La sala comune della locanda della Fonte del Vino era silenziosa se non per il rumore della penna di Perrin. Silenziosa e vuota se non per lui e Aram. La luce del tardo mattino creava delle piccole pozze sotto le finestre. Dalla cucina non proveniva odore di cibo, non c’erano fuochi accesi da nessuna parte del villaggio e anche i carboni fra le ceneri erano stati spenti. Non aveva senso lasciare un fuoco a portata di mano. Il Calderaio — a volte si chiedeva se era appropriato pensare ad Aram ancora a quel modo, ma un uomo non poteva smettere di essere quel che era, spada o no — stava in piedi davanti al muro accanto alla porta e guardava Perrin. Cosa si aspettava l’uomo? Cosa voleva? Intingendo la penna nella piccola boccetta d’inchiostro, Perrin ripose il terzo foglio e iniziò a scriverne un quarto.
Aprendo la porta con l’arco in mano, Ban al’Seen si passò un dito a disagio su e giù lungo il naso. «Gli Aiel sono tornati» annunciò con calma, ma i piedi si muovevano come se non potesse trattenerli. «I Trolloc stanno arrivando, da nord e sud. Migliaia, lord Perrin.»
«Non chiamarmi a quel modo» rispose Perrin assente, guardando corrucciato la pagina. Non aveva abilità con le parole. Certamente non sapeva come dire le cose nel modo elegante che piaceva alle donne. Tutto quello che poteva fare era scrivere quel che provava. Intingendo nuovamente la penna aggiunse alcune righe.
Non chiederò il tuo perdono per quello che ho fatto. Non so se puoi concedermelo, ma non lo chiederò. Per me sei più preziosa della vita. Non pensare mai che ti ho abbandonata. Quando il sole risplenderà su di te, sarà il mio sorriso. Quando sentirai la brezza che soffia fra i fiori del melo, sarà il mio sospiro che ti dice che ti amo. Il mio amore è tuo per sempre.
Per un momento studiò ciò che aveva scritto. Non diceva abbastanza, ma doveva bastare. Non aveva le parole giuste come non aveva tempo.
Asciugando con cura l’inchiostro con la sabbia ripiegò le pagine. Aveva quasi scritto ‘Faile Bashere’ sull’esterno prima di correggerlo con ‘Faile Aybara’. Si rese conto che non sapeva nemmeno se una moglie acquisiva il cognome del marito, in Saldea; in alcuni posti non accadeva. Be’, lo aveva sposato nei Fiumi Gemelli, avrebbe dovuto adeguarsi agli usi dei Fiumi Gemelli.
Piazzò la lettera al centro della mensola sul camino — prima o poi l’avrebbe avuta — e sistemò l’ampio nastro rosso di matrimonio dietro al colletto per poter mettere bene i risvolti. Doveva portarlo per sette giorni, un annuncio per tutti che si era sposato di fresco.
«Ci proverò» si rivolse teneramente alla lettera. Faile aveva cercato di legargli un nastro fra la barba, desiderava averla lasciata fare.
«Chiedo scusa, lord Perrin?» disse Ban, ancora cambiando ansiosamente posizione. «Non ho sentito.» Aram si mordeva il labbro, gli occhi sgranati e spaventati.
«È tempo che mi occupi delle faccende quotidiane» osservò Perrin. Forse la lettera l’avrebbe raggiunta. In qualche modo. Prese l’arco dal tavolo e se lo mise a tracolla. Ascia e faretra erano già appese alla cintura. «E non chiamarmi a quel modo!»
I Compagni si erano riuniti davanti alla locanda sui cavalli, Wil al’Seen con quella stupida bandiera con la testa di lupo, la lunga asta appoggiata nella staffa. Quanto tempo era passato dal giorno in cui Wil si era rifiutato di portare quella cosa? I sopravvissuti fra quelli che si erano uniti a lui dal primo giorno adesso si contendevano quell’incarico. Wil con l’arco a tracolla e la spada al fianco sembrava orgoglioso come un idiota.
Mentre Ban montava a cavallo, Perrin lo sentì dire: «L’uomo è freddo come uno stagno in inverno. Come il ghiaccio. Forse oggi non sarà così brutto.» Gli prestò attenzione a malapena. Le donne erano riunite sul prato comune.
Creavano un cerchio di cinque o sei linee attorno all’alto palo dove la bandiera più grande con la testa di lupo sventolava nella brezza. Cinque o sei file, spalla a spalla, con le lance ricavate dai falcetti, i forconi e le asce. Grossi coltelli da cucina e anche mannaie.
Con un nodo in gola montò in groppa a Stepper e cavalcò verso di loro. I bambini erano una massa fitta all’interno del circolo delle donne. Tutti i bambini di Emond’s Field.
Cavalcando lentamente lungo i ranghi sentì gli occhi delle donne che lo seguivano e anche quelli dei bambini. Odore di paura e preoccupazione. I bambini la mostravano sui visi fin troppo pallidi, ma tutti emanavano quell’odore. Fece fermare il cavallo davanti a Marin al’Vere, Daise Congar e il resto delle Donne della Cerchia riunite. Alsbet Luhan aveva uno dei martelli del marito appoggiato su una spalla e l’elmetto dei Manti Bianchi guadagnato la notte del salvataggio leggermente inclinato per via della spessa treccia. Neysa Ayellin impugnava un coltello da cucina dalla lama lunga e ne aveva altri due infilati dietro la cintura.
«Abbiamo progettato tutto» disse Daise guardandolo come se si aspettasse una discussione e non intendesse permetterla. Lei impugnava un forcone legato a un’asta lunga circa novanta centimetri più di lei, dritta davanti ai piedi. «Se i Trolloc irrompono da qualche parte voi uomini sarete impegnati, per cui noi porteremo in salvo i bambini. I più grandi sanno cosa fare e hanno tutti giocato a nascondino nella foresta. Solo per tenerli al sicuro fino a quando potremo uscire nuovamente.»
I più grandi. Ragazzi e ragazze di tredici e quattordici anni avevano i piccolini legati dietro la schiena e un bambino per mano. Le ragazze più grandi si trovavano fra i ranghi delle donne, Bode Cauthon aveva un’ascia fra le mani, la sorella Eldrin una lancia per la caccia al cinghiale dalla punta larga. I ragazzi più grandi erano con gli uomini o sui tetti di paglia con gli archi in mano. I Calderai stavano con i bambini. Perrin lanciò un’occhiata ad Aram in piedi sulle staffe. Non avrebbero combattuto, ma ogni adulto aveva due bambini legati dietro la schiena e un altro fra le braccia. Raen e Ila, che si abbracciavano, non lo guardarono. Solo per mantenerli al sicuro fino a quando sarebbero potuti uscire.
«Mi dispiace.» Dovette fermarsi per schiarirsi la gola. Non avrebbe voluto giungere a questo punto. Anche pensando al massimo non gli veniva in mente nulla che avrebbe potuto fare. Consegnarsi ai Trolloc non li avrebbe fermati dall’uccidere e incendiare. La fine sarebbe stata la stessa. «Non è stato giusto quello che ho fatto a Faile, ma ho dovuto. Vi prego di capirmi. Dovevo.»
«Non essere sciocco Perrin» puntualizzò Alsbet, la voce enfatica ma il viso che sorrideva calorosamente. «Non tollero quando ti comporti da sciocco. Credi che ci saremmo aspettati da te qualcosa di diverso?»
Con una mannaia pesante in mano Marin si allungò per battergli sul ginocchio amichevolmente con l’altra. «Ogni uomo per cui vale la pena cucinare un pasto avrebbe fatto lo stesso.»
«Grazie.» Luce, era così rauco. In un minuto avrebbe tirato su con il naso come una ragazzina. Ma per qualche motivo non riusciva a schiarirsi la voce. Devono pensare che sono un idiota. «Grazie. Non avrei dovuto imbrogliarvi, ma non sarebbe andata via se avesse sospettato qualcosa.»
«Oh, Perrin» rise Marin. Rise sul serio, con tutto quello che avevano affrontato e odorando di paura. Desiderava avere la metà del coraggio di quella donna. «Sapevamo cosa stavi progettando prima ancora che la mettessi sul cavallo e non sono sicura che anche lei non lo sapesse. A volte le donne si ritrovano a fare quello che non vogliono solo per fare contenti voi uomini. Adesso vai avanti e fai quello che devi. Questi sono affari della Cerchia delle Donne» aggiunse con fermezza.
In qualche modo Perrin riuscì a sorriderle. «Sì, comare» rispose toccandosi la fronte. «Chiedo scusa. Ne so abbastanza per tenere il naso fuori da queste faccende.» Le donne attorno a lei risero sommessamente mentre Perrin faceva girare Stepper.
Si accorse che Ban e Tell cavalcavano alle sue spalle, con il resto dei Compagni che sfilava appresso a Wil con la bandiera. Fece cenno alla coppia di venirgli vicino. «Se le cose oggi andranno male» disse quando lo affiancarono «i Compagni dovranno tornare qui e aiutare le donne.»
«Ma...»
Perrin interruppe le proteste di Tell. «Farete quello che ho detto! Se le cose andranno male, porterete in salvo donne e bambini! Mi avete sentito?» I due annuirono, con riluttanza, ma lo fecero.
«E tu?» chiese con calma Ban.
Perrin lo ignorò. «Aram, resta con i Compagni.»
Camminando fra Stepper e il cavallo irsuto di Tell, il Calderaio non guardò nemmeno in alto. «Io vado dove vai tu» disse semplicemente, ma il tono di voce non lasciava spazio a discussioni, avrebbe fatto quello che voleva qualsiasi cosa dicesse Perrin, che si chiese se un vero lord avesse mai questo tipo di problemi.
Dal lato occidentale del prato i Manti Bianchi erano tutti a cavallo, i mantelli con il sole raggiato dorato che splendeva, gli elmetti e le armature lucidi, una lunga colonna per quattro che arrivava fino alle case più vicine. Dovevano aver trascorso metà della notte a lucidare. Dain Bornhald e Jaret Byar fecero voltare i cavalli per fronteggiare Perrin. Bornhald era rigido in sella ma odorava di acquavite di mele. Il volto scarno di Byar, deformato da una rabbia anche più profonda del solito, fissava Perrin.
«Credevo che ormai doveste essere al vostro posto» disse Perrin.
Bornhald guardò torvo il manto del cavallo senza rispondere. Dopo un momento Byar rispose: «Ce ne andiamo, progenie dell’Ombra.» Un mormorio furioso si elevò dai Compagni, ma l’uomo dagli occhi incavati li ignorò come anche Aram che stava raggiungendo l’elsa della spada dietro le spalle. «Torneremo a Watch Hill tagliando attraverso il gruppo dei tuoi amici e ci uniremo nuovamente al resto dei nostri uomini.»
Andare via. Oltre quattrocento soldati che se ne andavano. Manti Bianchi, ma soldati a cavallo, non contadini, soldati che avevano concordato — Bornhald aveva acconsentito! — di supportare gli uomini dei Fiumi Gemelli anche se i combattimenti sarebbero diventati roventi. Se Emond’s Field voleva avere qualche possibilità, doveva far rimanere questi uomini. Stepper reclinò il capo e sbuffò quasi avesse colto l’umore del suo cavaliere. «Credi ancora che io sia un Amico delle Tenebre, Bornhald? Quanti attacchi hai visto finora? Quei Trolloc hanno cercato di uccidermi come chiunque altro.»
Bornhald sollevò lentamente la testa, gli occhi posseduti e allo stesso tempo mezzi vitrei. Le mani nei guanti dal dorso di metallo si strinsero inconsciamente sulle redini. «Credi che non sappia che queste difese sono state preparate senza di te? Non c’entravi nulla, vero? Non terrò qui i miei uomini a guardare mentre dai in pasto i tuoi compaesani ai Trolloc. Danzerai su una pila dei loro corpi una volta finita, progenie dell’Ombra? Non i nostri! Intendo vivere abbastanza a lungo per consegnarti alla giustizia!»
Perrin accarezzò il collo di Stepper per tranquillizzare lo stallone. Doveva far rimanere questi uomini. «Mi volete? Molto bene. Quando sarà finita, quando i Trolloc saranno sterminati, non opporrò resistenza se cercherete di arrestarmi.»
«No!» gridarono simultaneamente Ban e Tell, e alle loro spalle si levarono altre grida. Aram guardò Perrin colpito.
«Una promessa vuota» sogghignò Bornhald. «Tu vuoi che muoiano tutti qui, tranne te!»
«Non lo saprai mai se scappi adesso, ti pare?» Perrin rese la voce severa e sprezzante. «Manterrò la mia promessa ma, se scappi, potresti non trovarmi mai più. Corri, se vuoi! Corri e cerca di dimenticare quanto è accaduto qui! Tutto questo vostro parlare di proteggere la gente dai Trolloc. Quanti sono morti per mano dei Trolloc fin dalla vostra venuta? La mia famiglia non era stata la prima e certamente neanche l’ultima. Corri! Oppure resta, se potete rammentarvi di essere uomini. Se hai bisogno di trovare il coraggio, guarda le donne, Bornhald. Una qualsiasi di loro è più coraggiosa di tutti voi Manti Bianchi!»
Bornhald tremò come se ogni parola fosse stata un colpo; Perrin pensò che sarebbe caduto di sella. Raddrizzandosi Bornhald lo guardò furioso. «Resteremo» disse rauco.
«Ma, mio lord Bornhald...» protestò Byar.
«Silenzio!» gridò Bornhald. «Se dobbiamo morire qui, lo faremo in modo pulito!» Girò la testa per rivolgersi a Perrin, con la saliva sulle labbra. «Resteremo. Ma almeno ti vedrò morto, progenie dell’Ombra! Per la mia famiglia, per mio padre. Io — ti — vedrò — morto!» Facendo muovere il cavallo rozzamente arretrò verso la colonna di uomini con i mantelli bianchi. Byar snudò i denti in un ringhio silenzioso rivolto a Perrin prima di seguirlo.
«Non intendi mantenere quella promessa, vero?» chiese Aram ansioso. «Non puoi.»
«Devo controllare tutti» rispose Perrin. C’erano poche possibilità che sarebbe vissuto abbastanza a lungo per mantenerla. «Non c’è molto tempo.» Spronò Stepper sui fianchi e il cavallo balzò in avanti, verso il lato occidentale del villaggio.
Dietro la palizzata acuminata rivolta al Bosco Occidentale, gli uomini erano accovacciati con le lance, le alabarde e i bastoni da combattimento creati da Haral Luhan, che era presente, il grembiule da fabbro e la lama di un falcetto in cima a un’asta di due metri e mezzo. Alle loro spalle c’erano gli uomini con gli archi in file interrotte da quattro catapulte, Abell Cauthon vi camminava attraverso lentamente per parlare con ogni uomo.
Perrin tirò le redini per fermarsi accanto a lui. «Le voci dicono che stanno giungendo da nord e sud,» disse piano «ma tieni gli occhi aperti.»
«Controlleremo. E sono pronto a inviare metà dei miei uomini ovunque serva. Scopriranno che la gente dei Fiumi Gemelli non è carne facile.» Il sorriso di Abell ricordava quello del figlio.
Con imbarazzo di Perrin gli uomini lo acclamarono mentre cavalcava fra loro. Con i Compagni e la bandiera alle calcagna. «Occhidoro! Occhidoro!» e di tanto in tanto «lord Perrin!» Sapeva che avrebbe dovuto insistere su questo fin dall’inizio.
Da sud. Là Tam era in carica. Con il viso più torvo di Abell e camminando quasi come un Custode, le mani appoggiate sull’elsa della spada. Quella grazia lupesca quasi mortale sembrava strana su un contadino robusto con i capelli grigi. Eppure le parole che rivolse a Perrin non furono diverse da quelle di Abell. «Noi gente dei Fiumi Gemelli siamo più duri di quanto gli altri sappiano» disse sereno. «Non preoccuparti: oggi faremo in modo di essere fieri di noi stessi.»
Alanna si trovava a una delle sei catapulte da quel lato, indaffarata con una grossa pietra che veniva sollevata nell’incavo della lunga asta da lancio. Ihvon era a cavallo con indosso il mantello cangiante dei Custodi, snello come una lama d’acciaio e attento come un falco, non c’era dubbio che avesse scelto il territorio — ovunque si trovasse Alanna — e il tipo di lotta — mantenerla in vita a qualsiasi costo. Guardò a malapena Perrin ma l’Aes Sedai si fermò con le mani appoggiate sulla pietra, seguendolo con lo sguardo mentre passava. Perrin sentiva che la donna lo soppesava e misurava, giudicandolo. Anche le acclamazioni lo seguivano.
Nel punto in cui la palizzata correva dietro alle abitazioni a est della locanda erano in carica Jon Tane e Samel Crawe. Perrin disse loro le stesse cose che aveva riferito ad Abell, e ancora una volta ricevette una risposta simile. Jon, che indossava una cotta di maglia bucata e arrugginita in diversi punti, aveva visto il fumo salire dal suo mulino, e Samel, con il viso equino e il lungo naso, era sicuro di aver visto il fumo della sua fattoria. Nessuno si aspettava una giornata facile, ma entrambi indossavano la ferma determinazione come un mantello.
Nord. Aveva deciso di combattere sul fronte nord. Toccando il fiocco che scendeva sul colletto guardò in direzione di Watch Hill, la direzione in cui era andata Faile, e si chiese perché avesse scelto il fronte nord. Vola libera, Faile. Vola libera, cuor mio, pensò. Suppose che era comunque un buon posto per morire.
In teoria qui era in carica Bran, con l’elmetto d’acciaio e il giustacuore coperto di dischi di metallo, ma si fermò durante l’ispezione degli uomini lungo la palizzata per rivolgere a Perrin l’inchino più profondo che il giustacuore gli permise.
Gaul e Chiad erano pronti, le teste avvolte dagli shoufa e i volti nascosti fino agli occhi dietro i veli neri. Fianco a fianco, notò Perrin. Qualsiasi cosa fosse accaduta fra loro, sembrava superare gli antagonismi di sangue fra clan. Loial impugnava un paio di asce che nelle sue mani sembravano piccole, le orecchie pelose puntavano fieramente in avanti e il grande viso era torvo.
«Tu pensi che io me ne andrei?» aveva chiesto quando Perrin aveva suggerito che poteva sgattaiolare nella notte appresso a Faile. Aveva abbassato le orecchie per la stanchezza e il dolore dell’offesa. «Sono venuto con te, Perrin, e resterò fino a quando non andrai via» aveva aggiunto. Quindi improvvisamente si era messo a ridere con quel profondo suono roboante che faceva quasi tremare i piatti. «Forse un giorno qualcuno racconterà una storia su di me. Non apparteniamo a certe cose, ma potrebbe esserci un eroe ogier, immagino. Una battuta, Perrin. Ho fatto una battuta. Ridi. Vieni, ci racconteremo altre battute e rideremo pensando a Faile che vola libera.»
«Non è una battuta, Loial» mormorò Perrin mentre cavalcava lungo la linea degli uomini cercando di non ascoltare le acclamazioni. «Sei un eroe, che tu lo voglia oppure no.» L’Ogier rivolse a Perrin un sorriso teso prima di ricondurre gli occhi sul terreno disboscato oltre la palizzata. Dei bastoni a righe bianche segnavano distanze di cento passi per almeno cinquecento passi. Oltre quel limite c’erano i campi coltivati, tabacco e orzo, molti calpestati dai precedenti attacchi, siepi e muretti bassi di pietra, macchie di ericacee, pini e querce.
Erano molti i visi che Perrin conosceva in quei ranghi di uomini in attesa. Il grosso Eward Candwin e Paet al’Caar con le lance. Buel Dowtry dai capelli bianchi, il fabbricante di frecce, con gli arcieri. Il tarchiato Jac al’Seen e il cugino intrepido, Wit, il nodoso Flann Lewin, un tipo allampanato che somigliava a un palo, come tutti i maschi della sua famiglia. Jaim Torfinn e Hu Marwin, alcuni fra i primi che si erano uniti a lui, si erano sentiti troppo a disagio per unirsi ai Compagni, come se perdere l’imboscata al Waterwood avesse aperto un divario fra loro e gli altri. Elam Dowtry, Dav Ayellin ed Ewin Finngar. Hari Coplin e suo fratello Darl con il vecchio Bili Congar. Berin Thane, il fratello del mugnaio, il grasso Athan Dearn, Kevrim al’Azar, il cui nipote aveva dei figli, Tuck Padwhin, il falegname e...
Costringendosi a smettere di contarli Perrin si diresse verso Verin, accanto a una delle catapulte sotto l’occhio vigile di Tomas sul cavallo grigio. L’Aes Sedai paffuta vestita di marrone studiò Aram per un momento prima di rivolgere lo sguardo da uccello su Perrin con un sopracciglio sollevato come a chiedergli perché la stesse disturbando.
«Sono leggermente sorpreso di vedere che tu e Alanna siete ancora qui» le disse. «Cercare ragazze che possono imparare a incanalare non può valere essere uccise. Nemmeno mantenere un legame con un ta’veren.»
«È questo quello che stiamo facendo?» Incrociando le braccia inclinò pensierosa il capo da un lato. «No» aggiunse alla fine «non credo che possiamo ancora andare via. Sei uno studio interessante quanto Rand, a modo tuo. E il giovane Mat. Se solo potessi dividermi in tre, resterei attaccata a ognuno di voi e vi seguirei in ogni movimento del giorno e della notte a costo di sposarvi.»
«Ho già una moglie.» Si sentì strano a dirlo ad alta voce. Strano e bene. Aveva una moglie ed era in salvo.
La donna frantumò quel momento di sogno a occhi aperti. «Sì, hai una moglie. Ma non sai cosa significhi aver sposato Zarine Bashere, vero?» La donna si protese per prendere l’ascia facendola roteare nel gancio e osservarla. «Quando rinuncerai a questa per il martello?»
Fissando l’Aes Sedai fece arretrare Stepper di un passo, togliendole l’ascia di mano, prima di rendersene conto. Cosa significava aver sposato Faile? Cosa sapeva?
«ISAM!» L’urlo gutturale salì come il tuono e apparvero i Trolloc, alti una volta e mezzo gli uomini e grossi il doppio, correndo per i campi per fermarsi ai colpi delle frecce, una grande massa di maglia nera che si estendeva per la lunghezza del villaggio. Migliaia compressi assieme, grosse facce distorte da becchi e grugni, teste cornute e creste pennute, protezioni dalle punte chiodate sui gomiti e le spalle, spade dalle lame ricurve come falci e asce chiodate, lance uncinate e tridenti con i barbigli, un mare quasi infinito di armi crudeli. Alle loro spalle i Myrddraal galoppavano avanti e indietro su cavalli neri come la notte, mantelli neri come le penne dei corvi che pendevano indisturbati mentre volteggiavano sui cavalli.
«ISAM!»
«Interessante» mormorò Verin.
Perrin non pensava che quella fosse la parola adatta. Era la prima volta che i Trolloc gridavano qualcosa di comprensibile. Non riusciva a capirne il motivo.
Lisciando il nastro nuziale si costrinse a cavalcare con calma verso il centro della linea degli uomini dei Fiumi Gemelli. I Compagni si disposero in formazione alle sue spalle, la brezza faceva garrire la bandiera con la testa del lupo. Aram aveva snudato la spada e la impugnava con entrambe le mani. «Siate pronti!» gridò Perrin. La voce era ferma, non riusciva a crederci.
«ISAM!» E la marea nera avanzò, ululando senza parole.
Faile era in salvo. Nient’altro importava. Non voleva guardare i volti degli uomini allineati ai suoi fianchi. Sentì gli stessi ululati provenire da sud. Entrambi i lati contemporaneamente. Questo non lo avevano mai provato prima. Faile era in salvo. «A quattrocento passi...!» Lungo i ranghi gli archi si sollevarono all’unisono. La massa ululante si avvicinava, le lunghe gambe divoravano la distanza. Vicino. «Fuoco!»
Lo schiocco delle corde degli archi si perse nel boato della carica dei Trolloc, una grandine di frecce con l’impennatura di piume d’oca striò il cielo mentre si inarcava verso l’esterno e ricadeva sull’orda di maglia nera. Le pietre delle catapulte eruppero in palle fiammeggianti e schegge acuminate fra quei ranghi furiosi. I Trolloc caddero. Perrin li vide crollare, travolti da stivali e cavalli. Anche qualche Myrddraal fu abbattuto. Eppure la marea avanzava, chiudendo fessure e spazi, apparentemente integra.
Non vi fu bisogno di ordinare un secondo lancio. Seguì il primo non appena gli uomini poterono incoccare una seconda freccia, una seconda grandinata di frecce dalla grossa punta seguì la prima, poi una terza, una quarta e una quinta. Il fuoco esplodeva fra i Trolloc alla velocità in cui poteva essere ricaricata la catapulta, Verin galoppava da una catapulta all’altra chinandosi sulla sella. E l’enorme massa ululante avanzava, gridando in una lingua che Perrin non comprendeva, ma reclamando sangue, sangue umano e carne. Gli uomini accovacciati dietro la staccionata si prepararono sollevando le loro armi.
Perrin si sentiva freddo dentro. Poteva vedere il terreno alle spalle della carica dei Trolloc già cosparso dei loro morti o dei moribondi, eppure non sembravano di meno. Stepper scalpitava nervoso, ma non riusciva a sentire i nitriti dello stallone coperti dalle grida dei Trolloc. Prese l’ascia con un movimento fluido, la lunga lama a mezzaluna e lo spesso chiodo parvero cogliere la luce del sole. Non era ancora mezzogiorno. Il mio cuore è tuo per sempre, Faile. Stavolta non credeva che la staccionata avrebbe...
Senza nemmeno rallentare, la prima fila di Trolloc si gettò sulla palizzata acuminata, le facce contorte da grugni e becchi erano deformate da grida e ululati mentre restavano impalati, affondati da altre sagome enormi che si arrampicavano sulle loro schiene, alcuni cadendo fra i pali e rimpiazzati da altri, sempre altri. Un’ultima pioggia di frecce, quindi fu il turno delle lance, delle alabarde, dei bastoni da combattimento caserecci che affondavano e fendevano queste sagome torreggianti vestite di cotta di maglia nera, a volte cadendo, mentre gli arcieri colpivano meglio che potevano contro le facce inumane, sopra le teste degli amici, i ragazzi scagliavano le frecce dai tetti, follia, morte, grida assordanti e ululati. Lentamente, inesorabilmente, la linea dei Fiumi Gemelli arretrò di una dozzina di passi. Se si apriva in qualsiasi punto...
«Indietro!» gridò Perrin. Un Trolloc con il muso da cinghiale, già sanguinante, si aprì un varco fra i ranghi di uomini, gridando e colpendo con la grande lama ricurva. L’ascia di Perrin spaccò in due il cranio della creatura. Stepper cercava di arretrare, gridando silenzioso nel frastuono. «Indietro!» Darl Coplin cadde tenendosi una coscia trafitta da una grande lancia, il vecchio Bili Congar cercò di trascinarlo indietro mentre maneggiava goffamente una lancia per la caccia al cinghiale. Hari Coplin agitava l’alabarda difendendo il fratello, con la bocca spalanca in quello che sembrava un grido silenzioso. «Indietro fra le case!»
Non era certo che gli altri avessero sentito e passato l’ordine, o forse la montagna di Trolloc li spingeva semplicemente in quella direzione, ma lentamente, un passo riluttante per volta, gli umani arretrarono. Loial roteava le asce come fossero martelletti, con la grande bocca che ringhiava. Accanto all’Ogier Bran affondava torvo la lancia, aveva perso l’elmetto di acciaio e fra i capelli grigi scorreva il sangue. Dal suo stallone Tomas ricavò uno spazio attorno a Verin con i capelli scompigliati. La donna aveva perso il cavallo e dalle sue mani scaturivano palle di fuoco e ogni Trolloc che veniva colpito esplodeva in fiamme come se fosse intriso d’olio. Non era abbastanza per resistere. Gli uomini dei Fiumi Gemelli arretrarono. Gaul e Chiad combattevano schiena contro schiena. Alla ragazza era rimasta solamente una lancia e affondava e fendeva con il pesante pugnale. Indietro. A est e ovest gli uomini si erano allontanati dalle posizioni difensive per evitare che i Trolloc li chiudessero sui fianchi, scagliando frecce. Non era abbastanza. Indietro.
Improvvisamente una sagoma con la testa di ariete cercò di disarcionare Perrin, cercando di salire a cavallo. Scalpitando Stepper cadde sotto il peso combinato dei due cavalieri. Con le gambe bloccate e dolenti al limite della rottura, Perrin si affannò per estrarre l’ascia e combattere mani più grandi di quelle dell’Ogier, per tenerle lontano dalla gola. Il Trolloc gridò mentre la spada di Aram gli affondava nel collo. Mentre crollava sopra Perrin zampillando sangue, il Calderaio si voltò agilmente per trafiggere un altro Trolloc nello stomaco.
Grugnendo dal dolore Perrin si fece strada, aiutato da Stepper che si rialzava, ma non ebbe il tempo di rimontare a cavallo. Riuscì appena a rotolare su un fianco mentre gli zoccoli di un cavallo nero calpestarono il punto dov’era prima la sua testa. Con il viso pallido senza occhi, il Fade si sporse dalla sella mentre Perrin cercava di alzarsi, la spada nera mortale che fendeva l’aria, sfiorandogli i capelli mentre si abbassava. Inclemente Perrin roteò l’ascia, recidendo una zampa del cavallo da sotto al cavaliere. Cavallo e cavaliere caddero all’unisono e mentre cadevano Perrin affondò l’ascia nel punto in cui avrebbe dovuto essere la testa del Mezzo Uomo.
Liberò la lama in tempo per vedere le punte del forcone di Daise Congar colpire la gola di un Trolloc con il muso di capra. La creatura afferrò il lungo manico con una mano, colpendo la donna con una lancia sormontata da barbigli, ma Maria al’Vere lo colpì calma con la mannaia, recidendogli prima una gamba poi, con altrettanta freddezza, la spina dorsale all’altezza del collo. Un altro Trolloc sollevò per la treccia Bode, che aveva la bocca spalancata in un grido terrorizzato, ma affondò l’ascia nella spalla coperta dalla cotta di maglia nera proprio mentre la sorella, Eldrin, infilava la lancia per la caccia al cinghiale attraverso il petto della creatura e Neysa Ayellin con la treccia grigia vi spingeva dentro anche un pugnale da macellaio.
Lungo tutta la linea, fin dove Perrin vedeva, c’erano le donne. Il loro numero era la sola ragione per cui le linee ancora resistevano, erano quasi addossati alle case. Le donne fra gli uomini, spalla a spalla, alcune poco più che ragazze, ma anche alcuni di questi ‘uomini’ ancora non si radevano. Altri non lo avrebbero fatto mai. Dov’erano i Manti Bianchi? I bambini! Se le donne erano qui non c’era nessuno a portare fuori i bambini. Dove sono i maledetti Manti Bianchi? Se arrivano adesso potrebbero almeno farci guadagnare qualche altro minuto. Pochi minuti per portare in salvo i bambini.
Un ragazzo, lo stesso messaggero dai capelli scuri che era venuto a cercarlo la notte precedente, lo afferrò per un braccio mentre si voltava a cercare i Compagni, i quali avevano tentato di aprire un varco per condurre via i bambini. Li avrebbe mandati via e avrebbe fatto quel che poteva qui. «Lord Perrin!» gridò il ragazzo fra il chiasso assordante. «Lord Perrin!»
Perrin cerco di fargli mollare la presa, quindi lo afferrò scalciante per un braccio. Doveva stare con i bambini. Separati in ranghi che spuntavano fra le case, Ban, Tell e gli altri Compagni scagliavano frecce da in groppa ai cavalli, sopra le teste di uomini e donne. Wil aveva piantato la bandiera in terra per poter usare l’arco. In qualche modo Tell era riuscito a prendere Stepper, le redini dello stallone erano legate alla sella di Tell. Il ragazzo poteva salire in groppa a Stepper.
«Lord Perrin! Ti prego, ascolta! Mastro al’Thor dice che qualcuno sta attaccando i Trolloc! Lord Perrin!»
Perrin era a metà strada da Tell, zoppicando sulle gambe livide, quando sentì. Infilò l’ascia dietro la cintura per sollevare il ragazzo dalle spalle, davanti a sé. «Attaccare i Trolloc? Chi?»
«Non lo so, lord Perrin. Mastro al’Thor ha detto di avvisarti che gli sembrava di aver sentito qualcuno gridare ‘Deven Ride’.»
Aram afferrò Perrin per un braccio, puntando senza parole con la spada insanguinata. Perrin si voltò in tempo per vedere una pioggia di frecce cadere sui Trolloc. Da nord. Un’altra serie di frecce seguì la prima.
«Vai dagli altri bambini» disse posandolo a terra. Doveva salire in un punto da dove poteva vedere. «Vai! Hai fatto un ottimo lavoro, ragazzo!» aggiunse mentre zoppicava verso Stepper. Il ragazzo ritornò al villaggio sorridendo. Ogni passo lanciava fitte di dolore lungo la gamba di Perrin, forse era rotta. Adesso non aveva tempo di preoccuparsene.
Afferrando le redini che gli aveva lanciato Tell montò in sella e si chiese se stesse vedendo quello che avrebbe desiderato vedere invece di quanto stava realmente accadendo.
Dietro una bandiera con l’aquila rossa al margine dei campi c’erano lunghe file di uomini in abiti da contadini che scagliavano frecce metodicamente. Accanto alla bandiera Faile era in sella a Rondine con Bain vicino alla staffa. Doveva essere Bain quella dietro al velo nero, e vedeva chiaramente il viso di Faile. Sembrava così eccitata, spaventata, terrorizzata ed esuberante. Era bellissima.
I Myrddraal stavano cercando di far girare alcuni Trolloc, nel tentativo di guidare un attacco contro gli uomini di Watch Hill, ma era inutile. Anche i Trolloc che si erano girati cadevano prima di aver fatto cinquanta passi. Un Fade con il suo cavallo cadde, non per le frecce, ma per mano di un Trolloc in preda al panico. Adesso erano i Trolloc ad arretrare in preda alla frenesia, schivando colpi da entrambi i lati una volta che anche gli uomini di Emond’s Field ebbero spazio per sollevare gli archi. Trolloc e Myrddraal cadevano. Era un massacro, ma Perrin lo notava a malapena. Faile.
Lo stesso ragazzo apparve vicino alla staffa di Perrin. «Lord Perrin!» gridò, per essere sentito sopra le acclamazioni. Uomini e donne urlavano per la gioia e il sollievo mentre l’ultimo Trolloc che non era riuscito a fuggire dal raggio d’azione degli archi cadeva. Perrin riteneva che non c’erano riusciti in molti, ma era appena in grado di pensare. Faile. Il ragazzo tirò la gamba di un pantalone. «Lord Perrin! Mastro al’Thor mi ha detto di avvisarti che i Trolloc stanno scappando! E stanno gridando ‘Deven Ride’, gli uomini intendo dire. Li ho sentiti!»
Perrin si inchinò per arruffare i capelli ricci del ragazzo. «Come ti chiami, ragazzo?»
«Jaim Aybara, lord Perrin. Sono tuo cugino, una specie.»
Perrin strinse gli occhi per trattenere le lacrime. Anche quando li riaprì la mano ancora tremava sulla testa del ragazzo. «Be’, cugino Jaim, racconterai ai tuoi figli della battaglia di oggi. Ai tuoi nipoti e a quelli dei tuoi figli.»
«Non ne avrò» rispose Jaim valorosamente. «Le ragazze sono orribili. Ridono di me, a loro non piace fare nulla che valga la pena di essere fatto e non capisci mai cosa stanno dicendo.»
«Credo che un giorno scoprirai che sono l’opposto. Alcune cose non cambieranno, ma questa sì.» Faile.
Jaim sembrava dubbioso ma poi si illuminò, un grande sorriso si aprì sul volto del ragazzo. «Aspetta che racconti a Had che lord Perrin mi ha chiamato cugino!» E scattò per andare a raccontare il fatto a Had, che avrebbe anche lui avuto dei bambini, e a tutti gli altri ragazzi che un giorno avrebbero seguito la stessa sorte. Il sole era alto. Forse era passata un’ora. Non c’era voluto più di un’ora. Sembrava fosse durato una vita.
Stepper si mosse in avanti e Perrin si rese conto che probabilmente lo aveva spronato. La gente acclamante fece largo allo stallone e Perrin li sentì a malapena. C’erano grosse aperture da dove erano entrati i Trolloc con il peso della carica. Ne attraversò una sopra un cumulo di corpi Trolloc senza notarli. Trolloc morti trafitti dalle frecce coprivano il terreno oltre la palizzata, e qua e là un Fade che sembrava un puntaspilli si agitava e si contorceva. Non vide nulla di tutto questo. Aveva occhi solo per una cosa. Faile.
La donna si avviò dal gruppo di uomini di Watch Hill, fermandosi per bloccare Bain che voleva seguirla e cavalcò per andare a incontrarlo. Cavalcava così graziosamente, come se la giumenta nera fosse parte di lei, snella ed eretta, guidando Rondine più con le ginocchia che con le redini che teneva con naturalezza in una mano. E. nastro rosso nuziale era ancora fra i capelli e le scendeva sulle spalle. Doveva trovare i suoi fiori.
Per un momento quegli occhi a mandorla lo studiarono, la sua bocca...
Di sicuro non poteva essere incerta, ma questo era l’odore che emanava. «Ho detto che sarei andata» spiegò alla fine a testa alta. Rondine danzò di lato con il collo arcuato e Faile gestì la giumenta senza sforzo apparente. «Non ho detto quanto lontano. Non puoi dire che non l’abbia fatto.»
Perrin non poteva dire nulla. Era così bella. Voleva solamente guardarla, vederla, bella, viva, con lui. Odorava di sudore pulito con un cenno di sapone alle erbe. Perrin non sapeva se ridere o piangere. Forse entrambi. Voleva inspirare tutti gli odori di Faile nei polmoni.
Aggrottando le sopracciglia la donna proseguì. «Erano pronti, Perrin. Davvero, lo erano. Ho dovuto a malapena dire qualcosa per convincerli a venire. I Trolloc non li hanno quasi disturbati, ma potevano vedere il fumo. Abbiamo viaggiato duramente, Bain e io, e raggiunta Watch Hill ben prima della prima luce dell’alba, tornando indietro non appena il sole è sorto.» L’espressione corrucciata si trasformò in un gran sorriso, impaziente e fiero. Un sorriso così bello. Gli occhi scuri brillavano. «Mi hanno seguita, Perrin. Hanno seguito me! Nemmeno Tenobia ha mai guidato gli uomini in battaglia. Una volta voleva farlo, quando avevo otto anni, ma papà le parlò da solo nelle sue stanze e quando cavalcarono nella Macchia lei rimase indietro.» Con un sorriso di rimpianto aggiunse: «Credo che tu e lui a volte usiate gli stessi metodi. Tenobia lo mandò in esilio, ma aveva solamente sedici anni e il Consiglio dei Lord riuscì a farle cambiare idea dopo alcune settimane. Sarà blu dall’invidia quando glielo racconterò.» Faile fece un’altra pausa, stavolta inspirando profondamente e mettendosi le mani sui fianchi. «Hai intenzione di dire qualcosa?» chiese impaziente. «O hai deciso di restartene seduto lì come una massa pelosa? Non ho detto che avrei lasciato i Fiumi Gemelli. Lo hai detto tu, non io. Non hai il diritto di essere arrabbiato perché non ho fatto quello che non ho mai promesso! E hai cercato di mandarmi via perché pensavi di morire! Sono tornata per...»
«Ti amo.» Fu tutto quello che Perrin riuscì a dire, ma stranamente sembrava essere sufficiente. Non appena le parole lasciarono le labbra di Perrin Faile fece avvicinare Rondine a Stepper, abbastanza da lanciargli un braccio attorno al collo e premere il viso sul petto del marito, sembrava che volesse strizzarlo. Perrin le accarezzò gentilmente i capelli scuri, solo sentendone la morbidezza, sentendo lei.
«Avevo così paura di essere in ritardo» confessò Faile. «Gli uomini di Watch Hill hanno marciato più velocemente possibile, ma quando siamo arrivati ho visto i Trolloc che combattevano proprio fra le case, così tanti, come se il villaggio fosse stato seppellito da una valanga e non potevo vederti...» Faile sospirò tremando ed espirò lentamente. Quando riprese a parlare la voce era più calma. Appena. «Sono arrivati gli uomini di Deven Ride?»
Perrin sobbalzò e smise di carezzarla. «Sì, sono arrivati. Come fai a saperlo? Lo hai organizzato tu?» Faile incominciò a tremare, Perrin ci mise un momento per capire che stava ridendo.
«No, cuor mio, l’avrei fatto, se avessi potuto. Quando quell’uomo era giunto con quel messaggio ‘stiamo arrivando’ — ho pensato — sperato — che fosse questo ciò a cui si riferiva.» Tirando un po’ indietro il viso lo guardò seria. «Non potevo dirtelo, Perrin. Non potevo alimentare le tue speranze mentre lo sospettavo solamente. Sarebbe stato troppo crudele se... non essere arrabbiato con me, Perrin.»
Ridendo la sollevò dalla sella e la mise di traverso sulla sua, Faile rise protestando e si allungò al di sopra dell’alto pomello per abbracciarlo con entrambe le braccia. «Non mi arrabbierò mai e poi mai con te, lo giù...» Faile lo interruppe mettendogli una mano sulla bocca.
«Mamma mi ha detto che la cosa peggiore che le ha fatto papà è stata giurare di non arrabbiarsi mai con lei. Ci ha messo un anno per costringerlo a ritirare quella promessa, e mi ha detto che non era in grado di vivere con quella promessa prima ancora che gliela facesse ritirare. Ti arrabbierai con me, Perrin, e io con te. Se vuoi prestarmi un giuramento, giura che non lo nasconderai quando lo sarai. Non posso affrontare ciò che non mi lasci vedere, marito mio. Mio marito» ripeté con voce soddisfatta, stringendosi a lui. «Mi piace il suono di questa parola.»
Perrin notò che Faile non aveva detto che gli avrebbe sempre lasciato capire quando era arrabbiata. Basandosi sulle esperienze passate lo avrebbe scoperto nel modo peggiore almeno metà delle volte. E non promise nemmeno di non mantenere segreti. In quel momento non importava, purché stesse con lui. «Ti lascerò sapere quando sono arrabbiato, moglie mia» promise. Faile lo guardò di traverso, come se non fosse sicura di come avrebbe dovuto prendere quella risposta. Non le capirai mai, cugino Jaim, ma non ti importerà, pensò.
Di colpo divenne consapevole dei Trolloc morti tutti intorno a lui, come un campo nero pieno di erbacce pennute, i Myrddraal che si agitavano e rifiutavano di morire. Lentamente fece voltare Stepper. Sembrava il cortile di un mattatoio, una carneficina di progenie dell’Ombra che si estendeva per centinaia di passi in ogni direzione. Le cornacchie saltellavano sul campo e gli avvoltoi volteggiavano in cielo in una grande nuvola. Niente corvi, però. Secondo Jaim a sud era lo stesso. Poteva vedere gli avvoltoi che volavano oltre il villaggio come prova. Non abbastanza per ripagare la vita di Deselle, Adora o il piccolo Paet, o... Non abbastanza. Non sarebbe mai stato abbastanza. Nulla avrebbe mai ripagato le loro vite. Abbracciò Faile, abbastanza forte da farla sbuffare, ma quando cercò di allentare la presa Faile mise le mani sulle sue braccia, stringendolo forte per farlo restare nella stessa posizione. Lei era abbastanza.
La gente stava uscendo da Emond’s Field, Bran zoppicava e usava la lancia come bastone, Marin sorridente lo sosteneva con un braccio, Daise veniva abbracciata dal marito, Wit, Gaul e Chiad erano mano nella mano con i veli calati. Loial aveva le orecchie abbassate stancamente. Tam aveva il viso insanguinato, Flann Lewin poteva stare in piedi solo con l’aiuto della moglie, Adine. Quasi tutti erano insanguinati e bendati alla meglio. Ma uscivano in una folla che aumentava, Elam e Dav, Ewin e Aram, Eward e Candwin e Buel Dowtry Hu e Tad, gli stallieri della locanda, Ban, Tell e i Compagni che ancora cavalcavano con la bandiera. Stavolta non vide i volti mancanti, solo quelli ancora presenti. Verin e Alanna a cavallo, con Tomas e Ihvon che cavalcavano vicino a loro. Il vecchio Bili Congar agitava un boccale che certamente conteneva della birra, o meglio ancora dell’acquavite, Cenn Buie nodoso più che mai e pieno di lividi, Jac al’Seen con un braccio attorno alla moglie, i figli e le figlie che lo circondavano con i mariti e le mogli. Raen e Ha, ancora con i bambini legati dietro le schiene. Di più. Volti che non conosceva, uomini che dovevano essere di Deven Ride e delle fattorie di quelle parti. Ragazzi e ragazze che correvano fra loro ridendo.
Si aprirono a ventaglio da ogni lato, formando un grande circolo con gli uomini di Watch Hill, Faile e lui al centro. Tutti evitavano i Fade morenti, ma era come se non vedessero la progenie dell’Ombra che giaceva in terra ovunque, solo la coppia su Stepper. Guardarono in silenzio, fino a quando Perrin cominciò a diventare nervoso. Perché qualcuno non dice qualcosa? Perché ci fissano a quel modo? si chiese.
I Manti Bianchi apparvero, cavalcando lentamente fuori dal villaggio nella lunga colonna splendente allineata in quattro file, Dain Bornhald in testa con Jaret Byar. Ogni mantello bianco era splendido come se fosse stato appena lavato, ogni lancia inclinata allo stesso angolo. Si elevarono mormorii di disappunto, ma la gente si fece di lato per lasciarli entrare nel circolo.
Bornhald sollevò la mano guantata facendo fermare la colonna in un misto di scricchiolii di redini e selle, quando giunse di fronte a Perrin. «È finita, progenie dell’Ombra.» Lo stallone di Byar si agitò quasi ringhiando, ma il viso di Bornhald non cambiò e non alzò mai la voce. «I Trolloc qui hanno finito. Come concordato, ti arresto in quanto Amico delle Tenebre e assassino.»
«No!» Faile si voltò per guardare Perrin, con gli occhi furiosi. «Cosa significa, hai preso un accordo?»
Le parole di Faile furono quasi sommerse dal boato della folla. «No! No!» e «Non lo prenderete!» o «Occhidoro!»
Mantenendo lo sguardo su Bornhald, Perrin sollevò una mano e il silenzio discese lentamente. Quando tutti si calmarono, Perrin spiegò: «Ho detto che non avrei opposto resistenza se aveste aiutato.» La voce era sorprendentemente calma, ma dentro ribolliva di fredda, lenta rabbia. «Se aveste aiutato, Manti Bianchi. Dove eravate?» L’uomo non rispose.
Daise Congar si fece avanti dalla folla chiusa a cerchio assieme a Wit, che stava attaccato a lei come se non intendesse lasciarla andare nuovamente. Il braccio robusto della donna era avvolto attorno alle spalle del marito quasi allo stesso modo. Erano una strana coppia mentre la donna piantava il forcone in terra con fermezza, più alta di lui e stringendo il suo marito considerevolmente più piccolo come se intendesse proteggerlo. «Erano nel prato comune» annunciò ad alta voce «tutti allineati e seduti sui cavalli, graziosi come ragazze pronte per un ballo nel Giorno del Sole. Non si sono mai mossi. È stato quello che ci ha spinte a...» Un fiero mormorio di consenso salì dalle donne. «... Quando abbiamo visto che stavano per battervi e loro invece rimanevano lì come protuberanze sui ceppi di legno!»
Bornhald non distolse gli occhi da Perrin per un solo istante. Non batté nemmeno le palpebre. «Credi che mi sarei fidato di te?» ghignò. «Il tuo piano è fallito solamente perché sono giunti gli altri — vero? — e non puoi sostenere di averne alcun merito.» Faile cambiò posizione, senza distogliere lo sguardo dall’uomo, Perrin le appoggiò un dito sulle labbra proprio mentre stava aprendo bocca. Faile lo morse — forte — ma non disse nulla. Finalmente Bornhald iniziò ad alzare la voce. «Ti vedrò impiccato, a qualsiasi costo! Ti vedrò morto anche se il mondo dovesse bruciare!» L’ultima parte venne pronunciata gridando. Byar snudò la spada dal fodero, un imponente Manto Bianco alle sue spalle — Farran, Perrin pensava fosse il suo nome — fece lo stesso, con un sorriso compiaciuto invece che con il ringhio di Byar.
Si immobilizzarono al clangore delle faretre che si spostavano mentre venivano incoccate le frecce e gli archi si sollevavano tutto intorno al circolo, con le impennature tese vicino alle orecchie e ogni punta contro i Manti Bianchi. Per tutta la lunghezza della colonna le selle scricchiolarono mentre gli uomini cambiavano posizione a disagio. Bornhald non mostrava alcun segno di paura e nemmeno ne emanava l’odore, solo odio. Fece scorrere gli occhi quasi febbricitanti sulla gente dei Fiumi Gemelli che circondava i suoi uomini e di nuovo su Perrin, roventi e colmi di odio.
Perrin fece cenno di abbassare le armi, e con riluttanza la tensione venne rilasciata dalle corde degli archi, che si abbassarono lentamente. «Non avete voluto aiutare.» La voce era fredda come il ferro e dura come un’incudine. «Da quando siete arrivati ai Fiumi Gemelli l’aiuto che avete offerto è stato quasi casuale. Non vi è mai importato veramente se la gente bruciava e veniva uccisa, purché si potesse trovare qualcuno da chiamare Amico delle Tenebre.» Bornhald rabbrividì, anche se gli occhi erano ancora infuocati. «Adesso è giunto il momento che ve andiate. Non solo da Emond’s Field. È giunto il momento che riuniate tutti i Manti Bianchi e lasciate i Fiumi Gemelli, adesso, Bornhald. Andrete via adesso.»
«Un giorno ti vedrò impiccato» mormorò Bornhald. Fece un gesto alla colonna di seguirlo e spronò in avanti il cavallo come se intendesse travolgere Perrin.
Perrin fece scansare Stepper di lato, voleva che questi uomini andassero via, non voleva altre uccisioni. Lascia pure che l’uomo abbia l’ultimo gesto di disprezzo.
Bornhald non voltò mai il capo, ma Byar dal viso incavato fissò Perrin in un silenzio carico di odio, e Farran sembrò guardarlo in qualche modo con rimpianto. Gli altri mantennero lo sguardo davanti a loro mentre passavano fra gli scricchiolii e lo scalpiccio dei cavalli. Silenziosamente il cerchio si aprì e li lasciò passare, diretti verso nord.
Un gruppo di dieci o dodici uomini si avvicinò a piedi a Perrin, alcuni indossavano delle parti scompagnate di vecchie armature, quando gli ultimi Manti Bianchi andarono via. Non li riconobbe. Un tipo dal viso raggrinzito con il naso largo sembrava essere il loro capo, i capelli radi erano bianchi e una cotta di maglia arrugginita lo copriva fino alle ginocchia, ma il colletto della giubba da contadino spuntava dal collo. Si inchinò goffamente sopra all’arco. «Jerinvar Barstere, mio lord Perrin. Mi chiamano Jer.» Parlò velocemente, quasi avesse paura di essere interrotto. «Chiedo scusa per averti disturbato. Alcuni di noi si accerteranno che i Manti Bianchi vadano via, se va bene per te. Molti vogliono andare a casa, anche se non possiamo arrivare lì prima di notte. Ci sono altrettanti Manti Bianchi a Watch Hill, ma non verranno. Hanno ordine di resistere, dicono. Un mucchio di idioti, se vuoi saperlo e noi siamo più che stanchi di averli intorno a ficcanasare nelle case della gente, cercando di costringerti ad accusare il tuo vicino di qualcosa. Vedremo che se ne vadano, se per te va bene.» Rivolse a Faile un’occhiata sconcertata, abbassando il grande mento, ma il flusso di parole non si fermò. «Chiedo scusa, mia signora Faile. Non intendevo disturbare te e il tuo lord. Volevo solo che sapesse che siamo con lui. Hai una bella donna, mio lord. Una bella donna. Senza offesa intendo, mia signora. Be’, abbiamo ancora la luce del giorno e parlare non porta al riparo nessuna pecora. Chiedo scusa per averti disturbato, mio lord Perrin. Chiedo scusa, mia signora Faile.» Si inchinò nuovamente, imitato dagli altri, e andarono via di corsa con lui che li guidava, mormorando: «Non abbiamo tempo di disturbare il lord e la sua lady. C’è altro lavoro da fare.»
«Chi era quello?» chiese Perrin, un po’ stupito dal torrente di parole. Daise e Cenn messi insieme non avrebbero potuto parlare così tanto. «Lo conosci, Faile? Da Watch Hill?»
«Mastro Barstere è il sindaco di Watch Hill e gli altri appartengono al Consiglio del Villaggio. La Cerchia delle Donne di Watch Hill manderà una delegazione con la loro Sapiente quando saranno certe che è sicuro. Per vedere se ‘lord Perrin’ va bene per i Fiumi Gemelli, dicono, ma hanno tutte voluto che mostrassi loro come fare la riverenza e la Sapiente, Edelle Gaelin, ti porterà una torta di mele.»
«Che io sia folgorato!» sospirò. Si stava divulgando. Sapeva che avrebbe dovuto essere più rigido fin dall’inizio. «Non chiamatemi a quel modo!» gridò appresso agli uomini che stavano andando via. «Sono un fabbro! Mi sentite? Un fabbro!» Jer Barstere si voltò per salutarlo e annuire prima di andare via con gli altri.
Ridendo a crepapelle Faile gli tirò la barba. «Sei un dolce sciocco, mio lord fabbro. Adesso è troppo tardi per farti indietro.» Di colpo il sorriso di Faile divenne veramente malizioso. «Marito, ci sono possibilità che tu possa trovarti presto da solo con tua moglie? Il matrimonio sembra avermi resa sfacciata come una sfrontata Domanese! So che devi essere stanco, ma...» Si interruppe con gridolino e si afferrò alla giubba di Perrin mentre lui spronava Stepper al galoppo verso la locanda. Per una volta le acclamazioni che li seguirono non lo disturbarono affatto.
«Occhidoro! Lord Perrin! Occhidoro!»
Dal ramo spesso di una quercia fronzuta al margine del Bosco Occidentale Ordeith fissava Emond’s Field, un miglio a sud. Era impossibile. Tormentali. Stroncali, pensava. Tutto era andato secondo i piani. Anche Isam aveva giocato in mano sua. Perché lo stupido ha smesso di portare i Trolloc nella zona? Avrebbe dovuto portarne abbastanza da far diventare neri i Fiumi Gemelli! disse furioso con la saliva che gli gocciava dalle labbra, ma non ci fece caso, come non si rese nemmeno conto che le mani stavano giocando con la cintura. Attaccali fino a quando gli scoppieranno i cuori! Piantali in terra fino a quando grideranno! Tutto progettato per attirare Rand al’Thor ed era finita così! I Fiumi Gemelli non erano nemmeno stato graffiati. Alcune fattorie incendiate non contavano, nemmeno alcuni contadini macellati vivi per le pentole dei Trolloc. Voglio che i Fiumi Gemelli brucino, in modo tale che il fuoco viva nella memoria degli uomini per mille anni! pensò.
Studiò la bandiera che garriva sul villaggio e quella non troppo lontana sotto di lui. Una testa di lupo rossa in campo bianco bordato di rosso e un’aquila rossa. Rosso per il sangue che i Fiumi Gemelli avrebbero dovuto versare per far gemere Rand al’Thor. Manetheren. Quella dovrebbe essere la bandiera del Manetheren, si disse. Qualcuno aveva parlato loro del Manetheren, vero? Cosa sapevano questi sciocchi delle glorie del Manetheren? Manetheren, sì. C’era più di un modo di tormentarli. Rise così forte che quasi cadde dalla quercia prima di accorgersi che non stava tenendosi con entrambe le mani, che una teneva stretta la cintura dove avrebbe dovuto pendere un pugnale. La risata mutò in un ringhio mentre fissava quella mano. La Torre Bianca custodiva ciò che gli era stato rubato. Ciò che era suo di diritto da tempi antichi come le Guerre Trolloc.
Si lasciò cadere in terra e salì in groppa al cavallo prima di guardare i suoi compagni. I suoi segugi. I circa trenta Manti Bianchi che restavano non indossavano più i mantelli bianchi, naturalmente. La ruggine macchiava le armature opache e le cotte di maglia, e Bornhald non avrebbe mai riconosciuto quei volti accigliati, sospettosi, sporchi e non rasati. Gli umani occhieggiarono Ordeith, diffidenti eppure spaventati, senza nemmeno guardare il Myrddraal in mezzo a loro, il viso pallido senza occhi ligneo e cereo come i loro. Il Mezzo Uomo temeva che Isam lo avrebbe scoperto, Isam non aveva gradito che l’incursione a Taren Ferry avesse permesso a così tante persone di fuggire spargendo la parola di quanto stesse accadendo nei Fiumi Gemelli. Ordeith rise al pensiero di Isam a disagio. L’uomo era un problema da risolvere in un altro momento, se fosse sopravvissuto.
«Ci dirigeremo a Tar Valon» scattò. Cavalcando duramente per battere Bornhald al battello. La bandiera del Manetheren sollevata di nuovo nei Fiumi Gemelli dopo tutti questi secoli. Come lo aveva impegnato l’aquila rossa tanto tempo fa. «Ma prima a Caemlyn!» Tormentali e stroncali! Che i Fiumi Gemelli paghino per primi, poi Rand al’Thor, poi...
Ridendo galoppò verso nord attraverso la foresta senza guardare indietro per vedere se gli altri lo seguivano. Lo avrebbero fatto. Non avevano altro posto dove andare.