L’oscurità circondò Rand una volta che la porta svanì, il buio si estendeva in ogni direzione, eppure poteva vedere. Non provava sensazioni di caldo o freddo, anche bagnato com’era. Non esistevano le sensazioni in quel luogo. Solo esistenza. Alcuni gradini di semplice pietra grigia salivano davanti a lui, ognuno sospeso in aria, e si estendevano fino a scomparire dalla visuale. Li aveva già visti, o forse qualcosa di simile. In qualche modo sapeva che lo avrebbero portato dove voleva andare. Mentre saliva le scale impossibili gli stivali lasciavano alle sue spalle impronte bagnate che scomparivano, svanendo con i gradini. Solo quelli davanti a lui permanevano, portandolo dove voleva andare.
Anche la volta precedente era stato così.
Li ho creati con il Potere o hanno un’altra forma di esistenza? si chiese.
A quel pensiero la pietra grigia sotto i piedi incominciò a svanire e tutte quelle davanti tremarono. Si concentrò disperatamente su di esse, pietra grigia reale. Reale! Il tremore si fermò. Adesso non erano semplici ma lucidi, i bordi erano elegantemente scolpiti come gli sembrava di aver visto una volta.
Senza curarsi della direzione — insicuro di osare un tale pensiero troppo a lungo — corse più che poteva, salendo gli scalini tre alla volta attraverso il buio infinito. Lo avrebbero portato dove voleva andare, ma quanto ci avrebbe impiegato? Quanto vantaggio aveva Asmodean? Il Reietto conosceva un modo più veloce di viaggiare? Quello era il problema. Il Reietto aveva tutta la conoscenza mentre ciò che aveva lui era la disperazione.
Guardando avanti sobbalzò. Le scale si erano adeguate ai lunghi passi, con grandi spazi fra loro che richiedevano quei salti, sospesi sopra un’oscurità profonda come... come cosa? Una caduta qui poteva essere infinita. Si costrinse a ignorare le voragini e a continuare a correre. La vecchia ferita sul fianco parzialmente guarita iniziò a fargli male, era una vaga consapevolezza. Ma se Rand era consapevole di qualcosa, avvolto com’era in saidin, la ferita chiusa era pronta a riaprirsi. Ignorala! si disse. Il pensiero fluttuò nel Vuoto dentro Rand. Non osava smettere di correre, nemmeno se la cosa lo avesse ucciso. Questi scalini smetteranno mai di salire? Quanto si era allontanato?
Improvvisamente vide una figura in lontananza, verso sinistra, sembrava un uomo con la giubba e gli stivali rossi, in piedi su una piattaforma argentata splendente che scivolava nell’oscurità. Rand non ebbe bisogno di guardare da vicino per sapere che si trattava di Asmodean. Il Reietto non correva come un ragazzo di campagna stanco, cavalcava quella cosa, qualsiasi cosa fosse.
Rand si immobilizzò su uno degli scalini di pietra. Non aveva idea di cosa fosse quella piattaforma, splendente come metallo lucidato ma... Gli scalini davanti a lui svanirono. La pietra sotto ai piedi incominciò a scivolare in avanti, sempre più veloce. Il viso non era toccato dal vento per indicargli che si stava muovendo, non c’era nulla in quella vasta oscurità a segnalare il movimento, a parte il fatto che era sempre più vicino ad Asmodean. Non sapeva se lo stava facendo con il Potere, sembrava semplicemente accadere. Il gradino vacillò e Rand smise di porsi domande. Non ne so ancora abbastanza, si redarguì. L’uomo dai capelli scuri stava in piedi a suo agio con una mano su un fianco, toccandosi pensieroso il mento. Dal colletto spuntava una cascata di merletto bianco, che gli nascondeva più della metà della mano. La giubba rossa a collo alto sembrava brillare come raso di seta e aveva uno strano taglio, con code che scendevano quasi fino alle ginocchia. Quelli che sembravano essere fili neri, sottili fili di metallo, spuntavano dall’uomo fino a scomparire nel buio circostante. Rand li aveva certamente visti prima.
Asmodean voltò il capo e Rand rimase a bocca aperta. I Reietti potevano cambiare aspetto — o almeno mostrarne diversi, come aveva fatto Lanfear — ma questi erano i lineamenti di Jasin Natael, il menestrello. Era certo che si trattasse di Kadere, con quegli occhi da predatore che non cambiavano mai espressione.
Asmodean lo vide nello stesso momento e sobbalzò. L’appoggio argentato del Reietto scattò in avanti — e di colpo un’enorme lamina di fuoco, come una fetta sottile di una fiamma mostruosa, andò verso Rand, larga e immensamente lunga.
Rand incanalò disperatamente contro di essa, proprio mentre stava per colpirlo, facendola esplodere in tanti frammenti che lo oltrepassarono lampeggiando. Mentre la cortina di fuoco svaniva ne vide una seconda che gli correva incontro. Distrusse anche quella, e fece a pezzi la terza per svelare la presenza di una quarta. Asmodean stava scappando, Rand ne era certo. Non riusciva a vedere il Reietto per via delle fiamme. La rabbia scivolò sulla superficie del vuoto e Rand incanalò.
Un’onda di fuoco avvolse la cortina cremisi che scivolava verso di lui e la travolse portandola via, non una lamina sottile ma fiamme ondeggianti come fossero battute dai venti di un uragano. Rand tremò con il Potere che lo pervadeva, la rabbia per Asmodean cercava di salire sulla parte esterna del Vuoto.
Sulla superficie in eruzione apparve un buco. No, non proprio un buco. Asmodean e la sua piattaforma splendente si trovavano al centro dell’apertura, ma mentre l’onda infuocata avanzava, scivolarono insieme. Il Reietto aveva innalzato una specie di scudo attorno a se stesso.
Rand si costrinse a ignorare la rabbia, distante fuori dal Vuoto. Solo nella fredda calma poteva toccare saidin; riconoscere la rabbia avrebbe distrutto il Vuoto. I cavalloni di fuoco cessarono di esistere non appena smise di incanalare. Doveva prendere l’uomo, non ucciderlo.
Il gradino di roccia scivolò anche più veloce nell’oscurità.
Asmodean si avvicinava.
Di colpo la piattaforma del Reietto si fermò. Un buco luminoso apparve davanti ad Asmodean che vi balzò dentro, l’oggetto argentato scomparve e la porta iniziò a chiudersi.
Rand sferzò selvaggiamente con il Potere. Doveva mantenerla aperta, una volta chiusa non avrebbe avuto idea di dove trovare Asmodean. La porta smise di chiudersi. Era un quadrato di luce forte, abbastanza grande per passarvi attraverso. Doveva mantenerlo aperto, raggiungerlo prima che Asmodean potesse andare troppo lontano...
Mentre ancora pensava di fermarsi, lo scalino si immobilizzò, ma Rand si lanciò in avanti tuffandosi attraverso l’apertura.
Qualcosa gli tirò lo stivale e poi incominciò a cadere sul terreno duro, per fermarsi infine come un ammasso affannato.
Combattendo per riempire i polmoni si alzò in piedi, senza azzardarsi a rimanere indifeso per un solo momento. L’Unico Potere ancora lo colmava di vita e abiezione, i lividi li percepiva distanti come la lotta per respirare, come la polvere gialla che copriva gli abiti umidi. Eppure allo stesso tempo era consapevole di ogni soffio dell’aria, calda come quella di una fornace, di ogni granello di polvere, di ogni minima crepa nell’argilla indurita ed essiccata dal sole. Il sole lo stava già asciugando e assorbiva l’umidità dalla camicia e le brache. Si trovava nel deserto, nella valle sottostante il Chaendaer, a nemmeno cinquanta passi dal Rhuidean avvolto dalle nebbie. La porta era scomparsa.
Rand fece un passo verso la valle nebbiosa e si fermò sollevando il piede sinistro. Il tacco dello stivale era tagliato, lo strattone che aveva sentito era la porta che si chiudeva e Rand fu vagamente consapevole di tremare malgrado il caldo. Non sapeva che fosse così pericoloso. I Reietti avevano tutta la conoscenza. Asmodean non gli sarebbe sfuggito.
Torvo, si aggiustò gli indumenti, assicurando la piccola statuetta dell’uomo con la spada dietro la fusciacca e correndo verso la nebbia per addentrarvisi. Una cecità grigia lo avvolse. Il Potere che lo colmava non faceva nulla per consentirgli di vedere meglio in questo luogo. Rand correva alla cieca.
Improvvisamente si gettò a terra, rotolando per l’ultimo tratto fuori dalla nebbia su un lastricato di pietra coperto di sabbia. Giacendo al suolo fissò tre nastri brillanti di un argento azzurrognolo nella strana luce del Rhuidean, che si allungavano a destra e sinistra fluttuando in aria. Quando si alzò vide che erano all’altezza della vita, del petto e del collo, così sottili da svanire quando fluttuavano. Vedeva come erano stati creati e come erano appesi, anche se non li capiva. Duri come l’acciaio e abbastanza affilati da far sembrare la lama di un rasoio soffice come una piuma. Se avesse corso attraverso questi filamenti lo avrebbero fatto a pezzi. Un piccolo rivolo di Potere e i nastri argentati si ridussero in polvere. Fredda rabbia fuori del Vuoto, dentro, determinazione assoluta e l’Unico Potere.
Il bagliore azzurrognolo della cupola di nebbia proiettava la luce priva di ombre sui palazzi incompiuti di marmo e cristallo, sul vetro tagliato, sulle torri, scanalate o a spirale, che trapassavano le nuvole. Sull’ampia strada di fronte a lui c’era Asmodean, oltre le fontane asciutte, e si dirigeva verso la grande piazza nel cuore della città.
Rand incanalò — sembrava stranamente difficile, tirò saidin a sé, lo distorse con forza fino a quando non infuriò dentro di lui — incanalò, e degli spessi fulmini seghettati discesero dalle nuvole sotto la cupola. Non contro Asmodean. Davanti al Reietto, brillanti colonne rosse e bianche, spesse cinquanta passi e alte cento, antiche di secoli, esplosero e caddero in strada in una pioggia di detriti e nuvole di polvere.
Dalle grandi finestre di vetri colorati immagini maestosamente serene di uomini e donne sembravano biasimarlo mentre lo osservavano. «Devo fermarlo» si rivolse a loro. La voce risuonava come un’eco in fondo alla percezione.
Asmodean si bloccò, guardando indietro fra i ruderi. La polvere che volava verso di lui non toccava mai la splendente giubba rossa. Si separava davanti all’uomo lasciando l’aria pulita.
Il fuoco esplose intorno a Rand, avviluppandolo mentre l’aria si trasformava in fiamme e... svanì prima ancora che si rendesse conto di come aveva fatto. Gli abiti adesso erano asciutti e caldi, i capelli bruciavano e la polvere rovente cadeva a ogni passo mentre correva. Asmodean stava arrampicandosi sui frammenti di pietra che bloccavano la strada, altri lampi scaturirono dal cielo, sollevando nuvole di schegge di pietra davanti al Reietto e spaccando le pareti di cristallo dei palazzi che gli cadevano davanti.
Asmodean non rallentò e, mentre svaniva, un fulmine emerse dalle nuvole incandescenti verso Rand, colpendo alla cieca ma con l’intenzione di uccidere. Correndo Rand eresse uno schermo difensivo attorno a sé. Frammenti di pietra vi rimbalzarono contro mentre schivava i fulmini azzurri e balzava oltre le voragini che si aprivano al suolo. L’aria brillò, i peli delle braccia si rizzarono e i capelli si mossero.
C’era qualcosa intessuto fra la barriera di colonne abbattute. Rand indurì lo scudo che lo circondava. Grossi blocchi di pietra rossi e bianchi esplosero mentre li raggiungeva per arrampicarsi, un’esplosione di luce pura e frammenti volanti di pietra. Al sicuro dentro la sua bolla vi corse attraverso, solo vagamente consapevole del boato generato dai palazzi che crollavano. Doveva fermare Asmodean. Sforzandosi — e richiese un grande sforzo — scagliò davanti a sé fulmini, palle di fuoco che sgorgavano dal terreno, qualsiasi cosa pur di rallentare l’uomo con la giubba rossa. Lo stava raggiungendo. Giunse alla piazza, lontano ormai solo una dozzina di passi. Cercando di aumentare la velocità raddoppiò gli sforzi per rallentare Asmodean e la sua fuga; il Reietto combatteva per ucciderlo.
I ter’angreal e altri oggetti preziosi portati in questo luogo dagli Aiel, che avevano offerto le loro vite per proteggerli e custodirli, venivano ora scagliati in aria dai fulmini, spostali selvaggiamente da turbini di fuoco, costruzioni d’argento e metallo che si spaccavano, strane sagome dello stesso materiale che cadevano mentre il terreno tremava e si apriva in ampie fenditure.
Asmodean correva guardandosi attorno trafelato e si lanciò contro quello che poteva sembrare l’ultimo oggetto con un significato in mezzo a tutti quei detriti. Una statuetta bianca lunga forse trenta centimetri che giaceva sulla schiena, rappresentante un uomo che sollevava una sfera di cristallo. Asmodean l’afferrò con un grido di esultanza.
Un attimo dopo anche la mano di Rand la afferrò. Per una frazione di secondo fissò il Reietto in viso, non era diverso dal menestrello, eccetto per una disperazione selvaggia negli occhi scuri, un bell’uomo di mezza età, nulla che lo indicasse come uno dei Reietti. Una frazione di secondo ed entrambi si protesero tramite la statuetta, il ter’angreal, verso uno dei più potenti sa’angreal mai creati.
Rand era vagamente consapevole di un’enorme statua maschile, parzialmente sepolta lontano da Cairhien, e dell’enorme sfera di cristallo appoggiata sulla mano, che risplendeva come il sole e pulsava con l’Unico Potere. Il Potere dentro Rand si rigonfiò come tutti i mari del mondo in tempesta. Con quest’oggetto sicuramente poteva fare qualsiasi cosa, certamente avrebbe anche potuto guarire quel bambino morto. Anche la contaminazione si rigonfiò, avvolgendosi attorno a ogni parte di Rand, penetrando in ogni anfratto, fin dentro l’anima. Voleva gridare, voleva esplodere. Eppure era pervaso solo dalla metà del potenziale di quel sa’angreal, l’altra metà colmava Asmodean.
I due si affannarono avanti e indietro, inciampando sui ter’angreal sparsi e rotti, cadendo senza che nessuno dei due osasse lasciare la figura nemmeno con un dito per timore che l’altro la prendesse. E mentre rotolavano, sbattendo ora contro una soglia di pietra rossa in qualche modo ancora in piedi, adesso contro una statua di cristallo che era crollata su un fianco ma era ancora sana, una donna nuda con un bambino al petto, mentre lottavano per il possesso del ter’angreal la battaglia veniva combattuta anche a un altro livello.
Martelli di Potere abbastanza larghi da spianare le montagne scendevano verso Rand, lame che avrebbero potuto spaccare il cuore della terra, tenaglie invisibili, cercavano di strappargli la mente dal corpo, di lacerargli l’anima. Ogni minima parte di Potere che Rand poteva attingere la usava per difendersi da questi attacchi. Ognuno poteva distruggerlo come se non fosse mai esistito, lo sapeva, ma dove andassero a finire, non ne era certo. Il terreno sotto di loro rimbalzava, scuotendoli mentre combattevano, scagliandoli in giro in una palla di muscoli sotto sforzo. Rand era vagamente consapevole di fragorosi boati, di un migliaio di lamenti come una strana musica. Le colonne di vetro tremavano, vibravano. Adesso non poteva preoccuparsi di loro.
Tutte quelle notti senza sonno stavano prendendosi una rivalsa su di lui e la corsa che aveva fatto completava il quadro. Era stanco e lo sentiva anche nel Vuoto, per cui significava che era prossimo allo sfinimento. Scosso dalla terra che tremava, si accorse che non stava più cercando di togliere il ter’angreal ad Asmodean, solo di tenerlo. Presto la forza lo avrebbe abbandonato. Anche se fosse riuscito a mantenere la presa sulla figura di pietra, avrebbe dovuto lasciar andare saidin o essere spazzato dal furore di esso, distrutto come avrebbe fatto anche Asmodean. Non poteva attingere ulteriormente dal ter’angreal, lui e Asmodean erano in perfetto equilibrio, ognuno con la metà del potere che il sa’angreal a Cairhien poteva azionare. Asmodean ansimò in faccia a Rand ringhiando, il sudore grondava dalla fronte del Reietto scendendo lungo le guance. Anche l’uomo era stanco. Ma quanto lui?
La terra flagellata sollevò Rand per un istante quindi Asmodean, ma in quel fugace momento Rand sentì qualcosa che esercitava pressione fra loro. La statuetta del piccolo uomo grasso con la spada, ancora infilata dietro la fusciacca. Un oggetto insignificante paragonato all’immenso Potere che stavano attingendo. Una tazza d’acqua in confronto a un fiume, a un oceano. Non sapeva nemmeno se poteva usarla mentre era unito a un sa’angreal. E se poteva? Asmodean snudò i denti. Non una smorfia, ma la stanca immagine di un sorriso, l’uomo pensava che stesse vincendo. Forse era vero. Le dita di Rand tremarono, indebolendosi attorno al ter’angreal, tutto quello che poteva fare era continuare a restare in contatto con saidin, anche unito all’enorme sa’angreal.
Non aveva visto gli strani cavi neri d’acciaio attorno ad Asmodean da quando avevano lasciato quel posto scuro, ma poteva visualizzarli nel Vuoto, sistemarli mentalmente attorno al Reietto. Tam gli aveva insegnato che il Vuoto era un aiuto per il tiro con l’arco, per diventare un corpo unico con l’arco, la freccia, il bersaglio. Rand divenne tutt’uno con quei cavi immaginari. Notò appena che Asmodean stava aggrottando le sopracciglia. L’uomo probabilmente si chiedeva perché il viso di Rand adesso era calmo. C’era sempre calma nel momento che precedeva lo scoccare della freccia. Attinse al piccolo angreal dietro la fusciacca e altro Potere fluì dentro di lui. Non sprecò tempo a esultare, era un flusso irrilevante rispetto a quello che già era in lui e questo era il colpo finale. Avrebbe consumato l’ultima riserva di forza. Rand gli diede la forma di una spada di Potere, una spada di Luce, e con quella colpì. Una volta con la spada, una volta con i fili immaginari.
Asmodean sgranò gli occhi e gridò, un urlo che proveniva dalle profondità dell’orrore. Il Reietto tremò come un gong percosso. Per un istante sembrarono esserci due Reietti, che tremavano e si allontanavano l’uno dall’altro, quindi si riunirono. Cadde sulla schiena con le braccia aperte a terra, la giubba rossa ridotta a brandelli e il petto che si sollevava. Gli occhi erano vacui e sembravano smarriti.
Mentre cadeva Rand perse la presa su saidin e il Potere lo abbandonò. Ebbe appena la forza di stringere il ter’angreal e rotolare lontano da Asmodean. Alzandosi in ginocchio si sentì come se stesse scalando una montagna e si ripiegò sulla statuina dell’uomo con la sfera.
La terra smise di tremare. Le colonne di cristallo erano immobili — di questo era grato, distruggerle sarebbe stato come annientare la storia degli Aiel — e anche se le foglie a tre punte erano sparse in terra sotto l’Avendesora, solo un ramo era stato spezzato. Ma il resto del Rhuidean...
La piazza aveva l’aspetto di un posto dove gli oggetti erano stati raccolti e scagliati in giro dalla mano di un gigante impazzito. La metà dei palazzi e le torri erano solo montagne di macerie, alcuni erano rotolati nella piazza. Enormi colonne erano collassate sulle altre, mura crollate e spazi vuoti dove una volta c’erano state grandi finestre di vetri colorati. Una fenditura scorreva lungo la città, un’apertura nella terra larga quindici metri, ma la distruzione non finiva qui. La cupola di nebbia che aveva celato il Rhuidean per così tanti secoli stava dissipandosi, la parte sottostante non risplendeva più e la luce forte penetrava attraverso nuove grandi aperture. Oltre di esse il picco del Chaendaer sembrava diverso, più basso, e dall’altro lato della valle alcune montagne erano senz’altro più piccole. Dove prima si era trovata una montagna adesso c’era una distesa di pietre e terra che si estendeva lungo il lato nord della valle.
Distruggo. Distruggo sempre! Luce, finirà mai? si chiedeva Rand.
Asmodean rotolò sullo stomaco rimanendo carponi. Gli occhi trovarono Rand e il ter’angreal. Cercò di strisciare verso di loro.
Rand non avrebbe potuto incanalare una scintilla, ma aveva imparato a combattere ben prima di iniziare a incanalare. Alzò un pugno. «Non pensarci nemmeno.» Il Reietto si fermò ondeggiando debolmente. Il viso era incavato eppure attraversato dalla disperazione e dal desiderio, negli occhi brillavano l’odio e la paura.
«Mi piace vedere gli uomini che combattono, ma voi due non vi reggete nemmeno in piedi.» Lanfear entrò nella visuale di Rand osservando la devastazione. «Hai fatto un bel capolavoro. Riesci a sentirne le tracce? Questo posto era schermato, in qualche modo. Non mi hai lasciato abbastanza residui per capire come.» Gli occhi scuri divennero improvvisamente brillanti e si inginocchiò davanti a Rand osservando l’oggetto che stringeva in mano. «Ecco cos’era che stava cercando. Credevo fossero stati tutti distrutti. Di quello che ho visto ne rimane solo la metà. Una bella trappola per qualche Aes Sedai imprudente.» Lanfear protese una mano e Rand strinse più forte il ter’angreal. Il sorriso della donna non le toccava il viso. «Tienilo pure, per me non è altro che una statuina.» Sollevandosi si spazzolò l’abito bianco anche se non ce n’era bisogno. Quando si accorse che Rand la stava guardando smise di indagare la piazza cosparsa di detriti e rese il sorriso più radioso. «Quello che hai usato era uno dei due sa’angreal di cui ti ho parlato. Ne hai percepito l’immensità? Mi sono sempre chiesta come dev’essere.» Sembrava inconsapevole della brama che le tingeva la voce. «Con i due insieme possiamo prendere il posto del Sommo Signore delle Tenebre in persona. Possiamo, Lews Therin! Insieme.»
«Aiutami!» Asmodean strisciò verso di lei infermo, con il viso colmo di terrore. «Non sai cos’ha fatto. Devi aiutarmi. Non sarei mai venuto qui se non fosse stato per te.»
«Cos’ha fatto?» tirò su con il naso. «Ti ha battuto come un cane e nemmeno per la meta di quanto meriti. Non sei mai stato destinato alla grandezza, Asmodean, ma solo a seguire i grandi.»
Rand riuscì ad alzarsi, sempre stringendo la statuina di pietra e cristallo vicino al petto. Non avrebbe continuato a muoversi carponi in presenza di Lanfear. «Voi Prescelti» — sapeva che prenderla in giro era pericoloso, ma non poteva trattenersi — «avete offerto la vostra anima al Tenebroso. Avete permesso voi stessi che vi si attaccasse.» Quante volte aveva ripensato alla battaglia con Ba’alzamon? Quante volte prima che avesse incominciato a sospettare cosa fossero quei fili neri? «Ho reciso il suo collegamento con il Tenebroso, Lanfear. L’ho tagliato fuori!»
Lanfear sgranò gli occhi stupita, guardando da lui ad Asmodean. L’uomo aveva incominciato a piangere. «Non credevo che fosse possibile. Perché? Credi di poterlo condurre alla Luce? Non hai cambiato nulla in lui.»
«È sempre lo stesso uomo che si è offerto all’Ombra» concordò Rand. «Mi hai raccontato di quanto poco voi Prescelti vi fidate l’uno dell’altro. Per quanto tempo avrebbe mantenuto il segreto? Quanti di voi crederebbero che non lo ha fatto da solo? Sono contento che ritenessi fosse impossibile, forse anche gli altri la pensano allo stesso modo. Sei stata tu a darmi l’idea, Lanfear. Un uomo che mi insegni come controllare il Potere. Ma non lascerò che a darmi lezioni sia un uomo collegato al Tenebroso. Adesso si può fare. Lui forse è lo stesso uomo, ma non ha molta scelta, vero? Può rimanere e insegnarmi qualcosa e sperare che io vinca, aiutarmi a vincere, o può sperare che voi non prendiate questo fatto come una scusa per rivoltarvi contro di lui. Quale credi che sceglierà?»
Asmodean fissò Rand con occhi selvaggi dalla posizione accovacciata, quindi protese una mano implorante verso Lanfear. «A te crederanno! Tu puoi raccontare tutto! Non sarei qui se non fosse per te! Devi dirglielo! Io sono fedele al Sommo signore dell’Oscurità!»
Adesso anche Lanfear fissava Rand. Per la prima volta da quando l’aveva incontrata sembrava incerta. «Quanto ricordi, Lews Therin? Quanta parte di quest’uomo sei tu e quanta il pastore? Questo è il tipo di piano che avresti concepito quando noi...» Sospirando profondamente rivolse il capo verso Asmodean. «Sì, mi crederanno. Quando dirò loro che sei andato da Lews Therin. Tutti sanno che ti recheresti dove ritieni di avere le migliori opportunità. Ecco.» Annuì soddisfatta. «Un altro piccolo regalo per te, Lews Therin. Quello schermo permetterà solo l’uscita di un piccolo flusso, abbastanza affinché possa insegnarti. Con il tempo si consumerà, ma non sarà in grado di sfidarti per mesi e allora non avrà scelta se non rimanere con te. Non è mai stato bravo a spezzare uno schermo, devi essere disposto ad accettare il dolore e lui non ha mai potuto.»
«NOOOOOO!» Asmodean strisciò verso di lei. «Non puoi farmi questo! Ti prego, Mierin! Ti prego!»
«Mi chiamo Lanfear!» La rabbia le deformò il bel viso fino alla bruttezza e l’uomo venne sollevato in aria a braccia aperte, gli abiti schiacciati contro il corpo e la pelle del viso distorta, come burro spalmato su una roccia. Rand non poteva permetterle di ucciderlo, ma era troppo stanco per toccare la Vera Fonte senza aiuto, riusciva appena a percepirla, un vago bagliore fuori della visuale.
Per un istante aumentò la presa sull’uomo di pietra con in mano la sfera di cristallo. Se avesse provato a raggiungere l’enorme sa’angreal a Cairhien in quel momento, quel Potere avrebbe potuto distruggerlo. Invece si protese verso la statuina dietro la fusciacca, con l’angreal sarebbe stato un flusso debole, un rivolo sottile come un capello in confronto all’altro, ma era troppo stanco per fare di più. Lo scagliò contro i due Reietti nella speranza quantomeno di distrarre Lanfear.
Una barra di fuoco bianco alta tre metri passò fra i due in un’immagine indistinta circondata da fulmini azzurri che si inarcavano, scavando un solco attraverso la piazza, una fenditura levigata che luccicava di terra e rocce fuse, fino a colpire la parete di un palazzo striato di verde ed esplodere, il boato sopraffatto dal rombo del marmo che crollava. Da un lato della fenditura fusa Asmodean cadde al suolo in un mucchio tremante, con il sangue che gli colava dal naso e da un orecchio. Dall’altro Lanfear arretrò come se fosse stata colpita e si voltò verso Rand, il quale ondeggiava per lo sforzo e perse nuovamente il contatto con saidin.
Per un momento la rabbia ingolfò il viso della Reietta con la stessa intensità dello sguardo che aveva rivolto ad Asmodean. In quel lasso di tempo Rand rimase al limite della morte, poi la furia svanì sorprendentemente di colpo, seppellita dietro un sorriso seducente. «No, non devo ucciderlo. Non dopo tutti questi sforzi.» Avvicinandosi a Rand, si protese per carezzargli il collo dove il morso che gli aveva dato in sogno stava guarendo; Rand non lo aveva detto a Moiraine. «Hai ancora il mio marchio. Vuoi che lo renda permanente?»
«Hai fatto del male a qualcuno ad Alcair Dal o nei campi?»
Lanfear non smise mai di sorridere ma la carezza cambiò. Le dita erano pronte a squarciargli la gola. «Come chi? Credevo che ti fossi reso conto di non amare quella contadina, o forse ti riferisci alla bella Aiel?» Una vipera. Una vipera mortale lo amava — che la Luce mi aiuti! — e non sapeva come fermarla se decideva di mordere, che si trattasse di lui o di qualcun altro.
«Voglio che non venga fatto del male a nessuno. Ho ancora bisogno di loro. Posso usarli.» Dire una cosa simile era doloroso, doloroso per la quantità di verità che conteneva. Ma se serviva per tenere le zanne di Lanfear lontano da Egwene, Moiraine, Aviendha e chiunque altro fosse vicino a lui, allora valeva la pena soffrire un po’. Reclinando indietro la bellissima testa, la donna rise. «Ricordo quando eri troppo debole per usare chiunque. Subdolo in battaglia, duro come la pietra e arrogante come le montagne, ma sincero e debole come una ragazzina! No, non ho fatto del male a nessuna delle tue preziose Aes Sedai o dei tuoi preziosi Aiel. Non uccido senza motivo, Lews Therin. Non faccio nemmeno del male senza motivo.» Rand stava intenzionalmente evitando di guardare Asmodean che, pallido e respirando a fatica, si era messo in ginocchio mentre con una mano si detergeva il sangue dalla bocca e dal mento.
Voltandosi lentamente Lanfear osservò la grande piazza. «Hai distrutto questa città come avrebbe potuto fare un esercito.» Ma non erano i luoghi in rovina che la donna guardava, anche se faceva finta. Era la piazza squarciata cosparsa di frammenti di ter’angreal e chi sa cos’altro. Quando tornò su Rand aveva le labbra serrate e negli occhi una scintilla di rabbia repressa. «Fai buon uso dei suoi insegnamenti, Lews Therin. Gli altri sono ancora là fuori, Sammael con la sua invidia nei tuoi confronti, Demandred con il suo odio, Rahvin con la sua sete di potere. Saranno molto impazienti di distruggerti, ancor più se — quando — scopriranno che hai quello.»
Lo sguardo di Lanfear lampeggiò sulla statuetta di trenta centimetri che Rand aveva in mano e per un istante ebbe l’impressione che Lanfear stesse considerando l’idea di prenderla. Non per evitare che gli altri gli stessero addosso, ma perché con quella lui poteva essere troppo potente per lei. In quel momento Rand non era certo che sarebbe riuscito a fermarla se avesse usato qualcosa di diverso dalle mani. Un momento prima la donna stava decidendo se lasciargli o meno il ter’angreal, il successivo stava valutando la sua stanchezza. Per quanto parlasse di amarlo voleva trovarsi lontano da lui per quando sarebbe stato in grado di usare quell’oggetto. La donna rivolse un’ulteriore occhiata alla piazza umettandosi le labbra, quindi una porta si aprì di colpo accanto a lei, non una porta che immetteva nell’oscurità ma in quella che sembrava la camera di un palazzo, tutta decorata di marmi intagliati e drappi di seta.
«Chi eri tu?» chiese mentre la donna si incamminava. Lanfear si fermò guardandolo da sopra una spalla con un sorriso quasi civettuolo. «Credi che potrei sopportare di essere la grassa e brutta Keille?» Fece scorrere le mani sulle forme snelle del corpo per enfatizzare la risposta. «Isendre. La magra, bella Isendre. Credevo che se avessi sospettato, sarebbe stato di lei. Sono abbastanza orgogliosa da poter sopportare un po’ di grasso, quando devo.» Il sorriso divenne un ghigno. «Isendre credeva di avere a che fare con dei semplici Amici delle Tenebre. Non sarei sorpresa se in questo momento stesse cercando di spiegare angosciata a qualche donna aiel furiosa perché una gran quantità dei suoi monili d’oro si trova in fondo alla sua cassa. In realtà ne ha davvero rubati una parte.»
«Credevo avessi detto di non aver fatto del male a nessuno!»
«Adesso mostri il tuo cuore debole. Quando voglio, anch’io posso mostrare il cuore tenero di una donna. Non potrai evitare che venga frustata. Credo — se lo merita per quegli sguardi che mi ha rivolto — che se torni velocemente potresti evitare che la mandino via a piedi con una sola borraccia d’acqua per uscire da questa terra arida. Questi Aiel sembrano essere abbastanza severi con i ladri.» Rise divertita scuotendo la testa meravigliata. «Così diversi da quel che erano. Potevi schiaffeggiare un Da’shain e tutto quello che avrebbe fatto sarebbe stato chiederne il motivo. Un altro schiaffo, e avrebbe chiesto se ti aveva offeso. Non avrebbe cambiato se avessi continuato a schiaffeggiarlo per tutto il giorno.» Guardando Asmodean con disprezzo, aggiunse: «Impara bene e rapidamente, Lews Therin. Voglio che governiamo insieme, non voglio guardare Sammael che ti uccide o Graendal che ti aggiunge alla sua collezione di bei giovanotti. Impara bene e velocemente.» Quindi entrò nella stanza di marmo bianco e seta e la porta sembrò girarsi di lato, stringersi e poi svanire.
Rand respirò profondamente per la prima volta da quando la donna era apparsa. Mierin. Un nome ricordato dalle colonne di vetro. La donna che aveva trovato la prigione del Tenebroso durante l’Epoca Leggendaria, quella che l’aveva bucata. Allora sapeva di cosa si trattava? Come era sfuggita a quel destino di fiamme che aveva visto? Si era votata al Tenebroso fin da allora?
Asmodean si stava alzando a fatica, instabile e sull’orlo di cadere ancora. Ora non sanguinava più, a parte un rivolo che colava da un orecchio fin sul lato del collo e una macchia sulla bocca e sul mento. La giubba rossa e sporca era stracciata, i merletti bianchi strappati e rovinati. «Era il legame con il Sommo signore che mi permetteva di toccare saidin senza impazzire» osservò rauco. «Tutto quello che hai ottenuto è rendermi vulnerabile come te. Potresti anche lasciarmi andare. Non sono un buon insegnante. Mi ha scelto solo perché...» Strinse le labbra cercando di rimangiarsi quanto aveva detto.
«Perché non c’è nessun altro» concluse per lui Rand voltandosi.
Zoppicando Rand attraversò la grande piazza, camminando fra le macerie. Lui e Asmodean si erano scagliati in mezzo alla foresta di colonne di vetro a metà strada dall’Avendesora. I plinti di cristallo erano reclinati contro le statue crollate di uomini e donne, alcune ridotte in pezzi, altre nemmeno scalfite. Un grande anello piatto di metallo argentato si era capovolto su altri pezzi dello stesso materiale e di pietra, strane sagome che parevano di ferro, vetro e cristallo, tutte mischiate in un mucchio di residui, un’asta nera anch’essa di metallo che sembrava il manico di una lancia era verticale in equilibrio instabile in cima al mucchio. Tutta la piazza aveva quell’aspetto.
Lontano dall’albero e cercando un po’, Rand trovò quello che voleva. Scalciando via quelli che sembravano frammenti di vetro di un tubo a spirale, raccolse la scultura di una sedia di cristallo e una statuina lunga trenta centimetri che rappresentava una donna vestita con un’espressione serena, scolpita nella pietra bianca con in mano un sfera. Questa era intatta. Inutile per lui e per qualsiasi uomo, come lo era stata la gemella maschile per Lanfear. Prese in considerazione l’idea di romperla. Certamente scagliandola al suolo l’avrebbe frantumata.
«Lanfear stava cercando questa.» Non si era accorto che Asmodean lo aveva seguito. Ondeggiando l’uomo si toccò la bocca insanguinata.
«Ti strapperà il cuore per mettervi sopra le mani.»
«O il tuo per avergliela tenuta nascosta. Mi ama.» Luce, aiutami, sono amato da un lupo rabbioso! pensò. Dopo un momento si mise la statuetta femminile nell’incavo del braccio insieme a quella maschile. Forse potevano essere utilizzate. E non voglio distruggere altro, pensò.
Eppure mentre si guardava attorno vide qualcos’altro oltre la distruzione. La nebbia era quasi scomparsa dalla città in rovina, solo alcuni banchi sottili vagavano fra gli edifici rimasti in piedi, mentre il sole tramontava. Il suolo della valle adesso pendeva decisamente verso sud e l’acqua sgorgava dalla grande fenditura che attraversava la città, scendendo fino a quell’oceano nascosto d’acqua. La parte inferiore della valle si stava già riempiendo. Un lago. Forse arriverà vicino alla città, un lago lungo circa cinque chilometri in una terra dove una pozza di tre metri attirava la folla. La gente sarebbe venuta a vivere in questa valle. Poteva quasi vedere già le montagne circostanti terrazzate con campi di verdure che crescevano rigogliose. Avrebbero accudito Avendesora, l’ultimo albero di chora. Forse avrebbero anche ricostruito il Rhuidean. Nel deserto sarebbe sorta una città. Forse sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo per vederla.
Con l’angreal, il piccolo uomo grasso con la spada, era in grado di aprire la porta nell’oscurità. Asmodean vi entrò riluttante insieme a lui, sogghignando quando davanti a lui apparve un gradino di pietra, largo giusto per loro due. Sempre lo stesso uomo che si era votato al Tenebroso. Le sue occhiate oblique e calcolatrici erano abbastanza per rammentarglielo, se mai Rand ne avesse avuto bisogno.
Parlarono solo due volte mentre il gradino si librava nell’oscurità.
Una volta Rand disse: «Non posso chiamarti Asmodean.»
L’uomo fu scosso da brividi. «Mi chiamavo Joar Addam Nesossin» rispose alla fine. Sembrava la voce di qualcuno che si era spogliato completamente, che avesse perso qualcosa.
«Non posso usare nemmeno quello. Chissà se quel nome è riportato da qualche parte? L’idea sarebbe di evitare che qualcuno ti uccida in quanto Reietto.» E che qualcuno scoprisse che aveva un Reietto come insegnante. «Dovrai proseguire come Jasin Natael, immagino. Un menestrello che segue il Drago Rinato. Una buona scusa per tenerti vicino.» Natael fece una smorfia ma non replicò.
Un po’ più tardi Rand disse: «La prima cosa che mi spiegherai è come schermare i miei sogni.» L’uomo annuì imbronciato. Avrebbe creato dei problemi, ma non potevano essere peggiori di quelli causati dalla sua ignoranza.
Il gradino rallentò e si fermò. La porta si aprì sulla sporgenza di Alcair Dal.
Aveva smesso di piovere ma il suolo coperto dalle ombre serali della gola era ancora intriso di acqua e sotto ai piedi degli Aiel si vedeva una grande distesa di fango. Forse meno Aiel di prima, un quarto o anche meno. Ma non lottavano. Fissavano la sporgenza dove Moiraine, Egwene, Aviendha e le Sapienti si erano unite ai capiclan, che stavano in piedi a parlare con Lan. Mat era accovacciato poco lontano da loro, le falde del cappello abbassate e la lancia dal manico nero appoggiata in spalla, circondato da Adelin e le Fanciulle. Rimasero a bocca aperta mentre Rand appariva attraverso la porta e lo fissarono anche di più quando apparve Natael alle sue spalle, con la giubba rossa rovinata e i merletti bianchi strappati. Mat balzò in piedi sorridendo e Aviendha quasi sollevò una mano verso di lui. Gli Aiel nella gola osservavano in silenzio.
Prima che chiunque potesse parlare, Rand disse: «Adelin, manderesti qualcuno fuori nella fiera a chiedere di smettere di frustare Isendre? Non è una gran ladra come credono.» La donna bionda sembrava stupita, ma parlò immediatamente con una delle Fanciulle che scattò.
«Come fai a saperlo?» esclamò Egwene nello stesso momento in cui Moiraine chiedeva: «Dove sei stato? Come?» I gradi occhi scuri andavano da lui a Natael, la calma delle Aes Sedai per una volta assente. E le Sapienti...? Melaine dai capelli colore del sole sembrava pronta a estorcere le risposte a Rand a mani nude. Bair aveva un’espressione come se volesse estirparle a frustate. Amys si sistemò lo scialle e si passò le dita fra i capelli chiari, incapace di decidere se fosse preoccupata o sollevata.
Adelin gli passò la giubba ancora umida. Rand l’avvolse attorno alle due statuine di pietra. Moiraine stava soppesando anche quelle. Non sapeva se lei ne sapesse qualcosa, ma intendeva nasconderle il meglio possibile a chiunque. Se non riusciva a fidarsi di se stesso con il potere di Callandor, quanto poco sarebbe stato affidabile con il grande sa’angreal? Non finché non avesse imparato di più su come controllare gli oggetti e se stesso.
«Cos’è successo qui?» chiese, e l’Aes Sedai serrò le labbra per essere stata ignorata. Egwene non sembrava molto più soddisfatta.
«Gli Shaido sono andati via con Sevanna e Couladin» rispose Rhuarc. «Tutti quelli che sono rimasti ti riconoscono come Car’a’carn.»
«Gli Shaido non sono stati i soli ad andarsene» aggiunse Han, il viso raggrinzito e amareggiato. «Anche alcuni dei miei Tomanelle, come alcuni Goshien, Shaarad e Chareen.» Jheran ed Erim annuirono con la stessa espressione amareggiata di Han.
«Non con gli Shaido,» mormorò l’alto Bael «ma sono andati via. Racconteranno ciò che è accaduto qui, ciò che hai rivelato. È stato brutto. Ho visto uomini gettare le lance e fuggire.»
Vi legherà e distruggerà.
«Nessun Taardad è andato via» aggiunse Rhuarc, non orgogliosamente ma solo come un dato di fatto. «Siamo pronti ad andare ovunque ci guiderai.»
Dove li guiderò. Non era finita con gli Shaido, con Couladin o Sevanna. Osservando gli Aiel nella gola poteva vedere i visi sconvolti, anche se avevano scelto di rimanere. Come erano quelli delle persone che avevano deciso di andare via? Eppure gli Aiel erano solo un mezzo per raggiungere un fine. Doveva ricordarselo. Devo essere anche più duro di loro, si disse.
Jeade’en aspettava accanto alla sporgenza insieme al castrone di Mat.
Facendo cenno a Natael di rimanergli vicino, Rand montò in sella con il fagotto al sicuro sottobraccio. La bocca distorta in una smorfia, quello che una volta era un Reietto si mise vicino alla staffa. Adelin e le Fanciulle rimanenti balzarono giù per disporsi in formazione attorno a loro e, sorprendentemente, Aviendha scese per piazzarsi al suo solito posto a destra di Rand. Mat balzò in sella a Pips.
Rand si voltò a guardare la gente sulla sporgenza, tutti che a loro volta lo guardavano e aspettavano. «Quello del ritorno sarà un cammino lungo.» Bael si voltò altrove. «Lungo e sanguinoso.» Le espressioni degli Aiel non cambiarono. Egwene aveva quasi proteso una mano verso di lui con gli occhi addolorati, ma Rand la ignorò. «Quando giungeranno tutti gli altri capiclan, avrà inizio.»
«È iniziato molto tempo fa» intervenne con calma Rhuarc. «La domanda è dove e come finirà.»
A quella osservazione Rand non aveva risposta. Facendo voltare il cavallo pezzato cavalcò lentamente attraverso la gola, circondato dalla insolita scorta. Gli Aiel aprirono un varco di fronte a lui, fissandolo e aspettando. Il freddo della notte stava già scendendo.
E quando il sangue fu versato sul terreno dove nulla poteva crescere, i Figli del Drago si sollevarono, il Popolo del Drago, armato per danzare con la morte. Lui li ha chiamati a farsi avanti dalle terre deserte e loro hanno fatto tremare il mondo con la battaglia.