42 Una foglia mancante

Perrin stava in piedi vicino ai carri dei Tuatha’an sotto al sole splendente, da solo, nel fianco non aveva alcuna freccia e nemmeno dolore. Fra i carri era accatastata della legna da ardere pronta per essere accesa sotto alle pentole di ferro appese ai tripodi. I panni erano stesi ai fili ma non c’erano persone o cavalli. Perrin non indossava camicia e giubba, ma il lungo grembiule di cuoio da fabbro che gli lasciava scoperte le braccia. Poteva trattarsi di un qualsiasi sogno, ma era consapevole che si trattava di un sogno. Inoltre conosceva la sensazione del mondo dei sogni dei lupi, la sua realtà e solidità, dall’erba alta attorno agli stivali alla brezza occidentale che gli arruffava i capelli ricci, fino agli abeti sparsi e le cicute. I carri sgargianti dei Calderai non sembravano veri, ma piuttosto inconsistenti, emanavano la sensazione che potevano svanire di colpo con un tremito. Calderai. Nessun terreno poteva trattenerli.

Chiedendosi quanto fosse attaccato lui alla terra, appoggiò una mano sull’ascia e guardò in basso sorpreso. Appeso al gancio della cintura c’era il pesante martello da fabbro, non l’ascia. Aggrottò la fronte. Quella sarebbe stata la sua scelta di una volta, aveva anche pensato di averlo fatto, ma adesso no. L’ascia. Aveva scelto l’ascia. La testa del martello divenne d’improvviso una lama a mezza luna chiodata, quindi lampeggiò per ritornare un solido cilindro di freddo acciaio, passando dall’una all’altra forma. Alla fine rimase ferma in quella dell’ascia e Perrin tirò un sospiro di sollievo. Questa cosa non era mai accaduta prima. Qui poteva facilmente cambiare gli oggetti e le situazioni come voleva, almeno quelle che riguardavano lui. «E io voglio l’ascia» disse con fermezza. «L’ascia.»

Guardandosi attorno vide una sola fattoria a sud e dei daini che brucavano l’erba, circondati da un rozzo muretto di pietra. Non c’era la sensazione dei lupi e non stava chiamando Hopper. Il lupo poteva o non poteva venire, forse nemmeno sentire, ma l’Assassino poteva benissimo essere là fuori da qualche parte. Sentì il peso di una faretra piena di frecce dal lato opposto all’ascia e si ritrovò in mano un solido arco lungo con una freccia incoccata. L’avambraccio era protetto da una copertura di cuoio. Nulla si muoveva tranne i daini. «Non credo che mi sveglierò presto» si disse. Qualunque cosa fosse la mistura che Faile gli aveva propinato, lo aveva completamente messo fuori uso. Si ricordava chiaramente la scena come se l’avesse osservata da dietro le spalle. «Me l’ha fatta bere come se fossi un ragazzino» gridò. «Donne!»

Fece uno di quei lunghi passi — la terra si sfocò attorno a lui — e avanzò nella fattoria. C’erano due o tre galline che correvano selvaggiamente. L’ovile dal muretto di pietra era vuoto e i due granai dal tetto di paglia erano chiusi. Malgrado alle finestre ci fossero ancora le tendine, l’edificio di due piani sembrava vuoto. Se questo era un vero riflesso del mondo reale — e il mondo dei sogni dei lupi di solito lo era, anche se in modo insolito — la gente qui era andata via da giorni. Faile aveva ragione, i suoi avvisi si erano estesi oltre i luoghi che aveva visitato.

«Faile» mormorò dubbioso. Figlia di un lord. No, non solamente un lord. Tre volte lord, generale e zio di una regina. «Luce, allora lei è la cugina di una regina!» E ama un semplice fabbro. Le donne a volte sono meravigliosamente strane.

Nel tentativo di controllare quanto si fosse sparsa la voce, zigzagò ben oltre Deven Ride, due o tre chilometri per passo, ritornando indietro e incrociando il proprio cammino. Quasi tutte le fattorie che vide erano vuote, meno di una su cinque mostrava segni di vita, porte o finestre aperte, bucato steso fuori, bambole, altalene o cavalli a dondolo di legno davanti all’entrata. I giocattoli in particolar modo gli facevano stringere il cuore. Anche se non credevano ai suoi avvisi, certamente c’erano in giro abbastanza fattorie incendiate a dimostrare la stessa cosa, mucchi di legno bruciato, camini neri di fuliggine come dita mortali.

Inchinandosi per mettere a posto una bambola con un sorridente viso di vetro e un vestito ricamato a fiori — quella donna amava molto la figlia per fare tutto quel lavoro di ricamo — batté le palpebre.

La stessa bambola era ancora appoggiata sui gradini di pietra da dove l’aveva raccolta. Mentre si chinava, quella che aveva in mano sfumò e svanì.

Dei lampi neri in cielo abbreviarono il suo stupore. Corvi, venti o trenta tutti insieme che volavano verso il Bosco Occidentale. Verso le montagne della Nebbia, dove aveva visto l’Assassino per la prima volta. Guardò freddamente mentre i corvi rimpicciolivano alla dimensione di puntini neri per poi scomparire. Quindi decise di seguirli.

Lunghi passi veloci lo facevano avanzare ogni volta di otto chilometri, la terra era tutta sfocata tranne nel momento fra un passo e l’altro nel Bosco Occidentale pieno di alberi, sulle Colline Sabbiose dagli arbusti stentati, sulle montagne incappucciate di nuvole, dove abeti, pini ed ericacee ricoprivano valli e pendii, fino alla stessa valle dove per la prima volta aveva visto l’uomo che Hopper chiamava l’Assassino, sul fianco della montagna dalla quale aveva fatto ritorno da Tear.

Le Porte delle Vie erano lì, la foglia di Avendesora sembrava una delle tante fra la miriade di foghe scolpite e viticci. Alberi sparsi, avvizziti e deformati dal vento, punteggiavano il terreno fra le pietre vitree dove una volta era stata incendiata Manetheren. La luce solare brillava sulle acque del sottostante Manetherendrelle. Un vento leggero che soffiava dalla valle portava odore di daini, conigli e volpi. Non si muoveva nulla che lui potesse vedere.

Quando stava per andare via si fermò. La foglia di Avendesora, Una foglia. Loial aveva bloccato le Porte delle Vie sistemando entrambe le foglie da questo lato. Si voltò e gli si rizzarono i capelli dietro la nuca. Le Porte delle Vie erano aperte, due ammassi di fogliame vivente che si agitavano nella brezza, lasciando esposta quella superficie opaca argentata; il proprio riflesso tremava su di essa. Come? si chiese. Loial aveva bloccato la maledetta porta.

Inconsapevole di aver coperto la distanza, si ritrovò dritto dentro le Porte delle Vie. Non c’era nessuna foglia a tre punte nell’intrico dalla parte interna delle due ante. Era strano pensare in quel momento che nel mondo reale qualcuno — o qualcosa — stava passando proprio nel punto in cui si trovava. Toccando la superficie opaca, grugnì. Avrebbe potuto essere uno specchio, ma la mano scivolò attraverso di esso.

Con la coda dell’occhio vide la foglia di Avendesora improvvisamente al suo posto all’interno e balzò indietro proprio mentre le Porte delle Vie incominciavano a chiudersi. Qualcuno — o qualcosa — era uscito o entrato. Uscito. Doveva essere uscito. Voleva dubitare che si trattasse di altri Trolloc e Fade che entravano nei Fiumi Gemelli. Le ante si chiusero diventando nuovamente una parete scolpita.

La sensazione di essere guardato fu tutto l’avviso che ricevette. Saltò — una sagoma intravista di qualcosa di nero che sfrecciava dove prima si trovava il torace, una freccia — in uno di quei passi sfocati, atterrò su un pendio lontano e balzò ancora, fuori dalla valle del Manetheren fra un gruppo di alti pini, quindi ancora. Correndo pensava furioso, immaginandosi la valle e la fugace visione della freccia. Proveniva da quella direzione, a quell’angolo quando lo aveva raggiunto, per cui proveniva da...

Un ultimo salto lo riportò su un pendio sopra al cimitero di Manetheren, accucciato fra miserabili pini consumati dal vento, con l’arco in mano pronto a scagliare una freccia. La freccia era stata scoccata da sotto di lui, fra quegli alberi nani e i massi. L’Assassino doveva trovarsi da qualche parte là sotto. Doveva essere giù...

Senza pensare Perrin balzò via, le montagne erano macchie di grigio, marrone e verde.

«Quasi» gridò. Aveva quasi commesso lo stesso errore del Waterwood, pensando nuovamente che il nemico si sarebbe mosso in modo da favorirlo, che avrebbe aspettato dove voleva lui.

Stavolta corse più veloce possibile, solo tre passi per arrivare al margine delle Colline Sabbiose, sperando di non essere stato visto. Fece un ampio giro, ritornando indietro più in alto sullo stesso lato della montagna, dove l’aria era rarefatta e fredda e i pochi alberi presenti erano cespugli dal tronco spesso distanti tra loro almeno cinquanta passi; in alto, dove un uomo poteva appostarsi per osservarne un altro che voleva recarsi furtivo nel luogo da dove era stata scoccata la freccia.

Stavolta aveva trovato quel che cercava: cento passi più in basso, con i capelli e gli abiti scuri, un uomo alto accovacciato accanto a una sporgenza di granito grande come il piano di un tavolo, con l’arco parzialmente in tiro pronto alla mano, studiava il pendio più in basso con pazienza diligente. Era la prima volta che Perrin riusciva a guardarlo bene, cento passi erano una distanza piccola per i suoi occhi. La giubba dal colletto alto dell’Assassino aveva il taglio delle Marche di Confine e assomigliava abbastanza a Lan da poter sembrare il fratello del Custode. Solo che Lan non aveva fratelli — nessun parente in vita, almeno che lui sapesse — e se ne avesse avuti, non sarebbero stati qui. Però era un uomo delle Marche di Confine. Forse dello Shienar, anche se aveva i capelli lunghi, non era rasato, non aveva il codino e i capelli erano trattenuti indietro da un laccio di cuoio, proprio come Lan. Non poteva provenire dal Malkier, Lan era l’ultimo sopravvissuto di quella nazione.

Da ovunque provenisse, Perrin non provò alcun rimorso mentre tendeva l’arco e puntava la freccia a punta grossa in mezzo alla schiena dell’Assassino. L’uomo aveva provato a ucciderlo tendendogli un’imboscata. Un tiro a fondovalle poteva essere fatale.

Forse aveva pensato troppo a lungo, o forse il tizio aveva percepito il suo freddo sguardo, fatto sta che l’Assassino divenne di colpo una macchia sfocata che si dirigeva verso est.

Imprecando Perrin lo inseguì, tre lunghi passi alle Colline Sabbiose, un altro nel Bosco Occidentale. Fra le querce, le ericacee e il sottobosco, sembrava che l’Assassino fosse scomparso.

Perrin si fermò e ascoltò. Silenzio. Gli scoiattoli e gli uccelli si erano zittiti. Respirò profondamente. Un piccolo branco di daini era passato da quella parte non molto tempo fa. C’era anche una debole traccia, qualcosa di umano ma al tempo stesso troppo freddo per essere un uomo, troppo privo di emozioni, un odore che gli sembrò familiare. L’Assassino era vicino, da qualche parte. L’aria era immobile come la foresta, non c’era un alito di vento per fargli capire da quale direzione provenisse quell’odore.

«Un bel trucco, Occhidoro, bloccare le Porte delle Vie.»

Perrin entrò in tensione drizzando le orecchie. Non c’era modo di capire da dove provenisse la voce in questo denso intrico d’alberi. Non frusciava nemmeno una foglia.

«Se sapessi quanti Forgiati dell’Ombra sono morti nel tentativo di uscire da queste Porte delle Vie il tuo spirito ne sarebbe sollevato. Machin Shin ha banchettato davanti a quelle ante, Occhidoro. Ma non era un trucco abbastanza valido. Lo hai visto, adesso le Porte sono aperte.»

Sulla destra. Perrin scivolò fra gli alberi silenziosamente come quando cacciava in questi boschi.

«Erano solo alcune centinaia tanto per iniziare, Occhidoro. Quanto bastava per dare noia a quegli sciocchi di Manti Bianchi e fare in modo che il disertore morisse.» La voce dell’Assassino divenne rabbiosa. «Ma te, Occhidoro. La tua presenza è stata una sorpresa. Ci sono alcuni che vogliono la tua testa infilzata su un picchetto. I tuoi preziosi Fiumi Gemelli verranno tormentati da cima a fondo, per sradicarti. Cosa ne pensi, Occhidoro?»

Perrin si immobilizzò accanto al tronco contorto di una grande quercia. Perché l’uomo parlava così tanto? Perché parlava? Mi sta attirando verso di sé, pensò.

Appoggiando la schiena contro lo spesso tronco della quercia studiò la foresta. Nessun movimento. L’Assassino voleva che Perrin si avvicinasse. Senza dubbio in un’imboscata. Lui voleva prendere quell’uomo e squarciargli la gola. Eppure poteva essere proprio Perrin a morire, e se fosse accaduto nessuno avrebbe saputo che le Porte delle Vie erano aperte di nuovo e che i Trolloc stavano arrivando a centinaia, forse migliaia. Non avrebbe fatto il gioco dell’Assassino.

Con un sorriso privo di divertimento uscì dal sogno dei lupi dicendosi di svegliarsi e...

... Faile gli si strinse al collo e gli mordicchiò la barba con piccoli denti bianchi, mentre i violini dei Calderai suonavano un qualche motivo scatenato attorno ai fuochi del campo. La polvere di Ila, pensò. Non posso svegliarmi! La consapevolezza che si trattava di un sogno svanì. Ridendo prese Faile fra le braccia e la portò nell’ombra, dove l’erba era morbida.

Il risveglio fu un processo lento avvolto attorno al dolore torpido che gli devastava il fianco. Dalle piccole finestre filtrava la luce del giorno. Forte. Era mattina. Cercò di sedersi e ricadde all’indietro con un gemito.

Faile balzò da uno sgabello, gli occhi scuri sembravano quelli di chi non aveva dormito. «Stai fermo» lo apostrofò. «Ti sei agitato abbastanza nel sonno. Non ti ho tenuto fermo impedendoti di far affondare quella cosa del tutto solo per vederti farlo adesso da sveglio.» Ihvon era appoggiato alla soglia della porta come una lama scura.

«Aiutami a tirarmi su» disse Perrin. Parlare gli faceva male, ma anche respirare, e doveva parlare. «Devo andare sulle montagne. Alle Porte delle Vie.»

Faile gli appoggiò una mano sulla fronte, preoccupata. «Non ha la febbre» mormorò. Quindi aggiunse più forte: «Andrai a Emond’s Field, dove una delle Aes Sedai potrà guarirti. Non ti ammazzerai cercando di cavalcare sulle montagne trafitto da una freccia. Hai capito? Se sento solo un’altra parola sulle montagne o le Porte delle Vie chiederò a Da di preparare qualche intruglio per farti dormire ancora e viaggerai su una barella. E forse è proprio ciò che dovresti fare in ogni caso.»

«I Trolloc, Faile! Le Porte delle Vie sono nuovamente aperte! Devo fermarli!»

La donna non esitò neppure, prima di scuotere il capo. «Non puoi fare nulla nello stato in cui ti trovi. Per te c’è solamente Emond’s Field.»

«Ma...»

«Non dirmi ma, Perrin Aybara. Non aggiungere un’altra parola.» Perrin digrignò i denti. La cosa peggiore era che aveva ragione. Se da solo non riusciva nemmeno a uscire dal letto, come avrebbe fatto a rimanere in sella fino a Manetheren? «Emond’s Field» concluse gentilmente Perrin, ma Faile ancora tirava su con il naso e borbottava qualcosa come «testardo». Cosa voleva? Sono stato maledettamente gentile, che sia folgorata per quanto è ostinata!

«Per cui ci saranno altri Trolloc» intervenne Ihvon pensieroso. Non chiese come facesse Perrin a saperlo. Poi scosse il capo come per congedare l’idea dei Trolloc. «Avviserò gli altri che sei sveglio.» Scivolò fuori chiudendosi la porta alle spalle.

«Sono il solo che vede il pericolo?» brontolò Perrin.

«Io vedo che sei trafitto da una freccia» fu la risposta di Faile. La menzione gli ricordò il dolore e represse un gemito. Faile annuì soddisfatta. Soddisfatta!

Perrin voleva alzarsi e partire immediatamente, prima veniva guarito e prima avrebbe potuto chiudere di nuovo le Porte delle Vie, stavolta per sempre. Faile insisté nel volergli dare la colazione, un brodo denso con verdure passate che andava bene per un bambino sdentato, un cucchiaio alla volta, fermandosi per pulirgli il mento. Non voleva lasciare che lo facesse da solo, e ogni volta che Perrin protestava o le chiedeva di andare più veloce, lo bloccava infilandogli in bocca un cucchiaio di quella pappa. Non lasciava nemmeno che si lavasse il viso. Quando arrivò al punto di pettinargli capelli e barba Perrin si era rassegnato a un dignitoso silenzio.

«Sei carino quando sei imbronciato» osservò Faile, stringendogli il naso!

La, che quella mattina indossava una blusa verde e una gonna azzurra, salì sul carro con la giubba e la camicia di Perrin, entrambe pulite e rammendate. Suo malgrado dovette lasciare che le due donne lo aiutassero a indossare gli indumenti, mettendolo a sedere prima di vestirlo, la giubba sbottonata e la camicia fuori dai pantaloni, ma avvolta attorno al moncone della freccia.

«Grazie Ila» disse Perrin toccando il bel rammendo. «È un lavoro molto accurato.»

«Lo è» concordò la donna. «Faile ha un tocco abile con l’ago.»

Faile arrossì e Perrin sorrise, ripensando con quanta fierezza la ragazza lo aveva apostrofato che non avrebbe mai rammendato i suoi abiti. Un bagliore negli occhi di Faile fece in modo che Perrin trattenesse la lingua. A volte il silenzio era la scelta più saggia. «Grazie, Faile» fu quanto Perrin disse. Faile divenne anche più rossa.

Una volta che fu in piedi raggiunse facilmente la porta, ma dovette lasciare che le donne lo sostenessero per scendere i gradini di legno. Almeno i cavalli erano sellati e tutti i ragazzi dei Fiumi Gemelli riuniti, con gli archi a tracolla. Con i volti e gli abiti puliti e solo alcune bende in vista.

Una notte con i Tuatha’an era chiaramente stata positiva per gli spiriti dei ragazzi, anche per quelli che ancora non sembravano in grado di fare cento passi. La stanchezza che avevano in volto il giorno prima adesso era solamente un’ombra. Wil aveva entrambe le braccia attorno a due ragazze dei Calderai dagli occhi grandi e Bran Lewin, con il suo naso e le bende attorno alla testa che facevano stare dritti i capelli scuri, teneva per mano un’altra ragazza che sorrideva timidamente. La maggior parte degli altri ragazzi aveva in mano ciotole di denso passato di verdure e mangiava.

«È buona, Perrin» esordì Dannil, porgendo la ciotola vuota a una donna dei Calderai. Fece un cenno come a chiedere al ragazzo allampanato se ne voleva altra, il quale scosse il capo, ma disse: «Non penso che ne avrò mai abbastanza, e tu?»

«Io sono sazio» rispose Perrin irritato. Verdure passate e brodo.

«Le Calderaie ieri hanno ballato» raccontò il cugino di Dannil, Tell, con gli occhi sgranati. «Tutte le donne nubili e alcune di quelle sposate! Avresti dovuto vedere, Perrin.»

«Ho già visto ballare le Calderaie, Tell.»

A quanto pareva non aveva eliminato dal tono di voce il sentimento che aveva provato vedendole, perché Faile aggiunse asciutta: «Hai visto la tiganza, vero? Se ti comporti bene un giorno potrei danzare la sa’sara per te e mostrarti sul serio cos’è una danza.» Ha esclamò qualcosa quando riconobbe il nome della danza e Faile arrossì anche più di prima.

Perrin si umettò le labbra. Se questa sa’sara gli avesse fatto pulsare il cuore più di quanto faceva questa danza delle Calderaie tutta movimenti di fianchi — l’aveva chiamata tiganza? — gli sarebbe piaciuto senz’altro vedere Faile che la danzava. Fece attenzione a non guardarla.

Arrivò Raen, con la stessa giubba verde brillante e i pantaloni rossi più di qualsiasi rosso che Perrin avesse mai visto prima. La combinazione gli faceva venire il mal di testa. «Per due volte sei venuto ai nostri fuochi, Perrin, e per la seconda volta te ne vai senza festa di addio. Devi ritornare presto per poter rimediare.»

Si allontanò da Faile e Ila — almeno poteva restare in piedi da solo — e appoggiò una mano sulla spalla dell’uomo. «Vieni con noi, Raen. Nessuno a Emond’s Field ti farà del male. Nel peggiore dei casi sarà più sicuro che qua fuori con i Trolloc.»

Raen esitò, quindi si riscosse borbottando. «Non capisco nemmeno come puoi pensare anche solo di farmi prendere in considerazione certe cose.» Voltandosi gridò. «Gente, Perrin ci ha chiesto di andare con lui nel suo villaggio, dove saremo al sicuro dai Trolloc. Chi desidera andare?» Volti turbati lo fissarono. Alcune donne fecero avvicinare i bambini, che si nascosero fra le gonne, come se la sola idea li spaventasse. «Vedi, Perrin?» rispose Raen. «Per noi la salvezza risiede nel movimento, non nel fermarci in un villaggio. Ti garantisco che non rimarremo mai due giorni nello stesso posto, e viaggeremo tutto il giorno prima di fermarci nuovamente.»

«Questo potrebbe non essere abbastanza, Raen.»

Il Mahdi si strinse nelle spalle. «La tua preoccupazione mi agita, ma saremo al sicuro, se la Luce ci assiste.»

«La Via della Foglia non significa solo non praticare violenza,» aggiunse Ila «ma accettare quello che viene. La foglia cade quando giunge il momento, senza opporsi. La Luce ci manterrà al sicuro per il tempo che ci è dato.»

Perrin voleva discutere con loro, ma oltre a tutto il calore e la compassione sui loro volti era nascosta una fermezza ferrea. Perrin pensò che sarebbe riuscito a far indossare quegli abiti a Bain e Chiad e rinunciare alla lancia — O Gaul! — prima di riuscire a spostare questa gente di un centimetro.

Raen strinse la mano di Perrin e con quello le donne dei Calderai incominciarono ad abbracciare i ragazzi dei Fiumi Gemelli e anche Ihvon, mentre gli uomini dei Calderai stringevano le mani, ridendo e salutandosi augurando a tutti un viaggio sereno e sicuro, sperando che sarebbero tornati ancora. Lo fecero quasi tutti gli uomini. Aram stava in piedi da una parte, con le mani in tasca alla giacca. L’ultima volta aveva avuto un odore inasprito, strano per un Calderaio. Gli uomini non si accontentarono di stringere la mano di Faile, ma l’abbracciarono. Perrin mantenne il viso inespressivo quando qualcuno dei ragazzi divenne eccessivamente entusiasta limitandosi a digrignare i denti, e riuscì anche a sorridere. Nessuna donna più giovane di Ila lo abbracciò. In qualche modo, anche mentre Faile veniva abbracciata da uno di quei magri e vistosi Calderai fino a toglierle il respiro, lo controllava come un mastino. Le donne che non avevano del grigio fra i capelli le lanciavano un’occhiata e sceglievano qualcun altro. Nel frattempo sembrava che Wil baciasse ogni donna presente nel campo. Come anche Ban con tutto il naso raffreddato. Anche Ihvon stava divertendosi, per dirla tutta. A Faile sarebbe servito di lezione se uno di quei tizi le avesse spezzato una costola con quegli abbracci.

Alla fine i Calderai si fecero indietro, tranne Raen e Ila, aprendo un varco attorno ai ragazzi dei Fiumi Gemelli. L’uomo magro dai capelli grigi si inchinò formalmente, con le mani sul petto. «Siete venuti in pace. Adesso partite in pace. I nostri fuochi vi accoglieranno sempre volentieri. La Via della Foglia è pace.»

«Che la pace sia sempre con te» rispose Perrin «e con tutti i Girovaghi.» Luce, fa che sia così, aggiunse mentalmente. «Troverò la canzone, o forse lo farà un altro, ma verrà cantata, quest’anno o il prossimo.» Perrin si chiese se ci fosse mai stata una canzone, o se i Tuatha’an avessero iniziato il loro viaggio infinito alla ricerca di qualcos’altro. Elyas gli aveva raccontato che non sapevano quale canzone stessero cercando, ma che la avrebbero riconosciuta una volta trovata. Che la trovino senza correre pericoli, pensò, almeno quello. Almeno quello. «Come era una volta così sarà ancora, un mondo senza fine.»

«Un mondo senza fine» fu il coro solenne dei Tuatha’an che seguì. «Mondo e tempo senza fine.»

Furono scambiati gli ultimi abbracci e strette di mano mentre Ihvon e Faile aiutavano Perrin a montare su Stepper. Gli ultimi baci furono per Wil. E Ban. Ban! Con quel naso! Altri, quelli malamente feriti, vennero parzialmente sollevati sui loro cavalli, con i Calderai che li salutavano come se fossero vecchi amici che partivano per un lungo viaggio.

Raen andò a stringere la mano a Perrin. «Non vuoi ripensarci?» chiese Perrin. «Ricordo che una volta hai detto che c’era della malvagità libera nel mondo. Adesso è peggiorata, e si trova qui, Raen.»

«Che la pace sia con te, Perrin» intonò Raen sorridendo.

«E con te» rispose tristemente Perrin.

Gli Aiel non apparvero fino a quando il gruppo non si fu allontanato per quasi due chilometri dal campo dei Calderai; Bain e Chiad cercarono Faile prima di correre avanti al loro passo usuale. Perrin non sapeva cosa pensavano potesse accadere trovandosi con i Tuatha’an.

Gaul affiancò Stepper a lunghi passi. Il gruppo non procedeva molto velocemente, con quasi la metà degli uomini appiedata. Guardò Ihvon soppesandolo come sempre prima di rivolgersi a Perrin: «La tua ferita sta bene?»

Gli faceva incredibilmente male, ogni passo del cavallo muoveva la freccia. «Mi sento bene» rispose senza digrignare i denti. «Forse stanotte ci sarà un ballo a Emond’s Field. E tu? Hai trascorso una notte piacevole giocando al ‘bacio della Fanciulla’?» Gaul inciampò e cadde quasi in avanti. «Che succede?»

«Chi hai sentito suggerire quel gioco?» chiese l’Aiel guardando tranquillo avanti a sé.

«Chiad, perché?»

«Chiad» mormorò. «La donna è Goshien. Goshien! Dovrei riporla indietro a Fonte Calda come gai’shain!» Le parole sembravano arrabbiate, ma non il tono di voce strane. «Chiad.»

«Vuoi dirmi di che si tratta?»

«Un Myrddraal è meno astuto di quella donna» continuò atono Gaul «e un Trolloc combatte con più onore.» Dopo un momento aggiunse in tono sommesso: «E una capra è più sensata.» Allungando il passo corse avanti per unirsi alle due Fanciulle. Non parlò con le ragazze per quanto poteva vedere Perrin, ma si limitò a rallentare il passo e a camminare accanto a loro.

«Hai capito nulla di tutto questo?» chiese Perrin a Ihvon. Il Custode scosse il capo.

Faile tirò su con il naso. «Se pensa di crear loro problemi, lo appenderanno a un ramo per le caviglie per farlo calmare.»

«Tu hai capito?» le chiese Perrin. Faile proseguì a camminare, senza guardarlo o rispondergli, cosa che lui interpretò come risposta negativa. Nemmeno lei sapeva. «Penso che dovrò trovare nuovamente il campo di Raen. È passato molto tempo da quando ho visto la tiganza. Era... interessante.»

Faile borbottò qualcosa ma lui la sentì.

«Non ti farebbe male essere appeso anche te per i talloni!»

Perrin sorrise sopra la testa della donna. «Ma non dovrò farlo. Mi hai promesso di ballare la sa’sara per me.» Il viso di Faile divenne cremisi. «Somiglia alla tiganza? Altrimenti non ha senso.»

«Brutto cervello di bue!» scattò Faile, guardandolo furiosa. «Gli uomini hanno deposto i loro cuori e le loro fortune ai piedi di donne che hanno danzato la sa’sara. Se mia madre sospettasse che la conosco...» Chiuse di scatto la bocca quasi avesse detto troppo e voltò la testa per guardare avanti. Era rossa dall’umiliazione dalla punta dei capelli fino al collo del vestito.

«Allora per te non vi è alcun motivo di danzarla» osservò Perrin con calma. «Il mio cuore e la mia fortuna, così come sono, sono già deposti ai tuoi piedi.»

Faile perse il passo, quindi rise piano e premette la guancia contro la caviglia di Perrin. «Sei troppo furbo per me» mormorò. «Un giorno danzerò per te e ti farò bollire il sangue nelle vene.»

«Lo fai già» rispose Perrin, e Faile rise nuovamente. Infilando il braccio dietro la staffa gli strinse la gamba mentre camminavano.

Dopo un po’ anche il pensiero di Faile che danzava — se lo era immaginato dalla danza delle Calderaie, doveva essere qualcosa che la superava — non poté competere con il dolore nel fianco. Ogni passo di Stepper era un’agonia. Si mantenne in posizione eretta. In quel modo sembrava dolere leggermente meno. Inoltre non voleva rovinare la spinta emotiva positiva che la sosta ai carri dei Tuatha’an aveva dato a tutti. Anche gli altri uomini stavano seduti in posizione eretta, inclusi quelli che il giorno prima avevano le spalle incurvate. Ban, Dannil e gli altri camminavano a testa alta. Non sarebbe stato il primo a crollare.

Wil incominciò a fischiare Ritornando a casa dalla breccia di Tarwin, e altri tre o quattro si unirono a lui. Dopo un po’ Ban iniziò a cantare con voce forte e chiara.

La mia casa mi aspetta,

e la ragazza che vi ho lasciato.

Di tutti i tesori che mi aspettano,

è quello che voglio trovare.

I suoi occhi sono così allegri e il sorriso così dolce,

i suoi abbracci sono così caldi e le sue caviglie armoniose,

i suoi baci sono caldi, adesso è una gioia.

Se c’è un tesoro più grande, non è nella mia mente.

Altri si unirono sul secondo verso, fino a quando non cantarono tutti, anche Ihvon. E Faile. Non Perrin naturalmente, gli era stato detto fin troppo spesso che gracchiava come un rospo quando cantava. Alcuni cominciarono addirittura a camminare a passo con la musica.

Oh, ho visto la desolata breccia di Tarwin,

e l’orda furiosa dei Trolloc.

Ho affrontato la carica del Mezzo Uomo,

e camminato ai margini freddi della morte.

Davanti a una ragazza seducente che mi attende,

per un ballo e un bacio sotto al melo...

Perrin scosse il capo. Il giorno prima erano stati pronti a fuggire e nascondersi. Oggi cantavano di una battaglia che si era svolta così tanto tempo fa che non aveva lasciato altro ricordo nei Fiumi Gemelli se non questa canzone. Forse stavano diventando soldati. Avrebbero dovuto, a meno che non fosse riuscito a chiudere le Porte delle Vie.

Le fattorie incominciarono ad apparire più spesso, raggruppate, fino a quando si trovarono a viaggiare lungo una strada di terra battuta fra i campi recintati da siepi o bassi muretti rozzi. Fattorie abbandonate. Nessuno qui era rimasto attaccato alla terra.

Giunsero alla Vecchia Strada, che procedeva a nord del Fiume Bianco, il Manetherendrelle, attraverso Deven Ride fino a Emond’s Field, e infine iniziò a vedere pecore nei pascoli, grandi gruppi come se fossero una dozzina di greggi riuniti assieme, con dieci pastori dove una volta ce ne sarebbe stato uno e la metà di loro uomini cresciuti. I pastori armati di arco li guardarono passare, cantando a squarciagola, senza sapere esattamente cosa fare.

Perrin non sapeva cosa pensare a quella prima vista di Emond’s Field e nemmeno gli altri uomini dei Fiumi Gemelli, a giudicare dal modo in cui la canzone tentennò e si estinse.

Gli alberi, i recinti e le siepi più vicini al villaggio erano semplicemente spariti, eliminati. Le case più occidentali di Emond’s Field una volta sorgevano fra gli alberi ai margini del Bosco Occidentale. Le querce e le ericacee fra le case erano rimaste, ma il margine della foresta si trovava a cinquecento passi di distanza, il lancio di un arco lungo, e le asce risuonavano mentre gli uomini ne abbattevano una ulteriore porzione. C’erano file su file di pali ad altezza di vita affondati nel terreno ad angolo, che circondavano il villaggio leggermente oltre le abitazioni e presentavano un bordo continuo di punte acuminate, tranne dove passava la strada. A intervalli dietro ai pali gli uomini stavano di sentinella, alcuni indossavano parti di vecchie armature o vesti di pelle coperte di dischi arrugginiti di metallo, alni con dei vecchi elmetti di metallo ammaccato, lance per la caccia al cinghiale, alabarde recuperate dalle cantine, o ancora degli uncini sistemati su lunghi pali. Altri uomini e ragazzi stavano su alcuni dei tetti di paglia con gli archi pronti. Si alzarono quando videro arrivare Perrin con gli altri e gridarono a quelli che stavano dabbasso.

Accanto alla strada dietro i pali c’era un marchingegno di legno e spessa corda ritorta, con vicino un mucchio di pietre accatastate più grosse della testa di un uomo. Ihvon notò che Perrin aggrottava le sopracciglia man mano che si avvicinavano. «Una catapulta» spiegò il Custode. «Sei fino a ora. I vostri falegnami hanno saputo cosa fare una volta che Tomas e io glielo abbiamo mostrato. I pali terranno indietro le cariche dei Trolloc, dei Manti Bianchi, o entrambi.» Sembrava che stesse parlando dell’eventualità di altra pioggia.

«Ti ho detto che il tuo villaggio si stava preparando a difendersi.» Faile sembrava molto orgogliosa, come se fosse il suo villaggio. «Gente dura, per una terra così morbida. Sembrano quasi abitanti della Saldea. Moiraine dice sempre che il sangue del Manetheren scorre ancora forte, qui.»

Perrin poté solamente scuotere il capo.

Le strade di terra battuta erano quasi abbastanza affollate da sembrare una città, gli spazi fra le case erano pieni di carri e calessi, dalle porte e le finestre aperte poteva vedere altra gente. La folla si aprì davanti a Ihvon e gli Aiel, un brusio di sussurri li accompagnò lungo il loro percorso.

«È Perrin Occhidoro.»

«Perrin Occhidoro.»

«Perrin Occhidoro.»

Voleva che non lo facessero. Questa gente lo conosceva, almeno alcuni di loro. Cosa pensavano di fare? C’era Neysa Ayellin dal volto equino, che lo aveva sculacciato quando aveva dieci anni, quella volta che Mat lo convinse a rubare una delle sue torte di ribes. E c’era Cilia Cole, con gli occhi grandi e le guance rosa, la prima ragazza che aveva baciato e ancora gradevolmente paffuta; Pel Aydaer, con la pipa e la testa calva, che aveva insegnato a Perrin a prendere le trote con le mani, Daise Congar in persona, una donna alta e grossa che faceva sembrare delicata Alsbet Luhan, con il marito Wit, un uomo magro eclissato come sempre dalla moglie. Tutti lo fissavano e mormoravano agli altri che potevano non sapere chi fosse. Quando il vecchio Cenn Buie sollevò un ragazzino sulle spalle, indicando Perrin e parlando entusiasta al piccolo, Perrin gemette. Erano tutti impazziti.

La gente del villaggio seguiva e affiancava Perrin e gli altri, in una parata che trasportava un torrente di mormorii. Le galline correvano da tutte le parti fra i piedi delle persone. Vitelli e maiali gridavano in recinti dietro le case e gareggiavano con il rumore degli esseri umani. Le pecore affollavano il prato comune e le mucche da latte bianche e nere brucavano l’erba in compagnia di uno stormo di oche grigie e bianche.

Al centro del prato si ergeva un alto palo, una bandiera bianca bordata di rosso sventolava pigramente sulla cima, mostrando una testa rossa di lupo. Perrin guardò Faile, ma la ragazza scosse il capo, sorpresa quanto lui.

«Un simbolo.»

Perrin non aveva sentito Verin avvicinarsi, ma adesso sentiva sussurrare «Aes Sedai» attorno alla donna. Ihvon non sembrava sorpreso. La gente la fissava con occhi pieni di riverenza.

«Il popolo ha bisogno di simboli» proseguì Verin, appoggiando una mano sulla spalla di Stepper. «Quando Alanna ha detto ad alcuni abitanti del villaggio quanto i Trolloc temano i lupi, tutti hanno pensato che questa bandiera fosse una grande idea. Non ti sembra, Perrin?» La voce della donna era asciutta. Lo guardava con occhi scuri che assomigliavano a quelli di un uccello. Un uccello che guardava un verme?

«Mi chiedo cosa ne penserà la regina Morgase» osservò Faile. «Questa terra è parte di Andor. Le regine di rado apprezzano strane bandiere alzate nei loro reami.»

«Questo posto non è altro che delle righe su una mappa» le rispose Perrin. Era bello stare fermo, il pulsare che proveniva dal moncone di freccia sembrava essere leggermente diminuito. «Non sapevo nemmeno che facessimo parte di Andor fino a quando non sono andato a Caemlyn. Dubito che qui lo sappiano in molti.»

«I governanti hanno la tendenza a credere alle mappe, Perrin.» Non c’era dubbio sulla durezza della voce di Faile. «Quando ero bambina c’erano parti della Saldea che non avevano visto un esattore per cinque generazioni. Una volta che papà poté distogliere l’attenzione dalla Macchia per un po’, Tenobia volle accertarsi che sapessero chi fosse la loro regina.»

«Questi sono i Fiumi Gemelli» le rispose sorridendo «non la Saldea.» Non sembravano molto ardenti in Saldea. Mentre si voltava verso Verin il sorriso divenne uno sguardo corrucciato. «Credevo che tu stessi... nascondendo la tua identità.» Perrin non sapeva dire cosa lo disturbasse maggiormente, le Aes Sedai lì in segreto, o le Aes Sedai che si mostravano apertamente.

La mano della Aes Sedai si librò vicino al moncone di freccia che spuntava dal fianco di Perrin. Qualcosa formicolò attorno alla ferita.

«Oh, non va bene» mormorò. «Incastrata in una costola e con l’infezione malgrado l’impiastro. Credo che abbia bisogno di Alanna.» Batté le palpebre e ritirò la mano, e anche il formicolio scomparve. «Cosa? Nascondermi? Con tutto quello che è stato smosso qui difficilmente potremmo rimanere nascoste. Immagino che avremmo potuto... andare via. Non vuoi questo, vero?» E di nuovo gli rivolse quello sguardo acuto, intento, come quello degli uccelli.

Perrin esitò e alla fine sospirò. «Immagino di no.»

«Oh, è bello sentirlo» rispose con un sorriso.

«Qual è il vero motivo per cui sei venuta qui, Verin?»

Non sembrò averlo sentito. O forse non voleva. «Adesso dobbiamo prenderci cura di quella cosa conficcata nel fianco. Anche questi ragazzi hanno bisogno di essere accuditi. Alanna e io ci prenderemo cura dei più gravi, ma...»

Gli altri uomini erano sbalorditi quanto lui da quanto avevano trovato. Ban si grattò la testa quando vide la bandiera, e alcuni si guardavano attorno stupiti. La maggior parte guardava Verin però, a occhi sgranati e a disagio, aveva certamente sentito i sussurri «Aes Sedai». Anche Perrin non sfuggiva completamente a quelle occhiate, si accorse, mentre parlava a un’Aes Sedai come se fosse una qualsiasi donna del villaggio.

Verin ricambiò gli sguardi, quindi improvvisamente, apparentemente senza guardare, allungò un braccio per prendere una ragazzina di circa dieci o dodici anni fra la folla di curiosi. La ragazzina, i lunghi capelli scuri legati con dei fiocchi azzurri, si irrigidì per lo spavento. «Conosci Daise Congar, ragazza?» chiese Verin. «Be’, trovala e dille che ci sono degli uomini feriti che hanno bisogno delle erbe della Sapiente. E dille anche di sbrigarsi. Non ho pazienza con le sue arie. Hai capito? Vai adesso.»

Perrin non riconobbe la ragazza, ma chiaramente questa conosceva Daise, perché trasalì nel sentire il messaggio. Ma Verin era un’Aes Sedai. Dopo un momento di valutazione — Daise Congar contro un’Aes Sedai — la ragazza corse via fra la folla.

«E Alanna si prenderà cura di te» aggiunse Verin, guardandolo nuovamente.

Perrin desiderava che la donna non avesse pronunciato la frase, quasi avesse un doppio significato.

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