10. Gli Arpisti cacciano al chiaro di luna

La Maga di Waterdeep si chinò sulla spilla d’argento, posata sul tavolo fra gli strani e impetuosi bagliori e mormorò: «Ecco. Fra un attimo vedremo…».

Obbediente, la spilla esplose e varie saette si lanciarono bramose nella stanza mentre il mondo diventava bianco e il corpo indifeso di Lady Laeral veniva scagliato lontano.

Un Vecchio Lupo si alzò in fretta dalla sedia mentre il fulmine che avrebbe dovuto uccidere Aleena rovesciò, invece, un braciere. Questo stava per cadere sulla sedia di Mirt quando Laeral si scontrò con lui e lo gettò lontano. Ruzzolarono insieme sul pavimento, rimbalzando con violenza. Alcune fiamme avvamparono brevemente qua e là nella stanza, poi si spensero.

Inchiodato sotto un braciere, tra mobili a pezzi e una maga singhiozzante di dolore, Mirt sollevò lo sguardo verso una sfera accecante che fluttuava in prossimità del soffitto: la guardia del corpo di Laeral. Avendo assorbito gran parte della magia rilasciata, stava pian piano tornando invisibile. Il soffitto presentava numerosi segni di bruciature, il che indicava che tali disastri erano accaduti altre volte. Non era certo che fosse un fatto rassicurante, ma dopotutto la Torre di Blackstaff era ancora in piedi.

«Ragazze!» chiese Mirt con tono duro, cercando di liberarsi. «State bene!»

Gli giunsero tre sequele di grugniti e d’imprecazioni, una delle quali da sopra il suo petto. L’uomo afferrò saldamente, ma con delicatezza, la maga e la sollevò in aria in modo da potersi alzare. «Che cos’è accaduto!»

«Quella spilla conteneva una trappola», affermò Laeral, affaticata. La donna spostò la mano di Mirt e si mise dolorante in ginocchio: «Messa lì deliberatamente, per ferire chiunque usasse incantesimi contro di essa. Nessun Arpista farebbe una cosa del genere. Qualcuno sta tentando di farci credere che un Arpista abbia ucciso Resengar».

Mirt annuì. «Ciò non mi sorprende», affermò, voltando la testa per vedere come stessero Asper e Aleena. Accanto a lui Laeral cadde silenziosamente a faccia all’ingiù.

Alcune fiamme si levarono dal suo corpo quando toccò il pavimento, scosso da spasmi, al che Mirt lanciò un’imprecazione e un grido d’aiuto. Mentre girava la maga, Asper corse alla porta e suonò il gong d’allarme situato sulla parete fuori dalla stanza.

Solo la più piccola delle sue borracce conteneva acqua e Mirt la versò sulla faccia di Laeral e le strofinò il naso e le guance, per controllare le fiamme, lingue di fuoco caldo color giallo verdognolo, che sembravano scaturire dal nulla. Era un fuoco magico, naturalmente, complimenti a Mystra… Le fiamme evitarono qualsiasi tentativo di spegnimento nonostante, per qualche strana ragione, non si propagassero su di lui. Il Vecchio Lupo fu molto lieto quando la stanza si riempì improvvisamente di apprendisti della Torre, l’espressione seria sul volto.

Mirt venne fatto spostare all’istante e il locale fu invaso da incantesimi, ordini secchi e occhiate sospettose. Una volta accertate le loro condizioni, Asper, Mirt e Aleena furono fatti sedere su alcune sedie nell’angolo più lontano della stanza e severamente invitati ad attendere senza fare alcuna mossa In quel momento nessuno di loro aveva la forza di intervenire: rimasero seduti con aria sbalordita, in attesa che lo stordimento svanisse. I giovani apprendisti si affrettavano a portare altre sedie; nel futuro dei tre visitatori, piombati inaspettatamente da Laeral a tarda notte, si profilava un duro interrogatorio.

In mezzo al tumulto e al nervosismo una figura alta entrò zoppicante nella stanza. Aleena si alzò di scatto, con un gran sferragliamento e gli corse incontro.

«Piano, Leen», l’ammonì Piergeiron quando lei fece per gettargli le braccia al collo. Alcuni apprendisti accigliati tesero le braccia per trascinarla indietro; Piergeiron si diresse verso la sedia più vicina, con passo un po’ incerto. Aveva il volto teso e bianco per la sofferenza.

«Ebbene, giovane leone!» esclamò Mirt, guardandolo negli occhi.

Lo sguardo dell’uomo era di un verde anomalo, una stranezza che sembrò aumentare quando il Lord di Waterdeep si lasciò cadere pesantemente sulla sedia e mormorò: «Forse vivrò». Mentre la figlia, che era riuscita finalmente a raggiungerlo, lo riempiva di baci sul volto, lui afferrò entrambi i braccioli della sedia e si scrollò, sussultando.

«Debole come un gattino abbandonato», sibilò, indicando ad Aleena di tornare alla sua sedia. «Ora, vogliano gli dei, o uno di voi, dirmi gentilmente che cosa sta succedendo

Mirt sollevò una mano per anticipare chiunque stesse per parlare e si voltò verso l’apprendista posto in piedi, vigile, accanto alla sua sedia. Tutti e quattro avevano una sentinella dall’aria non molto amichevole.

«Come sta Lady Laeral?»

«Non sta a me dirlo, merc…» cominciò il giovane mago con una voce fredda come la lama di una spada. Il ragazzo ammutolì inebetito quando una mano lunga, dalle dita affusolate, gli afferrò il braccio da dietro. Poi la sua proprietaria gli rivolse uno sguardo calmo.

«Anch’io, forse, vivrò ancora un po’», disse loro Laeral, un sorriso beffardo sulle labbra. «Una trappola ingegnosa celata dagli incantesimi da Arpista, o almeno, quelli che credevo fossero tali.» La donna annuì amichevolmente rivolta a Piergeiron e si girò verso Mirt. «Stavi per dire qualcosa d’importante, credo?»

Mirt annuì e guardò anch’egli il Primo Lord. «Raccontaci ciò che ricordi, o quello che è accaduto prima che finissi qui.»

Il paladino fece un respiro profondo ed esitante, sollevò la testa verso il soffitto bruciacchiato e cominciò: «Ero… incantato da una magia, fatta da qualcuno che mi ha colto di sorpresa, in privato. Un uomo, a giudicare dal tocco mentale, giovane, pieno di rabbia e d’eccitazione. Mi ha estorto dalla mente nomi, volti e dimore di tutti i signori di Waterdeep».

Intorno al cerchio di sedie e di apprendisti, si udì un fruscio silenzioso, una tensione improvvisa, quasi un sussulto.

«Poi mi ha ringraziato, in modo beffardo», continuò Piergeiron lentamente, cercando di ricordare, «dopodiché è sbucato da dietro il trono, si è inchinato con un ampio gesto delle braccia e svolazzi sprezzanti, la parodia di un cortigiano… e con una spada estratta da dietro la schiena mi ha trafitto. Indossava una maschera ma credo che, se anche se la fosse tolta, non l’avrei riconosciuto. La sua spada mi ha penetrato da parte a parte…»

Aleena emise un gemito di disgusto e di paura, e il padre le sorrise prima di continuare, «…e ha colpito lo schienale della sedia. Ciò ha spezzato l’incantesimo e io mi sono alzato ruggendo. Quell’uomo ha tentato di squarciarmi la gola, ma sono riuscito a sguainare la spada…».

Aleena gliela stava già porgendo, per l’elsa, nel fodero. Piergeiron le sorrise ancora, afferrò l’arma e se la pose sulle ginocchia.

«… mi è sembrato riluttante a ingaggiare un duello. Mi ha lanciato in faccia un incantesimo… fulmini di forza che laceravano come punte di pugnale… e io sono caduto in ginocchio. Poi è fuggito nella stanza accanto e io l’ho raggiunto strisciando, in tempo per vedere il suo piede svanire attraverso un cancello.»

«Un ovale di fuoco rotante!» chiese Asper. «Fiamme fredde? Che sono subito svanite!»

Piergeiron abbozzò un sorriso. «Esatto. È per caso un amico vostro!»

Asper gli lanciò un’occhiata raggelante e il sorriso dell’uomo si fece più ampio. «Mi perdoni, Lady», mormorò, «sono stato meschino… e vi ho insultato. Temo che le mie battute siano un po’ grossolane».

«Eppure, guarda qui, Paladinson», borbottò Mirt, facendo un cenno a uno degli apprendisti della torre. Il mago si limitò a guardarlo, finché Laeral non lo incoraggiò a ubbidire; Mirt gli rivolse un sorriso falso, mellifuo, e prese la spilla d’argento dalla mano dell’uomo, porgendola a Piergeiron con fare solenne. «Questa faccenda mette in dubbio le amicizie, a quanto pare.»

Il Primo Lord di Waterdeep la osservò con attenzione. «Sì, gli Arpisti sono sempre stati amici», affermò lentamente, corrucciato. «O forse lo erano, finora.»

«Tutto ciò è andato avanti per troppo tempo», brontolò Mirt, e sollevò lo sguardo verso Laeral. «Convoca Elminster a palazzo, lontano da tutte le tue difese… e porta anche tutti noi, affinché possiamo incontrarlo. Subito.»

Con la rapidità di una giovane serva, la Maga di Waterdeep annuì e trotterellò fuori dalla stanza, sotto gli occhi sbalorditi degli apprendisti che la guardarono allontanarsi, per poi fissare Mirt, e poi ancora lei. «Elminster», mormorò qualcuno con riverenza.

BENE, ERI PROPRIO UN MAGO SAGGIO E POTENTE. PECCATO CHE NON VEDA MOLTA DI QUELLA MAGIA CHE MI HAI PROMESSO.

[frustata mentale]

[dolore]

[frustata mentale]

[dolore straziante]

[frustata mentale]

STUPIDO UMANO! CREDI CHE ME NE STARÒ SEDUTO PAZIENTE A FARMI ABBINDOLARE PER SEMPRE?

[frustata mentale]

A mezzo mondo di distanza, in una tomba nelle profondità di Myth Drannor, alcune figure spettrali tremolavano in un cerchio evanescente, simili a tante candele alte come un uomo, fredde e bianche, nella penombra.

Due figure più scure stavano al centro del cerchio, intrepide; un uomo e una donna. «La conversazione è terminata, temo», esclamò riluttante Elminster, sollevando il suo bastone. «Mi avete riempito a sufficienza la testa di vecchi incantesimi e di tradizioni antiche… e sono certo che siete stanchi dei miei pettegolezzi.»

«No, uomo», rispose prontamente il baelnorn più vicino. «Voi due siete gli unici visitatori che ci portano notizie del mondo che cammina, gli unici che si ricordano di noi. Anche i baelnorn soffrono di solitudine.» La creatura spostò lo sguardo verso Storm Silverhand e aggiunse con entusiasmo: «Lady… oh, è stato bello sentire di nuovo quelle canzoni! Avete una voce meravigliosa».

«Sì», sospirarono numerosi altri spettri all’unisono.

Il Bardo di Shadowdale rivolse loro un sorriso e rispose: «I miei ringraziamenti. Non sono per nulla paragonabile al più modesto cantore di Cormanth…».

«Ah, Lady», esclamò un altro spirito guardiano della tomba, con un gesto della mano, «i nostri incantesimi possono rievocare in ogni momento i suoni delle canzoni intonate in questo luogo. Ciò che ci manca sono melodie nuove e un cantante in carne e ossa, che le intoni per noi. La vostra gentilezza ci procurerà grande gioia in futuro, molto di cui parlare…»

Un bagliore improvviso di scintille si accese sulla fronte di Elminster. Il mago s’irrigidì e oscillò, una smorfia di dolore sul volto.

«Che succede!» sbottò un baelnorn, sollevando mani fattesi improvvisamente più luminose e pericolose. «Possiamo essere d’aiuto!»

Elminster abbassò lo sguardo e rabbrividì. «N-no, amici. Un nuovo pericolo è venuto alla luce. Ritorneremo in futuro, se riusciremo. Ma ora dobbiamo andare. Addio.»

Scintille blu fluttuarono davanti a Storm Silverhand. La donna non ebbe nemmeno il tempo di sorprendersi che già l’avevano travolta. Il mondo fu invaso da un bagliore blu ed ebbe inizio una caduta infinita.

Gli stivali del bardo toccarono a un tratto un terreno sconnesso. Le scintille blu stavano svanendo, attorno a lei odori di sterco e di mare, di frutta marcia e di fumo di cucine.

«Siamo in un vicolo vicino al Palazzo di Piergeiron, a Waterdeep», le spiegò Elminster quando la mano della donna afferrò la spada che teneva alla cintola. «Mi ha chiamato Laeral.»

«E…» chiese semplicemente Storm, portandosi le mani sui fianchi e girando su se stessa per dare un’occhiata in giro.

«È ora di usare il tuo incantesimo di ricerca, ragazza… teletrasportati dovunque vi sia una spilla da Arpista falsificata o che contenga altri incantesimi. Troverai probabilmente un uomo molto abile con la spada. Resta viva finché non ti raggiungerò.» Elminster baciò Storm mentre questa lo guardava ancora sbattendo le palpebre, accigliata, poi si voltò e s’incamminò di buon passo lungo il vicolo di ciottoli, diretto a palazzo.

Le sue entrate alte e grandiose apparivano stranamente… deserte. Le porte che conducevano all’ala privata, tuttavia, erano chiuse e protette da due uomini enormi che si ergevano come titani impassibili con i loro elmi abbassati, l’armatura lucida come uno specchio.

Il Vecchio Mago si diresse verso di loro senza esitazione, allungò una mano tra i due per sollevare il battaglio, ma per poco non perse la presa quando le alabarde si abbassarono.

La punta di una di esse lo seguì quando balzò all’indietro. La voce della guardia che l’impugnava era tutt’altro che amichevole: «Nessuno può entrare senza permesso».

Elminster sospirò. «Io il permesso ce l’ho, signori. Vi prego di farvi da parte per Elminster di Shadowdale. Vado molto di fretta, e per una valida ragione.»

«Elminster?» chiese la voce con ghigno beffardo nascosto sotto l’elmo. «Sì, e io sono il Gran Pascià e Visir, sua Eccellenza di tutto il Calismshan!»

«Chi siete veramente», gli domandò brusca l’altra guardia, minacciandolo con l’alabarda, «e chi vi dà il permesso di passare! La lista di coloro che non conosciamo di persona è molto breve, e dubito fortemente che voi siate tra quelli indicati!» Il soldato indietreggiò in un punto in cui poteva facilmente suonare un gong di allarme con un movimento del guanto. «Allora!»

«lo sono davvero Elminster», rispose pacato l’uomo dalla barba incolta, «e ho il permesso di entrare dovunque in città… mi è stato dato da Lord Ahgharion di Waterdeep molti anni orsono».

«Bah!» esclamò l’altra guardia, gettando la testa all’indietro. «E vi aspettate che ci crediamo!»

«Non m’importa che mi crediate o no», ribatté il vecchio con gentilezza, «ma se mi farete perdere altro tempo sappiate che vi spedirò immediatamente dove finirete in ogni caso, se persistete nella stupidità di negare qualcosa a un arcimago».

La prima guardia s’impettì, trionfante: «Voi osereste minacciare una Guardia Confermata di Waterdeep, in questo luogo! Perbacco…».

Si lanciò spietato con l’alabarda verso il vecchio… e il mondo cambiò improvvisamente.

In un altro luogo, nella semioscurità polverosa, le due guardie si ritrovarono a sbattere le palpebre sopra le loro alabarde, poi, lentamente, iniziarono a tremare di paura.

Entrambi sapevano bene dove si trovavano: nella stanza dei trofei che immetteva nella Sala degli Eroi, la tomba dei guerrieri nella Città dei Morti di Waterdeep.

Elminster avanzò rapido attraverso le sale dal soffitto alto, rabbia e magia gracchianti intorno a lui. Si liberò delle guardie e dei cortigiani come fossero una manciata di polvere. A mano a mano che s’inoltrava, stanza dopo stanza, le guardie che incontrava erano più anziane. Numerose lo riconobbero e si scostarono con un saluto. «Piergeiron», esclamò rivoltò alla prima coppia di soldati che non lo fecero. Questi aprirono immediatamente le porte che difendevano e gli fecero cenno d’entrare.

«No, Signore, non posso», stava dicendo Laeral con risolutezza. «Ci sono troppi incantesimi nei dintorni, strato dopo strato, a centinaia, molti dei quali antichi e dimenticati. Se riuscissi solo a toccarlo, potrei applicargli un rintracciatore che pochi maghi potrebbero infrangere, ma…»

Tutte le teste si girarono quando Elminster raggiunse il teso gruppetto. Erano tutti riuniti attorno a una lampada, all’interno di un cerchio vigile e silenzioso di apprendisti della Torre. Laeral, Mirt, Piergeiron e Durnan lo salutarono con un cenno del capo. Asper chinò la testa e mormorò: «Lord Elminster, siate il benvenuto».

A quelle parole Aleena e la moglie e la figlia di Durnan fissarono il mago come se, improvvisamente, gli fossero spuntate più teste di fuoco.

«Forse ho una soluzione», annunciò loro il Vecchio Mago, «ma dobbiamo affrettarci; Storm è la nostra esca e si trova in pericolo. Tutti coloro che desiderano ingaggiare battaglia e terminare la questione si riuniscano attorno a me, mi tocchino e mantengano il contatto. Apprendisti, tornate alla Torre».

I maghi novelli riuniti in cerchio esitarono.

Laeral si voltò e ordinò fredda: «Fate come vi dice Lord Elminster, per favore. Subito».

Il Vecchio Mago non attese che eseguissero i suoi ordini, né vide gli apprendisti che s’affrettavano a uscire. Un fuoco magico arse all’improvviso e la stanza rimase più vuota di quanto non lo fosse stata prima. Erano rimasti solo Tamsil e Mahere, che subito fissarono Durnan, solo vicino alla lampada.

La donna lanciò al marito uno sguardo accigliato. «Tu… non sei andato», mormorò con aria interrogativa.

L’uomo andò verso di lei e mise un braccio attorno alla moglie e a Tamsil. «Non hai portato la tua balestra», rispose a bassa voce. «Che cosa sarebbe successo se l’assassino fosse entrato qui, dopo che tutti se n’erano andati?»

Con la mano libera sguainò la spada, che scintillò alla luce della lampada. «Qualsiasi altra cosa accada in questo mondo, io non vi perderò, se potrò impedirlo.»

BAH! SENTIMENTI LAGNOSI DAPPERTUTTO! IL CERVELLO DI QUEST’UOMO È MARCIO… MARCIO! CHE RAZZA DI STOLTO TRASCORRE LA SUA VITA AMANDO GLI ALTRI?

Uno stolto umano, Nergal. Siamo ciò che siamo, proprio come voi siete quelle creature diaboliche che siete.

GRRRR! TACI, MAGO PRIGIONIERO!

A un tratto si ritrovarono altrove… in un luogo buio e freddo, nelle narici la polvere e l’odore di pietra. Erano sottoterra.

Con gran spavento della figlia, Piergeiron batté una mano sull’armatura, ordinandole di illuminarsi. L’armatura si risvegliò ed emise un pallido bagliore bluastro.

Grazie a tale luce e alla sfera di fuoco di Laeral, si resero conto di essere in una sala dall’alto soffitto che non ospitava altro che polvere. Molti archi bui conducevano in corridoi che si snodavano nell’oscurità.

Il bagliore proveniente dalle mani di Laeral divenne quasi accecante. La Maga di Waterdeep le sollevò per toccare la testa di Piergeiron.

L’uomo spalancò la bocca, rabbrividì e si allontanò barcollante.

La donna vacillò e cadde in ginocchio. Aleena si chinò per sostenerla, ma Asper fu più rapida.

«Lady?» chiese tranquilla.

«Mi riprenderò», rispose Laeral senza agitarsi. «Piergeiron ha bisogno di forza al momento, e io gliel’ho conferito. Rimarrò debole per un po’.»

«Aleena», esclamò Asper, «rimani con lei. Proteggila… e se dovesse avvicinarsi un uomo con una maschera, grida più che puoi».

La figlia di Piergeiron guardò Mirt, Elminster e il padre, vide i loro cenni d’assenso e s’inginocchiò accanto a Laeral con un malcelato sospiro di sollievo.

Mirt picchiettò delicatamente il petto del Primo Lord. «Sai dove ci troviamo, vero!» borbottò.

Piergeiron stava fissando una cotta d’armi scolpita su un arco vicino. «Credo di sì», rispose pacato, «e comincio a sospettarne la ragione».

Prese fiato per dire qualcosa, ma l’urlo straziante e prolungato di Storm li raggiunse, echeggiando da un luogo nascosto oltre l’arco.

Asper, come sempre, scattò per prima, saettando come un vento scuro attraverso il passaggio a volta. Piergeiron la seguì prontamente, con la spada consacrata che brillava a comando. Anche Elminster si mise a correre veloce, lasciando indietro Mirt, ansimante e stupito.

Corsero lungo un corridoio, poi attraversarono due stanze polverose e piene di ragnatele, e una terza, dove un ragno solitario fuggì spaventato al loro arrivo. Nella quarta videro una luce che brillava fra pilastri a volta, che proiettava le ombre di due figure scure, vestite di pelle, impegnate in una lotta. Una portava una maschera. La sua spada, lucente di sangue, spuntava dalla schiena di Storm. Trafitta e agonizzante, la donna cercava di raggiungere il suo assalitore.

L’uomo mascherato vide i nuovi arrivati e sollevò l’altra mano. Le fiamme multicolori di un incantesimo vorticavano attorno a essa.

«Sssambranath», esclamò in maniera nitida e cauta, la prima parola di una magia che avrebbe deciso quale parte della stanza sarebbe stata invasa da una tempesta di fulmini rabbiosi. «Naerth…»

Il suo incantesimo s’interruppe quando Storm gli sputò sangue in faccia, facendolo tossire. L’elsa della spada le aveva ormai quasi raggiunto il petto, e la donna graffiò debolmente il suo volto mascherato. L’uomo scosse violentemente la testa, allontanandosi da lei il più possibile senza staccare la mano dalla spada, ma la sua magia era ormai rovinata.

Tale disgrazia non toccò, invece, Elminster. Girò attorno a una colonna e si fermò ansimante, poi riprese fiato e pronunciò cauto un incantesimo. D’un tratto la stanza divenne luccicante e silenziosa.

Passando accanto ad Asper, rimasta immobile col piede sollevato, il Vecchio Mago raggiunse i due corpi uniti dalla lama d’acciaio. Elaborò un’altra magia con la stessa cura meticolosa, toccò la fronte di Storm Silverhand per verificare i suoi effetti su di lei e, prendendola delicatamente per le spalle, iniziò a tirare.

Lentamente il suo corpo si sfilò dalla spada dell’uomo, gli occhi momentaneamente ciechi e il viso contorto dal dolore. Elminster continuò a tirare, trasalendo per la sensazione che gli procurava l’acciaio che si sfilava dal corpo della donna.

Quanto più prolungava l’antico incantesimo di Illuskan, tanto più dolore avrebbe provato. Tuttavia, non era nulla in confronto a ciò che pativa Storm. L’aveva inviata lui in quella missione, la più ribelle delle tre fanciulle che aveva cresciuto come figlie, molti secoli prima.

Dei del cielo, aveva dimenticato quanto male facesse.

Il Vecchio Mago strinse i denti e trascinò a fatica per qualche passo il Bardo di Shadowdale, oltre il corpo pietrificato di Mirt. Il Vecchio Lupo stava immobile, anch’egli con un piede sollevato, le mani allargate per tenersi in equilibrio, una spada in entrambe.

El si inginocchiò dietro di lui, combattendo con un ringhio il dolore sempre più acuto, che gli faceva tremare le mani. Mystra, quante volte aveva fatto ciò per quella ragazza? E lei per lui? Sul petto devastato di Storm il mago depose gli ingredienti per l’incantesimo guaritore. Quand’ebbe terminato, battendo i denti dal dolore, annullò la magia precedente.

Subito il mondo si riempì di rumore e di movimento. Il dolore scomparve repentinamente. Per lui.

El lasciò che la figlioccia gli stritolasse la mano con la sua mentre lo fissava, l’agonia come fuoco nei suoi occhi. Poi fece un respiro profondo e ne soffocò il grido con un comando improvviso. Mentre Asper, Piergeiron e Mirt si avventavano sull’uomo mascherato, la voce del Vecchio Mago risuonò attorno a loro come una tromba di battaglia: «Non uccidetelo. Per ora».

PER TUTTI I FUOCHI DI NESSUS. UNA STANZA PIENA DI UMANI DALLA LINGUA PRONTA! LI VEDRÒ MORIRE?

No, ma li udirai parlare di magia potente… e intendo davvero potente.

AH! FINALMENTE, CHE AVERNO POSSA CONGELARE!

L’uomo stava sospeso impotente nell’aria sopra di loro, non più mascherato. Furioso, con le braccia e le gambe aperte, era stretto nella morsa dell’incantesimo di Elminster e aveva ormai riversato loro addosso quasi tutte le oscenità che conosceva.

Le persone riunite sotto di lui non avevano quasi più domande da fargli. Le sue risposte, gran parte delle quali pronunciate con fierezza, rivelarono che si trattava di Amril Zoar, della nobile famiglia esiliata da Waterdeep molto tempo prima. Si era armato per distruggere tutti i signori della città con gli incantesimi e una spada magica, avuta da un uomo che portava una spilla d’argento a forma d’arpa, e aveva cercato di colpirli prima che si riunissero per dargli la caccia.

Per anni aveva tramato e meditato, finché, per caso, le sue spie non avevano trovato un libro, un testo perduto di Ahghairon, il «Fondatore di Waterdeep», che descriveva dettagliatamente come creare un «cancello di fuoco». Quei portali di breve durata non erano che un’eco di cancelli antichi e nascosti da tempo, spostati nelle prigioni della vecchia Waterdeep da Halaster Blackcloak. Cancelli simili potevano essere creati solo a breve distanza dagli antichi portali ma - e gli occhi di Mirt brillarono alla notizia - potevano superare molte barriere moderne e incantesimi difensivi. Una volta imparato a padroneggiare i cerchi di fuoco, Amril aveva fatto suo il simbolo d’argento del tutore e iniziato a uccidere i signori di Waterdeep.

Mirt sollevò lo sguardo verso l’uomo fluttuante e, con aria torva, affermò: «Bene. Ora basta. Uccidiamolo. Con la magia potremo parlare al cadavere dei suoi parenti, per poi uccidere anche loro».

«No!» risuonò secca una voce dietro di lui. Il volto di Storm era pallido, ma la donna avanzò rapida e leggera come non avesse mai saggiato il morso dell’acciaio freddo. «Devo sapere di più sull’uomo dell’arpa d’argento, che ha insegnato queste magie ad Amril!»

Elminster sollevò lo sguardo. «Che cos’è accaduto al tuo tutore, e chi era?»

Amril Zoar guardò in basso e rispose brusco: «Non ho mai saputo il suo nome. Fu ucciso da un cavaliere di Waterdeep, venuto per ammazzare mio padre… e me. Con mio padre c’è riuscito, ma il mio tutore scambiò la mia vita con la sua».

Elminster si lasciò cadere una mano lungo il fianco e il nobile con le braccia e le gambe aperte si abbassò, sempre legato magicamente e immobile, e si fermò a pochi centimetri dal polveroso pavimento di pietra.

Mirt fece un passo avanti, silenzioso e arcigno, l’ascia in mano, e guardò Piergeiron.

Il Primo Lord annuì. «Per Waterdeep, allora. Per Tamaeril e Resengar», intonò.

L’ascia si sollevò, scintillante.

Una sagoma vestita di pelle scattò di fronte a Mirt, le mani nude alzate. «No!» protestò Storm con gli occhi colmi di lacrime. «Non uccidete quest’uomo. Ai suoi occhi era una giusta causa, e il suo compito era quasi impossibile, per una sola persona. Lo prenderei in consegna per gli arpisti.»

Mirt corrugò la fronte. Il suo sguardo passò dalla spada di Amril, ancora immersa nella pozza di sangue di Storm, al Bardo di Shadowdale. «Perché!» chiese senza mezzi termini.

«Per lui era una giusta causa e ha fatto ciò che riteneva di dover fare», rispose Storm. «Chi siamo noi per credere d’essere migliori di lui?»

Mirt si fece ancor più pensieroso. Qualcosa di simile a un grugnito si levò dalla profondità della sua gola, poi, lentamente, l’uomo fece un passo indietro, abbassò l’ascia e s’inchinò a Storm.

«Mi pare che quel giovane si diverta un po’ troppo a uccidere, Lady», affermò cupo, «ma va bene. Sono stufo di ammazzare gente. Tuttavia, cerca di farti dare il libro di Ahghairon… Non voglio che suo cugino o il suo scudiero o un cane addestrato sbuchino da un cancello accanto al mio letto mentre sto russando beatamente, magari ha una o due notti!»

Storm annuì. «Se non potrà o non vorrà cambiare le sue maniere», ribatté la donna a voce bassa, «troverà la morte. Per mano mia».

«Così sia», esclamò Piergeiron con aria stanca. «Ma portalo lontano da Waterdeep.» Il signore abbassò lo sguardo sull’oggetto che rigirava fra le mani, come se lo vedesse per la prima volta. «Un’arpa d’argento», mormorò pensieroso. «Credevo che il simbolo degli Arpisti fosse una luna con un’arpa d’argento.»

«La luna d’argento era l’emblema di mia madre, i suoi avi provenivano dalla città di Silverymoon», asserì Storm. «Ma gli arpisti hanno una risposta migliore. Mirti»

Mirt sorrise. Poi cinse Asper con un braccio e bofonchiò: «L’arpa è l’Arpista. Non è necessario che la luna faccia parte del simbolo perché come dice il motto: gli Arpisti cacciano al chiaro di luna».

DUNQUE S’INTRAVEDE QUALCHE CENNO DI MAGIA, MA NON C’È TRACCIA DEL FUOCO ARGENTEO CHE CERCO O D’ALTRO DI CUI POSSA IMPADRONIRMI E UTILIZZARE. SONO STANCO DI FRUSTRARTI, IDIOTA DI UN MAGO… PERCIÒ ORA NON TI FARÒ NULLA. MA NON T’ILLUDERE CHE ME NE DIMENTICHI NÉ DI FARLA FRANCA.

IMPARERAI IN MANIERA DIVERSA, MOLTO PRESTO.

Mirt si ritrovò a battere le palpebre rivolto al soffitto, tutto argenteo nella luce lunare. «No!» ansimò con voce roca. «Dei, no!»

Era ancora vestito. L’elsa della spada pronta nel pugno serrato. La lama di Amril Zoar gocciolante del sangue di Storm. Aveva quasi dimenticato i dettagli, ma questi lo travolsero come una valanga, e dietro ad essi apparve un volto: Elminster. O meglio, ciò che di lui era rimasto.

Una mente disperata e vacillante, inferiore a quella di un tempo, che supplicava in un corpo devastato, in una landa di pietra desolata e maleodorante sotto un cielo rosso sangue. Averno, senza dubbio.

«Quando sarò pronto per cercare un luogo in cui morire», mormorò Mirt rivolto alla spada, mentre la sguainava e osservava il riflesso della luna lungo la lama scintillante; «l’Inferno non sarà il mio punto di partenza. Che sia ben chiaro».

Con un grugnito rotolò fuori dal letto, batté i piedi per infilarli negli stivali e uscì nel corridoio. Quello era forse un viaggio senza ritorno, perciò non poteva assolutamente partire senza vedere…

Asper, un lume pallido nell’oscurità, sbucò improvvisamente dalla sua camera da letto, a piedi nudi. Aveva i capelli arruffati, teneva una spada in una mano e gli stivali nell’altra. «Ladri?» chiese ansimante, quasi cadendo nella fretta di sbarrargli la strada. «Questioni di lord?»

«Peggio, ragazza. Elminster ha bisogno di me.»

«Elminster? Perché?»

«Perché è intrappolato e costretto a subire i tormenti dell’Inferno», brontolò il Vecchio Lupo. «Dove non oso andare.»

«No, Mirt», gridò Asper col volto bianco come un cencio. «Non all’Inferno! Non riuscirai nemmeno a raggiungerlo e i demoni ti attaccheranno, verrai… verrai…»

La ragazza lasciò cadere gli stivali e gli afferrò il braccio. «Non ha senso morire per un amico… se la tua morte non può essergli d’aiuto!»

Mirt la guardò torvo, gli occhi scintillanti come due vecchie torce. Tentò, ma non riuscì a liberarsi della sua presa. Le dita della donna erano come artigli. «Sì, è vero… e con Khelben e Laeral partiti per chissà dove, mi rimane solo un’arma a portata di mano, abbastanza affilata da distruggere quei demoni.»

Asper aveva il viso rigato di lacrime. «E sarebbe?»

Mirt strinse i denti, si liberò dalla sua mano e s’incamminò verso le scale, sollevando la spada. «Halaster Blackcloak. Devo trovarlo, giù a Sottomonte, e… ah… convincerlo a farsi strada all’Inferno e a riportarmi Elminster. Devo sbrigarmi, o il Vecchio Mago morirà prima che Halaster possa raggiungerlo.» L’uomo ridacchiò, emettendo un suono secco e terribile.

«Mirt, no!» piagnucolò Asper. Si morse le nocche e singhiozzò. «Non puoi! È matto! Tu…»

«… devo farlo», aggiunse Mirt, terminando la frase per lei. «Poiché… vivere o morire questa notte… che cosa sarei, se deludessi i miei più vecchi e migliori amici? E a quale scopo avrei vissuto?»

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