9 Decisioni

Trascorsero tre giorni di calore e umidità che sembrarono assorbire anche la forza dei Tarenesi. La città aveva rallentato a un passo letargico, la Pietra strisciava. La servitù lavorava quasi addormentata; la majhere straziava le trecce avvolte attorno alla testa in segno di frustrazione, ma nemmeno lei riusciva a trovare l’energia per colpire le nocche o un orecchio con un dito forte. I difensori della Pietra si accasciavano sulle loro postazioni come candele mezze squagliate e gli ufficiali mostravano più interesse per il vino freddo che per le ronde. I Sommi signori se ne restavano prevalentemente nei loro appartamenti, dormendo nelle ore più calde del giorno, e alcuni avevano lasciato la Pietra per il fresco relativo delle loro residenze lontano a est, sulle pendici della Dorsale del Mondo. Insolitamente solo gli stranieri, che soffrivano il caldo più di tutti, tiravano avanti con le loro vite come sempre, se non più duramente. Per loro, il forte caldo non pesava come le ore che passavano veloci.

Mat scoprì presto che aveva avuto ragione sui giovani signori che avevano visto le carte da gioco tentare di ucciderlo. Non solo lo evitavano, ma avevano anche sparso parola fra gli amici, spesso travisata; nessuno nella Pietra che avesse due pezzi d’argento in mano voleva porgere più che scuse frettolose mentre si tirava indietro. Le voci erano arrivate oltre i giovani signori. Più di una cameriera che si era goduta i suoi abbracci adesso declinava, e due spiegarono a disagio di aver sentito che era pericoloso stare da sole con lui. Perrin sembrava tutto preso nelle sue preoccupazioni e Thom apparentemente era svanito come un gioco di prestigio; Mat non aveva idea di cosa tenesse occupato il menestrello, ma era difficile trovarlo, di giorno o di notte. Moiraine, l’unica persona che Mat desiderava lo ignorasse, sembrava invece essere presente ogni volta che si girava; stava solo passando o attraversando un corridoio in lontananza, ma gli occhi della donna incontravano sempre i suoi, sembravano sapere cosa stesse pensando e cosa voleva, valutando invece come gli avrebbe fatto fare esattamente ciò che voleva lei. Niente di tutto questo però cambiava qualcosa; Mat riusciva sempre a trovare qualche scusa per rinviare la partenza di un altro giorno. Per come la vedeva, non aveva promesso a Egwene che sarebbe rimasto. Ma rimaneva.

Una volta aveva portato una lampada giù nel cuore della Pietra, nella cosiddetta Grande Proprietà, fino alle porte marce in fondo allo stretto corridoio. Aveva trascorso alcuni minuti a scrutare sagome confuse coperte da teli polverosi negli scuri locali, casse e botti rozzamente accatastate con i ripiani piatti usati come scaffali per un’accozzaglia di figurine, statuette e oggetti curiosi di cristallo, vetro e metallo. Alcuni minuti e se ne era andato via velocemente borbottando: «Devo essere il più grande maledetto stupido dell’intero maledetto mondo!»

Nulla però gli impediva di andare in città, e non era possibile incontrare Moiraine nelle taverne sui moli del Maule, il distretto portuale, o nelle locande del Chalm, dov’erano i magazzini, poveramente illuminate, affollate, spesso locali sudici da vino a buon mercato, birra cattiva, lotte occasionali e giochi infiniti di dadi. La posta delle giocate era bassa, in confronto a quelle cui si era abituato, ma non era questo il motivo che lo faceva tornare sempre alla Pietra dopo alcune ore. Cercava di non pensare a cosa lo riportasse indietro, vicino a Rand.

A volte Perrin vedeva Mat bere troppo vino a buon mercato nelle taverne della zona portuale, giocando a dadi come se non gli importasse di vincere o perdere. Una volta aveva estratto il pugnale quando un corpulento marinaio lo aveva tartassato perché vinceva troppo spesso. Non era una caratteristica di Mat essere così irritabile, ma invece di provare a scoprire cosa lo preoccupasse, Perrin lo evitava. Non si trovava lì per il vino o i dadi, e gli uomini che pensavano a una rissa cambiavano idea dopo aver dato una buona occhiata alle sue spalle e agli occhi. Comprava però la birra scadente per i marinai con gli ampi pantaloni di pelle e per i commercianti minori con piccole catenelle d’argento cucite sul davanti delle giubbe, per ogni uomo che sembrava provenire da una terra lontana. Era a caccia di voci, qualcosa che avrebbe potuto condurre Faile lontano da Tear. Lontano da lui.

Era certo che se le avesse trovato un’avventura, qualcosa che poteva darle la possibilità di far entrare il suo nome nelle storie, sarebbe andata. La ragazza fingeva di aver capito la ragione per cui lui doveva restare, ma ogni tanto ancora accennava di voler partire e sperava che lui decidesse di seguirla. Era certo che l’esca giusta l’avrebbe tirata via senza di lui.

Molte voci erano chiare alterazioni di vecchi accadimenti. La guerra che si estendeva lungo l’oceano Aryth, si diceva fosse opera di gente di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima, chiamata Sawchin, o qualcosa di simile — aveva sentito molte varianti da diversi narratori — strane persone che potevano essere l’esercito di Artur Hawkwing ritornato dopo mille anni. Un tizio, un Taraboniano con un cappello rosso rotondo e dei baffi spessi come coma di toro, lo informò solennemente che Hawkwing in persona guidava questa gente, con la leggendaria spada Giustizia stretta in pugno. C’erano voci che il mitico Corno di Valere, che avrebbe dovuto richiamare gli eroi defunti dalla tomba per combattere l’Ultima Battaglia, fosse stato ritrovato. A Ghealdan erano esplosi tumulti in tutta la nazione; Illian era afflitta da epidemie di follia di massa; a Cairhien la carestia stava rallentando le uccisioni; da qualche parte nelle Marche di Confine, le incursioni dei Trolloc erano aumentate. Perrin non poteva mandare Faile in nessuna di quelle situazioni, nemmeno per allontanarla da Tear.

I racconti di problemi in Saldea sembravano promettenti — la propria terra doveva essere attraente per Faile e Perrin aveva sentito dire che Mazrim Taim, il falso Drago, era in mano alle Aes Sedai — ma nessuno sapeva che tipo di problemi. Inventarsi qualcosa non sarebbe servito a nulla; qualunque scusa trovasse, Faile avrebbe sicuramente fatto a sua volta domande, prima di partire all’inseguimento. Inoltre, qualsiasi tumulto in Saldea poteva essere brutto come le altre storie che aveva sentito.

Non poteva nemmeno dirle dove trascorreva tutto questo tempo, perché gli avrebbe senza meno chiesto il motivo. Sapeva che non era come Mat, che si divertiva a ciondolare nelle taverne. Perrin non era mai stato bravo a mentire, per cui si inventava le scuse meglio che poteva e Faile lo ricambiava con lunghe, silenziose occhiate di sbieco. Tutto quello che poteva fare Perrin era raddoppiare gli sforzi per trovare una storia che la allettasse. Doveva mandarla lontano da lui prima che rimanesse uccisa. Doveva.

Egwene e Nynaeve trascorrevano sempre più ore con Joiya e Amico, senza nessun risultato. I loro racconti non vacillavano mai. Ignorando le proteste di Nynaeve, Egwene aveva anche provato a dire all’una ciò che l’altra aveva confessato, per vedere se si sarebbero lasciate scappare qualcosa. Amico le fissò, gemendo che non aveva mai sentito parlare di un simile piano. Ma poteva essere vero, aggiunse. Poteva. Sudava per l’impazienza di compiacerle. Joiya rispose freddamente che potevano andare a Tanchico se lo desideravano. «Ho sentito dire che adesso è una città scomoda» aggiunse con calma, con gli occhi da corvo che brillavano. «Il re controlla poco più della città stessa e mi sembra di capire che il Panarca ha smesso di mantenere l’ordine civile. Braccia forti e pugnali veloci governano Tanchico adesso. Ma andate, se vi fa piacere.»

Da Tar Valon non giungeva alcuna notizia, niente che spiegasse che l’Amyrlin si stava occupando della possibile minaccia di Mazrim Taim. C’era stato abbastanza tempo per consentire a un messaggio di giungere, con un veloce battello fluviale o con un uomo a cavallo, da quando Moiraine aveva inviato i piccioni, sempre che li avesse inviati. Egwene e Nynaeve discutevano su quel punto, Nynaeve ammetteva che l’Aes Sedai non poteva mentire, ma cercava di trovare qualche trucco fra le parole di Moiraine, la quale non sembrava preoccuparsi per la mancanza di una risposta da parte dell’Amyrlin anche se era difficile giudicare la sua calma cristallina.

Egwene al contrario si agitava, anche per il fatto che Tanchico potesse essere una falsa traccia, o una vera, o una trappola. Nella biblioteca della Pietra c’erano libri su Tarbon e Tanchico, ma anche se leggeva fino a farsi dolere gli occhi, non riusciva a trovare nessun indizio di qualche pericolo per Rand. Il caldo e la preoccupazione non facevano nulla per migliorarle l’umore; a volte era brusca come Nynaeve.

Naturalmente alcune cose andavano bene. Mat era ancora nella Pietra; stava crescendo sul serio e imparando ad affrontare le responsabilità. Egwene si rammaricava di averlo deluso, ma non era certa che un’altra donna nella Torre avrebbe potuto fare di più. Comprendeva la voglia di Mat di sapere, perché era lo stesso per lei, anche se nel suo caso si trattava di trovare altre risposte: le cose che poteva imparare solo lì nella Torre, quelle mai spiegate prima che lei avrebbe potuto scoprire, le cose dimenticate che poteva imparare.

Aviendha aveva incominciato a far visita a Egwene, apparentemente di sua iniziativa. Se dapprima la donna si era dimostrata diffidente, be’, era un’Aiel, dopotutto, e pensava che Egwene fosse un’Aes Sedai. Ma la sua compagnia era piacevole, anche se a Egwene a volte sembrava di vedere domande inespresse negli occhi della donna. Nonostante Aviendha mantenesse la sua riservatezza, sembrò presto palese che aveva la mente pronta e un senso dell’umorismo simile a quello di Egwene; a volte si ritrovavano a ridere assieme come ragazzine. Egwene però non era affatto abituata alle usanze aiel, come il disagio di Aviendha nel sedersi su una sedia e lo stupore nell’aver trovato Egwene nella vasca da bagno placcata d’argento che le aveva portato la majhere. Non per averla trovata nuda — in realtà quando aveva notato che Egwene era imbarazzata, si era tolta i vestiti anche lei e si era seduta in terra a chiacchierare — ma perché era immersa nell’acqua fino al petto. L’idea di sporcare così tanta acqua le aveva fatto saltare gli occhi fuori dalle orbite. Per menzionarne un’altra, Aviendha si rifiutava di capire perché mai lei ed Elayne non avessero fatto qualcosa di drastico a Berelain, visto che la volevano fuori dai piedi. Era proibito per una guerriera uccidere una donna non sposata alla lancia, ma visto che Elayne e Berelain non erano Fanciulle della Lancia, dal suo punto di vista era legittimo che l’erede al trono di Andor sfidasse a duello con il pugnale la Prima di Mayene, o che almeno la coinvolgesse in una semplice lotta con pugni e calci. I pugnali erano comunque la soluzione migliore, per come la vedeva lei. Berelain sembrava il tipo di donna che poteva essere colpita diverse volte senza che si arrendesse. Era meglio sfidarla e ucciderla. Oppure Egwene poteva farlo per lei, come amica e quasi sorella.

Nonostante questo, era un piacere avere qualcuno con cui ridere e parlare. Elayne naturalmente era quasi sempre occupata, Nynaeve, che sembrava sentire la pressione del trascorrere dei giorni come Egwene, dedicava il tempo libero a passeggiare sul bastione al chiaro di luna con Lan, o a preparare con le sue mani il cibo che piaceva al Custode, senza menzionare le imprecazioni che a volte faceva scappare ai cuochi dalle cucine; Nynaeve non era molto esperta in cucina. Se non fosse stato per Aviendha, Egwene non sapeva cosa avrebbe fatto nelle ore afose durante gli intervalli fra un interrogatorio e l’altro delle Amiche delle Tenebre; senza dubbio avrebbe sudato, preoccupandosi di dover fare qualcosa che le provocava incubi alla sola idea.

Per loro accordo, Elayne non era mai presente a questi interrogatori; un ulteriore paio di orecchie ad ascoltare non avrebbe fatto la differenza. Invece, ogni volta che Rand aveva un momento libero, l’erede al trono capitava sempre per caso nelle vicinanze, semplicemente per parlare o camminare a braccetto, anche se era solo da una riunione con i Sommi signori a una stanza dove altri attendevano, o per un’ispezione lampo agli alloggi dei difensori. Era diventata abbastanza brava a scovare angoli appartati dove potevano fermarsi da soli. Naturalmente Rand aveva sempre un codazzo di Aiel, ma presto Elayne si curò poco di quello che pensavano, come anche della madre. Aveva addirittura ingaggiato una sorta di cospirazione con le Fanciulle della Lancia; queste sembravano conoscere ogni angolo nascosto della Pietra e le facevano sapere ogni volta che Rand era solo. Sembravano divertirsi molto con questo gioco.

La sorpresa fu che Rand le faceva spesso domande su come si governa una nazione e ascoltava le risposte con attenzione. Elayne avrebbe voluto che la madre lo vedesse. Più di una volta Morgase aveva riso, quasi disperatamente, ammonendola che doveva imparare a concentrarsi. Quale mestiere proteggere e come, quale ostacolare e perché, poteva essere una decisione semplice, ma altrettanto importante che curare dei malati. Poteva essere divertente indurre un signore ostinato o un mercante a fare quello che non volevano persuadendoli che fosse una loro idea, poteva essere confortante nutrire gli affamati, ma in quel caso bisognava decidere quanti cancellieri e conducenti di carri servivano. Se ne potevano occupare gli altri, ma a quel punto non avresti mai saputo se avevano commesso un errore, se non quando sarebbe stato troppo tardi. Rand l’ascoltava, e seguiva spesso i suoi consigli. Elayne pensava che avrebbe potuto amarlo solo per queste due cose. Berelain non metteva piede fuori dalle sue stanze e Rand aveva cominciato a sorriderle ogni volta che la vedeva; niente poteva essere più bello al mondo. A meno che i giorni non smettessero di trascorrere.

Tre brevi giorni, che stavano scivolando via come l’acqua fra le dita. Joiya e Amico sarebbero state mandate a nord e non ci sarebbe stato alcun motivo per restare a Tear; quindi lei, Egwene e Nynaeve sarebbero dovute andar via. Lei l’avrebbe fatto, quando il momento fosse giunto; non aveva mai preso in considerazione il contrario. Saperlo la rendeva fiera di comportarsi come una donna, non come una ragazza, eppure le faceva venir voglia di piangere.

E Rand? Si incontrava con i Sommi signori nelle sue stanze e impartiva ordini. Li aveva spaventati apparendo a tre o quattro delle riunioni segrete che Thom aveva scoperto, solo per ribadire alcuni punti dei suoi ordini recenti. I Sommi signori sorridevano, si inchinavano, sudavano e si chiedevano quanto Rand sapesse. Bisognava trovare il modo di sfruttare la loro energia prima che uno di loro decidesse che, se Rand non poteva essere manipolato, allora doveva essere ucciso. Qualunque cosa fosse servita per distrarli, non avrebbe avviato una guerra. Se doveva affrontare Sammael, l’avrebbe fatto; ma non avrebbe iniziato una guerra.

Progettare i piani d’azione occupava la maggior parte del suo tempo non impegnato a incitare i Sommi signori. Parte dei progetti proveniva da libri che si era fatto portare in stanza dai bibliotecari in enormi carichi e dalle conversazioni con Elayne. I suoi consigli erano di certo utili con i Sommi signori; riusciva a vederli mentre velocemente lo rivalutavano quando mostrava una conoscenza che loro per primi avevano solo parzialmente. Quando voleva darle il merito, Elayne lo bloccava.

«Un governante saggio chiede consiglio» gli aveva spiegato sorridendo «ma non deve mai essere visto mentre lo riceve. Lascia che pensino che tu sappia più di quanto non sai in realtà. Non farà loro del male e ti aiuterà.» Comunque sembrava compiaciuta della sua gratitudine.

Rand non era del tutto certo che stesse rinviando alcune decisioni a causa di Elayne. Tre giorni di programmi, a cercare di capire cosa mancasse ancora. Qualcosa. Non poteva reagire contro i Reietti; doveva fare in modo che fossero loro a reagire a una sua azione. Tre giorni, e al quarto lei sarebbe partita — di nuovo a Tar Valon, sperava — ma una volta che avesse fatto la sua mossa, sospettava che anche quei brevi momenti assieme sarebbero terminati. Tre giorni di baci rubati, durante i quali poteva illudersi di essere solo un uomo abbracciato a una donna. Sapeva che era un motivo sciocco, anche se vero. Sembrava rilassato vedendo che Elayne non voleva altro che la sua compagnia, e solo in quei momenti in cui erano soli poteva dimenticarsi le decisioni, il destino che attendeva il Drago Rinato. Più di una volta aveva considerato l’idea di chiederle di restare, ma non sarebbe stato corretto elevare le aspettative di Elayne quando non aveva idea di cosa volesse da lei, oltre la sua presenza. Se l’erede al trono si aspettava qualcosa, naturalmente. Era molto meglio pensare a loro come a un uomo e una donna che camminavano assieme in una sera di festa. E stava diventando facile; a volte dimenticava che lei era l’erede al trono di Andor, e lui un pastore. Desiderava che non partisse. Tre giorni. Doveva decidere. Muoversi. In una direzione che nessuno si aspettava.

Il sole scivolò dietro l’orizzonte della terza sera. Le tende mezze tirate nella camera da letto di Rand diminuivano il bagliore rosso e giallo. Callandor risplendeva sul piedistallo decorato come il più puro dei cristalli.

Rand fissò Meilan e Sunamon, quindi lanciò loro uno spesso fascio di pergamene. Un negoziato, scritto in bella calligrafia, al quale mancavano solo le firme e i sigilli. Colpì Meilan in petto e lui riuscì a prendere il plico solo per riflesso; si inchinò come se fosse onorato, ma il sorriso teso rivelò i denti serrati.

Sunamon cambiò posizione, strofinando le mani. «Come ordini, mio lord Drago» rispose ansiosamente. «Grano in cambio di imbarcazioni...»

«E duemila reclute tarenesi» lo interruppe Rand. «Per supervisionare la corretta distribuzione del grano e proteggere gli interessi di Tairen.» La voce di Rand era come ghiaccio, ma il suo stomaco sembrava ribollire; quasi tremava per il desiderio di prendere a pugni quegli idioti. «Duemila uomini sotto il comando di Torean!»

«Il Sommo signore Torean è interessato a intrattenere affari con Mayene, mio lord Drago» osservò Meilan serenamente.

«Ha interesse a imporre le sue attenzioni su una donna che non vuole nemmeno guardarlo!» gridò Rand. «Ho detto grano in cambio delle imbarcazioni! Niente soldati. E certamente non il maledetto Torean! Avete mai parlato con Berelain?»

I due battevano le palpebre come se non capissero le parole. Era troppo. Afferrò saidin; le pergamene fra le braccia di Meilan presero fuoco. Con un grido Meilan scagliò il fagotto in fiamme nel camino spento e velocemente spazzolò via le scintille e le bruciature sulla giubba di seta rossa. Sunamon fissò a bocca aperta le carte incendiate, che si stavano sgretolando e diventavano nere.

«Andrete da Berelain» ordinò, sorpreso per quanto era calma la sua voce. «Entro domani a mezzogiorno le avrete offerto il negoziato che voglio, o per il tramonto vi farò impiccare entrambi. Se devo impiccare dei Sommi signori ogni giorno, due alla volta, lo farò. Manderò al patibolo fino all’ultimo di voi se non mi obbedirete. Adesso andate via.»

Il tono tranquillo sembrò influire su di loro più delle grida di prima. Anche Meilan sembrava a disagio mentre arretravano, inchinandosi a ogni passo, mormorando asserzioni di eterna fedeltà e obbedienza perpetua. Lo facevano sentire male.

«Andate via!» gridò. I due abbandonarono la dignità, quasi lottando uno con l’altro per aprire le porte. Corsero. Una delle guardie aiel mise la testa nella stanza per vedere se Rand stava bene, prima di richiudere le porte.

Rand tremava apertamente. Lo disgustavano quasi quanto se stesso. Minacciare di impiccare degli uomini perché non facevano quello che voleva. Peggio, volerlo fare sul serio. Poteva ricordarsi di quando non aveva un carattere irascibile, o almeno di quando riusciva a tenerlo a bada.

Attraversò la stanza per recarsi verso Callandor, risplendente alla luce che filtrava dalle tende. La lama sembrava del vetro più fine, assolutamente trasparente; sembrava acciaio fra le sue dita, affilata come un rasoio. Era stato quasi tentato di impugnarla, di vedersela con Meilan e Sunamon. Se usarla come una spada o per il vero fine, non lo sapeva. Entrambe le possibilità lo terrorizzavano. Non sono ancora pazzo. Solo arrabbiato. Luce, così arrabbiato! pensò.

Domani. Le Amiche delle Tenebre sarebbero state imbarcate, domani. Elayne sarebbe andata via. Naturalmente anche Egwene e Nynaeve. Di nuovo a Tar Valon, pregava; Ajah Nera o no, la Torre Bianca doveva essere uno dei posti sicuri in questo momento. Domani. Niente più scuse per rinviare ciò che doveva fare. Non oltre domani.

Voltò le mani in alto, guardando gli aironi marchiati su entrambi i palmi. Li aveva esaminati così spesso che ne avrebbe potuto disegnare perfettamente ogni linea a memoria. Le Profezie li avevano previsti.

Due e due volte verrà marchiato,

Due volte per vivere, e due volte per morire.

Una volta l’airone, per definire il Disegno,

Una seconda volta l’airone, per dichiararlo autentico.

Una volta il Drago, per le memorie perdute,

Una seconda volta il Drago, per il prezzo che deve pagare.

Ma se gli aironi lo dichiaravano autentico, che bisogno c’era dei draghi? Inoltre, che cos’era un Drago? Il solo Drago di cui aveva sentito parlare era Lews Therin Telamon. Lews Therin Kinslayer era stato il Drago; il Drago era l’assassino del proprio sangue. Solo che adesso era lui. Ma non poteva essere marchiato con se stesso. Forse l’immagine sulla bandiera era un Drago; nemmeno le Aes Sedai sembravano sapere che creatura fosse.

«Sei cambiato dall’ultima volta che ti ho visto. Più forte. Più duro.»

Rand si voltò di scatto, rimanendo a bocca aperta di fronte alla giovane donna che stava in piedi vicino alla porta, con la pelle chiara e i capelli e gli occhi scuri. Alta, tutta vestita di bianco e argento, inarcò un sopracciglio quando vide i l’oro e l’argento fusi sulla mensola del camino. Li aveva lasciati lì per rammentarsi di cosa poteva accadere quando agiva senza pensare, quando perdeva il controllo. Non gli aveva fatto un gran bene.

«Selene» era rimasto senza fiato, affrettandosi ad andarle incontro. «Da dove arrivi? Come hai fatto a venire qui? Credevo che fossi ancora a Cairhien o...» La guardò e non voleva dirle che temeva fosse morta, o una rifugiata affamata.

Una cintura d’argento intrecciato le brillava attorno alla vita sottile; aveva dei brillanti pettinini d’argento con le stelle e la luna crescente fra i capelli che le scendevano sulle spalle come una cascata di notte. Era ancora la donna più bella che avesse mai visto. Elayne ed Egwene erano solamente graziose in confronto a lei. Per qualche motivo però non influiva su di lui come aveva fatto in passato; forse erano i lunghi mesi trascorsi da quando l’aveva vista l’ultima volta, in una Cairhien non ancora tormentata dalla guerra civile.

«Vado dove desidero essere.» Aggrottò le sopracciglia vedendo il viso di Rand. «Sei stato marchiato, ma non importa. Eri mio, e lo sei ancora. Chiunque altra non è niente più di una custode alla quale è scaduto il tempo. Adesso reclamerò apertamente ciò che è mio.»

Rand la fissò. Marchiato? Alludeva alle mani? E che voleva dire che era suo? «Selene,» si rivolse gentilmente alla donna «abbiamo trascorso dei giorni piacevoli assieme — e giorni difficili, non dimenticherò mai il tuo coraggio, o il tuo aiuto — ma non c’è mai stato niente di più fra noi che amicizia. Abbiamo viaggiato assieme, ma era tutto. Resterai nella Pietra, nei migliori appartamenti, e quando ritornerà la pace a Cairhien mi accerterò che le tue proprietà ti vengano restituite, se posso.»

«Sei stato marchiato» sorrise ironicamente Selene. «Proprietà a Cairhien? Forse ne ho avute in quelle terre, una volta. Il territorio è cambiato così tanto che niente è più com’era. Selene è solamente un nome che uso ogni tanto, Lews Therin. Quello che ho reso mio è Lanfear.»

Rand esplose in una risata bassa. «Uno scherzo di cattivo gusto, Selene. Preferirei fare battute sul Tenebroso che su uno dei Reietti. E io mi chiamo Rand.»

«Noi ci definiamo i Prescelti» rispose tranquilla. «Prescelti per governare il mondo per sempre. Vivremo in eterno. Anche tu puoi.»

Rand la guardò preoccupato. Selene credeva davvero di essere... La fatica per raggiungere Tear doveva averla sconvolta. Ma non sembrava così pazza. Era calma, fredda, sicura. Senza pensare si ritrovò a protendersi verso saidin. Si allungò verso di esso — e colpì un muro che non poteva vedere o sentire, ma lo teneva lontano dalla Fonte. «Non puoi essere lei.» La donna sorrise. «Luce» sospirò Rand. «Tu sei una di loro.»

Lentamente Rand arretrò. Se raggiungeva Callandor almeno avrebbe avuto un’arma. Forse non avrebbe funzionato come angreal ma sarebbe servita da spada. Poteva usare un’arma contro una donna, contro Selene? No, contro Lanfear, contro una dei Reietti.

Batté con la schiena contro qualcosa di duro e si voltò per vedere cos’era. Non c’era niente. Un muro di nulla e vi era appoggiato contro. Callandor riluceva a meno di tre passi di distanza dall’altro lato. Rand diede un pugno alla barriera per la frustrazione; era inflessibile come roccia.

«Non posso fidarmi completamente di te, Lews Therin. Non ancora.» La donna si avvicinò, e Rand prese in considerazione l’idea di afferrarla. Era più grosso e molto più forte, ma bloccato com’era Lanfear poteva avvolgerlo con il Potere come un gattino impigliato in un gomitolo di lana. «Di certo non con quella» aggiunse la donna, facendo una smorfia verso Callandor. «Ci sono solamente altri due sa’angreal più potenti che un uomo possa usare, e sono certa che uno ancora esiste. No, Lews Therin. Non mi fiderò ancora di te con quella.»

«Smettila di chiamarmi a quel modo!» gridò Rand. «Mi chiamo Rand. Rand al’Thor.»

«Tu sei Lews Therin Telamon. Oh, fisicamente niente è uguale a prima, tranne la statura. Ma saprei riconoscere chi c’è dietro quegli occhi anche se lo trovassi in una culla.» Lanfear rise all’improvviso.

«Quanto sarebbe stato tutto più facile, se ti avessi trovato allora. Se fossi stata libera di...» La risata mutò in uno sguardo rabbioso. «Desideri vedere il mio aspetto reale? Non puoi ricordartelo, vero?»

Cercò di rispondere di no, ma non riusciva a muovere la lingua. Una volta aveva visto due Reietti assieme, Aginor e Balthamel, i primi due a essere liberati, dopo aver trascorso tremila anni intrappolati proprio dietro il sigillo della prigione del Tenebroso. Il primo era più avvizzito di chiunque altro e tuttavia in vita; il secondo nascondeva il viso dietro una maschera, nascondeva ogni parte di carne come se non potesse sopportare di vederla o di averla vista.

Ci fu un movimento d’aria attorno a Lanfear, poi lei mutò aspetto. Era sicuramente più vecchia di lui, ma vecchia non era la parola giusta. Matura era più appropriato. Dirompente. Anche più bella, se era possibile. Un fiore rigoglioso nel pieno della fioritura in confronto a un bocciolo. Anche sapendo cosa era, gli faceva seccare la bocca e stringere la gola.

Gli occhi scuri della donna esaminavano il volto di Rand, pieni di sicurezza eppure con una traccia di dubbio, come se si stesse chiedendo cosa lui vedesse. Qualsiasi cosa percepì sembrò soddisfarla. Sorrise di nuovo. «Ero profondamente sepolta in un sonno privo di sogni dove il tempo non scorre. I giri della Ruota mi hanno oltrepassata. Adesso mi vedi come sono, e ti ho fra le mani.» Fece scorrere un’unghia lungo la mascella di Rand, abbastanza forte da farlo sussultare. «Il tempo dei giochi e dei sotterfugi è passato, Lews Therin. Da molto.»

Lo stomaco di Rand si contorse. «Quindi intendi uccidermi? La Luce ti folgori, io...»

«Ucciderti?» rispose incredula. «Ucciderti! Intendo averti per sempre. Eri mio molto prima che quella femminuccia dai capelli chiari ti rubasse. Prima che ti vedesse. Mi amavi!»

«E tu amavi il potere!» Per un momento Rand si sentì stordito. Le parole sembravano vere — sapeva che lo erano — ma da dove erano venute?

Selene — Lanfear — sembrava stupita quanto lui, ma si riprese rapidamente. «Hai imparato molto — hai fatto molte cose che non credevo possibili, senza aiuto — ma stai ancora brancolando nel buio per trovare la tua strada in un labirinto, e la tua ignoranza potrebbe ucciderti. Alcuni ti temono troppo per aspettare. Sammael, Rahvin, Moghedien. Anche altri forse, ma questi di sicuro. Verranno a cercarti. Non proveranno a farti cambiare idea. Verranno da te furtivamente, distruggendoti nel sonno. Perché hanno paura. Ma alcuni potrebbero insegnarti, mostrarti cose che una volta conoscevi. Nessuno allora oserebbe opporsi a te.»

«Insegnarmi? Vuoi che lasci che uno dei Reietti mi dia lezioni?» Uno dei Reietti. Un uomo. Uno che era stato Aes Sedai durante l’Epoca Leggendaria, che sapeva come incanalare, come evitare le trappole, che sapeva... quanto gli era stato offerto prima. «No! Anche se mi venisse offerto, rifiuterei, e perché dovrebbero? Mi oppongo a loro, e a te! Odio tutto ciò che avete fatto, tutto ciò che sostenete.» Sciocco! pensò. Sono intrappolato qui e vomito disprezzo come un qualche idiota in una storia che non sospetta minimamente che potrebbe far arrabbiare i suoi carcerieri al punto di farli reagire. Ma non poteva costringersi a ritirare le parole. Andò avanti ostinatamente, peggiorando le cose. «Ti distruggerò, se potrò. Tu, il Tenebroso, e tutti i Reietti!»

Un bagliore pericoloso apparve negli occhi della donna e svanì immediatamente. «Sai perché alcuni di noi ti temono? Ne hai idea? Perché hanno paura che il Sommo Signore delle Tenebre ti offrirà un posto fra loro.»

Rand si sorprese a ridere. «Sommo Signore delle Tenebre? Nemmeno tu puoi pronunciare il suo vero nome? Di certo non hai paura di attirare la sua attenzione, come la gente normale. Oppure sì?»

«Sarebbe una bestemmia» rispose semplicemente Lanfear. «Fanno bene ad avere paura, Sammael e gli altri. Il Sommo Signore ti vuole. Vuole innalzarti al di sopra di tutti gli altri uomini. Me lo ha confidato.»

«È ridicolo! Il Tenebroso è ancora legato a Shayol Ghul, o starei combattendo Tarmon Gai’don in questo momento. E se sapesse che esisto, mi vorrebbe morto. Intendo combatterlo.»

«Oh, lo sa. Il Sommo Signore sa molte più cose di quanto sospetti. È possibile parlargli. Vai a Shayol Ghul, nel Pozzo del Destino, e potrai... sentirlo. Potrai... immergerti nella sua presenza.» Adesso sul viso della donna risplendeva una luce diversa. Estasi. Respirava a labbra socchiuse, e per un momento sembrò fissare qualcosa di distante e meraviglioso. «Le parole non possono nemmeno iniziare a descriverlo. Devi provarlo per sapere. Devi.» Ora stava di nuovo guardando il viso di Rand, con occhi grandi, scuri e insistenti. «Inginocchiati al Sommo Signore, e ti eleverà al di sopra di tutti. Ti lascerà libero di regnare come vuoi, se solo ti inginocchierai davanti a lui una sola volta. Per riconoscerlo. Niente di più. Me lo ha confessato. Asmodean ti insegnerà a manipolare il Potere senza che ti uccida, ti mostrerà cosa puoi fare con esso. Lascia che ti aiuti. Possiamo distruggere gli altri. Al Sommo Signore non importa. Possiamo distruggerli tutti, anche Asmodean, una volta che ti avrà insegnato quello che c’è da sapere. Tu e io possiamo governare il mondo insieme, agli ordini del Sommo Signore, per sempre.» La voce di Lanfear si ridusse a un sussurro, parti uguali di impazienza e paura. «Due grandi sa’angreal furono creati proprio prima della fine, uno che puoi usare, un altro che posso usare io. Molto più potenti della spada. Il loro potere è oltre ogni immaginazione. Con quelli potremmo sfidare anche... il Sommo Signore in persona. Anche il Creatore!»

«Tu sei pazza» rispose Rand rozzamente. «Il Padre delle Menzogne sostiene che mi lascerà libero? Sono nato per combatterlo. Questo è il motivo per cui sono qui, per compiere le Profezie. Combatterò lui e tutti voi, fino all’Ultima Battagliai Fino all’ultimo respiro!»

«Non ce n’è bisogno. Le Profezie non sono altro che l’attestazione delle speranze del popolo. Compiere le Profezie ti legherà a un percorso che porta a Tarmon Gai’don e alla tua morte. Moghedien e Sammael possono distruggere il tuo corpo. Il Sommo Signore delle Tenebre può distruggerti l’anima. Una fine assoluta e totale. Non rinascerai mai più, non importa per quante volte la Ruota del Tempo giri!»

«No!»

Per quel che sembrò un lungo momento, Lanfear lo studiò; poteva quasi vedere la bilancia soppesare le varie alternative. «Potrei portarti con me» rispose finalmente. «Potrei fare in modo che ti volgessi al Sommo Signore delle Tenebre comunque, qualsiasi cosa tu voglia credere. Ci sono dei sistemi.»

La donna fece una pausa, forse per controllare se le sue parole avevano fatto effetto. Il sudore colava sulla schiena di Rand, ma manteneva l’espressione impassibile. Doveva fare qualcosa, che ne avesse o meno la possibilità. Un secondo tentativo di raggiungere saidin colpì vanamente contro quella barriera invisibile. Lasciò vagare gli occhi come se stesse pensando. Callandor era alle sue spalle, lontano dalla sua portata come l’altro lato dell’oceano Aryth. Il pugnale era appoggiato su un tavolo vicino al letto, assieme a una volpe quasi terminata che stava scolpendo. Le masse informi di metallo che lo prendevano in giro da sopra la mensola del camino, un uomo sciatto che scivolava fra le porte con un pugnale in mano, i libri sparsi ovunque. Rand si voltò verso Lanfear, teso.

«Sei sempre stato testardo» mormorò. «Non ti prenderò, stavolta. Voglio che tu venga a me di tua spontanea volontà. E ti avrò. Che succede? Sembri contrariato.»

Un uomo sciatto che scivolava fra le porte con un pugnale in mano, pensò; lo sguardo di Rand era passato oltre il tizio quasi senza vederlo. Istintivamente spinse Lanfear e si protese verso la Vera Fonte; lo schermo che la proteggeva svanì mentre lo toccava, ed ebbe la spada fra le mani come una fiamma rosso dorata. L’uomo gli andò incontro di corsa, con il pugnale basso, la punta rivolta verso l’alto per sferrare un colpo letale. Anche in quel momento, era difficile tenere gli occhi sul tipo, ma Rand si voltò fluidamente, e il vento soffia oltre il muro amputò la mano che impugnava il pugnale e terminò il viaggio attraversando il cuore dell’aggressore. Per un istante fissò dentro un paio d’occhi spenti — privi di vita mentre il cuore ancora pulsava — quindi liberò la lama.

«Un Uomo Grigio.» Rand fece quello che gli sembrò il primo respiro da ore. Il corpo ai suoi piedi era un disastro, sanguinava sul tappeto decorato a spirali, ma non era difficile soffermare lo sguardo su di lui, adesso. Era sempre così con gli assassini dell’Ombra; quando li notavi, di solito era sempre troppo tardi. «Non ha senso. Avresti potuto uccidermi facilmente. Perché distrarmi con un Uomo Grigio per balzarmi addosso?»

Lanfear lo guardava con circospezione. «Non faccio uso dei Senzanima, Ti ho detto che ci sono... differenze fra i Prescelti. Sembra che fossi in ritardo di un giorno sul mio giudizio, ma hai ancora il tempo di venire con me. Di imparare. Di vivere. Quella spada» sogghignò. «Non conosci un decimo di ciò che puoi fare. Vieni con me e impara. O adesso vuoi provare a uccidermi? Ti ho liberato perché ti difendessi.»

La voce di Lanfear, la sua posizione, dicevano che si aspettava un attacco, quantomeno era pronta a controbattere, ma non fu ciò che lo trattenne, non più che l’essere stato rilasciato. Era una dei Reietti; aveva servito il male per così tanto tempo che faceva sembrare una neonata una delle Sorelle Nere. Eppure vedeva una donna. Si diede nove volte dello stupido, ma non poteva farlo. Forse se avesse provato a ucciderlo. Forse. Ma tutto quel che faceva era starsene lì in piedi, a guardarlo, in attesa. Senza dubbio pronta a utilizzare il Potere in un modo che lui non poteva nemmeno immaginare, se avesse cercato di prenderla. Era riuscito a bloccare Elayne ed Egwene, ma era stata una di quelle cose che faceva senza pensare, il procedimento seppellito da qualche parte in fondo alla testa. Poteva solo ricordarsi che lo aveva fatto, non come. Almeno adesso aveva una presa salda su saidin; non lo avrebbe nuovamente preso alla sprovvista. La contaminazione disgustosa non era nulla; saidin era la vita, forse in più di un senso.

Un pensiero improvviso gli venne a galla nella mente come uno zampillo caldo. Gli Aiel. Anche un Uomo Grigio avrebbe trovato impossibile sgattaiolare attraverso porte vegliate da una mezza dozzina di Aiel.

«Che cosa hai fatto loro?» La voce di Rand era rauca mentre indietreggiava verso le porte mantenendo lo sguardo su Lanfear. Se aveva usato il Potere, forse se ne sarebbe accorto. «Che cosa hai fatto agli Aiel là fuori?»

«Niente» rispose freddamente. «Non uscire. Questa potrebbe essere solamente una prova per vedere quanto sei vulnerabile, ma anche un tentativo potrebbe ucciderti, se ti comporti da sciocco.»

Rand spalancò la porta di sinistra su una scena di follia.

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