Perrin scosse il capo non appena la porta si chiuse alle spalle di Mat. L’amico avrebbe preferito colpirsi in testa con un martello piuttosto che ritornare nei Fiumi Gemelli. A meno che non dovesse. Anche Perrin desiderava che ci fosse un modo di evitare di ritornare a casa, ma non c’era sistema; era un fatto duro come il ferro e meno clemente. La differenza fra lui e Mat era che Perrin accettava i fatti, anche quando non voleva.
Slacciarsi la camicia lo fece gemere, anche se stava prestando attenzione. Un grosso livido, già tendente al marrone e al giallo, gli ricopriva l’intera spalla sinistra. Un Trolloc si era intrufolato oltre la sua ascia, e solo l’intervento rapido di Faile con un pugnale aveva fatto in modo che non fosse altro. Le condizioni della spalla rendevano l’atto di lavarsi doloroso, ma almeno a Tear non doveva preoccuparsi dell’acqua fredda.
Aveva fatto tutti i bagagli ed era pronto, lasciando fuori dalle bisacce solo un cambio d’abiti per il mattino. Non appena il sole fosse sorto, sarebbe andato a cercare Loial. Non serviva disturbare l’Ogier stanotte. Probabilmente stava già a letto, dove anche Perrin intendeva trovarsi a breve. Faile era il solo problema che non aveva saputo come risolvere. Anche restare a Tear sarebbe stato meglio che andare con lui.
La porta si aprì, sorprendendolo. Il profumo si diffuse verso di lui immediatamente; gli fece pensare ai fiori rampicanti in una notte estiva. Un profumo stuzzicante, non troppo forte per chiunque tranne lui, ma nulla che Faile avrebbe indossato. Eppure fu anche più sorpreso quando Berelain entrò nella sua stanza.
La donna sulla soglia batté le palpebre, facendogli capire quanto la luce fosse tenue ai suoi occhi. «Stai andando da qualche parte?» osservò esitante. Con la luce delle lampade del corridoio dietro di lei, era difficile non fissarla.
«Sì, mia signora.» Si inchinò; non troppo agevolmente, ma meglio che poteva. Faile poteva tirare su con il naso quanto voleva, ma lui non vedeva alcuna ragione per non essere educato. «Domattina.»
«Anche io.» Chiuse la porta e incrociò le mani sotto al petto. Perrin distolse lo sguardo, guardandola con la coda dell’occhio, in modo che la donna non pensasse che stesse facendole gli occhi dolci. La Prima proseguì senza notare le sue reazioni. La fiamma dell’unica candela si rifletteva negli occhi scuri della donna. «Dopo stanotte... domani andrò via con la carrozza passando da Godan e da lì mi imbarcherò su una nave per Mayene. Avrei dovuto partire, ma pensavo che ci fosse qualche modo per sistemare la faccenda. Solo che naturalmente non c’era. Avrei dovuto capirlo prima. Stanotte mi ha convinta. Il modo in cui lui... Tutti quei fulmini che scendevano giù nei corridoi. Me ne andrò domattina.»
«Mia signora» rispose Perrin confuso «perché me lo stai dicendo?»
Il modo il cui la donna reclinò il capo all’indietro gli ricordò una giumenta che aveva ferrato a volte a Emond’s Field; quella giumenta avrebbe morso alla prima occasione. «Affinché tu possa dirlo al lord Drago, naturalmente.»
Per Perrin non aveva alcun senso. «Puoi dirglielo da sola» osservò esasperato. «Non ho tempo di riferire messaggi prima di andare via.»
«Non... credo che voglia vedermi.»
Qualsiasi uomo avrebbe voluto vederla, era bellissima; Berelain sapeva entrambe le cose. Perrin pensò che avesse iniziato a dire qualcos’altro. Poteva essere così spaventata dai fatti accaduti quella notte nella camera da letto di Rand? O dall’attacco e dal modo in cui Rand gli aveva posto fine? Forse, ma quella non era una donna che si spaventava facilmente, non a giudicare dal modo freddo in cui lo guardava. «Dai il messaggio a una cameriera. Dubito che vedrò Rand prima di partire. Qualsiasi inserviente gli porterà un messaggio.»
«Sarebbe meglio se provenisse da te, un amico del lord...»
«Dallo a un servitore. O a uno degli Aiel.»
«Non farai come ti chiedo?» ribatté la donna incredula.
«No. Non sei stata a sentirmi?»
La donna lanciò nuovamente la testa indietro, ma stavolta c’era una differenza, anche se non avrebbe saputo vedere quale. Studiandolo pensierosa, mormorò quasi a se stessa: «Occhi così particolari. Colpiscono.»
«Cosa?» di colpo sì era reso conto che se ne stava lì in piedi nudo sino alla cintola. L’intenso scrutare della donna all’improvviso sembrò come l’esame su un cavallo prima dell’acquisto. Tra poco sarebbe stato afferrato alle caviglie e ispezionato in bocca. Afferrò dal letto la camicia che intendeva indossare la mattina e se la infilò sopra la testa. «Dai il tuo messaggio a un servitore. Adesso voglio andare a letto. Voglio alzarmi presto domani. Prima dell’alba.»
«Dove andrai domani?»
«A casa. Nei Fiumi Gemelli. È tardi. Se anche tu vai via domani, immagino che voglia dormire un po’. Sono stanco.» Sbadigliò il più ampiamente possibile.
La donna ancora non fece cenno di muoversi verso la porta. «Sei un fabbro? Ho bisogno di un fabbro a Mayene. Che faccia lavori di ferro ornamentali. Una breve permanenza prima di fare ritorno ai Fiumi Gemelli? Troveresti Mayene... una bella distrazione.»
«Sto andando a casa» le rispose con fermezza «e tu indietro nelle tue stanze.»
La lieve alzata di spalle della donna lo fece guardare velocemente da un’altra parte. «Forse un altro giorno. Alla fine ottengo sempre ciò che voglio. E penso di volere...» fece una pausa, guardandolo dall’alto in basso, «... lavori ornamentali in ferro. Per la finestra della mia camera da letto.» La donna sorrise con tale innocenza che Perrin sentì un gong suonargli nella testa.
La porta si aprì di nuovo e Faile entrò. «Perrin, sono andata in città a cercarti e ho sentito una voce...» Si immobilizzò, gli occhi fissi su Berelain.
La Prima la ignorò. Avvicinandosi a Perrin, fece scorrere una mano sul braccio e dietro le spalle. Per un istante Perrin pensò che avrebbe cercato di tirargli giù la testa per baciarlo — lei di certo aveva alzato la sua per riceverne uno — ma si limitò a far scorrere la mano sul lato del collo con una carezza rapida e si fece indietro. Tutto prima che Perrin riuscisse a fermarla. «Ricordati» osservò la donna con calma, come se fossero soli, «ottengo sempre quello che voglio.» Detto ciò oltrepassò Faile e uscì dalla stanza.
Perrin si aspettava un’esplosione da parte di Faile, lei invece osservò le bisacce piene sul letto e disse: «Vedo che hai già sentito la voce. Si tratta solamente di una voce, Perrin.»
«Il particolare degli occhi gialli fa sì che sia qualcosa in più.» Faile sarebbe dovuta esplodere come un fascio di ramoscelli lanciati sul fuoco. Perché era così fredda?
«Molto bene. Moiraine è il prossimo problema, allora. Proverà a fermarti?»
«No, se non viene a saperlo. E anche se ci prova, andrò in ogni caso. Ho famiglia e amici, Faile; non li lascerò nelle mani dei Manti Bianchi. Ma spero di tenere l’informazione lontano da Moiraine fino a quando sarò ben fuori dalla città.» Anche gli occhi erano calmi, come pozze scure nella foresta. Gli fecero rizzare i capelli dietro la nuca.
«Quella voce ha impiegato settimane a raggiungere Tear, e tu impiegheresti altre settimane per raggiungere i Fiumi Gemelli. A quel punto i Manti Bianchi potrebbero essere andati via. Be’, ho sempre voluto che tu andassi via da qui, non dovrei lamentarmi. Voglio solo che sappia cosa aspettarti.»
«Non ci vorranno settimane usando le Vie» rispose Perrin. «Due giorni, forse tre.» Due giorni. Supponeva che non vi fosse altro modo di farlo più velocemente.
«Sei pazzo come Rand al’Thor» osservò incredula. Sedendosi da piedi al letto incrociò le gambe e si rivolse a Perrin con una voce adatta a dare lezioni ai bambini. «Vai nelle Vie, e ne uscirai irrimediabilmente pazzo. Se ne esci, ed è più probabile che tu non ne esca. Le Vie sono contaminate, Perrin. Sono state scure per... quanto? Trecento anni? Quattrocento? Chiedi a Loial. Furono gli Ogier a costruire le Vie, a farle crescere, o qualunque cosa fosse. Nemmeno loro le usano. E poi, anche se tu riuscissi ad attraversarle incolume, solo la Luce sa dove sbucheresti.»
«Ho già viaggiato nelle Vie, Faile.» Ed era stato un viaggio spaventoso. «Loial può guidarmi. Può leggere le guide, così ci siamo mossi in precedenza. Lo farà nuovamente per me quando saprà quanto è importante.» Anche Loial era impaziente di andare via da Tear; sembrava temere che la madre sapesse dove si trovava. Perrin era certo che lo avrebbe aiutato.
«Be’» osservò Faile strofinandosi le mani vivacemente. «Bene. Volevo l’avventura e questa certamente lo è. Lasciare la Pietra di Tear e il Drago Rinato, viaggiare nelle Vie per combattere i Manti Bianchi. Mi chiedo se potremmo riuscire a persuadere Thom Merrilin a venire con noi. Se non possiamo avere un bardo, un menestrello andrà altrettanto bene. Potrebbe comporre una storia, con te e me protagonisti. Nessun Drago Rinato o Aes Sedai in giro a prendersi il merito. Quando dobbiamo andare via? In mattinata?»
Perrin fece un respiro profondo per normalizzare la voce. «Andrò da solo, Faile, solo Loial e io.»
«Avremo bisogno di un cavallo da soma» aggiunse Faile come se Perrin non avesse parlato affatto. «Due, credo. Le Vie sono scure. Avremo bisogno di lanterne e molto olio. La tua gente dei Fiumi Gemelli. Contadini? Combatteranno contro i Manti Bianchi?»
«Faile, ho detto...»
«Ho sentito cosa hai detto» scattò la donna. L’ombra le dava un aspetto pericoloso, con gli occhi a mandorla e gli zigomi alti. «Ho sentito, e non ha senso. Cosa farai se i contadini non combatteranno? O se non sanno come fare, chi li addestrerà? Tu? Da solo?»
«Farò ciò che va fatto» spiegò pazientemente. «Senza di te.»
Faile balzò in piedi così velocemente che Perrin credette che si stesse avventando contro la sua gola. «Pensi che Berelain verrà con te? Ti guarderà le spalle? O forse preferisci che ti sieda in grembo e faccia dei gridolini? Mettiti a posto la camicia, goffo bue peloso! Deve proprio essere così scuro qua dentro? A Berelain piace la luce tenue, vero? Il suo aiuto ti servirà a molto contro i Figli della Luce!»
Perrin aprì la bocca per protestare, e cambiò ciò che stava per dire. «Berelain sembra un carico piacevole. Quale uomo non la vorrebbe in grembo?» Il dolore sul viso di Faile fu come un colpo infertogli allo stomaco con una barra di ferro, ma si costrinse a proseguire. «Quando avrò finito a casa potrei andare a Mayene. Me lo ha chiesto e potrei accettare.»
Faile non disse una parola. Lo fissò con il viso impietrito, quindi girò su se stessa e corse via, sbattendosi la porta alle spalle.
Malgrado le sue intenzioni Perrin incominciò a inseguirla, quindi si fermò con le mani che stringevano forte lo stipite della porta fino a quando non gli fecero male le dita. Fissando lo spacco pieno di schegge che aveva fatto nella porta con l’ascia, si ritrovò a dire ciò che non aveva potuto dichiarare a Faile. «Ho ucciso alcuni Manti Bianchi, mi avrebbero ucciso se non lo avessi fatto io, ma ancora lo chiamano omicidio; sto andando a casa a morire, Faile. È il solo modo in cui posso impedire che facciano male alla mia gente. Lasciare che mi impicchino. Non posso permetterti di vedere una cosa simile. No, non posso. Potresti provare a fermarli, e loro ti...»
La testa di Perrin cadde contro la porta. Faile non sarebbe stata dispiaciuta di non vederlo più, ora; questo era importante adesso. Sarebbe andata a cercarsi un’avventura altrove, in salvo dai Manti Bianchi, dai ta’veren e dalle bolle di male. Questo era tutto ciò che c’era di importante.
Desiderava non aver voglia di ululare di dolore.
Faile si aggirava a lunghi passi per il corridoio, prossima alla corsa, ignara di chi oltrepassava o di chi urtava per proseguire nel suo cammino. Perrin. Berelain. Perrin. Berelain. Voleva una femminuccia bisbetica che se ne andava in giro mezza nuda, vero? Perrin non sapeva cosa voleva. Bue peloso! Buffone testa di legno! Fabbro! E quella scrofa strisciante. Berelain. Quella pecora rampante! pensava Faile.
Non si rese conto di dove stava recandosi fino a quando non vide Berelain davanti a sé che scivolava in quel vestito che non lasciava nulla all’immaginazione, ondeggiando come se quella sua andatura non fosse deliberatamente calcolata per far saltare gli occhi fuori dalle orbite a tutti. Prima che Faile si rendesse conto di cosa stava facendo, era sfrecciata davanti a Berelain per fronteggiarla dove si incontravano i due corridoi.
«Perrin Aybara mi appartiene» scattò. «Tieni le mani e i sorrisi lontano da lui!» Arrossì fino all’attaccatura dei capelli quando sentì cosa aveva detto. Si era ripromessa che non avrebbe mai fatto una cosa simile, mai litigare per un uomo come una contadina che si rotolava nella terra durante il raccolto.
Berelain inarcò un sopracciglio. «Ti appartiene? Strano, non gli ho visto nessun collare addosso. Voi cameriere — o sei la figlia di una contadina? — avete le idee più strane.»
«Servitrice? Servitrice! Io sono...» Faile si morse la lingua per bloccare le parole furiose. La Prima di Mayene! In Saldea c’erano residenze più grandi di Mayene. Non sarebbe durata una settimana nelle corti della Saldea. Poteva recitare le poesie mentre andava a caccia con i falchi? Poteva correre durante una battuta di caccia per tutto il giorno, quindi suonare il tarabuso durante la notte mentre discuteva su come controllare un’incursione dei Trolloc? Pensava di conoscere gli uomini, vero? Conosceva il linguaggio dei ventagli? Poteva dire a un uomo di venire, andare o restare, e centinaia di altre cose, solo con la flessione di un polso o la posizione di un ventaglio di merletto? Luce risplendi su di me, cosa sto pensando? Ho giurato che non avrei mai più preso un ventaglio in mano, pensò.
E c’erano anche altre usanze in Saldea. Faile fu sorpresa di vedersi il pugnale fra le mani: le era stato insegnato a non estrarre il pugnale a meno che non intendesse usarlo. «Le contadine della Saldea hanno un sistema per occuparsi delle donne che ‘sconfinano’ sugli uomini delle altre. Se non giuri di dimenticarti di Perrin Aybara, ti raderò la testa fino a pelarti come un uovo. Forse i ragazzi che governano le galline ti staranno appresso, allora!»
Faile non sapeva come aveva fatto Berelain ad afferrarle il polso, ma di colpo stava volando in aria. L’impatto della schiena al suolo le tolse tutta l’aria dai polmoni.
Berelain rimase in piedi sorridendo, tamburellando la lama del pugnale di Faile sul palmo della mano. «Un’usanza di Mayene. I Tarenesi amano usare gli assassini, e le guardie non possono sempre essere a portata di mano. Non mi piace essere attaccata, contadina, per cui questo è ciò che farò. Ti toglierò il fabbro e me lo terrò come animale domestico fino a quando mi divertirà. Su questo presto giuramento ogier, contadina. Il fabbro è veramente affascinante — quelle spalle, quelle braccia, per non menzionare quei suoi occhi — e se è un po’ ignorante, posso rimediare. I miei cortigiani possono insegnargli come vestirsi e liberarlo di quella terribile barba. Ovunque vada, lo troverò e lo farò mio. Potrai averlo quando avrò finito con lui. Se ancora ti vorrà, naturalmente.»
Riuscendo finalmente a respirare, Faile si alzò in piedi, estraendo un secondo pugnale. «Ti trascinerò da lui, dopo averti strappato di dosso quella specie di vestito, e ti costringerò a dirgli che non sei altro che una scrofa!» Luce aiutami! Mi sto comportando come una contadina, e parlo anche come una di loro! pensò. La parte peggiore era che intendeva davvero le cose che aveva detto.
Berelain si fece cauta. Chiaramente intendeva usare le mani, non il pugnale. Lo impugnava come un ventaglio. Faile avanzò in punta di piedi.
All’improvviso Rhuarc apparve fra loro torreggiando sulle due donne e strappando loro di mano i pugnali prima che le due si rendessero veramente conto della sua presenza. «Non avete vistò abbastanza sangue stanotte?» osservò freddamente. «Di tutti quelli che pensavo di trovare a rompere la pace, voi due siete le ultime che avrei nominato.»
Faile lo guardò a bocca aperta. Senza preavviso fece una piroetta, portando il pugno verso le costole di Rhuarc. Anche il più forte degli uomini lo avrebbe sentito. L’Aiel sembrò muoversi senza guardarla, le prese la mano e la costrinse ad allungare il braccio da un lato, torcendolo. Di colpo Faile si trovò in piedi in posizione forzatamente eretta, sperando che Rhuarc non avrebbe spinto il braccio in alto, sopra la spalla.
Come se non fosse successo nulla, Rhuarc si rivolse a Berelain. «Andrai nella tua stanza, e non ne uscirai fino a quando il sole non sarà alto sopra l’orizzonte. Farò in modo che non ti venga portata la colazione. Un po’ di fame ti aiuterà a ricordare che c’è un tempo e un luogo per combattere.»
Berelain si tirò su indignata. «Sono la Prima di Mayene, non prenderò ordini come una...»
«Andrai nelle tue stanze, adesso» ripeté Rhuarc con tono piatto. Faile si chiese se sarebbe riuscita a prenderlo a calci; probabilmente era entrata in tensione, perché non appena vi pensò, l’uomo incrementò la pressione sul polso, e Faile si ritrovò in punta di piedi. «Se non lo fai» proseguì rivolgendosi a Berelain «ripasseremo la nostra prima conversazione, tu e io, proprio qui.»
Il viso di Berelain divenne prima bianco e poi rosso. «Molto bene» rispose rigida. «Se insisti, forse potrei...»
«Non ho proposto una discussione. Se ancora ti vedo dopo aver contato fino a tre... Uno...»
Con un rantolo Berelain sollevò le gonne e corse. Riuscì comunque a ondeggiare, anche in quel modo.
Faile la fissava divertita. Valeva quasi la pena di avere la spalla quasi slogata. Anche Rhuarc stava guardando Berelain andare via, con l’accenno di un sorriso di approvazione sulle labbra.
«Intendi trattenermi tutta la notte?» chiese Faile. L’Aiel la rilasciò, e si mise i pugnali dietro la cintura. «Quelli sono miei!»
«Confiscati» rispose. «La punizione di Berelain per aver litigato è stata lasciare che tu la vedessi spedita a letto come una bambina ostinata. La tua è perdere quei pugnali a cui tieni tanto. So che ne hai altri. Se discuti, potrei prendermi anche quelli. Non lascerò che turbiate la pace.»
Faile lo guardò, ma sospettava che intendesse esattamente ciò che aveva detto. Quei pugnali erano stati fatti per lei da un uomo che sapeva ciò che stava facendo; erano perfettamente bilanciati. «Quale ‘prima conversazione’ hai avuto con lei? Perché è scappata a quel modo?»
«Riguarda me e lei. Non ti avvicinerai nuovamente a quella donna, Faile. Non credo sia stata lei a iniziare tutto questo; le sue armi non sono i pugnali. Se una qualsiasi di voi due crea nuovamente guai, vi metterò entrambe a trasportare frattaglie. Alcuni Tarenesi pensavano di poter continuare a combattere i loro duelli dopo che avevo dichiarato la pace in questo palazzo, ma il fetore dei carri dei rifiuti gli ha insegnato presto i loro errori. Accertati di non averne bisogno anche tu.»
Faile attese fino a quando non se ne fu andato prima di massaggiarsi la spalla. Rhuarc le ricordava suo padre. Non che questi le avesse mai torto il braccio, ma aveva poca pazienza con quelli che creavano problemi, qualunque fosse la loro posizione, e nessuno lo prendeva mai di sorpresa. Faile si chiese se avrebbe potuto lanciare qualche esca a Berelain, solo per vedere la Prima di Mayene sudare fra i carri dei rifiuti. Ma Rhuarc aveva detto entrambe. Anche suo padre si atteneva sempre a quello che diceva. Berelain. Qualcosa che aveva detto Berelain la solleticava in fondo alla mente. Giuramento ogier. Ecco cos’era. Un Ogier non rompeva mai un giuramento. Dire ‘spergiuro ogier’ era come dire ‘coraggioso codardo’ o ‘saggio idiota’.
Non poté fare a meno di ridere forte. «Me lo prenderai tu, sciocca pavona? Quando lo rivedrai, se mai accadrà, sarà ancora mio» Ridendo fra sé, e strofinandosi occasionalmente la spalla, camminò con il cuore sollevato.