La folla era densa nelle contorte stradine del Calpene vicino al Grande Circolo: il fumo delle tante cucine che lambivano gli alti muri bianchi ne erano il motivo. L’odore acre del fumo, della cucina e del sudore stantio aleggiava pesantemente nell’aria mattutina, con il pianto dei bambini e il vago mormorio incessante in corrispondenza dei grandi ammassi di persone, entrambi sufficienti a soffocare lo stridio dei gabbiani che volavano sopra la folla. I negozi in quest’area avevano da tempo chiuso i cancelli per sempre.
Disgustata, Egeanin attraversò a piedi la marea umana. Era tremendo che l’ordine fosse così inefficiente da permettere ai profughi nullatenenti di impossessarsi dei circoli per dormire fra le panche di pietra. Era brutto quanto vedere che i regnanti li lasciavano morire di fame. Avrebbe dovuto sentirsi il cuore rallegrato — questa gentaglia scoraggiata non avrebbe mai resistito al Corenne e il giusto ordine sarebbe stato ristabilito — ma odiava guardarla.
Per lo più gli straccioni che la circondavano sembravano troppo apatici per stupirsi della presenza fra loro di una donna con indosso un abito blu da cavallo pulito e ben tenuto, di seta anche se di taglio semplice. Uomini e donne che una volta avevano indossato abiti raffinati, ora macchiati e stropicciati, punteggiavano la folla, così forse lei non era troppo fuori posto. I pochi che sembravano chiedersi se i suoi indumenti significavano che avesse del denaro con sé erano dissuasi dal modo competente in cui portava il grosso bastone, alto quanto lei. Guardie, lettiga e portatori aveva dovuto oggi lasciarli indietro. Floran Gelb si sarebbe certamente accorto di essere seguito da quella schiera. Almeno quest’abito con la gonna separata le concedeva un po’ di libertà di movimento.
Mantenere il contatto visivo con il piccolo uomo dalla faccia di donnola era facile anche in mezzo a questa folla, malgrado dovesse schivare i carretti trainati dai buoi e gli occasionali carri, trainati più spesso da uomini sudati a torso nudo che da animali. Gelb e sette o otto amici, tutti uomini corpulenti e dal viso rozzo, avanzavano compatti seguiti da un ondata di imprecazioni. Quei tipi le davano sui nervi. Gelb voleva effettuare un altro sequestro. Aveva trovato tre donne da quando Egeanin gli aveva inviato l’oro che aveva chiesto, nessuna che somigliasse a quelle sulla lista, lamentandosi poi per ognuna che aveva respinto. Non avrebbe mai dovuto pagarlo per quella prima donna che aveva tolto dalle strade. L’avidità e il ricordo dell’oro sembravano aver rimosso l’aspra critica che gli aveva lanciato assieme al denaro.
Alcune grida alle sue spalle le fecero voltare il capo e aumentare la presa sul bastone. Si era aperto un piccolo varco, come sempre accadeva in prossimità dei guai. Un uomo urlante, con una giubba gialla che una volta doveva essere stata elegante, era in ginocchio nella strada, stringendosi il braccio destro nel punto in cui si piegava in modo innaturale. Addossata contro di lui con fare protettivo, c’era una donna piangente che indossava un abito verde stracciato e gridava contro un tipo con il velo che si stava già disperdendo nella folla.
«Ha solo chiesto una moneta! Ha solo chiesto!» La folla si strinse nuovamente attorno a loro.
Facendo una smorfia Egeanin si voltò, fermandosi a imprecare tanto da attirare alcune occhiate stupite. Gelb e i compagni erano svaniti. Facendosi largo verso una piccola fontana di pietra in cui l’acqua sgorgava dalla bocca di un pesce di bronzo, di fianco a un’enoteca dal tetto piatto/scansò rozzamente due delle donne che stavano riempiendo le brocche e balzò sul bordo, ignorandone gli insulti indignati. Da lì poteva vedere sopra la folla.
Le strade affollate si snodavano in ogni direzione, svoltando attorno alle colline. Curve e edifici intonacati di bianco le toglievano la visuale a meno di cento passi di distanza, ma Gelb non poteva essere andato così lontano in poco tempo.
Di colpo lo vide nascondersi sotto una porta a trenta passi di distanza, ma stava in punta di piedi e osservava la via. Fu abbastanza facile localizzare gli altri, appoggiati agli edifici da entrambi i lati della strada, cercando di non farsi notare. Non erano i soli appoggiati al muro, ma mentre il resto era ammucchiato sconsolatamente, le loro spaventose facce dai nasi rotti erano colme di aspettativa.
Quindi il rapimento sarebbe avvenuto qui. Certamente nessuno si sarebbe intromesso, in fondo nessuno lo aveva fatto quando era stato spezzato il braccio a quel tizio. Ma chi? Se Gelb era finalmente riuscito a trovare qualcuna della lista, Egeanin poteva andare via e attendere che l’uomo le vendesse la donna, attendere l’ulteriore opportunità di vedere se un a’dam poteva trattenere anche le altre sul’dam oltre Bethamin. In ogni caso non intendeva dover scegliere ancora se squarciare la gola di qualche donna sfortunata o mandarla via per essere venduta. La strada era piena di donne che si dirigevano verso Gelb, la maggior parte indossava quei veli trasparenti e i capelli intrecciati. Senza una seconda occhiata Egeanin ne distinse due sulle portantine, affiancate da guardie del corpo. I pensieri disonesti di Gelb non si sarebbero avvicinati a un gruppo di quel numero, o affrontato le loro spade o pugni. Chiunque stessero cacciando non avrebbe avuto più di due o tre uomini con sé, forse, e nessuno armato. Questo sembrava includere tutte le altre donne in vista, che indossassero stracci, abiti di campagna o del tipo aderente che le donne di Tarabon preferivano.
Improvvisamente due di queste donne che parlavano assieme mentre svoltavano una curva lontana catturarono l’attenzione di Egeanin. Con i capelli acconciati in treccine e i veli trasparenti sui volti sembravano di Tarabon, ma erano fuori posto. Quegli abiti sottili e scandalosi, uno verde e l’altro azzurro, erano di seta, non di lino o di lana sottile. Le donne vestite a quel modo viaggiavano sulle portantine, non camminavano, e specialmente non qui. E non portavano delle doghe di botte sulle spalle come se fossero delle mazze.
Eliminando quella con i capelli rosso oro, si concentrò sull’altra. Le treccine nere erano insolitamente lunghe, quasi fino alla vita. A questa distanza, la donna somigliava molto a una sul’dam di nome Surine. Però non era lei. Questa non le sarebbe arrivata oltre il mento.
Imprecando sottovoce Egeanin balzò giù e incominciò a farsi largo nella folla fra lei e Gelb. Se fosse stata fortunata lo avrebbe raggiunto in tempo per farlo fermare. L’idiota. Avido imbecille, cervello di donnola!
«Avremmo dovuto noleggiare due lettighe, Nynaeve» ripeté Elayne, chiedendosi per la centesima volta come facevano le donne di Tarabon a parlare senza che i veli finissero loro in bocca. Sputandolo aggiunse: «Prima o poi dovremo usare queste cose.»
Un tizio dal viso scarno si fermò e andò loro incontro attraverso la folla quando Nynaeve sollevò la doga con fare minaccioso. «È per questo che le abbiamo.» Lo sguardo furioso forse aveva incoraggiato la perdita di interesse dell’uomo. Si toccò le treccine che le scendevano sulle spalle ed emise un verso disgustato; Elayne non sapeva quando l’amica si sarebbe abituata a non avere una sola spessa treccia da tirare. «E i piedi sono fatti per camminare. Come potremmo cercare o fare domande se venissimo portate in giro come maiali in vendita? Mi sentirei una cretina integrale su una di quelle stupide portantine. In ogni caso, mi fido più della mia intelligenza che di uomini che non conosco.»
Elayne era certa che Bayle Domon avrebbe potuto procurare loro uomini fidati. Certamente lo avrebbe fatto il Popolo del Mare; desiderava che il Danzatore delle onde non fosse salpato, ma la Maestra delle Vele e sua sorella erano impazienti di divulgare la notizia del Coramoor a Dantora e Cantorin. Venti guardie del corpo l’avrebbero soddisfatta.
Percepì qualcosa che sfiorava il sacchetto appeso alla cintura, afferrandolo con una mano si voltò di scatto, sollevando la doga. Quelli che le passavano vicino si scansarono, guardandola a malapena mentre si scambiavano gomitate, ma non c’era segno del presunto tagliaborse. Almeno sentì che le monete erano ancora nel sacchetto. Aveva iniziato a portare l’anello con il Gran Serpente e il ter’angreal di pietra ritorta a un cordoncino attorno al collo come Nynaeve, dopo la prima volta che aveva quasi perso il sacchetto. Durante i loro cinque giorni a Tanchico ne aveva ‘persi’ tre. Venti guardie sarebbero state appena giuste. E una carrozza. Con le tendine davanti alle finestre.
Riprendendo a camminare lentamente per la strada accanto a Nynaeve, disse: «Allora non dovremmo indossare questi abiti. Mi ricordo una volta che mi hai infilata nell’abito di una contadina.»
«Sono un buon travestimento,» rispose secca Nynaeve «così ci amalgamiamo nella folla.»
Elayne tirò su con il naso. Come se un abito più semplice non potesse confondersi anche meglio. Nynaeve non avrebbe ammesso che adesso le piaceva indossare preziosi abiti di seta. Elayne desiderava semplicemente che non avesse esagerato. Era vero che ognuno le scambiava per donne di Tarabon — almeno finché non parlavano — ma anche se avessero avuto un colletto di merletto fin sotto il mento, questi drappi aderenti di seta le davano la sensazione di essere più rivelatori di tutti quelli che aveva indossato sino a ora. Certamente più di qualsiasi cosa che avesse indossato in pubblico. Nynaeve, dal canto suo, camminava fra la folla come se nessuno le stesse guardando. Be’, forse nessuno lo stava facendo — non comunque per via dei loro indumenti — ma certo sembrava il contrario.
Le camicie da notte sarebbero state altrettanto decenti. Con le guance roventi cercò di smettere di pensare a come la seta le aderiva addosso. Smettila! È perfettamente decente, lo è! si ripeteva.
«Questa Amys non ti ha detto nulla che potrebbe esserci d’aiuto?»
«Ti ho spiegato cos’ha detto» sospirò Elayne. Nynaeve la aveva tenuta sveglia fino a tardi parlando della sapiente che era assieme a Egwene nel Tel’aran’rhiod la scorsa notte, e l’aveva di nuovo interrogata prima di colazione. Egwene, che aveva i capelli acconciati in due trecce per non si sa quale motivo e che lanciava occhiate imbronciate alla Sapiente, non aveva detto quasi nulla oltre al fatto che Rand stava bene e Aviendha vegliava su di lui. La maggior parte della conversazione era stata condotta da Amys, la donna con i capelli bianchi, una severa lezione sui pericoli del Mondo dei Sogni che aveva riportato Elayne a quando aveva dieci anni e Lini, la vecchia governante, l’aveva sorpresa a sgattaiolare fuori dal letto per rubare i dolci; aveva proseguito poi con una serie di raccomandazioni sulla concentrazione e sul controllo dei pensieri se doveva accedere a Tel’aran’rhiod. Come potevi controllare i pensieri? «Credevo davvero che Perrin fosse con Rand e Mat.» Quella era stata la sorpresa più grande, dopo la comparsa di Amys. Egwene apparentemente credeva che fosse con Nynaeve e lei.
«Lui e quella ragazza probabilmente sono andati da qualche parte dove potrà tornare a essere un pacifico fabbro» osservò Nynaeve, ma Elayne scosse il capo.
«Non penso.» Aveva dei forti sospetti riguardo a Faile, e se erano giusti anche solo in parte, non si sarebbe accontentata di essere la moglie di un fabbro. Sputò nuovamente il velo. Che oggetto stupido.
«Be’, ovunque sia,» aggiunse Nynaeve di nuovo annaspando fra le treccine «spero che stia al sicuro e bene, ma non è qui e non può aiutarci. Hai chiesto ad Amys se conosceva un sistema per usare Tel’aran’rhiod per...»
Un grosso uomo calvo con una giubba marrone consumata si fece largo tra la folla cercando di abbracciarla. La ragazza fece roteare la doga e gliela scagliò sul viso con una forza tale da farlo barcollare indietro, tenendosi il naso che certamente era stato rotto almeno per la seconda volta.
Elayne stava ancora recuperando il fiato per gridare quando un secondo uomo, altrettanto grosso e con un paio di folti baffi, la spinse di lato per raggiungere Nynaeve. Elayne dimenticò di essere spaventata. Strinse furiosamente la mascella e proprio mente l’uomo sfiorava l’altra donna, fece discendere la doga proprio in mezzo alla testa del bruto con tutta la forza che era riuscita a raccogliere. Le gambe del tizio si piegarono e ricadde in avanti con soddisfazione di Elayne.
La folla si fece da parte, nessuno voleva essere coinvolto nei problemi di qualcun altro. Di certo nessuno offrì aiuto. Ed Elayne si accorse che ne avevano bisogno. L’uomo che Nynaeve aveva colpito era ancora in piedi, la bocca deformata in un ringhio mentre leccava il sangue che gli colava dal naso, piegando le spesse dita come se volesse stringerle la gola. Peggio, non era da solo. Altri sette uomini si stavano facendo avanti assieme a lui per escludere ogni possibilità di fuga, tutti tranne uno grosso come il primo, i volti sfregiati e le mani che parevano aver preso a martellate le pietre per anni. Un tizio dal viso magro che sorrideva come una volpe nervosa continuava ad ansimare suggerimenti. «Non lasciatela scappare. Ha dell’oro, ve lo dico io. Oro!»
Sapevano chi era. Non era un tentativo di rubarle il denaro, intendevano eliminare Nynaeve e rapire l’erede al trono di Andor. Sentì che Nynaeve abbracciava saldar — se questo non l’aveva fatta arrabbiare abbastanza da incanalare, nulla ci sarebbe riuscito — e si aprì anche lei alla Vera Fonte. L’Unico Potere fluì dentro di lei, un dolce flusso che la colmò dalla punta dei piedi a quella dei capelli. Alcuni flussi di Aria da ognuna di loro sarebbero bastati a vedersela con questi ruffiani.
Ma Elayne non incanalò e non lo fece nemmeno Nynaeve. Assieme potevano bastonare questi tipi come avrebbero dovuto fare le loro madri. Eppure non osavano, a meno che non avessero avuto altra scelta.
Se una dell’Ajah Nera era abbastanza vicina da vedere si erano già tradite con il bagliore di saidar. Incanalare a sufficienza per creare quei flussi di Aria avrebbe potuto rivelare la loro presenza a una Sorella Nera in un’altra strada a cento passi di distanza o più, a seconda della sensibilità e della forza che aveva. Era quello che avevano fatto loro per gli ultimi cinque giorni, camminare per la città cercando di captare una donna che incanalava, sperando che la sensazione le avrebbe guidate da Liandrin e le altre.
Dovevano prendere in considerazione anche la folla. Alcuni ancora passavano loro vicino, sfiorando le mura. Il resto girava al largo, cominciando a cercare altri punti di passaggio. Solo pochi si accorsero che le due donne erano in pericolo distogliendo vergognosi gli occhi. Ma se avessero visto questi grossi uomini scagliati in aria da una forza invisibile...?
Le Aes Sedai e l’Unico Potere non erano particolarmente ben visti a Tanchico in questo momento, accompagnati da vecchie voci di Falme che ancora circolavano e delle nuove riguardanti un presunto sostegno della Torre Bianca ai fautori del Drago nelle campagne. Questa gente avrebbe potuto scappare se avesse notato che veniva usato il Potere. O forse avrebbe potuto assaltarle. Anche se lei e Nynaeve fossero riuscite a evitare di essere fatte a pezzi sul posto — e non ne era certa — non c’era modo di nascondersi in seguito. L’Ajah Nera avrebbe sentito parlare di Aes Sedai a Tanchico prima che il sole fosse tramontato.
Mettendosi spalla a spalla con Nynaeve, Elayne impugnò saldamente la doga. Aveva voglia di ridere istericamente. Se Nynaeve avesse soltanto proposto di nuovo di uscire da sole — a piedi — avrebbe scoperto a chi delle due piaceva di più avere la testa sprofondata in un secchio d’acqua. Almeno nessuno di questi bruti sembrava impaziente di essere il primo ad avere la testa spaccata come quella del tipo sdraiato sul lastricato.
«Forza» faceva pressione il tizio dal viso sottile, agitando le mani in avanti. «Forza! Sono solo due donne!» Però lui non accennò a farsi avanti. «Ce ne serve solo una. Vi dico che ha dell’oro!»
Di colpo si sentì un rumore sordo, e uno dei ruffiani barcollò e cadde in ginocchio, stringendosi goffamente lo scalpo spaccato; una donna dai capelli scuri e il viso severo con un abito blu da cavallo lo oltrepassò, si voltò di scatto per tirare un manrovescio sulla bocca di un altro tipo, gli scalzò le gambe da sotto usando il bastone e quindi gli diede un calcio in testa mentre cadeva.
Che stessero ricevendo aiuto era stupefacente, molto più della sua provenienza, ma Elayne non se la sentiva di fare la difficile in quella circostanza. Nynaeve si scostò dalla schiena dell’amica con un ruggito e si scagliò in avanti gridando: «Avanti il Leone Bianco!» per poi mettersi a bastonare il villano più vicino con grande impegno. Con le braccia alzate per difendersi, l’uomo sembrava esterrefatto oltre ogni misura. «Avanti il Leone Bianco!» gridò ancora Nynaeve, il grido di battaglia di Andor, e questi si girò e fuggì.
Ridendo anche se non voleva, girò su se stessa per cercare un’altra vittima da bastonare. Solo altri due non erano ancora fuggiti o caduti. Il primo tizio con il naso rotto si voltò per correre e Nynaeve gli diede un colpo finale con il massimo della forza proprio in mezzo alla schiena. La donna dal viso serio aveva incastrato le braccia dell’altro con il bastone, l’uomo era più alto e molto più pesante, ma lei lo colpì freddamente sul mento con il palmo della mano, tre volte in rapida successione. Gli occhi dell’uomo rotearono e mentre barcollava Elayne vide il tizio dal viso sottile che si alzava, con il naso grondante sangue e gli occhi parzialmente vitrei, eppure estrasse un pugnale da dietro la cintura e affondò verso la schiena della donna.
Senza pensare, Elayne incanalò un pugno d’Aria e lo scagliò indietro con tutto il pugnale. La donna con il viso serio si girò di scatto, ma quello stava già strisciando via carponi finché non riuscì ad alzarsi in piedi e a infilarsi nella folla più avanti per la strada. La gente si era fermata per guardare l’insolita battaglia, anche se nessuno aveva alzato una mano per aiutarle, a parte questa donna con i capelli scuri. Anche lei guardava incerta Elayne e Nynaeve. Elayne si chiese se avesse notato il tizio magro che veniva abbattuto apparentemente da nulla.
«Ti ringrazio» disse Nynaeve leggermente senza fiato mentre si avvicinava alla donna, sistemandosi il velo. «Penso che dovremmo andare via. La Vigilanza Civile non viene spesso in queste strade, ma non ho voglia di spiegare tutto questo se dovessero apparire. La nostra locanda non è lontana. Vuoi unirti a noi? Una tazza di tè è il meno che possiamo offrire a qualcuno che ha alzato una mano per aiutare qualcun altro in questa città dimenticata dalla Luce. Mi chiamo Nynaeve al’Meara, e lei è Elayne Trakand.»
La donna esitò visibilmente. Aveva notato. «Mi... mi piacerebbe. Sì, vorrei.» Aveva un modo di parlare strascicato, difficile da capire, ma in qualche modo vagamente familiare. Era una donna abbastanza graziosa, sembrava anche più pallida di quel che era per via dei capelli scuri, che le arrivavano quasi alle spalle. Un po’ troppo dura per definirla bella. Gli occhi azzurri avevano un’espressione forte, come se fosse abituata a dare ordini. Forse una mercante, con quel vestito. «Mi chiamo Egeanin.»
Egeanin adesso non mostrò alcuna esitazione nell’allontanarsi con loro per la strada più vicina. La folla si stava già riunendo attorno agli uomini atterrati. Elayne si aspettava che quei tipi si sarebbero svegliati per ritrovarsi defraudati di qualsiasi cosa di valore, anche abiti e stivali. Desiderava sapere come aveva fatto a scoprire la sua identità, ma non c’era modo di portarsene uno appresso per scoprirlo. Dovevano definitivamente trovarsi delle guardie del corpo, non importa cosa sostenesse Nynaeve.
Egeanin forse non era esitante, ma di sicuro a disagio. Elayne glielo vedeva negli occhi mentre avanzavano fra la folla.
«Hai visto, vero?» chiese. La donna mancò un passo. Era la conferma di cui aveva bisogno Elayne, che aggiunse velocemente: «Non ti faremo del male. Certo non dopo che sei venuta in nostro soccorso.» Dovette di nuovo sputare il velo. Nynaeve non sembrava avere questo problema. «Non devi guardarmi male, Nynaeve. Ha visto quello che ho fatto.»
«Lo so» rispose secca Nynaeve. «Ed era la cosa giusta da fare. Ma qui non siamo al sicuro nel palazzo di tua madre, lontane da ogni orecchio indiscreto.» Il gesto che fece incluse la gente che le circondava. Fra il bastone di Egeanin e le loro doghe, la maggior parte lasciava loro libero il passo. «Le voci che potresti aver sentito in maggioranza non sono vere. Alcune lo sono. Non devi avere paura di noi, ma devi capire che ci sono cose di cui non abbiamo voglia di parlare in questo posto.»
«Paura di voi?» Egeanin sembrava sorpresa. «Non credevo di dovervi temere. Resterò in silenzio fino a quando vorrete parlare.» Mantenne la parola, camminarono in silenzio attraverso i mormorii della folla fino alla penisola e al Cortile delle tre susine. Tutto questo camminare aveva fatto venire mal di piedi a Elayne.
Nella sala comune erano seduti alcuni uomini e donne malgrado fosse presto, bevevano vino o birra. La donna con il dulcimero a martelletti era accompagnata da un uomo magro con un flauto che sembrava acuto quanto lui. Juilin era seduto a un tavolo vicino alla porta e fumava una pipa dal cannello corto. Non era ancora tornato dalla sua scorreria notturna quando le due ragazze erano uscite. Elayne fu contenta di vedere che per una volta non aveva nuovi lividi o tagli, ciò che chiamava il sottobosco di Tanchico sembrava anche più rozzo del volto che la città presentava al mondo. La sua concessione alla moda di Tanchico fu la sostituzione del cappello piatto di paglia con uno di quelli conici di feltro, che indossava indietro sulla testa.
«Le ho trovate» esordì, saltando dalla panca e togliendosi il cappello, prima di accorgersi che non erano sole. Rivolse a Egeanin uno sguardo sospettoso e un leggero inchino che la donna ricambiò con un lieve cenno del capo e uno sguardo altrettanto guardingo.
«Le hai trovate?» esclamò Nynaeve. «Ne sei sicuro? Parla, uomo. Hai ingoiato la lingua?» Proprio lei che avvisava di non parlare davanti agli estranei.
«Avrei dovuto dire che ho scoperto dove si nascondevano.» Non guardò Egeanin, ma scelse le parole con cautela. «La donna con la striatura bianca fra i capelli mi ha guidato a una casa dove abitava con altre donne, anche se poche uscivano. Quelli del posto pensavano che fossero delle ricche rifugiate dalla campagna. Adesso rimane poco se non qualche avanzo di cibo nella dispensa — anche i servitori sono spariti — ma fra una cosa e l’altra direi che se ne sono andate ieri o la scorsa notte sul presto. Dubito che abbiano paura di muoversi di notte per Tanchico.»
Nynaeve teneva una manciata di treccine nel pugno. «Sei entrato?» chiese atona. Elayne pensò che fosse prossima a usare la doga.
Anche Juilin sembrava dello stesso parere. Guardando il pezzo di legno rispose: «Sai molto bene che con loro non azzardo nulla. Una casa vuota si riconosce, emana una sensazione, non importa quanto sia grande. Non puoi dare la caccia ai ladri quanto ho fatto io senza imparare a vedere come loro.»
«E se avessi fatto scattare una trappola?» Nynaeve quasi sibilò quelle parole. «Il tuo gran talento per le ‘sensazioni’ si estende anche alle trappole?» Il volto scuro di Juilin divenne un po’ grigio, si umettò le labbra come per dare spiegazioni, ma Nynaeve lo interruppe. «Ne parleremo dopo, mastro Sandar.» Gli occhi di Nynaeve si mossero leggermente verso Egeanin, finalmente si era ricordata che altri erano presenti. «Di’ a Rendra che prenderemo il tè nella stanza dei fiori cadenti.»
«La camera dei fiori cadenti» la corresse Elayne e Nynaeve le lanciò un’occhiata. Le notizie di Juilin avevano messo la donna di cattivo umore.
L’uomo si inchinò profondamente allargando le braccia: «Ai tuoi ordini, comare al’Meara, obbedisco dal cuore» le rispose ironicamente, quindi si mise il cappello scuro e si allontanò a grandi passi, chiaramente indignato. Non doveva essere piacevole prendere ordini da qualcuna con cui una volta avevi provato ad amoreggiare.
«Sciocco uomo!» gridò Nynaeve. «Avremmo dovuto lasciarli entrambi sul molo a Tear.»
«È il tuo servitore?» chiese lentamente Egeanin.
«Sì» scattò Nynaeve, proprio mentre Elayne rispondeva: «No.»
Le due donne si scambiarono delle occhiate, Nynaeve era ancora cupa.
«Forse in qualche modo lo è» sospirò Elayne, proprio mentre Nynaeve borbottava: «Immagino che non lo sia.»
«Vedo» osservò Egeanin.
Rendra giunse subito fra i tavoli con un sorriso sulla bocca a forma di bocciolo di rosa dietro al velo. Elayne desiderava che non somigliasse così tanto a Liandrin. «Ah, siete così calme stamattina. I vostri abiti sono magnifici. Bellissimi.» Come se la donna dai capelli biondo miele non avesse avuto nulla a che fare con la scelta dei tessuti e dei tagli d’abito. Il suo abito era di un rosso così acceso che sarebbe andato bene a una Calderaia, e di sicuro non era adatto a essere mostrato in pubblico.
«Ma siete state nuovamente sciocche, vero? Ecco perché il buon Juilin ha quell’espressione torva. Non dovreste farlo preoccupare a quel modo.»
Una scintilla negli occhi marroni della donna diceva che Juilin aveva trovato qualcuna con cui amoreggiare. «Venite. Berrete il vostro tè al fresco e in privato, e se dovrete uscire nuovamente, mi permetterete di trovarvi dei portatori e delle guardie, vero? La bella Elayne non avrebbe perso così tante borse se foste state sorvegliate come si deve. Ma adesso non è il momento di parlare di certe cose. Il vostro tè è quasi pronto. Venite.» Doveva essere qualcosa che si imparava con il tempo, ecco come la vedeva Elayne, dovevi imparare a parlare senza mangiarti il velo.
La camera dei fiori cadenti, situata in fondo a un corto corridoio fuori la sala comune, era una piccola stanza senza finestre, con un tavolo basso e delle sedie intagliate con dei cuscini rossi. Nynaeve ed Elayne mangiavano in questa stanza — con Thom, o Juilin o entrambi, quando Nynaeve non era dell’umore di prendersela con i due. Le pareti di mattoni intonacate, affrescate con un boschetto di susini da cui cadevano a pioggia i fiori che davano il nome alla sala, erano abbastanza spesse da impedire a chiunque di origliare. Elayne si strappò praticamente il velo e lo gettò sul tavolo prima di sedersi. Nemmeno le donne di Tarabon provavano a mangiare o bere indossandolo. Nynaeve sciolse il suo da un solo lato lasciandolo pendere.
Rendra continuò a parlare mentre le serviva, gli argomenti andavano da una sarta che poteva cucire loro nuovi abiti nell’ultimo stile usando la seta più sottile che potessero immaginare — suggerì che Egeanin la provasse ricevendo in risposta un’occhiataccia che non la turbò nemmeno un po’ — al perché dovevano prestare ascolto a Juilin visto che la città era troppo pericolosa per una donna sola adesso, anche alla luce del giorno, a un sapone profumato che avrebbe reso i loro capelli lucenti. Elayne a volte si chiedeva come facesse la donna a condurre affari così floridi quando non sembrava pensare ad altro che ai capelli e ai vestiti. Che lo facesse era ovvio, ma era il come a incuriosirla. Chiaramente indossava begli abiti, solo che non erano del tutto appropriati. Il cameriere che portò il tè, le tazze di porcellana blu e dei dolcetti su un vassoio era quel ragazzo snello dagli occhi scuri che aveva continuato a riempire la coppa di vino di Elayne quella notte imbarazzante. E ci aveva riprovato più di una volta, anche se da quella sera in poi Elayne si era ripromessa di non bere più di una coppa di vino. Un bell’uomo, ma lei gli rivolse uno dei suoi sguardi più freddi, in modo che si allontanò volentieri dalla stanza.
Egeanin si guardò attorno con calma fino a quando Rendra non andò via. «Non siete ciò che mi aspettavo» disse allora, tenendo la coppa in bilico fra la punta delle dita in uno strano modo. «La locandiera parla di frivolezze come se voi foste sue sorelle e sciocche come lei, e voi lo permettete. L’uomo scuro — quella specie di servo, credo — vi prende in giro. Quel cameriere ti guardava con dichiarata bramosia e tu glielo permettevi. Voi siete... Aes Sedai, vero?» Senza attendere la risposta, spostò gli attenti occhi azzurri su Elayne. «E tu sei... sei di nobili natali. Nynaeve ha parlato del palazzo di tua madre.»
«Certe cose non contano molto alla Torre Bianca» le spiegò Elayne mestamente, pulendosi velocemente il mento dalle briciole di dolce. Era molto speziato, quasi piccante. «Se una regina si recasse lì per imparare, dovrebbe strofinare i pavimenti come qualunque altra novizia e scattare quando riceve un ordine.»
Egeanin annuì lentamente. «Allora quella è la regola. Governare i governanti. Molte del... regine... vengono addestrate a quel modo?»
«Nessuna, che io sappia» rise Elayne. «Ma è una nostra tradizione ad Andor inviare l’erede al trono a studiare alla Torre Bianca. Anche molte nobili vi si recano, benché di solito non vogliano che si sappia in giro, e la maggior parte va via senza nemmeno essere riuscita a percepire la Vera Fonte. Era solo un esempio.»
«Anche tu sei del... una nobile?» chiese Egeanin e Nynaeve sbuffò.
«Mia madre era una contadina e mio padre un pastore e coltivatore di tabacco. Pochi da dove vengo io possono farcela senza lana e tabacco da vendere. Cosa ci dici della tua famiglia, Egeanin?»
«Mio padre era un soldato, mia madre la... un ufficiale su una nave.» Sorseggiò per un momento il tè amaro, studiandole. «State cercando qualcuno» aggiunse alla fine. «Queste donne di cui ha parlato l’uomo scuro. Io commercio informazioni, fra le altre cose. Ho delle fonti che mi riferiscono le notizie più varie. Forse posso aiutarvi. Non vi chiederò denaro, solo di raccontarmi di più delle Aes Sedai.»
«Ci hai già aiutato molto» rispose velocemente Elayne ricordandosi che Nynaeve aveva raccontato quasi tutto a Bayle Domon. «Sono grata, ma non possiamo accettare altro.» Lasciare che questa donna venisse a sapere di più dell’Ajah Nera e coinvolgerla senza che sapesse erano soluzioni entrambe fuori discussione. «Davvero, non possiamo.»
Con la bocca mezza aperta Nynaeve la guardò furiosa. «Stavo per dire lo stesso» aggiunse con voce incolore e proseguì più leggera. «La nostra gratitudine si estende certamente a fornirti alcune risposte, Egeanin, per quanto ci sia possibile.» Certamente intendeva dire che c’erano molte domande a cui non potevano rispondere, ma Egeanin la intese diversamente.
«Ma certo. Non verrò a mettere il naso negli affari segreti della vostra Torre Bianca.»
«Sembri molto interessata alle Aes Sedai» osservò Elayne. «Non riesco a percepire l’abilità in te. Ma forse puoi imparare a incanalare.»
Egeanin fece quasi cadere la tazza di porcellana. «Può... essere ‘imparato’? Non sapevo... No. No, non voglio... imparare.»
La sua agitazione rattristò Elayne. Anche fra la gente che non temeva le Aes Sedai, troppi temevano tutto ciò che aveva a che fare con l’Unico Potere. «Cosa vuoi sapere, Egeanin?»
Prima che la donna potesse parlare qualcuno bussò alla porta e subito entrò Thom, con l’elegante mantello marrone che indossava ogni volta che usciva. Attirava meno attenzione di quello da menestrello coperto di pezze colorate. In realtà gli conferiva un aspetto dignitoso, con quel suo manto di capelli bianchi, anche se doveva pettinarli più spesso. Immaginandoselo più giovane, Elayne pensò di poter vedere cosa aveva attratto la madre. Questo naturalmente non lo assolveva per essere andato via. Cambiò espressione prima che Thom potesse accorgersi del cipiglio.
«Mi è stato detto che non eravate sole» disse rivolgendo a Egeanin uno sguardo circospetto quasi identico a quello di Juilin, gli uomini erano sempre sospettosi di chiunque non conoscessero. «Ma ho pensato che vi sarebbe piaciuto sapere che i Figli della Luce hanno circondato il Palazzo del Panarca questa mattina. Nelle strade incominciano a parlarne. Sembra che lady Amathera sarà investita Panarca domattina.»
«Thom,» osservò stancamente Nynaeve «a meno che questa Amathera non sia Liandrin, non mi importa se diventa Panarca, re e Sapiente di tutti i Fiumi Gemelli in una volta.»
«La cosa interessante» aggiunse Thom zoppicando verso il tavolo «è che le voci sostengono che l’Adunanza ha rifiutato di scegliere Amathera. Rifiutato. Allora perché viene investita? Cose così strane meritano di essere prese in considerazione, Nynaeve.»
Mentre si stava sedendo, la donna spiegò con calma: «Stiamo avendo una conversazione privata, Thom. Sono certa che troverai la sala comune più congeniale.» Bevve un sorso di tè, guardandolo da sopra la tazza e aspettandosi che se ne sarebbe andato.
Arrossendo, l’uomo si alzò senza nemmeno essersi seduto del tutto, ma non se ne andò subito. «Che l’Adunanza abbia cambiato idea o no, questa cosa probabilmente provocherà una rivolta. Nelle strade ancora si crede che Amathera sia stata respinta. Se dovete continuare a uscire, non potete andare da sole.» Stava guardando Nynaeve, ma Elayne ebbe l’impressione che le avesse quasi messo una mano sulla spalla. «Bayle Domon si trova in quella piccola stanza nei pressi dei moli, a sistemare i suoi affari in caso dovesse andar via di corsa, ma ha fatto in modo di procurarvi cinquanta uomini scelti, tipi duri abituati alle zuffe e abili con i pugnali o la spada.»
Nynaeve aprì la bocca, ma Elayne la interruppe. «Siamo grate, Thom, a te e a mastro Domon. Ti prego di dirgli che accettiamo questa gentile e generosa offerta.» Incontrando lo sguardo inespressivo di Nynaeve aggiunse significativamente: «Non vorrei essere sequestrata nelle strade in piena luce del giorno.»
«No» concordò Thom. «Non è questo che vogliamo.» A Elayne sembrò di sentire un ‘bambina’ pronunciato a mezza bocca alla fine di quella frase, e stavolta le toccò la spalla, velocemente e con la punta delle dita. «In realtà» proseguì «gli uomini sono già in attesa qua fuori. Sto cercando di trovare una carrozza, quelle portantine sono troppo vulnerabili.» Sembrava sapere che si era spinto troppo in là, portando con sé gli uomini di Domon prima che le ragazze accettassero, per non parlare di questo fatto di cercare una carrozza senza nemmeno fare il gesto di chiederglielo prima, ma le affrontò come un vecchio lupo, con le sopracciglia cespugliose abbassate. «Rimpiangerei... personalmente se vi accadesse qualcosa. La carrozza sarà qui non appena troverò una pariglia, se è possibile trovarne una.»
Con gli occhi sgranati Nynaeve era chiaramente a un passo dal ricambiarlo con un rimprovero che non avrebbe dimenticato e a Elayne non sarebbe dispiaciuto aggiungere qualcosa di suo. Qualcosa di più gentile, da vera ‘bambina’!
Thom approfittò della loro esitazione per fare un inchino che sarebbe andato bene per qualsiasi palazzo e se ne andò quando ancora ne aveva la possibilità.
Egeanin aveva posato la tazza e le fissava costernata. Elayne immaginava che non avevano fatto una bella impressione come Aes Sedai, lasciando che Thom facesse il gradasso a quel modo. «Devo andare» annunciò la donna, alzandosi e prendendo il bastone appoggiato al muro.
«Ma non ci hai rivolto le tue domande» protestò Elayne. «Quantomeno ti dobbiamo qualche risposta.»
«Un’altra volta» rispose Egeanin dopo un po’. «Se mi è permesso, tornerò. Ho bisogno di sapere di più su di voi. Non siete ciò che mi aspettavo.» Le assicurarono che poteva tornare in qualsiasi momento loro fossero presenti e cercarono di convincerla a restare abbastanza per finire il suo tè e la torta, ma la donna fu irremovibile sul fatto che doveva andare via adesso.
Voltandosi dopo averla accompagnata alla porta, Nynaeve mise le mani sui fianchi. «Sequestrarti? Se te ne sei dimenticata, Elayne, è me che quegli uomini stavano cercando di afferrare.»
«Per toglierti di mezzo al fine di potermi prendere» specificò Elayne. «Se te ne sei dimenticata, sono io l’erede al trono di Andor. Mia madre li avrebbe resi ricchi per riavermi indietro.»
«Forse» mormorò dubbiosa Nynaeve. «Be’, almeno non avevano nulla a che fare con Liandrin. Quelle non avrebbero mandato un gruppo di zoticoni a cercare di infilarci in un sacco. Perché gli uomini fanno sempre le cose senza chiedere? La crescita dei peli sul petto toglie loro la linfa dal cervello?»
Il cambio improvviso di argomento non confuse Elayne. «Almeno non dovremo preoccuparci di trovare delle guardie del corpo. Sei d’accordo che sono necessarie, anche se Thom ha oltrepassato i suoi limiti?»
«Immagino di sì.» A Nynaeve non piaceva affatto dover ammettere che aveva torto. Pensando che quegli uomini stavano dando la caccia a lei, per esempio. «Elayne, ti rendi conto che ancora non abbiamo nulla tranne una casa vuota? Se Juilin — o Thom — si tradiscono e si fanno scoprire... Dobbiamo trovare le Sorelle Nere senza che queste sospettino nulla, o non avremo mai la possibilità di seguirle verso questa cosa pericolosa per Rand.»
«Lo so» rispose pazientemente Elayne. «Ne abbiamo parlato.»
La donna più grande aggrottò le sopracciglia. «Ancora non abbiamo idea di cosa sia, o dove si trovi.»
«Lo so.»
«Anche se riuscissimo a prendere Liandrin e le altre in questo momento, non possiamo lasciarle là in giro, aspettando che qualcun altro le trovi.»
«So anche questo, Nynaeve.» Rammentandosi di essere paziente, Elayne addolcì il tono. «Le troveremo. Prima o poi devono commettere un errore, e fra le voci di Thom, i ladri di Juilin e i marinai di Bayle Domon, lo scopriremo.»
Il cipiglio di Nynaeve divenne pensieroso. «Hai notato gli occhi di Egeanin quando Thom ha menzionato Domon?»
«No. Pensi che lo conosca? Perché non lo avrebbe detto?»
«Non lo so» rispose Nynaeve irritata. «A viso non è cambiato, ma gli occhi... era stupita. Lo conosce. Mi chiedo cosa...» Qualcuno bussò piano alla porta. «Tutti gli abitanti di Tanchico oggi vogliono venire da noi?» gridò spalancando la porta.
Rendra sobbalzò vedendo l’espressione sul viso di Nynaeve, ma il sorriso costante riapparve subito. «Perdonatemi per avervi disturbate, ma c’è una donna giù che chiede di voi. Non per nome, ma vi ha descritte perfettamente. Dice che pensa di conoscervi. È...» Quella bocca a forma di bocciolo di rosa si tese in una smorfia. «Ho dimenticato di chiederle come si chiama. Stamattina sono una capra deficiente. È ben vestita, nemmeno di mezza età. Non è di Tarabon.» Rabbrividì leggermente. «Credo che sia una donna severa. Quando mi ha vista per la prima volta, mi ha guardata come mia sorella maggiore, quando eravamo piccole e pensava di legare le mie trecce a un cespuglio.»
«O ci hanno trovate loro per prime?» mormorò Nynaeve.
Elayne abbracciò la Vera Fonte prima di riflettere e fu sollevata quando si accorse di riuscirci, che non era stata schermata a sua insaputa. Se la donna apparteneva all’Ajah Nera... Ma se lo era, perché farsi annunciare? Anche così desiderò che il bagliore di saidar circondasse pure Nynaeve. Se solo la donna potesse incanalare senza dover essere arrabbiata.
«Falla entrare» disse Nynaeve, ed Elayne si accorse che era ben consapevole della sua mancanza e aveva paura. Non appena Rendra si voltò per andare via, Elayne incominciò a intessere flussi di Aria, spessi come cavi e pronti a legarla e flussi di Spirito per schermare l’altra dalla Fonte. Se questa donna assomiglia appena a una della lista, se prova a incanalare una scintilla...
La donna che entrò nella camera dei fiori cadenti, con indosso un abito di seta nera lucida di taglio sconosciuto, non era una che Elayne avesse mai visto prima e certamente non era sulla lista delle donne che erano andate con Liandrin. I capelli scuri le scendevano liberi sulle spalle incorniciando un bel viso solido dai grandi occhi scuri e le guance lisce, ma privo dell’età indefinibile delle Aes Sedai. Sorridendo, si chiuse la porta alle spalle. «Perdonatemi, ma credevo che foste...» il bagliore di saidar la circondò e lei...
Elayne rilasciò la Vera Fonte. C’era qualcosa di molto dominante in quegli occhi scuri, nell’alone che la circondava, il pallido splendore dell’Unico Potere. Era la donna più regale che Elayne avesse mai visto e si ritrovò a fare la riverenza, arrossendo mentre aveva considerato... cosa aveva considerato? Era così difficile pensare.
La donna la studiò per un momento, quindi annuì soddisfatta e si diresse verso il tavolo, prendendo la sedia intagliata a capo tavola. «Venite qui dove posso vedervi più da vicino» ordinò con voce autoritaria. «Venite. Sì. Ecco.»
Elayne si accorse che stava in piedi accanto al tavolo guardando in basso negli occhi scuri di quella donna splendente. Sperava che andasse tutto bene. Dall’altro lato del tavolo Nynaeve aveva afferrato un gruppo di treccine, ma fissava l’ospite con la stessa espressione sciocca e rapita. Elayne aveva voglia di ridere.
«Più o meno quello che mi aspettavo» osservò la donna. «Poco più che ragazzine e chiaramente nemmeno parzialmente addestrate. Forti, però, abbastanza da essere più che problematiche. Specialmente tu.» Fissava Nynaeve con quegli occhi scuri. «Un giorno potresti diventare davvero qualcosa. Ma ti sei bloccata, vero? Ti avremmo liberata da quello anche se tu avessi gridato per non farlo accadere.» Nynaeve ancora aveva la presa salda sulle treccine, ma l’espressione passò da un sorriso compiaciuto da ragazzina davanti a un complimento a un labbro tremante per la vergogna. «Mi dispiace di essermi bloccata» stava quasi piagnucolando. «Ho paura... tutto quel potere... l’Unico Potere... come posso...?»
«Fai silenzio a meno che non ti interroghi» ingiunse la donna con fermezza. «E non cominciare a piangere. Sei contenta di vedermi, estatica. Tutto quello che vuoi è compiacermi e rispondere completamente alle mie domande.»
Nynaeve annuì vigorosamente, sorridendo anche più rapita di prima. Elayne si accorse che stava facendo lo stesso. Era certa che avrebbe potuto rispondere per prima alle domande. Qualsiasi cosa per compiacere questa donna.
«Adesso siete da sole? Ci sono altre Aes Sedai con voi?»
«No» disse velocemente Elayne per rispondere alla prima domanda e, altrettanto velocemente, aggiunse: «Non ci sono Aes Sedai con noi.»
Forse doveva dirle che loro non erano davvero Aes Sedai. Ma non le era stato chiesto. Nynaeve la guardò furiosa con le nocche bianche per quanto stringeva le treccine, furiosa per essere stata battuta sul tempo nel rispondere.
«Perché vi trovate in questa città?» chiese la donna.
«Stiamo dando la caccia alle Sorelle Nere» esplose Nynaeve, lanciando a Elayne un’occhiata di trionfo.
La bella donna rise. «Allora è per questo che non vi ho sentite incanalare prima di oggi. Una decisione saggia non farlo quando si tratta di undici contro due. Ho seguito sempre quella regola anche io. Lascia che siano altre sciocche a mettersi in vista. Possono essere portate alla rovina da un ragno che si nasconde fra le crepe, un ragno che non vedono fino a quando non è troppo tardi. Ditemi tutto quello che avete scoperto delle Sorelle Nere, tutto quello che sapete.»
Elayne le raccontò tutto battendosi con Nynaeve per essere la prima. Non era molto. Le loro descrizioni, i ter’angreal che avevano rubato, gli omicidi alla Torre e la paura della presenza di altre Sorelle Nere, che aiutavano uno dei Reietti a Tear prima che cadesse la Pietra, la loro corsa qui alla ricerca di qualcosa di pericoloso per Rand. «Stavano tutte insieme in una casa» concluse Nynaeve ansimando «ma sono andate via la scorsa notte.»
«Sembra che vi siate avvicinate molto» disse lentamente la donna. «Molto vicino. Ter’angreal. Svuotate i vostri sacchetti sul tavolo, le borse.» Lo fecero e la donna ispezionò velocemente le monete, i set da cucito, fazzoletti e cose simili. «Avete qualche Ter’angreal nelle vostre stanze? Angreal o sa’angreal?»
Elayne era consapevole dell’anello di pietra appeso al collo, ma quella non era la domanda. «No» rispose. Non avevano nessuno di quegli oggetti nelle loro stanze.
Spingendo tutto via, la donna si sporse indietro. «Rand al’Thor. Per cui adesso quello è il suo nome.» Il suo viso si deformò in una smorfia temporanea. «Un uomo arrogante che puzza di pietà e benevolenza. È ancora lo stesso? No, non preoccupatevi di rispondere a questa domanda oziosa. Per cui Be’lal è morto. L’altro mi sembrerebbe Ishamael. Tutto il suo orgoglio nell’essere stato preso solo parzialmente, qualunque fosse il prezzo — di umano era rimasto meno in lui che in ognuno di noi quando l’ho visto di nuovo, credo pensasse quasi di essere il Sommo Signore delle Tenebre — tutti i suoi tremila anni di macchinazioni e alla fine un ragazzo privo di addestramento lo abbatte. Il mio sistema è il migliore. Delicatamente, delicatamente nell’ombra. Qualcosa per controllare un uomo che può incanalare. Sì, deve trattarsi di quello.» Gli occhi divennero acuti, studiandole a turno. «Adesso. Cosa fare con voi?»
Elayne attese pazientemente. Nynaeve aveva un sorriso stupido, le labbra dischiuse, trepidanti, sembrava particolarmente sciocca nel modo in cui stringeva le treccine.
«Siete troppo forti per essere sprecate, in futuro potreste essere utili. Mi piacerebbe vedere gli occhi di Rahvin il giorno in cui ti incontra non bloccata» si rivolse a Nynaeve. «Metterei fine a questa vostra caccia, se potessi. È un peccato che la coercizione sia così limitata. Eppure, con il poco che avete imparato, siete troppo indietro per recuperare adesso. Immagino che dovrò prendevi in un secondo tempo e provvedere al vostro... nuovo addestramento.» Si alzò e di colpo tutto il corpo di Elayne pizzicò. Il cervello sembrò rabbrividire. Non era consapevole di altro se non della voce della donna che le ruggiva nelle orecchie come se giungesse da una grande distanza. «Raccoglierete le vostre cose dal tavolo e quando le avrete rimesse a posto, non vi ricorderete nulla di quanto è accaduto qui se non che ero venuta pensando che foste amiche di vecchia data che conoscevo in campagna. Mi ero sbagliata, ci siamo bevute una tazza di tè e me ne sono andata.»
Elayne batté le palpebre e si chiese perché stesse legando la borsa vicino al sacchetto appeso alla cintura. Nynaeve scrutava le proprie mani facendo la stessa cosa.
«Una donna graziosa» osservò Elayne strofinandosi la fronte. Le stava venendo il mal di testa. «Ci ha detto come si chiamava? Non mi ricordo.»
«Graziosa?» Nynaeve sollevò la mano e tirò forte le treccine, fissandole come se si fossero mosse per conto loro. «Io... non credo che lo fosse.»
«Di cosa stavamo parlando quando è entrata?» Egeanin era appena andata via. Cos’era?
«Mi ricordo cosa stavo per dire.» La voce di Nynaeve era più ferma. «Dobbiamo trovare le Sorelle Nere senza che queste sospettino nulla, o non avremo mai la possibilità di seguirle verso quest’oggetto pericoloso per Rand, di qualunque cosa si tratti.»
«Lo so» rispose pazientemente Elayne. Lo aveva già detto? Certo che no. «Ne abbiamo parlato.»
Egeanin si fermò alle porte arcuate che conducevano fuori dalla locanda dentro un piccolo cortile, studiando gli uomini dal viso duro che oziavano, scalzi e spesso a torso nudo, fra le persone indolenti da quel lato della stretta strada. Avevano l’aspetto di gente che sapeva usare la spada dalla lama ricurva che pendeva dalle loro cinture o era infilata dietro le fusciacche, ma nessuno di quei volti le era familiare. Se qualcuno di loro era stato imbarcato con Bayle Domon quando lo prese e lo portò a Falme, non se li ricordava. E se così era, nessuno aveva collegato la donna con gli abiti da cavallo a quella in armatura che aveva catturato il suo veliero.
Di colpo si accorse che aveva i palmi delle mani umidi. Aes Sedai. Donne che potevano maneggiare il Potere, e nemmeno decentemente legate. Aveva seduto al tavolo con loro, parlato con loro. Non erano affatto ciò che si era aspettata, non riusciva a toglierselo dalla testa. Potevano incanalare, di conseguenza erano un pericolo per l’ordine, quindi doveva essere messo loro il collare — eppure... non erano affatto ciò che le era stato insegnato. Poteva essere imparato. Imparato! Purché riuscisse a evitare Bayle Domon — certamente l’avrebbe riconosciuta — sarebbe tornata senz’altro. Doveva scoprire di più. Adesso più che mai.
Desiderando avere un mantello con il cappuccio, afferrò saldamente il bastone e si avviò per la strada, facendosi largo tra la folla di passanti. Nessuno dei marinai la guardò due volte e lei li scrutò per esserne certa.
Non vide l’uomo biondo con gli sporchi abiti di Tanchico appoggiato alla parete frontale intonacata di bianco dell’enoteca all’altro Iato della strada. Aveva gli occhi azzurri sopra un velo sudicio e folti baffi mantenuti in posa dalla colla e la seguì prima di rientrare nel Cortile delle tre susine. Attraversò la strada, ignorando il modo disgustoso in cui la gente gli passava accanto. Egeanin lo aveva quasi visto quando si era distratto abbastanza da spezzare il braccio di quello stupido. Uno del Sangue, o come venivano conosciute quelle cose in questa terra, ridotto a elemosinare senza nemmeno avere abbastanza onore per tagliarsi le vene. Disgustoso. Forse poteva scoprire di più su cosa stava combinando, in questa locanda, una volta che si fossero accorti che aveva più denaro di quanto il suo abbigliamento suggerisse.