fuoco argenteo… che si riversava tra le sue dita, fra le lacrime, su un altro campo di battaglia, una donna elfo morente fra le sue braccia, il capo reclinato all’indietro e la sua magnifica gola tremolante mentre il fuoco le fuoriusciva dal corpo come fumo luminoso, per poi scendere verso il basso, lungo le dita, fiammeggiante, e languire nell’erba circostante…

SÌ! ANCORA! MOSTRAMI COME SI USA IL FUOCO ARGENTEO!

Fuoco argenteo che s’innalzava impetuoso, ruggente, famelico…

SÌ! FAMMI VEDERE DI PIÙ! MOSTRAMI!

Fiamme argentee turbinanti al di là di un centinaio di facce incredule, teschi urlanti, occhi sciolti e sfrigolanti, lingue di fuoco che consumavano tutto… mani sollevate in una vana ricerca d’aiuto in mezzo al fuoco impetuoso… dita sottili e aggraziate, dalle lunghe unghie, si chiusero sul nulla…

UN ASSASSINIO? CON IL FUOCO DI MYSTRA? FAMMI VEDERE!

Per quanto odi perdere qualcosa della mia amata, posso vivere senza il suo ricordo di Orlugrym, sì…

MOSTRAMELO, MAGO! FAMMI VEDERE!

Spirali vorticanti e rabbiose di fiamme argentee intorno a un migliaio di torrette e di draghi ruzzolanti, e un volto femminile severo e regale…

[riordino di pensieri confusi]

La ragazza passò in un turbinare di gonne.

Il Mago Rosso sorrise. E come un’ombra avida, uscì da dietro la colonna. La Simbul poteva essere a mezzo mondo di distanza, ma quella sua apprendista faceva al caso suo. Oh, sì…

Di nuovo sentì quel sospiro delicato nella sua mente. Un frullo, quasi una carezza… non come altre sonde o incantesimi mentali che aveva già sperimentato. No, si trattava di una cosa completamente diversa. Di qualcosa che sembrava… appagato. Ora si stava ritirando, stava svanendo.

Un incantesimo indagatore inviato da quella ragazza solitaria che andava di fretta, avvolta da una tunica nera? Sicuramente no.

Non si era fermata né aveva mostrato segni di circospezione… o alcuna consapevolezza di ciò che la circondava. La giovane si allontanò da lui lungo lo stretto passaggio, meditabonda, le sopracciglia corrugate, le braccia cinte intorno al corpo. Senza dubbio si apprestava a compiere una missione ai suoi occhi molto importante.

Ma che non era niente a confronto della sua. Rubare qualcosa dalle stanze private della Strega-Regina di Aglarond. Beh, perché non la tunica dal corpo di un’apprendista!

Orlugrym accennò un sorriso vellutato. Quella era piuttosto carina. Prima si sarebbe divertito.

Sollevò una mano e mormorò un incantesimo diverso da quello che aveva programmato di usare. Davanti a lui l’apprendista s’arrestò, immobilizzata, e le falde della tunica emisero un ultimo fruscio.

«Voltati», le ordinò pacatamente mentre avanzava verso di lei, «e offriti a me».

Due occhi verde smeraldo lo guardarono con un misto di stupore e di paura. Lui s’irrigidì in attesa di un urlo o di un rapido incantesimo, ma la ragazza lo scrutò in silenzio per un istante, gli occhi spalancati, poi deglutì visibilmente e gli si avvicinò. Sollevò il viso verso di lui e si portò le dita tremanti ai lacci del corpetto.

«S-sì», mormorò, quando si abbracciarono. «Sììììì.»

Il sorriso di Orlugrym si tese quando la ragazza si tolse il vestito scuro con un movimento del busto, porgendogli i seni nudi. Lo sguardo del mago si posò sulla sua pelle morbida… solo per scoprire che riluceva d’argento. Un argento che divenne improvvisamente accecante.

Orlugrym barcollò all’indietro e si ritrovò a guardare in un volto che si scioglieva e fluiva… una chioma di capelli che s’agitava come un cesto di serpenti… due occhi fiammeggianti a lui noti… familiari a tutti i Maghi Rossi.

«Perché, Orlugrym, sei tanto incostante?» gli chiese gentilmente la Simbul, senza scherno nella sua voce. «Eri tanto sicuro del tuo intento un attimo fa, la mente priva di ogni programma al di là di quest’assalto audace. Abbi coraggio, dunque: abbracciami. Una cosa che pochi della tua razza possono vantarsi di aver fatto. Vieni.»

Orlugrym tremò mentre fissava incredulo in volto la sua condanna. Due braccia sottili si allargarono e lo circondarono, e due labbra micidiali si socchiusero e si avvicinarono alle sue, mormorando: «Tutto ciò che devi fare nella vita, Orlugrym, se ci tieni, è contare su te stesso… se, naturalmente, sai chi sei».

I loro corpi si unirono… e il mondo del mago divenne un rogo di fiamme ruggenti d’argento bruciante, che s’innalzava e divorava ogni cosa. L’ultimo ricordo di Orlugrym furono le labbra di lei, fluttuanti e disincarnate, nel mezzo del fuoco argenteo, che s’avvicinavano alle sue, socchiuse e avide…

El sospirò. Era un ricordo che Alassra aveva condiviso con lui, perciò non gli apparteneva del tutto… ma perderlo ed esserne consapevole lo addolorava ugualmente. L’immagine abbandonò la sua mente, lasciandolo assolutamente ignaro di ciò che era stato. Aveva già sperimentato un simile vuoto assordante, tempo addietro, e dov’era quel ricordo?

Ah, eccolo. Demone, goditi lo spettacolo.

Fiamme argentee e oscurità che avanzano, come manti gettati da onde pigre dalle quali il sole è fuggito…

CHE COSA?

Elminster percepì lo stupore nella mente di Nergal… no, confusione.

Confusione. Già, confondilo sulle questioni di magia, di fuoco argenteo e della stessa Mystra… Mystra, ecco: tre brandelli di memoria divina penetrati nella sua testa in un momento di passione condivisa. Ricordi di Khelben e di fiamme argentee.

Argento ruggente e vorace…

SÌ. FUOCO ARGENTEO! I MISTERI DEL FUOCO ARGENTEO! RIVELAMELI, ELMINSTER AUMAR! SVELAMI TUTTO!

L’oscurità si sollevò come le grandi vesti nere e fluttuanti del Signore Mago di Waterdeep, agitate dal vento nella sua scia. Egli si levò come una cornacchia goffa sopra le guglie, le torrette e i tetti delle case di quella fiera città, la barba brizzolata increspata dal vento. Gli occhi scuri erano duri come punte di pugnale mentre perlustravano il mondo sottostante alla ricerca di un altro bagliore di magia usato impropriamente…

Scrollando le spalle, si precipitò come un dardo vendicativo verso una torretta familiare: la Torre di Blackstaff. Laggiù lo attendeva Laeral, negli occhi una luce che scintillava solo per lui…

Venne un’altra notte, anni più tardi…

Khelben e Laeral giacevano a letto insieme, in quel di Waterdeep, e discutevano pacatamente, abbracciati, delle azioni del giorno e dei piani futuri. Sopra di loro le stelle del cielo d’estate. Il Signore Mago di Waterdeep aveva pochi capricci, ma uno di questi era il soffitto a volta della camera da letto, che scintillava di migliaia di stelle e rispecchiava il firmamento anche quando la nebbia, la neve o le nuvole nascondevano alla vista il cielo vero.

Entrambi erano agitati quella notte, infastiditi da pruriti e formicola in ogni parte del corpo. Khelben aggrottò le sopracciglia dopo un attacco particolarmente violento di prurito. Entrambi sbuffarono, irritati, e si grattarono furiosamente.

«Stasera si muove molto potere», affermò il mago, lo sguardo fisso nell’oscurità. «Il potere di Mystra… o almeno l’Arte che la riguarda. Che cosa ne pensi?»

«Sta accadendo qualcosa alla nostra Signora, ne sono certa», rispose Laeral. «Guardaci.» Gli prese la mano e la strinse fra le sue. Nel buio, entrambe le braccia nude ardevano di un bagliore blu evanescente. Mentre lo osservavano questo sembrò pulsare, aumentare d’intensità, per poi affievolirsi e brillare nuovamente. L’agitazione dentro di loro rispecchiava quei cambiamenti.

«Dovremmo forse provare a parlare con la Signora!»

Khelben si mostrava raramente indeciso, ma in quel momento era perplesso e incerto. La moglie scosse il capo, e i lunghi capelli s’agitarono attorno alle sue spalle, mossi dall’Arte che si stava risvegliando in lei.

«No», rispose, «rischiamo di disturbare la sua volontà in un momento pericoloso. Ci toccherà, se dovesse aver bisogno di noi».

La donna increspò le labbra e volse la testa di lato, rivolgendogli uno sguardo pensieroso. «E se contattassimo le mie sorelle o Elminster!»

Khelben scollò le spalle. «Forse è una buona idea. Senza dubbio sentono ciò che sentiamo noi e sanno qualcosa di più. Ma può essere rischioso se siamo collegati quando la Signora invoca il nostro potere, o se invia il suo dentro di noi. Non so che fare… Mai prima d’ora ho percepito un simile… tumulto dell’Arte.»

«Nemmeno io», convenne Laeral a bassa voce, e lo tirò a sé in un abbraccio stretto. Rimasero in attesa, abbracciati sotto le stelle come due bambini spauriti, rannicchiati per il freddo.

Talora anche gli arcimaghi non possono far altro che attendere.

Fuoco argenteo danzante, in un piccolo cerchio nell’oscurità, sopra uno stagno tranquillo, in un bosco dove nessun uomo ha mai messo piede…

SMETTILA DI PRENDERTI GIOCO DI ME, UMANO! La rabbia nella voce mentale di Nergal era più forte della sua perplessità. COME FAI A MOSTRARMI RICORDI CHE NON POSSONO ESSERE TUOI?

Pensieri diabolici imperversarono, oscuri e furiosi.

COME FAI A SAPERE QUESTE COSE?

La paura risuonò come acciaio freddo dai pensieri convulsi di Nergal. Un attimo dopo l’arcidemone stava scavando nella mente di El come un drago che si avventa sulla preda, incurante del caos che lascia dietro di sé. Passaggi a volta scricchiolarono, e soffitti crollarono…

DIMMI, MAGO! LA TUA LINGUA POTREBBE MENTIRE, PERCIÒ SE N’È ANDATA, MA ORA NON PUOI NASCONDERTI DA ME O INGANNARMI! PERCIÒ RACCONTA!

Quando Nergal sopraggiunse, tutto si colorò di rosso sangue ed esplosero fulmini luminosi. El era vagamente consapevole di vomitare sangue sulle pietre sopra le quali strisciava, nella sua mente l’immagine intermittente del drago all’attacco, offuscata dal dolore.

Il dolore. El vi si tuffò dentro, affondando con sollievo come fosse acqua refrigerante, sempre più in fondo.

Il drago veniva per lui, protendeva gli artigli, teneva le fauci spalancate…

E sprofondò nei suoi ricordi, gridando parole senza senso, come fosse diventato pazzo, proteggendosi con un’armatura fatta delle sue stesse urla…

NON IMPAZZIRE, MAGO! NON OSARE!

Elminster sogghignò fra sé, in mezzo alle sue grida selvagge. Non devo osare, eh? Altrimenti?

Gli venne in mente un confuso bisticcio di parole di un altro mondo, simile a un barlume luccicante. Il Vecchio Mago lo strinse a sé, mentre ruzzolava sempre più in fondo, il drago tuonante alle calcagna.

Solo uno di noi uscirà vivo di qui, e non sarò io!

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