Alcune gocce residue della pioggia del mattino ancora cadevano dalle foglie del melo, e un fringuello color porpora saltò su un ramo dove stava formandosi un frutto che quell’anno non sarebbe stato raccolto. Il sole era alto, ma nascosto dietro spesse nuvole grigie. Seduto in terra a gambe incrociate, Perrin provò la corda dell’arco. La corda tesa coperta di cera aveva la tendenza a rilasciarsi nel tempo umido. La tempesta che Verin aveva evocato per nasconderli all’inseguimento aveva sorpreso anche lei per la ferocia con la quale si era abbattuta su di loro e da allora aveva diluviato altre tre volte in sei giorni. Almeno gli sembrava che fossero sei. Non ciaveva davvero pensato da allora, si era semplicemente lasciato andare in balia degli eventi, reagendo a quanto gli si presentava davanti al momento. Il lato piatto dell’ascia gli premeva su un fianco, ma Perrin se ne accorgeva appena.
Dei bassi monticelli erbosi segnavano tutte le generazioni di Aybara seppellite in quel luogo. La più vecchia fra le lapidi di legno inciso, spaccata e appena leggibile, riportava date di almeno trecento anni fa, deposta su una tomba non distinguibile dal resto del terreno. Furono i monticelli battuti dalla pioggia a malapena coperti di erba che gli fecero male. Generazioni di Aybara erano sepolte qui, ma certamente mai ne erano stati seppelliti quattordici nello stesso momento. La zia Neain vicino alla tomba di zio Carlin, con i due bambini accanto. La prozia Ealsin nella fila di zio Eward, zia Magde e i loro tre bambini, nella fila lunga con il padre e la madre. Adora, Deselle e Paet. Una lunga fila di monticelli coperti di nuda terra e poca erba. Contò le frecce che gli erano rimaste nella faretra. Diciassette. Troppe erano danneggiate ed era valso la pena recuperarle solo per la punta di metallo. Non aveva tempo di farne di nuove, presto avrebbe dovuto andare a cercare il fabbricante di frecce di Emond’s Field. Buel Dawtry ne produceva di buone, anche migliori di quelle di Tam.
Un leggero fruscio alle sue spalle gli fece fiutare l’aria. «Cosa c’è, Dannil?» chiese senza voltarsi.
Sentì un’esclamazione, un momento di sorpresa, prima che Dannil Lewin annunciasse: «La lady è qui, Perrin.» Nessuno di loro si era abituato al fatto di essere riconosciuto prima di essere visto, o al buio, ma a Perrin non importava cosa gli altri trovassero strano.
Aggrottò le sopracciglia. Dannil sembrava più magro di com’era. I contadini non potevano nutrirne più di tanti e il cibo era banchetto o carestia mentre la caccia proseguiva. Prevalentemente carestia. «La lady?»
«Lady Faile. Con lord Luc. Sono giunti da Emond’s Field.»
Perrin si alzò lentamente, procedendo a lunghe falcate che costringevano Dannil a correre per mantenere il passo. Cercò di non guardare la casa. Il legno carbonizzato e i camini fuligginosi che una volta erano stati la casa dove era cresciuto. Scrutò fra gli alberi alla ricerca delle sue sentinelle, quelle vicino alla fattoria. Così vicino al Waterwood la terra era piena di alte querce e cicuta, frassini e alloro. Il fogliame fitto nascondeva bene i ragazzi — gli abiti grigi dei contadini erano ottimi per nascondersi — per cui anche lui aveva difficoltà a vederli. Doveva parlare con quelli più lontani, in teoria avevano l’incarico di accertarsi che nessuno si avvicinasse senza essere visto. Anche Faile e questo Luc.
L’accampamento, in un boschetto che Perrin da bambino faceva finta fosse una foresta selvatica, era un luogo impervio fra il sottobosco, con le coperte tese fra i rami per creare ripari e altre sparse in terra vicino ai piccoli fuochi da cucina. I rami gocciavano anche qui. La maggior parte dei quasi cinquanta uomini del campo, tutti giovani, non erano rasati, alcuni per imitare Perrin, altri perché era sgradevole radersi con l’acqua fredda. Erano bravi cacciatori — aveva rimandato a casa chiunque non lo fosse — ma non abituati a più di una notte o due all’aperto. Nemmeno abituati a ciò che Perrin stava facendo fare loro.
Proprio in quel momento erano in piedi a bocca aperta attorno a Faile e Luc, e solo quattro o cinque avevano gli archi in mano. Questi infatti il più delle volte erano a terra vicino ai giacigli, come anche le faretre. Luc giocava pigramente con le redini dell’alto stallone nero, l’immagine dell’indolenza, pura arroganza in giubba rossa e freddi occhi azzurri che ignoravano gli uomini che lo circondavano. L’odore dell’uomo risaltava fra quello degli altri, freddo e distante, quasi come se non avesse nulla in comune con loro, nemmeno l’umanità.
Faile andò subito incontro a Perrin con un sorriso, la stretta gonna separata di seta grigia che frusciava. Profumava vagamente di sapone alle erbe, e del suo odore naturale.
«Mastro Lunati aveva detto che avremmo potuto trovarti qui.»
Perrin aveva intenzione di domandarle cosa ci facesse lì, invece l’abbracciò e sollevandola in aria le disse: «È bello vederti. Mi sei mancata.»
Faile si scostò per guardarlo. «Sembri stanco.» Perrin ignorò l’osservazione, non aveva tempo di essere stanco. «Hai portato tutti sani e salvi a Emond’s Field?»
«Si trovano alla locanda della Fonte del Vino.» Faile sorrise di colpo. «Mastro al’Vere ha trovato una vecchia alabarda e ha dichiarato che se i Manti Bianchi li vogliono, dovranno passare sul suo corpo. Adesso sono tutti al villaggio, Perrin. Verin, Alanna e i Custodi. Facendo finta chiaramente di essere qualcun altro. E Loial. Di certo ha attirato l’attenzione. Anche più di Bain e Chiad.» Il sorriso mutò in un’espressione cupa. «Loial mi ha chiesto di riferirti un messaggio. Alanna è scomparsa due volte senza dire niente a nessuno, una volta da sola. Loial ha anche detto che Ihvon sembrava sorpreso della sua scomparsa e di non riferirlo a nessun altro.» Studiò il volto di Perrin. «Cosa significa, Perrin?»
«Niente, forse. Solo che non posso essere certo di potermi fidare di lei. Verin mi ha avvisato di fare attenzione ad Alanna. Ma posso fidarmi di Verin? Hai detto che Bain e Chiad si trovano a Emond’s Field? Immagino significhi che lui ne è al corrente.» Fece un cenno con la testa verso Luc. Alcuni degli uomini gli si erano avvicinati ponendo diverse domande e questi rispondeva con un sorriso accondiscendente.
«Sono venute con noi» rispose Faile lentamente. «Adesso stanno esplorando le vicinanze del tao campo. Non credo che abbiano un’opinione molto elevata delle tue sentinelle. Perrin, perché non vuoi che Luc sappia degli Aiel?»
«Ho parlato con diverse persone alle quali non è stata incendiata la fattoria.» Luc era troppo lontano per sentire, ma Perrin abbassò comunque la voce. «Contando quella di Flann Lewin, Luc si è recato in cinque di esse il giorno che furono attaccate, o quello precedente.»
«Perrin, l’uomo è uno sciocco arrogante per molti versi — ho sentito dire che vuole reclamare il trono di una delle terre delle Marche di Confine, anche se ci ha detto di essere del Murandy — ma non puoi davvero credere che sia un Amico delle Tenebre. Ha dato dei buoni consigli quando eravamo a Emond’s Field. Quando ho detto che tatti si trovano lì, intendevo tatti.» Scosse la testa scura pensierosa. «Centinaia e centinaia di persone sono giunte dal Nord e dal Sud, da ogni direzione, con il bestiame e le pecore, tatti parlavano degli avvertimenti di Perrin Occhidoro. Il tao piccolo villaggio sta preparandosi a difendersi in caso di bisogno e Luc in questi giorni si è recato ovunque.»
«Perrin chi?» esclamò trasalendo. Cercando di cambiare argomento aggiunse: «Dal Sud? Ma questo è il punto più a sud dove mi sia recato. Non ho parlato con nessun contadino a più di un chilometro al di sotto delle acque della Fonte del Vino.»
Faile gli tirò la barba ridendo. «Le voci si spargono, mio bravo generale. Credo che la metà di loro si aspetti che li assembli in un esercito e che iniziate a ricacciare i Trolloc fino alla Grande Macchia. Ci saranno delle storie su di te nei Fiumi Gemelli per almeno i prossimi mille anni. Perrin Occhidoro, cacciatore di Trolloc.»
«Luce!» mormorò Perrin.
Cacciatore di Trolloc. C’era stato poco fino al quel momento per giustificare quel titolo. Due giorni dopo aver liberato comare Luhan e gli altri, il giorno dopo che Verin e Tomas se ne erano andati, erano giunti alle rovine ancora fumanti di una fattoria, lui e quindici ragazzi dei Fiumi Gemelli che erano con lui allora. Dopo aver sepolto chi avevano ritrovato fra le ceneri, fu abbastanza facile seguire i Trolloc. Fra le conoscenze di Gaul e il suo fiuto. Il fetido e acuto puzzo dei Trolloc non aveva avuto il tempo di svanire, non per il suo naso. Alcuni ragazzi erano diventati esitanti quando avevano scoperto che intendeva davvero dare la caccia ai Trolloc. Se avessero dovuto allontanarsi molto, sospettava che molti se ne sarebbero andati quando nessuno stava guardando, ma la traccia guidava verso un boschetto a non più di cinque chilometri di distanza. I Trolloc non si erano presi la briga di piazzare delle sentinelle — non c’erano Myrddraal con loro a sopraffarne la pigrizia — e gli uomini dei Fiumi Gemelli sapevano come appostarsi silenziosamente. Morirono trentadue Trolloc, molti fra le loro coperte sudice, trafitti dalle frecce prima che riuscissero a gridare, o snudare spade o asce. Dannil, Ben e gli altri erano pronti a celebrare il gran trionfo, finché non scoprirono cosa c’era nella pentola dei Trolloc piazzata sul fuoco. La maggior parte si allontanò per vomitare e più di uno piangeva apertamente. Perrin aveva scavato personalmente la fossa. Solo una. Non c’era modo di dire quale parte appartenesse a chi. Per quanto si sentisse freddo dentro, non era certo che lo avrebbe sopportato se ci fosse stato modo di distinguerli.
Più tardi il giorno seguente nessuno esitò quando colse un’altra traccia fetente, anche se qualcuno si chiedeva cosa stesse seguendo fino a quando Gaul non trovò le impronte di zoccoli e stivali, troppo grossi per essere umani. Un altro boschetto, più vicino al Waterwood, nascondeva quarantuno Trolloc e un Fade, con le sentinelle stavolta, anche se la maggior parte dormiva. Non avrebbe fatto differenza se fossero stati svegli. Gaul uccise quelli che lo erano, scivolando fra gli alberi come un’ombra e gli uomini dei Fiumi Gemelli erano quasi trenta a quel punto. Quelli che non avevano visto la pentola ne avevano sentito parlare e gridavano mentre scagliavano le frecce, con soddisfazione non meno selvaggia degli ululati gutturali dei Trolloc. Il Myrddraal vestito di nero era stato l’ultimo a morire, un porcospino trafitto di frecce. Nessuno si prese la briga di recuperare le anni da quel corpo, anche quando finalmente aveva smesso di avere le convulsioni.
Quella notte giunse il secondo temporale, ore di terribile diluvio con il cielo pieno di nuvole nere e lampi micidiali. Da allora Perrin non aveva più fiutato i Trolloc e le tracce erano state asportate via dalla pioggia. La maggior parte del tempo l’avevano trascorsa a evitare le pattuglie dei Manti Bianchi, che tutti sostenevano fossero più numerose che in passato. I contadini con cui Perrin aveva parlato sostenevano che i Manti Bianchi erano più interessati a ritrovare i prigionieri e quelli che li avevano liberati piuttosto che i Trolloc.
Adesso un discreto numero di uomini si era riunito attorno a Luc. Era abbastanza alto, per cui i capelli rosso dorato spiccavano fra le teste scure. Sembrava che lui parlasse e gli altri ascoltassero, annuendo.
«Vediamo cosa ha da dire» osservò torvo Perrin.
Gli uomini dei Fiumi Gemelli aprirono subito un varco. Erano tutti concentrati sul lord con la giubba rossa, che stava ancora parlando. «... Per cui adesso il villaggio è abbastanza sicuro. Pieno di gente che si è riunita per difenderlo. Devo ammettere che mi piace dormire sotto a un tetto, quando posso. Comare al’Vere, alla locanda, fornisce dei pasti gustosi. Il suo pane è fra i migliori che abbia mai mangiato. Non c’è davvero nulla come il pane appena sfornato, il burro appena preparato e rilassarsi la sera con una buona coppa di vino, o l’ottima birra scura di mastro al’Vere.»
«Lord Luc ci stava dicendo che dovremmo recarci a Emond’s Field, Perrin» spiegò Kenley Ahan mentre si strofinava il naso rosso con il dorso della mano sudicia. Non era il solo che non si era potuto lavare quanto avrebbe voluto, nemmeno il solo con il raffreddore.
Luc sorrise a Perrin come avrebbe fatto guardando un cane e aspettandosi che facesse qualche esercizio. «Il villaggio è discretamente sicuro, ma c’è sempre bisogno di schiene forti.»
«Stiamo dando la caccia ai Trolloc» rispose freddamente Perrin. «Non tutti hanno ancora lasciato le fattorie, e ogni banda che troviamo e sterminiamo significa una fattoria non incendiata e più gente con la possibilità di mettersi in salvo.»
Wil al’Seen scoppiò a ridere. Non era così carino con il naso rosso e gonfio e una barba di sei giorni, tutta a chiazze. «Non abbiamo fiutato un Trolloc per giorni. Sii ragionevole, Perrin. Forse li abbiamo già uccisi tutti.» Vi furono mormorii di consenso.
«Non intendo diffondere dissenso.» Luc aprì le braccia ingenuamente. «Senza dubbio hai avuto molti successi oltre quelli di cui ho sentito parlare. Centinaia di Trolloc uccisi, mi aspetto. Forse li hai anche cacciati via. Posso garantirti che Emond’s Field è pronta a offrirvi un benvenuto da eroi. Lo stesso dovrebbe valere per Watch Hill, per quelli che comunque vivono lì. Nessuno di Deven Ride?» Wil annuì e Luc gli batté una mano sulla spalla come se fosse un amicone. «Il benvenuto di un eroe, senza alcun dubbio.»
«Chiunque vuole andare a casa può farlo» intervenne Perrin con voce decisa. Faile diresse verso di lui uno sguardo ammonitore; questo non era il modo di essere un generale. Ma Perrin non voleva nessuno con lui che davvero non volesse trovarsi lì. E non voleva nemmeno essere un generale.
«Io personalmente non credo che il lavoro sia ancora finito, ma è una vostra scelta.»
Nessuno si mosse, ma Wil sembrava pronto a farlo e altri venti fissavano il terreno e scalciavano le foglie morte.
«Be’,» puntualizzò Luc con indifferenza «se non ti sono rimasti altri Trolloc ai quali dare la caccia, forse è ora che rivolgi le tue attenzioni verso i Manti Bianchi. Non sono contenti della decisione dei tuoi concittadini dei Fiumi Gemelli di difendersi da soli. E mi sembra di aver capito che vogliono impiccarvi come fuorilegge, per aver rapito i loro prigionieri.»
Fra molti dei ragazzi passarono sguardi ansiosi.
Fu allora che giunse Gaul facendosi largo fra la folla, seguito da Bain e Chiad. Non che gli Aiel dovessero farsi largo a forza. Gli uomini si aprivano non appena si accorgevano di chi fossero. Luc guardò Gaul pensieroso, forse con disapprovazione, l’Aiel lo fissò a sua volta con il viso pietrificato. Wil, Dannil e gli altri si illuminarono alla vista dell’Aiel. Molti di loro ancora credevano che si nascondessero a centinaia da qualche parte fra i boschetti e le foreste. Non si chiedevano mai perché tutti quegli Aiel rimanessero nascosti e Perrin certamente non toccava mai l’argomento. Se credere ai rinforzi di centinaia di Aiel serviva a mantenere il coraggio, andava bene.
«Cosa hai scoperto?» chiese Perrin. Gaul era andato via dal giorno prima, poteva muoversi velocemente come un uomo a cavallo, più veloce nelle foreste, e vedeva più cose.
«Trolloc» rispose Gaul come se stesse riferendo la presenza di pecore «che si muovono nel Waterwood verso sud. Non sono più di trenta e credo che intendano accamparsi nella foresta per attaccare stanotte. E ci sono ancora uomini nelle terre a sud.» Sorrise improvvisamente con fare lupesco. «Non mi hanno visto. Non avranno nessun preavviso.»
Chiad si inchinò verso Bain. «Si muove abbastanza bene, per essere un Cane di Pietra» sussurrò abbastanza forte per farsi sentire fino a sei metri di distanza. «Fa poco più rumore di un toro storpio.»
«Be’, Wil?» osservò Perrin. «Vuoi andare a Emond’s Field? Puoi raderti e forse trovare una ragazza da baciare mentre questi Trolloc stanotte ceneranno.»
Wil arrossì. «Stanotte mi troverò ovunque tu sarai, Aybara» rispose con voce severa.
«Nessuno intende andare a casa se questi Trolloc sono ancora in giro, Perrin» aggiunse Kenley.
Perrin guardò gli altri, incontrando solo cenni di approvazione? «Cosa mi dici, Luc?» Ci farebbe piacere avere un lord, Cercatore del Corno, con noi. Ci potresti mostrare come fare.»
Luc sorrise rapidamente, uno squarcio nella pietra che non si avvicinò mai a quei gelidi occhi azzurri. «Temo che i difensori di Emond’s Field abbiano ancora bisogno di me. Devo proteggere la tua gente, nel caso i Trolloc arrivassero in un numero superiore di trenta. O i Figli della Luce. Lady Faile?» Le porse una mano per aiutarla a montare a cavallo, ma la donna scosse il capo.
«Resterò con Perrin, lord Luc.»
«Un peccato» rispose stringendosi nelle spalle, come a dire che i gusti delle donne erano incomprensibili. Sistemando i guanti con i lupi ricamati balzò agilmente in sella allo stallone nero. «Buona fortuna, mastro Occhidoro. Spero che tutti voi ne abbiate.» Con un mezzo inchino rivolto a Faile, fece voltare il cavallo e lo spronò a un galoppo che costrinse alcuni dei suoi uomini a balzare indietro.
Faile lanciò a Perrin un’occhiata dura che preannunciava una predica sulla maleducazione, una volta soli. Ascoltò il rumore degli zoccoli del cavallo fino all’ultimo, quindi si rivolse a Gaul. «Possiamo anticipare i Trolloc? Aspettarli da qualche parte prima che raggiungano qualsiasi posto dove intendono fermarsi?»
«Le distanze sono giuste, se ci muoviamo ora» rispose Gaul. «Si stanno spostando in linea retta, senza fretta. C’è anche uno di Coloro che Percorrono la Notte. Sarebbe più facile sorprenderli nel sonno piuttosto che nella veglia.» Si riferiva agli uomini dei Fiumi Gemelli, da lui non proveniva odore di paura.
Dagli altri certamente sì, eppure nessuno suggerì che un confronto con i Trolloc svegli e un Myrddraal che li spronava non fosse il piano migliore. Smontarono il campo non appena Perrin diede l’ordine, spegnendo i fuochi e spargendo le ceneri, raccogliendo le poche pentole e montando in groppa ai cavalli male assortiti che avevano a disposizione. Una volta richiamate le sentinelle — Perrin si disse che avrebbe dovuto parlare con loro — erano circa settanta. Di certo abbastanza per assalire trenta Trolloc. Ban al’Seen e Dannil guidavano le due colonne — sembrava il solo sistema per evitare discussioni — e Bili al’Dai e Kenley con altri guidavano gruppetti di dieci. Anche Wil non era una cattiva persona di solito, quando riusciva a non pensare alle ragazze. Faile cavalcava Rondine subito appresso a Stepper mentre si dirigevano verso sud seguendo l’Aiel che correva. «Davvero non ti fidi di lui» osservò. «Pensi che sia un Amico delle Tenebre.»
«Io mi fido di te, del mio arco e della mia ascia» le rispose. Il volto di Faile sembrava triste e felice allo stesso tempo, ma era la pura verità.
Gaul li guidò per due ore verso sud prima di svoltare nel Waterwood, un intrico di alte querce, pini ed ericacee, cespugli di alloro e alberi conici, faggi, bacchedolci e salici, con cespugli di rampicanti in basso. Un centinaio di scoiattoli squittiva sui rami, tordi, fringuelli e alirosse volavano ovunque. Perrin fiutò daini, conigli e volpi. C’erano torrentelli in abbondanza, stagni e laghetti punteggiavano la foresta, spesso ombreggiati ma a volte aperti, ampi da meno di dieci passi fino quasi a cinquanta. Il terreno sembrava fradicio dopo la pioggia, sguazzando sotto agli zoccoli dei cavalli.
Fra un largo stagno circondato da salici e un rivolo ampio un passo, a forse tre chilometri nella foresta, Gaul si fermò. I Trolloc sarebbero arrivati qui, se avessero proseguito nella direzione intrapresa. I tre Aiel scomparvero fra gli alberi per accertarsene e avvisare dell’eventuale avvicinamento.
Lasciando Faile e una dozzina di uomini a guardia dei cavalli, Perrin fece allargare gli altri in una curva, una coppa nella quale avrebbero dovuto marciare i Trolloc. Dopo essersi accertato che ogni uomo fosse ben nascosto e sapesse cosa fare, sì mise in fondo a questa coppa, accanto a una quercia con un tronco spesso più di quanto era alto lui.
Allentò l’ascia che aveva alla cintura, incoccò una freccia e attese. Sul viso gli soffiava una leggera brezza, che alternativamente si alzava e scendeva. Avrebbe dovuto essere in grado di fiutare i Trolloc molto prima che fossero giunti in vista. Avrebbero dovuto andare dritti verso di lui. Toccò ancora l’ascia e attese. Trascorsero i minuti. Di più. Quanto tempo doveva trascorrere prima che sarebbe apparsa la progenie dell’Ombra? Ancora un po’ in questa palude e avrebbe dovuto rimpiazzare la corda dell’arco.
Gli uccelli svanirono un momento prima che gli scoiattoli si azzittissero. Perrin sospirò e si guardò intorno. Nulla. In quella brezza avrebbe certamente dovuto fiutare i Trolloc non appena percepiti dagli ammali.
Una folata improvvisa gli portò alle narici un fetore putrido, come sudore vecchio di centinaia di anni e decomposizione. Voltandosi di scatto, gridò: «Li abbiamo alle spalle! Adunata da me! Ragazzi dei Fiumi Gemelli, da me!» Alle spalle. I cavalli. «Faile!»
Strilli e grida eruppero da ogni lato, ululati e grida selvagge. Un Trolloc con la testa di ariete balzò allo scoperto a venti passi di distanza, sollevando un lungo arco ricurvo. Perrin accostò la freccia all’orecchio e la scagliò con un movimento fluido, prendendone subito un’altra non appena la prima lasciò l’arco. La grande punta colse il Trolloc in mezzo agli occhi, il quale gridò cadendo e la sua freccia, della dimensione di una piccola lancia, colse Perrin nel fianco come il colpo di un martello.
Ansimando per la violenta emozione si piegò in avanti, facendo cadere l’arco e la freccia. Il dolore si espandeva a ondate dalla freccia piumata nera, tremava quando respirava e ogni fremito propagava una nuova fitta di dolore.
Altri due Trolloc balzarono scavalcando il compagno morto, muso di lupo e corna caprine, sagome coperte di cotta di maglia nera grosse il doppio di Perrin. Gli corsero incontro latrando, con le spade curve sollevate. Costringendosi ad alzarsi serrò i denti ed estrasse la freccia spessa come un dito, prese l’ascia e corse ad affrontarli. Si accorse che anche lui stava ululando. Con una rabbia in corpo che gli velava gli occhi di rosso. I due torreggiavano su di lui, con le armature piene di spuntoni sui gomiti e le spalle, ma Perrin agitava frenetico l’ascia come se con ogni colpo cercasse di abbattere un albero. Per Adora. Per Deselle. «Mia madre!» gridò. «Che siate folgorati! Mia madre!»
D’improvviso si accorse che stava colpendo una figura sanguinolenta stesa in terra. Ringhiando si costrinse a fermarsi, tremando per lo sforzo quanto per il dolore nel fianco. Adesso c’erano meno grida. Meno strilli. Era rimasto qualcun altro oltre lui? «Adunata da me! Ragazzi dei Fiumi Gemelli, da me!»
«Fiumi Gemelli!» qualcuno gridò freneticamente dalla foresta umida, poi un altro «Fiumi Gemelli!»
Due, solamente due. «Faile!» gridò Perrin. «Oh, Luce. Faile!»
Un lampo nero che fluttuava fra gli alberi annunciò l’arrivo di un Myrddraal prima che potesse vederlo chiaramente, l’armatura nera sembrava la pelle di un serpente e il mantello pendeva indisturbato mentre la creatura correva. Quando si avvicinò rallentò a una sinuosa camminata sicura. Sapeva che Perrin era ferito e sapeva che era una facile preda. Quel volto pallido dallo sguardo senza occhi lo trapassava e terrorizzava. «Faile?» ripeté il Fade con tono canzonatorio, la voce faceva suonare il nome come un pezzo di pelle bruciata che si sgretolava. «La tua Faile era... deliziosa.»
Ruggendo Perrin si scagliò contro di lui. Una spada dalla lama nera schivò il primo colpo di Perrin. E il secondo. Il terzo. Il volto pallido da lumaca di quella creatura divenne fisso dalla concentrazione, ma si muoveva come una vipera, come il fulmine. Per il momento era sulla difensiva. Per il momento. Il sangue gli colava sul fianco e bruciava come il fuoco di una forgia. Non poteva andare avanti a lungo. E quando gli fosse mancata la forza, quella spada avrebbe trovato il suo cuore.
Scivolò sul fango che gli si era appiccicato allo stivale e il Fade ritrasse la lama — una spada sfocata decapitò parzialmente la testa priva di occhi, di modo che ricadde su una spalla in una fontana di sangue nero. Affondando alla cieca il Myrddraal arretrò inciampando, rifiutandosi di morire completamente, cercando ancora istintivamente di uccidere.
Perrin strisciò fuori dal cammino della creatura, ma la sua attenzione era tutta concentrata sull’uomo che puliva la lama freddamente con una manciata di foghe. Il mantello cangiante di Ihvon pendeva dietro le spalle dell’uomo. «Alanna mi ha mandato a cercarti. Non c’ero quasi riuscito per come vi stavate muovendo, ma settanta cavalli lasciano delle tracce.» Il Custode scuro e snello sembrava composto come se stesse accendendosi la pipa davanti al camino. «I Trolloc non erano legati a quel...» Indicò il Myrddraal con la spada, caduto ma ancora in preda alle convulsioni, che affondava la spada a caso. «... È un peccato, ma se riesci a riunire la tua gente potrebbero non avere voglia di affrontarti senza uno di quei Senza Faccia che li pungola. Direi che sono un centinaio, pressappoco. Adesso qualcuno di meno. Nei hai fatti fuori alcuni.» Ihvon iniziò una calma indagine delle ombre, solo la lama che impugnava in mano indicava qualcosa fuori dal normale.
Per un momento Perrin rimase a bocca aperta. Alanna lo voleva? Aveva inviato Ihvon a cercarlo? Proprio in tempo per salvargli la vita. Scuotendosi ritrovò la voce. «Fiumi Gemelli, a me! Per amore della Luce, adunata da me! Qui! Adunata! Qui!»
Stavolta continuò fino a quando vide dei volti familiari che inciampavano in mezzo agli alberi. Il sangue il più delle volte striava i loro volti. Facce scioccate e fisse. Alcuni uomini sostenevano gli altri e alcuni avevano perso gli archi. Gli Aiel erano con loro, apparentemente incolumi, tranne Gaul che zoppicava leggermente.
«Non sono arrivati dalla direzione che ci aspettavamo» fu tutto quello che l’Aiel disse. La notte era più fredda di quanto ci aspettassimo. C’era più pioggia di quanta ce ne aspettassimo. Questo fu il suo modo di dirlo.
Faile sembrò materializzarsi con i cavalli. La metà dei cavalli, inclusi Stepper e Rondine, più nove dei dodici uomini che erano con loro. Su una guancia aveva un’escoriazione, ma era viva. Cercò di abbracciarla, ma la donna spinse via il braccio, lamentandosi della freccia spezzata nel fianco mentre gli toglieva gentilmente la giubba per cercare di scoprire dove fosse andata a finire.
Perrin studiò gli uomini che lo circondavano. Adesso avevano smesso di arrivare e alcuni volti mancavano all’appello. Kenley Ahan, Bili al’Dai, Teven Marwin. Si costrinse a menzionare tutti gli assenti, a contarli. Ventisette. Ventisette erano assenti. «Avete portato tutti i feriti?» chiese stordito. «C’è nessuno che è stato lasciato indietro?» La mano di Faile tremò sul fianco di Perrin, la sua espressione mentre guardava la ferita era un misto di preoccupazione e furia. Aveva motivo di essere arrabbiata. Non avrebbe mai dovuto trascinarla in tutto questo.
«Solo i cadaveri» rispose Ban al’Seen con una voce pesante come la sua espressione.
Sembrava che Wil stesse guardando qualcosa appena fuori della visuale. «Ho visto Kenley» disse. «La testa era nell’incavo di una quercia e il resto più in basso. L’ho visto. Adesso il raffreddore non gli darà più fastidio.» Starnutì e sembrò attonito.
Perrin sospirò pesantemente desiderando di non averlo fatto; il dolore guizzò nel fianco facendogli serrare i denti. Faile, con una sciarpa di seta verde e oro avvolta in mano stava cercando di sfilargli la camicia dai pantaloni. Perrin respinse la mano di Faile anche se la donna lo guardò torva. Non c’era tempo adesso per occuparsi delle ferite. «I feriti sui cavalli ordinò quando poté parlare nuovamente. «Ihvon, ci attaccheranno?» La foresta sembrava troppo tranquilla. «Ihvon?» Il Custode apparve, guidando un castrone grigio scuro dagli occhi feroci. Perrin ripeté la domanda.
«Forse. Forse no. Lasciati da soli i Trolloc uccidono le prede più facili. Senza il Mezzo Uomo probabilmente preferiranno trovare una fattoria piuttosto che qualcuno che potrebbe trapassarli con una freccia. Assicurati che tutti quelli che si reggono in piedi abbiano un arco con la freccia incoccata, anche se non possono scagliarla. I Trolloc potrebbero decidere che il prezzo da pagare è troppo alto per un po’ di divertimento.»
Perrin rabbrividì. Se i Trolloc attaccavano si sarebbero divertiti come al ballo del Giorno d’Estate. Ihvon e gli Aiel erano i soli veramente pronti a combattere. E Faile, gli occhi scuri della ragazza brillavano furiosi. Doveva portarla in salvo.
Il Custode non offrì il suo cavallo per i feriti, e a ragione. L’animale non avrebbe lasciato che nessun altro lo montasse e cavalli da guerra con il loro padrone in sella sarebbero stati armi formidabili in caso i Trolloc avessero attaccato di nuovo. Perrin cercò di far salire Faile su Rondine, ma lei lo fermò. «Hai detto i feriti,» rispose dolcemente «ricordi?»
Con suo sommo disgusto la ragazza insisté affinché lui cavalcasse Stepper. Si aspettava che gli altri avrebbero protestato, dopo che li aveva guidati al disastro, ma nessuno lo fece. C’erano giusto i cavalli per quelli che non potevano camminare o andare lontano — più tardi ammise malvolentieri che apparteneva a uno di questi gruppi — per cui alla fine salì in sella. Almeno la metà degli altri cavalieri era aggrappata al proprio. Perrin stava a schiena dritta e denti serrati.
Quelli che camminavano o incespicavano, anche alcuni di quelli a cavallo, stringevano gli archi come se questi significassero la salvezza. Perrin aveva il suo e anche Faile era armata di arco, anche se Perrin dubitava che sarebbe riuscita a usare uno dei lunghi archi dei Fiumi Gemelli. In questo momento contava l’apparenza, l’illusione, che forse li avrebbe salvati. Come Ihvon, pronto a scattare come una frusta, i tre Aiel non sembravano aver cambiato atteggiamento mentre scivolavano avanti, le lance infilate nei finimenti della custodia dell’arco che avevano a tracolla e gli archi di corno in mano. Gli altri, incluso lui, erano degli stracci, nulla che somigliasse alla banda che aveva guidato in questo luogo, così sicura e orgogliosa. Eppure l’illusione funzionava bene come la realtà. Per il primo chilometro nella foresta intricata il vento gli portò al naso il fetore dei Trolloc, che si nascondevano o erano appostati. Quindi il fetore lentamente diminuì e svanì mentre i Trolloc rimanevano indietro, ingannati dal miraggio.
Faile camminava accanto a Stepper, con una mano sulla gamba di Perrin come se intendesse sostenerlo. Di tanto in tanto lo guardava sorridendo incoraggiante, ma con la preoccupazione che le faceva aggrottare la fronte. Perrin ricambiava i sorrisi meglio che poteva, cercando di farle credere che stava bene. Ventisette. Non riusciva a evitare che i nomi gli scorressero nella testa. Colly Garren e Jared Aydaer, Dael al’Taron e Ren Chandin. Ventisette ragazzi dei Fiumi Gemelli che aveva ucciso con la sua stupidità. Ventisette.
Presero la via più diretta per uscire dal Waterwood lasciandolo nel pomeriggio. Era difficile stabilire quanto fosse tardi con il cielo ancora coperto di grigio e tutto il resto ombreggiato. Davanti a loro si estendevano pascoli erbosi cosparsi di alberi e qualche pecora, in lontananza si vedevano alcune fattorie.
Da nessuno dei camini saliva il fumo. Se in quelle abitazioni ci fosse stato qualcuno, qualcosa sarebbe stato sul fuoco sotto al camino.
Il pennacchio di fumo più vicino sembrava almeno a otto chilometri di distanza.
«Dovremo trovare una fattoria per la notte» osservò Ihvon. «Un posto al coperto in caso piovesse ancora. Un fuoco. Del cibo.» Guardò gli uomini dei Fiumi Gemelli e aggiunse: «Acqua e bende.»
Perrin si limitò ad annuire. Il Custode era più bravo di lui nel sapere quello che andava fatto. Anche il vecchio Bili Congar con la testa piena di birra probabilmente era migliore. Lasciò che Stepper seguisse il castrone grigio.
Prima che avessero cavalcato più di un chilometro, una musica lontana colse l’orecchio di Perrin, violini e flauti che suonavano motivi allegri.
All’inizio credeva di sognare, ma poi anche gli altri lo udirono, scambiandosi occhiate incredule, quindi sorrisi sollevati. Musica significava gente allegra, a giudicare dai suoni, qualcuno che celebrava un evento. L’idea di qualcuno che avesse qualcosa da festeggiare fu abbastanza per spronarli.