14. Un diavolo d’affare

I tentacoli strinsero… e una testa di demone volò via. Dal collo dello spinagon fuoriuscì un geyser di sangue nero e fumante, mentre il suo corpo si dimenava in preda a spasmi grotteschi. La testa dagli occhi fissi rimbalzò sulle rocce poco distanti.

Disgustato, Nergal si voltò. Anche uccidere altre creature non gli procurava ormai più soddisfazione. Averno era in tumulto, con generali dei demoni degli abissi che cavalcavano draghi qua e là, legioni di cornugon che volavano nella loro scia e osyluth che si appostavano ovunque, a spiare e sbirciare. Tre volte era sfuggito agli attacchi solo grazie a rapido mutamento di forma e a una recita magistrale. Presto o tardi avrebbe finito per impersonare un generale di fronte alle truppe che facevano rapporto a quello vero.

Quasi temibile quanto quella prospettiva era la probabilità d’incontrare una spia del Signore delle Menzogne, un margravio, un arciduca o un semicancelliere, inviato per scoprire la realtà dei fatti in Averno.

Tutto ciò perché un mago mortale vecchio, debole e dalla lingua pronta non aveva ancora ceduto ai suoi tentativi di saccheggio mentale. Un mago che in quel momento stava vagando in Averno e che si sarebbe certamente cacciato nei guai. Trascinandovi anche lui. Finché avesse controllato la sua mente, fra loro sarebbe esistito un legame, rintracciabile persino da un amnizu.

Sarebbe stato meglio raggiungerlo e metterlo in catene, e poi assumere la forma di uno dei demoni degli abissi che lui stesso aveva ucciso, Gorkor, o Jarleil, o Tharthammon. Sì, Tharthammon era perfetto: un gigante lento, silenzioso, dallo sguardo truce. In pochi, anche fra i duchi, osavano fargli domande quando rivolgeva loro occhiate minacciose.

Perciò Nergal disse addio ai suoi tentacoli e diede il benvenuto a due grandi ali arcuate e a una mole quattro volte la sua. Era tempo di richiamare il suo schiavo mentale.

Un bastardo faerûniano dalla mente contorta.

OH, PICCOLO VERME! CHE NE DICI DEL PAESAGGIO DI AVERNO?

[un turbinio argenteo colpevole… il fuoco argenteo? Quello era fuoco argenteo? Ma piano piano…]

Sei ben poco attraente.

AH, ALLORA RIESCI DI NUOVO A VEDERMI?

In questo momento gli occhi non mi sanguinano.

[grugnito] STAI APPROFITTANDO PERICOLOSAMENTE DELLA MIA PAZIENZA, MAGO…

Una erinni è scesa in picchiata e mi ha guarito, leggi il ricordo se non mi credi.

CHE COSA?

[ricerca mentale affannosa, frenesia, immagini che scorrono con un ruggito, osservazione lenta e attenta, poi un’imprecazione amara nella lingua degli Inferi]

ELMINSTER, BADA! SMETTI DI VAGABONDARE. TROVA UNA CAVERNA O UNA FESSURA IN CUI NASCONDERTI, E RIMANI LÀ. STO VENENDO A PRENDERTI.

Non vorrei mai perdermi il piacere di una buona compagnia.

LA TUA LINGUA, MORTALE, SARÀ LA SPADA CHE TI FERIRÀ. LIMITATI A RIMANERE IN UN LUOGO PRECISO FINCHÉ NON TI RAGGIUNGERÒ. MI INFASTIDISCE IL TUO CERCARE DI FARMI PERDER TEMPO. SAI BENE CHE COSA CERCO E INSISTI NEL MOSTRARMI RICORDI DI QUESTA O QUELLA FANCIULLA: LA LUSSURIA È TUTTO CIÒ CHE TI CONSUMA?

No, ma è uno dei miei ricordi preferiti.

[grugnito] QUELLA TUA LINGUA MALEDETTA…

INIZIO A CREDERE DI AVER CERCATO I TUOI RICORDI DEL POTERE NEL MODO SBAGLIATO. GLI UOMINI SEMBRANO TANTO DIRETTI, MA FORSE VOI MAGHI AGITE COME FACCIAMO NOI DELL’INFERNO: V’IMMISCHIATE, AGITE A DISTANZA TRAMITE AGENTI, INCONSAPEVOLI E ALTRIMENTI…

Possiedo una gran collezione di ricordi della mia ingerenza in cose varie… secoli di ricordi, in realtà.

[imprecazione mormorata] NON SONO SORPRESO. ALLORA, INIZIAMO…

[frustata mentale, occhi feroci che si muovono forzatamente in avanti, grida ignorate, immagini che scorrono…]

* * *

La luce di una torcia illuminò una fanghiglia color malva, quando una testa tentacolata si voltò. «Bene, che cos’abbiamo qui?»

«Mhulker», sbottò Baergrim alle sue spalle. «Sei ancora tu, non è vero? Quella… quella cosa non si sta impossessando di te, vero?»

«Il mio ospite ha… necessità», rispose il mago con la testa da mindflayer, offeso. «Avevi particolarmente fretta di scendere quelle scale e di morire giù, nel Sottomonte? O questi dintorni sono abbastanza esclusivi per te?»

«Non ho particolarmente fretta di morire in nessun luogo, grazie», rispose irritato il guerriero. «Volevo solo ricordarti che questa è la tana di Halaster il Matto, e le cose raramente sono ciò che sembrano. Intendo dire, se quella donna è incatenata da tempo, com’è che qualche altro essere non è venuto prima a divorarsela?»

Con respiro affannoso il mago scostò la tenda di perline del corridoio ed entrò in una stanza in cui una donna era incatenata a un piedistallo, le gambe e le braccia divaricate. I suoi grandi occhi erano terrorizzati e imploranti al di sopra del bavaglio di pelle stretta, che le copriva la parte inferiore del volto.

«Il mio ospite vuole solo il suo cervello», sbottò il mago. «Tu puoi avere il resto quando avrò finito.»

Baergrim si arrestò distante dal piedistallo su cui poggiava il busto della donna e scambiò occhiate d’avvertimento con le altre due Spade: Eltragar, un guerriero basso dalla pelle scura e Mheriyam, una donna slanciata in abiti di pelle consunti e rattoppati. Quest’ultima era una ladra e aveva un’indole molto nervosa; in quel momento stringeva un pugnale in entrambe le mani, pallida in volto per la paura.

Insieme, le tre Spade osservarono il mago avvicinarsi al piedistallo; questo era circondato da un cerchio luminoso di polvere verde, sparsa sul pavimento. Rune di un colore simile erano state disegnate sulle braccia della donna.

Il mago lanciò un’occhiata beffarda al cerchio e lo attraversò. Mentre si chinava sulla donna con un sorriso teso sul volto, lei agitò la testa a destra e a sinistra, con movimenti frenetici, con gran sferragliamento di catene. Tuttavia, per quanto s’inarcasse e si contorcesse, non poteva sfuggire ai tentacoli che le si stavano avvicinando…

«Mhulker!» esclamò d’un tratto Baergrim. «Mhulker, allontanati! Quel bavaglio le copre la bocca e il naso! Non può respirare… perciò non può essere umana

Vi fu una confusione improvvisa di tentacoli contorti, di catene agitate e di luci vorticanti intorno al piedistallo, poi il breve ruggito di una fiamma.

Quando il bagliore si affievolì e le Spade riuscirono nuovamente a vedere, si ritrovarono a fissare terrorizzate qualcosa che avanzava traballante in loro direzione. Mheriyam emise un grido.

Le gambe e il bacino di Mhulker stavano indietreggiando, vacillanti, dal piedistallo, ma sopra di esse non era rimasto nulla, se non una piccola nuvola di cenere fluttuante.

Tre spade si sollevarono simultaneamente, ma nessuno mosse un passo verso il piedistallo. Quando i resti del mago s’accasciarono sul pavimento, la nuvola di fumo e di luci ammiccanti sopra il piedistallo si condensò all’improvviso, a formare un uomo.

Un uomo anziano e calvo dai lunghi capelli bianchi e dalle vesti stropicciate, di color marrone, stava in piedi dietro il piedistallo. I suoi occhi feroci non s’addolcirono nemmeno un po’ quando incrociò le braccia sul petto e sfoderò un bramoso sorriso di benvenuto.

«Halaster!» ululò di terrore Mheriyam, voltandosi rapidamente e dandosi alla fuga. «Halaster Blackcloak!»

Baergrim ed Eltragar non ebbero bisogno di udire il suo avvertimento: stavano già correndo all’impazzata, sbattendo contro le pareti di pietra, ansimando e inciampando qua e là. Una risata fredda e crudele li seguì per un lungo tratto lungo il corridoio dal quale stavano fuggendo.

Quando gli echi dello scalpiccio di stivali cessarono, il mago pazzo trasformò di nuovo il suo braccio in un arto femminile slanciato e, con un’occhiata, fece comparire una catena dal nulla per attaccarlo ancora una volta al muro. Stava arrivando qualcuno, e i vecchi stratagemmi erano sempre i migliori.

In pochi istanti la donna giaceva di nuovo stesa e in catene sul piedestallo, gli occhi supplicanti al di sopra del bavaglio che le copriva bocca e naso. Dopo tutto era doveroso dare agli individui più svegli una qualche possibilità di sopravvivere…

La donna voltò la testa e fissò furiosa la figura davanti alla tenda di perline. Era la sua copia esatta, un uomo anziano e calvo con lunghi capelli bianchi, gli occhi selvaggi e la tunica marrone sgualcita… ed era appoggiato contro la parete, le braccia incrociate sul petto, un sorriso sul volto. «Halaster Blackcloak, presumo?»

Halaster non si curò di abbandonare le sue fattezze femminili e sbottò: «Sì, perciò tu chi sei?».

L’incantesimo che scaturì scoppiettante dal suo corpo privò l’intruso del travestimento e lo scagliò in aria nella stanza. Un uomo grasso e poco attraente sbatté con un grugnito contro la parete più distante e scivolò lentamente sul pavimento, il volto teso dal dolore.

Halaster si alzò dal piedistallo, assumendo le sue vere sembianze mentre avanzava per dare all’uomo il colpo di grazia. No, meglio prima sapere come e perché quel pazzo si era trasformato in lui. E poi… ah, sì, e poi…

Saette di luce blu gli stavano già turbinando scoppiettanti attorno alla mano quando il mago si chinò sull’uomo che cercava di rimettersi in piedi. Quel volto…

«Mirt? Mirt di Waterdeep? Per tutti i capricci di Mystra, che cosa ci fai qui?» Halaster tenne le saette dove il vecchio mercante potesse vederle e aggiunse piano: «Ti ho fatto una domanda. Rispondi subito oppure morirai: non me ne starò qui in attesa che tu prepari un attacco».

Il Vecchio Lupo sputò sangue e rispose: «T-ti stavo cercando. Sapevo che ti avrei trovato». Poi i suoi occhi si trasformarono in due fiamme bianche e blu e l’uomo… no, la donna, poiché membra e fianchi formosi stavano iniziando a prender forma da quelli che sembravano essere abiti marrone, sbrindellati… cominciò a sollevarsi dal pavimento e a fluttuare in avanti.

Halaster sollevò la mano avvolta dai fulmini e ringhiò: «Chi… o che cosa… sei?».

«Chiamami Mystra», rispose gentile la visitatrice. L’eco tuonante di quella voce scosse Halaster nelle profondità dell’anima.

Il mago pazzo si ritrovò in ginocchio, tremante, sull’orlo delle lacrime…

La mano che toccò la sua era ferma, solida e liscia. L’ondata di potere che si propagò in lui lo spinse indietro fra le tende scure della sua mente per un po’, e lo lasciò lì, a battere le palpebre, riconoscente e sgomento.

«Non ringraziarmi», affermò la dea della magia rivolta al mago pazzo. «Dobbiamo parlare.»

«Perché?»

«Ho bisogno che venga eseguito un compito, molto rapidamente», rispose Mystra. «Un compito difficile, adatto a un uomo pazzo.»

Halaster increspò le labbra quasi in un sorriso e chiese: «Se sopravvivo, mi concederete la sanità mentale?».

«Se posso.»

«Mi darete magia sufficiente tanto da avere una chance di successo?»

La dea annuì. «Lo farò. Un potere tre volte superiore a quello che hai avuto e usato prima, e altre cose ancora.»

«Proprio il potere mi ha reso pazzo, almeno credo», sussurrò. «Sono pronto.»

Toccò allora a Mystra abbozzare un sorriso. «Non vorresti sapere prima di che cosa si tratta?»

Halaster scosse le spalle. «No, ma ditemelo.»

«Ho bisogno che mi riporti un mago dai Nove Inferni. Vivo e il più possibile intatto. È un vivente e un intruso laggiù, non un abitante degli inferi.»

«Lo farò. Chi è?»

Un volto, un nome e un altro ancora, più segreto, turbinarono nella mente di Halaster; il mago vacillò e si prese la testa fra le mani. «Elminster», esclamò sorpreso. «Lady, non è uno dei vostri?»

Mystra annuì. «Lo è… e lo sarai anche tu.»

«L-lady, io sono stato toccato da Shar», osò mormorare Halaster.

Impaziente, Mystra gettò il capo all’indietro. Piccole stelle ammiccanti si sparpagliarono dalle sue lunghe trecce fluenti e inondarono la stanza. «Lo so. Toccami.»

Halaster Blackcloak deglutì. Si alzò e tese una timida mano verso di lei. Il potere che fluì nel suo corpo lo fece urlare e diventare cieco. Per un attimo gli sembrò che il suo corpo venisse scaraventato contro un muro con forza tale da spaccargli le ossa… Ma subito tutto divenne un fuoco ruggente di color bianco e blu, poi Halaster iniziò a ridere esultante per il potere che scorreva in lui. Lo cavalcò a lungo, attraverso piani e grandi vuoti, oltre esseri confusi, che volevano prenderlo… o forse fu il potere a cavalcare lui.

* * *

BENE, E ORA QUESTO COS’È? MOLTA GENTE, UNA SORTA DI FESTA, INCANTESIMI… SÌ.

Per quanto le campane avessero battuto solo nove rintocchi, la festa era già nel pieno. Risate, pezzi di canzoni stonate, e grida appassionate d’amicizia echeggiavano contro l’alto soffitto causando un baccano assordante. I menestrelli avevano da tempo rinunciato all’attenzione dei presenti e si erano uniti agli invitati attorno ai vassoi delle bevande. Il tintinnio dei calici vuoti che rotolavano sulle piastrelle del pavimento costituiva in quel momento la musica più alta.

Sir Sabarast Windriver osservò alcuni servi portare via una nobildonna completamente ubriaca, stesa su un gigantesco vassoio d’argento, e sorrise. Un giorno, la più giovane Lady Hawklin avrebbe imparato a rigurgitarsi addosso con grazia il vino color rubino, ma non quella sera… nonostante avesse già fatto un po’ di pratica.

Accanto a lui, il suo buon amico Andemel sospirò e mormorò: «Che spreco di buon vino. Potrebbe essere altrettanto bella, anche… in verde».

Sir Sabrast trasalì. «E sprecare tanta menta elfa? A sei leoni la bottiglia, il vino rubino è già un peccato, ma…»

«Ah, ma se fossimo veri nobili», lo interruppe malizioso Mastro Andemel Graeven, «non ci preoccuperemmo di costi e di prezzi».

«Se fossimo veri nobili», replicò l’amico, «verremmo tagliati fuori dagli affari in un mese e dieci giorni, ossia più o meno alla scadenza dei prestiti della Corona. È un peccato, senza dubbio, che i mercanti onesti non possano ottenere vagonate di leoni gratis dalla Corona, per soddisfare i propri capricci!»

Andemel fece strada attraverso le tende nella penombra accogliente della loro alcova preferita. Per tutti gli dei, entrambe le colonne che reggevano il soffitto a volta erano state spostate, e in un angolo vi era un nuovo busto regale di Azoun, in pietra. Non la finivano mai di rivoluzionare le cose in quel palazzo… con il denaro delle tasse di coloro che, a Cormyr, dovevano effettivamente lavorare per vivere! Probabilmente no. Andemel scrollò le spalle e chiese all’amico: «E nel Suzail chi sarebbe oggi un “mercante onesto”?».

«Le mie scuse», rispose Sabrast con un sorriso. «Diciamo, allora, “d’estrazione comune”.»

Andemel annuì. «Così va meglio. Ah, ma perdonerò un sacco di cose a molti nobili altezzosi finché la loro vanità li indurrà a organizzare bagordi come questi. Hai visto quella ragazza con la tunica lucente? Quando quelle fiamme fittizie le si sono spente proprio sul davanti, ho creduto di soffocare! Come fa a tenere incollati quegli smeraldi!» L’uomo scosse la testa in gesto d’ammirazione. «È ancora qui intorno, vero! Forse le chiederò se desidera vedere la nuova arte topiaria a Graeven, che ne dici!»

«Beh, amico», ribatté Sabrast, «tu sarai un vecchio leone… ma lei è una leonessa ancor più vecchia».

«Che cosa! Magia? Sembra avere venti inverni, non un giorno di più!»

«Magia, esattamente. Ti impedisce di vedere la sua barba in maniera molto efficace, non credi!»

«Barba? Sabrast, che cosa stai bevendo?»

«Vinfuoco d’ottima qualità, grazie», rispose Sir Windriver. L’uomo sbucò dalla tenda per procurarsi abilmente un intero vassoio di ostriche al burro e aglio. Il servitore che teneva il piatto sembrò molto sorpreso, ma proseguì rapido e silenzioso. «Andemel, hai già incontrato prima quella ragazza dalla tunica di fiamma e, se ben ricordo, hai continuato a rabbrividire e a imprecare per dieci giorni. Quella fanciulla è il mago Elminster.»

«Che cosa? Sabrast, parli… parli sul serio! Oh, dei!»

«Come pensi che si tenga al corrente di tutti i pettegolezzi di Cormyr? Te lo vedi a trascorrere le sue giornate seduto di fronte a una sfera di cristallo, quando può divertirsi a spiare di persona le nostre menti?»

«Ma…» mormorò un Mastro Andemel Graeven molto scosso, mentre cercava di superare coraggiosamente lo shock, visto quant’era andato vicino a sedurre uno dei maghi più vecchi e temuti di tutta Faerûn. «Ma…»

Un’altra coppia di servitori si fece strada fra gli invitati, ansimando sotto il peso di un nobile grasso e russante. Per lo sforzo, il metallo del vassoio placcato in argento si lamentava ancor più rumorosamente dei due uomini. Il braccio irsuto che penzolava da un’estremità sarebbe potuto essere quello di Lord Blester o di Lord Staglar. Nessun altro a corte era tanto sfacciatamente grasso.

Sir Windriver chiuse con cura le tende dell’alcova. «Glah! La mia brama di vedere altre giovani signore impudenti non è tale da farmi sopportare la vista dell’essere più corpulento di Cormyr che viene portato a letto. Talora mi domando come faccia questo regno a tirare avanti giorno dopo giorno con tipi come Blester a corte. Bah, ora basta coi pettegolezzi. Mi hai portato qui, Andemel, col pretesto di parlarmi di qualcosa che potrebbe interessarmi molto. Confido che fosse qualcosa di più che il mero piacere di vedere Elminster in quella graziosa tunica magica!»

Mastro Graeven prese posto fra i cuscini della poltrona più comoda e incrociò gli stivali dalla punta d’argento su un tavolino di vernice lucente. «Non ricordo di averti trascinato qui con tanta insistenza, Sir Windriver, ma hai ragione, ho qualcosa d’importante da dirti. Qualcosa che ho appena acquistato: è lo “Scudo Antidisapprovazione degli dei”.»

«“Scudo antidisapprovazione”? Spiegati!»

Andemel allungò la mano e afferrò un’ostrica. «Se ti dovessero rubare un carico di valore, carro e tutto il resto, o se il tuo magazzino bruciasse insieme alla merce, gli dei ti guarderebbero con cipiglio, no? Perciò Baerusin si prende cinquanta leoni d’oro e si preoccupa d’intercedere presso gli dei per un mese, dieci giorni, o per qualsiasi periodo venga concordato. Se il carro va perso o l’edificio brucia, lui ti paga numerose migliaia di pezzi d’oro per ricompensarti del danno. Lui è il tuo scudo, il tuo “Scudo Antidisapprovazione degli dei”. Se tutto va bene… e lui dispone di agenti capaci di difendere con molta attenzione il tuo carro o magazzino, affinché la cosa vada per il meglio… si tiene i cinquanta leoni.»

Sir Sabrast si accigliò. «Hmmm, a prima vista pare un furto, ma in fondo non lo è: le guardie sono tutte troppo costose, soprattutto se devi sganciar loro di più di quanto non faccia il tuo rivale, per evitare tradimenti. Gli scudi sono sempre costosi, e se fallisce, questo risulta molto dispendioso per Baerusin.»

Andemel annuì. «Esatto. Perciò ho acquistato uno scudo per il mio negozio che durerà fino a…»

Le tende dell’alcova si aprirono e un volto che ostentava baffi e barba acconciati all’ultima moda con minuscoli anelli d’oro, sbirciò nella stanza. «Ah!» esclamò soddisfatto, un secondo prima che un servo annunciasse inutilmente: «Mastro Raurild Sarpath!».

Raurild si girò e rivolse al servo un gesto inequivocabile di congedo, accompagnato da una mancia di un leone d’oro, poi entrò nell’alcova, chiudendo bruscamente le tende dietro di sé. «Andemel! Sei vivo, per tutti gli dei! Mille grazie a Tymora! Ho appena sentito dell’incendio al tuo negozio ieri sera, e…»

Mastro Andemel Graeven scrutò, nervoso, gli angoli bui della stanza, in cerca di spioncini che [asciassero intravedere pupille scintillanti, ma grazie al cielo non ne trovò. «Shhh!» mormorò con urgenza. «Oghma santissima, per l’esattezza della cronaca: l’incendio non è avvenuto ieri sera, ma questa notte. Circa un’ora fa.»

Sir Sabrast Windriver ruppe il momentaneo silenzio con una risatina e si versò altro vino. Rubino, naturalmente.

«Raurild, non è un po’ tardi per te… o la tua brava mogliettina ti ha concesso il permesso per una volta!»

Mastro Raurild Sarpath fece una smorfia. «Sì, per combinazione. “Forse è una buona occasione per combinare affari, a patto che tu beva poco”, mi ha detto, perciò eccomi qui.»

«Tua moglie decide se puoi o non puoi recarti a una festa!» chiese Andemel con aria incredula.

«Già, proprio così», rispose Raurild. «Nel matrimonio lascio tutte le piccole decisioni a lei… in realtà insiste molto perché sia così. Delle faccende più importanti, me no occupo io.»

Sir Sabrast Windriver inarcò un sopracciglio. «Faccende più importanti? E quali?»

Raurild abbozzò un sorriso. «Non lo so. Siamo sposati solo da sedici estati; non se ne sono ancora presentate.»

Sabrast e Andemel scoppiarono a ridere. Quando si fu ricomposto, il cavaliere versò un altro bicchiere di vino e lo porse a Raurild, proprio nell’istante in cui le tende dell’alcova si spalancavano per la seconda volta, gettandola in un silenzio improvviso. La quiete che precede la tempesta. I quattro Dragoni Purpurei dallo sguardo truce, in armatura completa, avevano forse a che fare con il cambio improvviso d’atmosfera? Due ufficiali sollevarono le mazze luminose, fra loro la figura dai capelli untuosi del più anziano esattore delle tasse del Suzail. Quelle armi di corte potevano paralizzare una persona o deviare eventuali incantesimi, ed erano in dotazione solo ai soldati di grado superiore e più abili del regno. Immult Murauvyn abbozzò un sorriso sottile e malizioso.

«Ah, Sir Sabrast Windriver», esclamò sottovoce Murauvyn, «che piacere vedere finalmente la vostra faccia. Un uomo difficile da trovare nella grande regione del Suzail. Mi avevano avvertito, e avevano ragione. Tuttavia ora ci s’incontra; vi porto l’affettuoso saluto della Corona e la richiesta di consegnarmi i trentaseimila leoni delle tasse non pagate lo scorso anno, che voi, Sir Sabrast, dovete al Tesoro Reale di Cormyr!»

Sentendo su di sé il peso di sguardi interessati - quelli di Andemel e di Rauril soprattutto - Windriver impallidì lievemente. «Temo di non avere con me tanto denaro», osservò tranquillo. «Sono queste nuove tuniche aderenti, lasciano poco spazio per migliaia di monete, capite…»

L’esattore Murauvyn lo interruppe, gelido. «Sir Sabrast Windriver, i miei agenti non vi hanno trovato con denaro sufficiente nella tunica alla vostra villa di Turnhelm Street, alle vostre stalle di Sarangar Lane, alla vostra residenza cittadina di Ambel Row, nei vostri uffici di Waervar Street, nel vostro nascondiglio romantico in Westchapel Way, al cottage che ospita tanto sontuosamente la vostra amante su Brightstar Street…»

«Ahem», si affrettò a commentare Sir Sabrast Windriver.

«… al cottage della vostra seconda amante su Undelmring Street…»

«Ahem, hem, hem», aggiunse Windriver, con più vigore. «Ora, solo un…»

«… alla vostra villa di campagna di Gray Oaks, sul vostro yacht ancorato a Moonever, al casino di caccia di Mouth o Gargoyles… e oh, sì, al cottage della vostra terza amante, a Waymoot. I registri portuali del Suzail riportano sedici partenze di vascelli di vostra proprietà fino a questa stagione, e venti ritorni; almeno due delle navi che hanno scaricato sulle banchine per rimpinguare le vostre casse avevano lo stesso nome e la stessa licenza, ma erano molto diverse per dimensioni ed età. Colleghi agenti della Corona riferiscono che il libro mastro degli approdi nel Marsember, che registra i dati della vostra flotta, è misteriosamente scomparso. Inoltre, non hanno ancora esaminato personalmente le merci scaricate, il che comporterà, naturalmente, nuove tasse oltre a quelle che vi ho menzionato prima, per non parlare delle transazioni personali che potreste aver concluso e che forse meritano il nostro interesse. Parlo solo del valore nominale delle imposte fondiarie annuali sulle proprietà appena elencate, sebbene uno dei miei colleghi riferisca che possedete almeno una quarantina di case in questa città e un centinaio di fattorie in collina. Com’è che, con tanta terra da vendere per soddisfare qualsiasi richiesta di denaro, sembrate dimenticare costantemente di dare ad Azoun ciò che innegabilmente gli spetta?»

Andemel e Raurild, le cui sopracciglia si erano sollevate all’udire quell’elenco sbalorditivo di ricchezze, guardarono con interesse il collega, domandandosi che cosa avrebbe detto o fatto in quel momento. Inconsciamente, come per prendere le distanze da quell’imbarazzante problema finanziario e dai sospetti della Corona, i due si erano allontanati di un passo o due, e il padrone di Casa Windriver era rimasto solo al centro dello sfarzoso tappeto Thayano.

Portandosi lentamente in un punto da cui poteva appoggiarsi a una delle colonne da poco spostate, Sir Sabrast Windriver abbozzò un sorriso.

«In verità, Murauvyn», rispose tranquillo, «sembrate non sapere nulla della mia quarta, quinta e sesta amante, della mia catena di negozi di souvenir Olde Lace e Glitterswash in tutto il Sembia, e delle attuali necessità e disposizioni della mia grande famiglia. Mio figlio maggiore, Falorian, sta lavorando sodo per finanziare la sua linea di spedizioni da Selgunt, mio figlio Arastor, quello di mezzo, sta per diventare il più grande costruttore di edifici in pietra di Westgate, e il più piccolo, Bralzaer, ha fondato una compagnia mercenaria a Impiltur, gli Audaci Basilischi di Bralzaer. Ho sei figlie, tutte nel Sembia, che cambiano tre o quattro tuniche al giorno, per tentare di catturare mariti facoltosi. La mia malferma moglie, della quale avrete certo sentito parlare, passa il tempo a sperimentare qualsiasi medicina che uomini o nani le suggeriscano, in cerca di una cura per… vivere, a quanto sembra. Avete idea di quanti leoni d’oro sono capaci di spendere in un giorno!»

L’uomo fece un sorriso malizioso e aggiunse: «Se non do loro nemmeno una moneta di rame consunta, perché dovrei dare qualcosa a voi?».

Nel silenzio teso che seguì, Raurild non poté fare a meno di sbuffare, nel tentativo di soffocare la sua ilarità. L’esattore delle imposte gli rivolse uno sguardo freddo, prima di raggelare con lo sguardo l’impenitente cavaliere.

«Sir Sabrast», affermò Immult Murauvyn con tono freddo e preciso, «il trattamento che riserva alla sua famiglia non è affare della Corona. Lo è, invece, la vostra incapacità di pagare le imposte. Infatti, è diventata una questione tanto grave che il Mago Reale di Cormyr mi ha autorizzato a confiscare una qualunque delle vostre proprietà, per saldare il debito insoluto, dopo che avrete reso un mese di servizio per le strade reali del regno, come deve fare ogni debitore senza un soldo. Recitate fin troppo bene la parte dell’indigente e ci costringete a trattarvi come tale».

Sir Sabrast si allontanò dalla colonna, spostando casualmente una mano per coprire gli anelli che portava sull’altra, e chiese a bassa voce: «E se rifiuto di sottomettermi alle richieste che avanzate sulla mia persona e sulle mie proprietà!».

L’altra colonna si mosse e si offuscò improvvisamente. Le mazze luminose si sollevarono all’istante e i Dragoni Purpurei impugnarono le armi, ma si fermarono quando la colonna si rivelò essere la figura inequivocabile di Vangerdahast, il Mago Reale di Cormyr.

«Sabrast Windriver», affermò con tranquillità il vecchio mago grassoccio, «sappiate che se oserete fare qualsiasi incantesimo o commettere atti di violenza in questo momento, vi verrà aggiunto un anno di servizio come rospo, nel palazzo dei Letamai».

Mentre Vangerdahst stava ancora parlando, la colonna a cui era appoggiato Sabrast cominciò a vorticare confusamente. Un istante più tardi si trasformò in una magnifica fanciulla che indossava, più o meno, una tunica di fiamme balzellanti.

I Dragoni Purpurei rimasero a bocca aperta e deglutirono quando le fiamme languirono e rivelarono un corpo coperto soltanto da un tatuaggio armonioso dell’Esercito Reale di Cormyr. La fanciulla dipinta mandò un bacio ad Andemel, tremolò e divenne, d’un tratto, un vecchio barbuto col naso adunco, in una tunica grigia e disadorna.

«Elminster!» esclamarono le guardie sorprese.

«Solo un’altra colonna del palazzo», rispose sarcastico il Mago di Shadowdale. «Buongiorno, Vangy, fedeli guardie, e bravi mercanti di Cormyr. È una festa privata?»

Vangerdahast gli lanciò uno sguardo tagliente come una spada sguainata. «Elminster», gli chiese con voce pericolosamente suadente, «che ci fai qui?»

«Sono venuto a pagare il debito finanziario di Sabrast, con un notevole interesse, come vedrete, e ad avvisarvi, in maniera amichevole, di riconsiderare la vostra lecita richiesta di un suo servizio forzato.»

L’esattore Murauvyn aprì la bocca per borbottare qualcosa, si passò la lingua sulle labbra e guardò Vangerdahast.

Il Mago di Corte chiese a bassa voce: «E perché faresti tutto questo?».

Il busto di Azoun posto nell’angolo fu improvvisamente circondato da un bagliore vivido, color ambra, che catturò l’attenzione di tutti. La statua ammiccò, si tramutò per un attimo in un’arpa e subito dopo in un mucchio scintillante e sdrucciolante di monete d’oro e di cofanetti dal coperchio di vetro, pieni di gemme.

«Sarà anche una canaglia, ma io, nonché molti ignari cittadini di Cormyr, ho un debito con questo vostro cavaliere per un certo sostegno che ha dato.»

Vangerdahast, chiaramente furioso, sbottò: «E se rifiuto di accettare il tuo pagamento? Che succede in tal caso?».

«Beh, in tal caso», rispose pacato El, «sarò costretto a revocare la mia protezione su alcuni tesori del palazzo, che, temo, si tramuteranno nella loro vera forma».

«Elminster», ringhiò Vangerdahast, «mi stai minacciando!»

Il Mago di Shadowdale sembrò turbato. «Per le gentili grazie della Sacra Mystra, no», mormorò compiaciuto. «Sto solo offrendoti alcuni consigli amichevoli… sulle conseguenze, stavolta. Alcuni di questi tesori, sai, si arrabbieranno molto quando si sveglieranno.»

«Arrabbieranno? Si sveglieranno? Elminster, hai collocato dei mostri a palazzo?»

«No, è colpa mia se numerosi re di Cormyr hanno la passione per oggetti di valore che altri non riescono a inchiodare saldamente, e li portano a casa!»

«Elminster Aumar», esclamò Vangerdahast con una nota di tensione nella voce, «basta con gli indovinelli. Che tipo di mostri occupano le nostre sale sotto il tuo controllo?».

Il Mago di Shadowdale riassunse le sembianze della fanciulla formosa nella tunica di fiamme guizzanti, e fece l’occhiolino al Dragone Purpureo più vicino. «Ah, draghi», esclamò con aria innocente rivolto al soffitto.

«Draghi?»

«Solo tre, o erano quattro? E della specie più piccola», rispose El.

Nel silenzio che seguì, la fanciulla afferrò il braccio di Sabrast e aggiunse dolcemente: «Andrò a riferire al cancelliere che accettate il pagamento tardivo, ma generoso, di Sir Sabrast, va bene?».

Vangerdahast deglutì, chiuse gli occhi e gracchiò: «Vino, ho bisogno di vino. Tanto».

Mentre attraversava le tende, la ragazza dalla tunica fiammeggiante schioccò le dita affusolate. Otri pieni di vino apparvero dal nulla e piovvero sul Mago Reale.

Non fu colpa del Mago di Shadowdale se il terzo otre scoppiò quando Mastro Raurild tentò d’afferrarlo, e se il quarto colpì in testa il mercante, accecandolo momentaneamente, e si ruppe, inondando Vangerdahast e l’esattore Murauvyn, e schizzando su tutti i presenti.

Era rubino, naturalmente.

PER TUTTI I FUOCHI DELL’INFERNO, NON C’È LIMITE A QUESTE BANALITÀ? MAGO, COME FA UN UOMO A VIVERE PER ANNI E A CREARE TALI… TALI RIFIUTI?

[scarica furiosa di fulmini mentali]

[il mago urla e gocciola sangue nell’oscurità lacerata, in frantumi, silenzio immobile]

[soddisfazione diabolica]

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