45 La spada del Calderaio

Galoppando attraverso il villaggio con Faile alle costole, Perrin trovò gli uomini dal lato meridionale raggruppati a osservare i campi aperti imprecando, alcuni con gli archi parzialmente in tiro. Due carri bloccavano l’apertura della Vecchia Strada nella palizzata. Il muretto di pietre più vicino ancora in piedi, che delimitava un campo di tabacco, si trovava a circa cinquecento passi di distanza, con niente in mezzo di più alto che delle piantine di orzo. Dal terreno circostante spuntavano frecce come se fossero erbaccia. In lontananza vedeva alzarsi pennacchi di fumo, circa una dozzina o più, alcuni abbastanza grandi per nascere da campi incendiati.

Cenn Buie era lì, con Hari e Darril Coplin. Bili Congar teneva un braccio attorno alla spalla del cugino Wit, il marito ossuto di Daise, che palesemente desiderava che Bili non respirasse nella sua direzione. Nessuno odorava di paura, solo eccitazione. E Bili di birra. Almeno dieci uomini contemporaneamente provarono a raccontargli cosa era successo, alcuni parlavano a voce più alta di altri.

«I Trolloc hanno provato a entrare anche da questa parte» gridò Hari Coplin «ma gli abbiamo dato una lezione, vero?» Insieme ai mormorii di approvazione ci fu chi sembrava dubbioso e cambiava posizione a disagio.

«Anche qui abbiamo degli eroi» aggiunse Darl ad alta voce. «Non sono solo i tuoi alla foresta.» Più grande del fratello, aveva lo stesso viso sottile da donnola dei Coplin, le stesse labbra serrate quasi avesse appena morso un cachi stucchevole. Quando pensava che Perrin non vedesse gli rivolse un’occhiata velenosa. Non significava necessariamente che desiderasse sul seno di essersi trovato nel combattimento al Bosco Occidentale. Darl, Hari e la maggior parte dei familiari credevano sempre di venire imbrogliati, in qualsiasi situazione.

«Dobbiamo brindare!» annunciò il vecchio Bili, quindi divenne serio quando vide che nessuno si univa a lui. Una testa si sollevò velocemente da dietro al muretto in lontananza per poi ridiscendere immediatamente, ma non prima che Perrin vedesse una giubba giallo acceso.

«Non sono Trolloc» gridò disgustato. «Calderai! Stavate scagliando frecce contro i Tuatha’an. Rimuovete questi carri!» In piedi sulle staffe si mise le mani a coppa davanti alla bocca. «Potete venire!» gridò «è tutto a posto. Nessuno vi farà del male! Ho detto di spostare quei carri!» scattò contro gli uomini che stavano in piedi attorno a lui fissandolo. Scambiare dei Calderai, per dei Trolloc! «E andate a recuperare le frecce, prima o poi ne avrete davvero bisogno.» Lentamente alcuni si mossero per ubbidire e Perrin gridò ancora. «Nessuno vi farà del male! È tutto a posto! Avanti!» I carri si spostarono da entrambi i lati, con gli assi che scricchiolavano bisognosi di grasso.

Alcuni Tuatha’an vestiti con colori sgargianti si arrampicarono sopra al muretto, poi altri si unirono e si avviarono esitanti verso il villaggio, con i piedi doloranti e quasi correndo, spaventati quasi allo stesso modo da ciò che avevano di fronte e da ciò che si erano lasciati alle spalle. Si riunirono assieme alla vista degli uomini che uscivano di corsa dal villaggio, sull’orlo di fare dietrofront anche quando gli abitanti dei Fiumi Gemelli li oltrepassarono guardandoli incuriositi, per andare a raccogliere le frecce da terra. Comunque proseguirono.

Perrin si raggelò. Venti uomini e donne, alcuni con bambini piccoli e un gruppetto più grandi, anch’essi di corsa, gli abiti sgargianti tutti laceri e macchiati di terra. Alcuni di sangue, si accorse quando si avvicinarono. Quello era tutto. Su quanti carri? Almeno c’era Raen, scomposto come se fosse stupito di essere trascinato da Ila, che aveva un lato del viso completamente livido e gonfio. Almeno loro erano sopravvissuti.

Vicino all’apertura i Tuatha’an si fermarono, fissando incerti la palizzata acuminata e l’ammasso di uomini armati. Alcuni dei bambini si accostarono agli adulti e nascosero il volto fra gli abiti. Odoravano di paura, di terrore. Faile smontò da cavallo e corse loro incontro, ma anche se Ila la stava abbracciando non fece un solo passo per avvicinarsi. La donna più anziana sembrava trarre conforto dalla presenza di quella più giovane.

«Non vi faremo del male» ripeté Perrin. Avrei dovuto farli venire. Che la Luce mi folgori, avrei dovuto! Pensò. «Siete i benvenuti ai nostri fuochi.»

«Calderai» Hari distorse la bocca con fare sprezzante. «Che cosa abbiamo a che fare con un gruppo di Calderai ladri? Prenderanno tutto quello che non è inchiodato.»

Darl aprì la bocca per supportare la teoria di Hari, ma prima che riuscisse a parlare qualcuno dalla folla gridò: «Anche tu, Hari! E ti ruberesti anche i chiodi, tu!» Le risate che seguirono fecero tenere chiusa la bocca a Darl. Non furono in molti a ridere, e quelli che lo fecero guardarono i Tuatha’an infangati e abbassarono lo sguardo a disagio.

«Hari ha ragione!» gridò Daise Congar facendosi largo a forza e spingendo gli uomini fuori dalla sua strada. «I Calderai rubano e non solo oggetti! Rapiscono anche i bambini!» Dirigendosi verso Cenn Buie agitava un dito spesso come il pollice di Cenn proprio sotto al suo naso. L’uomo arretrò quanto poteva fra la folla, la donna era più alta di lui e molto più pesante. «Tu dovresti fare parte del Consiglio del Villaggio, ma se non vuoi dare ascolto alla Sapiente trascinerò la Cerchia delle Donne in questa faccenda e ci prenderemo cura di tutto.» Alcuni degli uomini annuirono mormorando qualcosa.

Cenn si grattò la testa dai capelli radi e guardò storto la Sapiente «Aaah... be’... Perrin,» disse piano con quella voce graffiante «i Calderai hanno una brutta reputazione, lo sai, e...» si interruppe balzando indietro mentre Perrin faceva voltare Stepper di scatto per fronteggiare la gente dei Fiumi Gemelli.

Un gruppo considerevole si allontanò dalla bestia, ma a Perrin non importava. «Non cacceremo via nessuno» rispose con voce tesa. «Neanche uno! O volete mandare i bambini in bocca ai Trolloc?» Uno dei bambini dei Tuatha’an cominciò a piangere, un gemito tagliente, e Perrin desiderò aver tenuto la bocca chiusa, ma Cenn divenne rosso come una barbabietola e anche Daise sembrava sconcertata.

«Ma è naturale che li faremo entrare» rispose l’impagliatore rauco. Aggirò Daise tutto affannato come un gallo magro pronto a combattere un mastino. «E se vuoi coinvolgere la Cerchia delle Donne, il Consiglio del Villaggio vi metterà tutte a tacere! Vedrai se non lo facciamo!»

«Sei sempre stato un vecchio sciocco, Cenn Buie» sbuffò Daise. «Credi davvero che ti lasceremmo mandare dei bambini là fuori per i Trolloc?» Cenn agitò furiosamente la mandibola, ma prima che riuscisse a profferire parola Daise gli appoggiò una mano sul torace e lo spinse di lato. Sorridendo si incamminò fuori dai Tuatha’an e cinse Ila per confortarla. «Vieni con me, e io farò in modo che vengano offerti a tutti un bagno caldo e un posto dove dormire. Ogni casa è affollata, ma troveremo una sistemazione per ognuno. Venite.»

Marin al’Vere si fece avanti velocemente fra la folla, come anche Alsbet Luhan, Natii Cauthon, Neysa Ayellin e altre donne, prendendo in braccio i bambini o cingendo le donne Tuatha’an, facendole muovere e rimproverando gli uomini dei Fiumi Gemelli per farli spostare. Non che qualcuno adesso fosse recalcitrante, ci volle solo un po’ per così tante persone per farsi da parte e aprire un varco.

Faile lanciò a Perrin uno sguardo di ammirazione, ma lui scosse il capo. Questo non era opera di un ta’veren. La gente dei Fiumi Gemelli forse a volte aveva bisogno di essere indirizzata nella giusta direzione, ma riusciva a vederla quando era corretta. Anche Hari Coplin, osservando i Calderai che venivano portati nel villaggio, non sembrava acido come era stato. Be’, non molto. Non aveva senso aspettarsi un miracolo.

Camminando dinoccolato Raen guardò Perrin confuso. «La Via della Foglia è quella giusta. Tutte le cose muoiono quando giunge il loro momento, e...» Si interruppe come se non ricordasse cosa aveva iniziato a dire.

«Sono arrivati la scorsa notte» proseguì Ila, bofonchiando per via del viso gonfio Gli occhi della donna erano vitrei quasi quanto quelli del marito. «I cani avrebbero potuto aiutarci a fuggire, ma i Figli hanno ucciso tutti i cani, e... non c’era nulla che potessimo fare.» Alle sue spalle Aram rabbrividì nella giubba a strisce gialle, fissando tutti gli uomini armati. Adesso la maggior parte dei bambini dei Calderai stava piangendo.

Perrin aggrottò le sopracciglia guardando il fumo che sorgeva a sud. Voltandosi sulla sella ne vide altro sorgere a nord e a est. Anche se la maggior parte rappresentava abitazioni ormai abbandonate, i Trolloc avevano avuto una serata impegnativa. Quanti ce ne volevano per incendiare tutte quelle fattorie, anche correndo fra una e l’altra e impiegandoci non più di quello che serviva a lanciare una torcia in una casa vuota o un campo incustodito? Forse tanti quanti ne avevano uccisi oggi. Cosa gli diceva tutto questo riguardo al numero di Trolloc già presenti nei Fiumi Gemelli? Non sembrava possibile che una sola banda avesse combinato tutto questo, incendiare tutte quelle case e distruggere i carri dei Girovaghi.

Gli occhi caddero sui Tuatha’an che venivano condotti via, e si sentì imbarazzato. La scorsa notte avevano visto uccidere amici e parenti e lui stava lì a considerare freddamente dei numeri. Poteva sentire alcuni dei Fiumi Gemelli che borbottavano, cercando di capire a quale fattoria corrispondesse ogni pennacchio di fumo. Per tutta questa gente quei fuochi rappresentavano delle vere perdite, vite da dover ricostruire se fosse stato possibile, non solo numeri. Lui qui era inutile. Adesso che Faile era impegnata ad assistere i Calderai, era il momento giusto per andare a cercare Loial e Gaul.

Mastro Luhan, con il grembiule da fabbro e un lungo grembiule di cuoio, prese Stepper per la briglia. «Perrin, devi aiutarmi. I Custodi vogliono che fabbrichi dei pezzi per altre catapulte, ma ho anche venti uomini che vogliono che ripari parti delle armature che i nonni degli stupidi nonni avevano comperato dalle stupide guardie dei mercanti.»

«Mi piacerebbe darti un mano,» rispose Perrin «ma ho in mente qualcos’altro che dev’essere fatto. Probabilmente sarei in ogni caso arrugginito. Non ho lavorato molto alla forgia lo scorso anno.»

«Luce, non intendevo questo. Non volevo che tu lavorassi con il martello.» Il fabbro sembrava esterrefatto. «Ogni volta che mando via uno di quei cervelli d’oca con un dubbio, torna dopo un minuto con un nuovo argomento. Non riesco a finire nessun lavoro. A te daranno ascolto.»

Perrin ne dubitava, visto che non volevano dare ascolto a mastro Luhan. A parte il fatto di appartenere al Consiglio del Villaggio, Haral Luhan era abbastanza grosso per affrontare quasi qualsiasi uomo dei Fiumi Gemelli e scagliarlo lontano in caso di bisogno. Perrin si diresse comunque alla forgia improvvisata che mastro Luhan aveva tirato su velocemente, un riparo senza pareti vicino al prato. Attorno alle incudini salvate dalle forge che i Manti Bianchi avevano incendiato erano raggruppati sei uomini, e un altro pompava pigramente un grosso mantice di cuoio finché il fabbro non lo mandò via dai lunghi manici con un grido. Con grande sorpresa di Perrin ascoltarono quando disse loro di andare via, senza alcun discorso per piegarli attorno alla volontà del ta’veren, solo spiegando che mastro Luhan aveva da fare. Certamente il fabbro avrebbe potuto fare lo stesso da solo, ma diede la mano a Perrin e lo ringraziò profusamente prima di mettersi al lavoro.

Chinandosi dalla sella di Stepper, Perrin prese uno degli uomini per la spalla, un contadino calvo che si chiamava Get Eldin, chiedendogli di restare e di mandare via chiunque altro avesse provato ancora a disturbare mastro Luhan. Get doveva essere tre volte più grande di lui, ma il volto rugoso dell’uomo annuì e si piazzò vicino a dove Haral faceva risuonare il martello sul ferro caldo. Adesso poteva andare via senza che Faile si facesse viva.

Prima che riuscisse a far voltare Stepper, apparve Bran, lancia in spalla ed elmetto sotto al braccio robusto. «Perrin, deve esserci un modo più veloce per far rientrare i pastori e i mandriani se veniamo attaccati nuovamente. Anche mandando i corridori più veloci al villaggio, Abell non è riuscito a far rientrare la metà di loro prima che i Trolloc sbucassero dalla foresta.»

Quello era facile da risolvere, gli bastò ricordarsi di una vecchia tromba ossidata fino a essere quasi nera che Cenn Buie aveva appeso a una parete e decidere un segnale di tre suoni lunghi che anche il pastore più lontano avrebbe sentito. Vennero in mente anche segnali per altre cose, naturalmente, come mandare tutti al loro posto se era atteso un attacco. E questo portò a chiedersi come sapere quando aspettarsi un attacco. Bain, Chiad e i Custodi erano più che disposti ad andare in ricognizione, ma quattro non erano abbastanza, per cui dovettero trovare boscaioli e cercatori di tracce, quindi andarono muniti di cavalli per poter raggiungere Emond’s Field prima che venissero scorti i Trolloc.

Dopo di ciò, Buel Dowtry dovette essere calmato. Il vecchio fabbricante di frecce, con i capelli bianchi e un naso quasi affilato come una punta, sapeva molto bene che la maggior parte dei contadini si preparava le punte di freccia da sé, ma si opponeva decisamente a farsi aiutare qui nel villaggio, come se da solo fosse in grado di tenere tutte le faretre piene. Perrin non si spiegava come fosse riuscito a calmarlo, ma in qualche modo lo lasciò mentre insegnava allegramente a un gruppetto di ragazzi a legare e incollare delle impennature di piume d’oca.

Edward Candwin, il grosso bottaio, aveva un problema differente. Con così tanta gente che aveva bisogno di acqua, aveva più secchi e barili da costruire di quanti ne potesse cerchiare in settimane da solo. Non ci volle molto a trovare degli aiutanti, ma giunsero altre persone con domande e problemi che pareva solo Perrin fosse in grado di risolvere, dalla scelta del posto in cui bruciare i corpi dei Trolloc morti alla possibilità di ritornare alle fattorie per salvare il salvabile. All’ultima domanda rispondeva sempre con un fermo no — ed era quella più frequente, da uomini e donne che guardavano cupi il fumo che saliva in campagna — ma il più delle volte si limitava a chiedere a chi gli aveva posto la domanda quale riteneva fosse la soluzione migliore, quindi gli consigliava di metterla in atto. Raramente doveva fornire una risposta, la gente sapeva cosa fare, aveva solo la sciocca convinzione di dover prima chiedere a lui.

Dannil, Ban e gli altri lo trovarono e insistettero per cavalcare appresso a lui con quella bandiera, come se quella grande che sventolava sopra al prato comune non fosse abbastanza, finché non li mandò a controllare gli uomini tornati nel Bosco Occidentale ad abbattere gli alberi. Sembrava che Tam avesse raccontato loro delle storie su certi Compagni a Illian, soldati che cavalcavano con un generale di un esercito illianese e si lanciavano ovunque la battaglia fosse più accesa. Proprio Tam, fra tutti! Almeno si portarono appresso la bandiera. Perrin si sentiva un perfetto stupido con quella cosa appresso.

A metà mattinata giunse Luc, tutto arroganza e capelli biondo oro, annuendo leggermente in segno di riconoscimento per alcune acclamazioni, anche se il motivo per cui qualcuno avesse voglia di acclamarlo continuava a essere un mistero. Aveva con sé un trofeo che estrasse da un sacco di cuoio e che sistemò su una lancia ai margini del prato comune per consentire a tutti di guardarlo. La testa senza occhi di un Myrddraal. Il tipo fu abbastanza modesto, in un certo qual modo, ma si fece sfuggire che aveva ucciso il Fade quando era incappato in una banda di Trolloc. Un gruppo di ammiratori lo guidò in giro per mostrargli le scene della battaglia — la chiamavano così — dove i cavalli stavano trascinando i corpi dei Trolloc verso grandi pire che già rilasciavano colonne di fumo oleoso e nero. Luc ammirò la scena, facendo solo una o due critiche su come Perrin aveva disposto gli uomini, almeno per come la raccontavano quelli dei Fiumi Gemelli, con Perrin che sistemava tutti e diffondeva ordini che lui non aveva mai dato.

A Perrin rivolse un sorriso condiscendente di approvazione. «Ti sei comportato molto bene, ragazzo mio. Naturalmente sei stato fortunato, ma esiste la fortuna del principiante, come sappiamo.»

Quando se ne andò nella sua camera alla taverna della Fonte del Vino, Perrin fece rimuovere e sotterrare la testa. Non era una cosa che la gente avrebbe dovuto vedere, specialmente i bambini.

Le domande continuarono mentre il giorno procedeva, fino a quando Perrin non si accorse che il sole era alto. Non aveva mangiato nulla, e lo stomaco gorgogliava in modo assai esplicito.

«Comare al’Caar,» disse stancamente alla donna dal viso lungo «immagino che i bambini possano giocare ovunque, purché qualcuno li controlli per accertarsi che non vadano oltre le ultime case. Luce, donna, lo sai bene. Certamente conosci i bambini meglio di me! Se non è così, come sei riuscita a crescerne quattro?» Il figlio più giovane aveva sei anni più di lui!

Nela al’Caar lo guardò male, lanciò indietro la testa e la treccia grigia ondeggiò. Per un attimo pensò che gli avrebbe staccato il naso per essersi rivolto a lei in quel modo. Desiderava quasi che lo facesse, tanto per cambiare, visto che tutti volevano sapere da lui cosa dovessero fare. «Certo che conosco i bambini» rispose. «Voglio solo assicurarmi che venga fatto nel modo che desideri. Quello è ciò che faremo.»

Sospirando attese che la donna se ne andasse prima di dirigere Stepper verso la locanda della Fonte del Vino. Due o tre voci lo chiamarono, ma si rifiutò di ascoltarle. Qual era il problema di questa gente? La gente dei Fiumi Gemelli non si comportava così. Certamente non a Emond’s Field. Voleva dire sempre la sua. Prima di decidere qualcosa, di solito dovevano esplodere infinite discussioni davanti al Consiglio del Villaggio, o fra gli elementi del Consiglio stesso. E se la Cerchia delle Donne pensava di essere più circospetta, non c’era un uomo che non sapesse decifrare una donna con le labbra serrate che procedeva a lunghi passi con la treccia che si agitava come la coda di un gatto arrabbiato.

Cosa voglio? pensò furioso. Quello che voglio è qualcosa da mangiare, da qualche parte dove nessuno mi farfugli nell’orecchio. Smontando da cavallo davanti alla locanda inciampò e pensò che avrebbe potuto aggiungere un letto a quella breve lista. Solo mezzogiorno, con Stepper che aveva fatto tutto il lavoro e lui era già debole. Forse dopotutto Faile aveva ragione. Forse seguire Loial e Gaul era davvero un’idea sbagliata.

Quando entrò nella sala comune, comare al’Vere gli rivolse un’occhiata e lo spinse su una sedia con un sorriso materno. «Puoi anche smettere di dare ordini per un po’» disse con fermezza. «Emond’s Field può benissimo sopravvivere un’ora da sola mentre mangi qualcosa.» La donna se ne andò prima ancora che Perrin riuscisse a rispondere che Emond’s Field poteva benissimo sopravvivere senza di lui, punto e basta.

La sala era quasi vuota. Natti Cauthon era seduta a un tavolo, stava arrotolando le bende e sistemandole in una pila davanti a sé, ma allo stesso tempo teneva d’occhio le figlie attraverso la stanza, anche se entrambe erano abbastanza grandi da portare la treccia. Il motivo era abbastanza chiaro. Bode ed Eldrin erano sedute accanto ad Aram, e cercavano di persuadere il Calderaio a mangiare. Imboccandolo per la verità e anche pulendogli il mento. Dal modo in cui gli sorridevano, Perrin era sorpreso che Natti non sedesse con loro, trecce o no. Supponeva che il ragazzo fosse di bell’aspetto, forse anche più attraente di Wil al’Seen. Bode ed Eldrin certamente sembravano di quell’opinione. Dal canto suo Aram occasionalmente sorrideva — erano belle ragazze in carne, avrebbe dovuto essere cieco per non accorgersene, e Perrin non credeva che Aram fosse cieco davanti a una bella ragazza — ma deglutiva a malapena senza posare lo sguardo sgranato sulle lance e i bastoni appoggiati contro la parete. Per i Tuatha’an doveva essere una vista orribile.

«Comare al’Vere ha detto che finalmente ti sei stancato di stare in sella» incominciò Faile, apparendo dalla porta della cucina.

Sorprendentemente indossava un lungo grembiule bianco come quello di Marin, aveva le maniche arrotolate sopra i gomiti e farina sulle mani. Come se se ne fosse appena accorta, si tolse il grembiule pulendosi rapidamente le mani e lo appoggiò sullo schienale della sedia. «Non ho mai impastato nulla prima d’ora» osservò, abbassandosi le maniche mentre si univa a lui. «Però è divertente. Forse mi piacerebbe farlo ancora, prima o poi.»

«Se non lo farai» rispose Perrin «dove ci procureremo il pane? Non intendo trascorrere tutta la vita a viaggiare, comprando i pasti o mangiando ciò che catturo o caccio con l’arco o la fionda.»

Faile sorrise come se Perrin avesse detto qualcosa di soddisfacente, anche se lui non riusciva a capire cosa. «Ci penserà la cuoca, chiaramente. O meglio, una delle sue aiutanti, ma la cuoca controllerà il lavoro.»

«La cuoca» ripeté Perrin scuotendo il capo. «Una delle sue aiutanti. Naturalmente. Perché non ci ho pensato?»

«Cosa ti prende, Perrin? Sembri preoccupato. Non credo che potrebbero esserci difese migliori a meno di avere un muro fortificato.»

«Non è quello. Faile, questa storia di Perrin Occhidoro sta sfuggendo di mano a tutti. Non so chi pensano io sia, ma continuano a chiedermi cosa fare, o se va bene quello che hanno deciso, quando sanno già cosa va fatto, se ci pensano per almeno due minuti.»

Faile lo studiò a lungo con quegli scuri occhi a mandorla pensierosi, quindi disse: «Quanti anni sono trascorsi da quando la regina di Andor ha governato da queste parti?»

«La regina di Andor? Non lo so. Forse un centinaio di anni. Duecento. Che cosa c’entra con tutto il resto?»

«Questa gente non ricorda come comportarsi con una regina — o un re. Stanno cercando di scoprirlo. Devi essere paziente con loro.»

«Un re?» esclamò flebilmente. Lasciò cadere la testa sulle braccia appoggiate al tavolo. «Oh, Luce!»

Ridendo piano, Faile gli arruffò i capelli. «Be’, forse non un re. Dubito molto che Morgase approverebbe. Un condottiero, più probabilmente. Ma sono certa che approverebbe un uomo che le ha riportato le terre che il trono non ha controllato per cento anni o più. Certamente di quell’uomo farebbe un lord. Perrin della casata Aybara, lord dei Fiumi Gemelli. Suona bene.»

«Non c’è bisogno di nessun lord nei Fiumi Gemelli» gridò contro il tavolo. «O re o regine. Siamo un popolo libero!»

«Anche gli uomini liberi possono avere bisogno di seguire qualcuno» rispose gentilmente Faile. «Gli uomini vogliono credere in qualcosa di più grande di loro, qualcosa di più largo dei loro campi. Per questo esistono le nazioni, Perrin, e i popoli. Anche Raen e Ila si vedono come parte di una totalità che va oltre i loro carri. Ne hanno persa la maggior parte, hanno visto morire amici e parenti, ma altri Tuatha’an ancora cercano la canzone e lo faranno anche loro, perché appartengono a qualcosa di più di qualche carro.»

«Chi è il proprietario?» chiese di colpo Aram.

Perrin sollevò il capo. Il giovane Calderaio stava in piedi e fissava a disagio le lance appoggiate al muro. «Appartengono a chiunque ne voglia una, Aram. Nessuno ti farà del male con una di esse, credimi.» Non era certo che Aram gli credesse, non a giudicare dal modo in cui aveva iniziato a camminare lentamente attorno alla stanza con le mani in tasca, lanciando occhiate di traverso alle lance e alle alabarde.

Perrin fu più che grato di mangiare quando Marin gli portò un piatto di oca arrosto affettata, con rape e piselli e dell’ottimo pane croccante. Almeno, ci si sarebbe tuffato se Faile non gli avesse legato un tovagliolo ricamato a fiori attorno al collo e non gli avesse tolto le posate di mano. Sembrava trovare divertente l’idea di nutrirlo, come avevano fatto Bode ed Eldrin con Aram. Le ragazze Cauthon gli sorrisero e anche Natii e Marin avevano dei sorrisetti sul volto. Perrin non capiva cosa ci fosse di così divertente. Desiderava accontentare Faile, anche se da solo avrebbe fatto meglio. Lei continuava a fargli allungare il collo per mangiare il boccone sulla forchetta.

Aram girò lentamente tre volte intorno nella stanza prima di fermarsi in fondo alle scale, fissando il barile di spade scompagnate. Quindi si sporse in avanti e ne prese una, sollevandola goffamente. L’elsa ricoperta di pelle era abbastanza lunga da essere impugnata con entrambe le mani. «Posso usarla?» chiese.

Perrin quasi si strozzò.

Alanna apparve in cima alle scale assieme a Da. La donna Tuatha’an sembrava affaticata, ma il livido sul viso era sparito. «... La cosa migliore è dormire» stava spiegando l’Aes Sedai. «È la violenta emozione mentale che crea il grosso del problema e quella non posso guarirla.»

Gli occhi di Ha si posarono sul nipote, su ciò che impugnava, e gridò come se l’avesse trafitta con quella lama. «No, Aram! Nooooo!» Quasi cadde nella fretta di scendere le scale e lanciarsi contro Aram, cercando di togliergli la spada dalle mani. «No, Aram,» ansimava «non devi. Posala. La Via della Foglia. Non devi! La Via della Foglia! Ti prego, Aram! Ti prego!»

Aram danzò con la donna, schivandola goffamente, cercando di mantenere la spada lontano da lei. «Perché no?» gridò furioso. «Hanno ucciso mia madre! Li ho visti! Se avessi avuto una spada avrei potuto salvarla. Avrei potuto salvarla!»

Quelle parole colpirono Perrin al petto. Un Calderaio con una spada sembrava una cosa innaturale, quasi abbastanza da fargli rizzare i capelli sulla nuca, ma quelle parole... Sua madre. «Lascialo in pace» disse, più duramente di quanto voleva. «Ogni uomo ha il diritto di difendersi e di difendere i suoi... Ne ha il diritto.»

Aram spinse la spada verso Perrin. «Mi insegnerai come usarla?»

«Non la so usare,» rispose Perrin «però puoi trovare qualcun altro.»

Le lacrime scivolarono sul viso stravolto di Ila. «I Trolloc hanno preso mia figlia» singhiozzò completamente scossa «e tutti i miei nipoti tranne uno, e adesso te lo prendi tu. È Perduto per colpa tua, Perrin Aybara. Nel tuo cuore sei diventato un lupo e adesso lo diventerà anche lui.» Voltandosi risalì le scale, ancora scossa dai singhiozzi.

«Avrei potuto salvarla!» le gridò appresso Aram. «Nonna! Avrei potuto salvarla!» La donna non si voltò mai e quando svanì dietro l’angolo, Aram si accasciò contro la ringhiera piangendo. «Avrei potuto salvarla, nonna. Avrei potuto...»

Perrin si accorse che anche Bode stava piangendo con il viso fra le mani e le altre donne lo guardavano male quasi avesse fatto qualcosa di sbagliato. Non tutte. Alanna, in cima alle scale, lo studiava con l’indecifrabile calma delle Aes Sedai, e il viso di Faile era quasi altrettanto inespressivo.

Pulendosi la bocca lanciò il tovagliolo sul tavolo e si alzò. C’era ancora tempo per dire ad Aram di riporre la spada, di andare a chiedere scusa a Ha. Tempo per dirgli... cosa? Che forse la prossima volta non sarebbe stato lì a vedere morire i suoi cari? Che forse poteva tornare per trovare le loro tombe?

Appoggiò una mano sulla spalla di Aram e l’uomo sussultò, tirando indietro la spada come se si aspettasse che Perrin potesse togliergliela di mano. L’odore del Calderaio era un misto di emozioni, paura, odio e profonda tristezza. Ila lo aveva chiamato Perduto. Gli occhi di Aram sembravano vuoti. «Lavati il viso, Aram. Poi vai a cercare Tam al’Thor. Digli che chiedo che ti insegni a usare la spada.»

Lentamente l’altro uomo sollevò il viso. «Grazie» balbettò, asciugandosi le lacrime sulle guance con le maniche. «Grazie. Non lo dimenticherò mai. Mai. Lo giuro.» Di colpo sollevò la spada per baciare la lama, il pomello dell’elsa della spada era una testa di lupo di ottone. «Lo giuro. Non sì fa così?»

«Immagino di sì» rispose tristemente Perrin, chiedendosi perché si sentisse triste. La Via della Foglia era una bella credenza, come un sogno di pace, ma, come il sogno, non poteva durare quando c’era violenza. Non conosceva un luogo che ne fosse privo. Un sogno per qualche altro uomo, in qualche altro momento. Forse in un’altra Epoca. «Vai, Aram. Hai molto da imparare e potrebbe non esserci molto tempo.» Sempre ringraziando, il Calderaio non attese di liberarsi dalle lacrime ma corse fuori dalla locanda, portando la spada dritta davanti a sé con entrambe le mani.

Consapevole dello sguardo cupo di Eldrin, delle mani sui fianchi di Marin e del cipiglio di Natti, per non parlare del pianto di Bode, Perrin ritornò alla sua sedia. Alanna era sparita dalle scale. Faile lo guardò mentre Perrin prendeva coltello e forchetta.

«Disapprovi?» le chiese con calma. «Un uomo ha il diritto di difendersi, Faile. Anche Aram. Nessuno può fargli seguire la Via della Foglia se non vuole.»

«Non mi piace vederti addolorato» sussurrò Faile.

Perrin fece una pausa mentre tagliava l’oca. Addolorato? Quel sogno non era il suo. «Sono solo stanco» le rispose sorridendo. Non pensava che Faile gli credesse.

Prima che riuscisse a fare un secondo boccone, Bran si affacciò alla porta frontale. Indossava nuovamente l’elmetto di metallo. «Stanno arrivando dei cavalieri da nord, Perrin. Molti. Credo che potrebbero essere i Manti Bianchi.»

Faile scattò mentre Perrin si alzava, e quando fu fuori per prendere Stepper, con il sindaco che borbottava riguardo quello che intendeva dire ai Manti Bianchi, Faile apparve dall’angolo della locanda a cavallo della giumenta bianca. Molti dal villaggio si stavano dirigendo a nord piuttosto che restare al loro posto. Perrin non aveva una fretta particolare. I Figli della Luce potevano benissimo trovarsi lì per arrestarlo. Probabilmente era quello il motivo. Non aveva intenzione di andarsene via in catene, ma non era ansioso di chiedere alla gente di combattere contro i Manti Bianchi per lui. Seguì Bran unendosi al codazzo di uomini, donne e bambini che oltrepassavano il Ponte Carraio sulle acque della Fonte del Vino, gli zoccoli di Stepper e Rondine che battevano sulle assi del ponte. Un alto salice cresceva lungo le rive. Il ponte si trovava all’inizio della strada nord, che portava a Watch Hill e oltre. Alcuni lontani pennacchi di fumo si erano ridotti a riccioli mentre i fuochi si estinguevano.

Dove la strada abbandonava il villaggio, trovò due carri a bloccare il passaggio; gli uomini raccolti dietro alla staccionata di pali acuminati con archi, lance e altre armi — odoravano di eccitazione — stavano mormorando fra loro tutti ammucchiati per vedere chi stesse discendendo la strada: una lunga colonna doppia di cavalieri ammantati di bianco che sollevavano una nuvola di polvere, elmetti conici, pettorali di metallo lucidi e cotte di maglia che risplendevano al sole pomeridiano, le lance con le punte di acciaio tutte con la stessa inclinazione. In testa alle file cavalcava un uomo giovane, con la schiena rigida e il viso severo, che a Perrin sembrava vagamente familiare. Con l’arrivo del sindaco i mormorii si fermarono e tutti erano pieni di aspettativa. O forse la causa era l’arrivo di Perrin.

A circa duecento passi di distanza dalla staccionata, l’uomo dal volto severo sollevò una mano e la colonna si fermò passandosi ordini secchi lungo la fila. L’uomo proseguì con solo una mezza dozzina di Manti Bianchi, facendo passare lo sguardo sui carri, la staccionata e gli uomini dietro di essa. Le sue maniere lo definivano come un uomo importante anche senza i nodi di rango sotto il sole raggiato ricamato sul petto.

Era apparso anche Luc, splendente sullo stallone nero lucido, vestito di fine lana rossa e ricami dorati. Forse era abbastanza normale che l’ufficiale dei Manti Bianchi decidesse di rivolgersi a Luc, anche se gli occhi scuri continuavano a indagare. «Mi chiamo Dain Bornhald,» annunciò spronando il cavallo «capitano dei Figli della Luce. Avete fatto tutto questo per noi? Ho sentito dire che Emond’s Field è chiusa per i Figli, vero? Davvero un villaggio dell’Ombra se è chiuso ai Figli della Luce.»

Dain Bornhald, non Geofram. Forse un figlio. Non che facesse differenza. Perrin immaginava che uno avrebbe provato ad arrestarlo come l’altro. Lo sguardo di Bornhald passò su Perrin, quindi tornò indietro di scatto. L’uomo sembrò in preda alle convulsioni, una mano guantata scattò verso la spada, le labbra si dischiusero in un ringhio silenzioso, e per un momento Perrin fu convinto che l’uomo avrebbe attaccato, spronando il cavallo contro la staccionata per raggiungerlo. Sembrava che odiasse Perrin per motivi personali. Guardandolo da vicino quel viso duro aveva un qualcosa di trascurato, una luce negli occhi che Perrin di solito vedeva in quelli di Bili Congar. Gli sembrò di fiutare odore di acquavite.

L’uomo dalle guance infossate vicino a Bornhald era più che familiare. Perrin non avrebbe mai dimenticato quegli occhi infossati, come scuri carboni ardenti. Alto, magro e duro come un’incudine, Jaret Byar sembrava davvero che lo guardasse con odio. Bornhald poteva forse non essere zelante, ma Byar lo era certamente.

Luc pareva abbastanza sensato da non usurpare il posto di Bran — sembrava intento a osservare la colonna di uomini ammantati di bianco mentre si depositava la polvere, rivelando altri Figli che sì snodavano sulla strada — con disgusto di Perrin, ma Bran guardò lui — l’apprendista di un fabbro — e attese un suo cenno prima di rispondere. Lui era il sindaco! Bornhald e Byar presero nota del silenzioso scambio di sguardi.

«Emond’s Field non è esattamente chiusa per voi» rispose Bran, in posizione eretta con la lancia appoggiata accanto. «Abbiamo deciso di difenderci da soli, e lo abbiamo fatto proprio stamattina. Se volete vedere il nostro lavoro, guardate da quella parte.» Indicò verso la colonna di fumo che saliva dalla pira dei Trolloc. Un odore dolce e nauseante di carne bruciata aleggiava nell’aria, ma nessuno sembrava farci caso a parte Perrin.

«Avete ucciso alcuni Trolloc?» osservò Bornhald con disprezzo. «La vostra fortuna e abilità mi stupiscono.»

«Più che alcuni Trolloc!» gridò qualcuno dalla folla di gente dei Fiumi Gemelli. «Centinaia!»

«Abbiamo avuto una battaglia!» gridò un’altra voce, e un’altra dozzina gridò sovrapponendosi l’una all’altra.

«Li abbiamo combattuti e abbiamo vinto!»

«Dove eravate?»

«Possiamo difenderci senza nessun Manto Bianco!»

«I Fiumi Gemelli!»

«I Fiumi Gemelli e Perrin Occhidoro!»

«Occhidoro!»

«Occhidoro!»

Leof, che avrebbe dovuto trovarsi a controllare i tagliaboschi, iniziò ad agitare la bandiera con la testa rossa del lupo.

L’occhio colmo d’ira di Bornhald li racchiuse tutti, e Byar spronò in avanti il castrone grigio ringhiando. «Voi contadini pensate di conoscere la battaglia?» gridò. «La scorsa notte uno dei vostri villaggi è stato raso al suolo dai Trolloc! Aspettate fino a quando arriveranno da voi in gran numero e desidererete che vostra madre non abbia mai baciato vostro padre!» Tacque davanti a un cenno stanco di Bornhald, un fiero cane ammaestrato che obbediva al padrone, ma le sue parole avevano fatto zittire la gente dei Fiumi Gemelli.

«Quale villaggio?» La voce di Bran era dignitosa e preoccupata al tempo stesso. «Noi tutti conosciamo qualcuno a Watch Hill e Deven Ride.»

«Watch Hill non è stata disturbata» rispose Bornhald «e non so nulla di Deven Ride. Stamattina un cavaliere mi ha portato la notizia che Taren Ferry non esiste quasi più. Se avete amici lì, molta gente è fuggita attraversando il fiume.» Tese momentaneamente il volto. «Io ho perso quasi cinquanta ottimi soldati.»

Questa notizia provocò alcuni mormoni nauseati, a nessuno piaceva sentire quel tipo di novità, ma d’altro canto nessuno qui conosceva gente a Taren Ferry. Probabilmente nessuno di loro era mai andato tanto lontano.

Luc fece avanzare il cavallo, lo stallone cercò di mordere Stepper. Perrin trattenne il cavallo con le redini prima che i due iniziassero a combattere, ma Luc non sembrava curarsene. «Taren Ferry?» ripeté atono. «I Trolloc hanno attaccato Taren Ferry la scorsa notte?»

Bornhald si strinse nelle spalle. «L’ho detto, no? Sembra che alla fine i Trolloc abbiano deciso di irrompere nei villaggi. Quanto è stato provvidenziale che voi qui foste avvisati in tempo per allestire queste belle difese.» Lo sguardo scorse sulla palizzata acuminata e gli uomini che vi erano dietro prima di fermarsi su Perrin. «L’uomo che si fa chiamare Ordeith si trovava a Taren Ferry la scorsa notte?» chiese Luc.

Perrin lo fissò. Non sapeva che Luc fosse al corrente di Padan Fain, o il nome che usava adesso. Ma la gente parlava, specialmente quando qualcuno che conoscevano come ambulante ritornava con autorità sui Manti Bianchi.

La reazione di Bornhald fu strana come la domanda. Negli occhi gli brillò un odio forte come quello che aveva mostrato nei confronti di Perrin, ma impallidì e si strofinò un labbro flaccido con il dorso della mano quasi avesse dimenticato di indossare guanti di maglia di metallo. «Conosci Ordeith?» rispose inchinandosi verso Luc.

Stavolta fu il turno di Luc di tirare su le spalle distrattamente. «L’ho visto qua e là da quando sono giunto nei Fiumi Gemelli. Un personaggio dall’aspetto sconveniente, e quelli che lo seguono non sono da meno. Il tipo che avrebbe potuto essere abbastanza trascurato da permettere a un attacco dei Trolloc di avere successo. Era lì? Se così fosse, c’è da sperare che sia morto a seguito della sua follia. Se la risposta è no, c’è da sperare che sia qui con voi, a portata d’occhio.»

«Non so dove si trova» scattò Bornhald. «E non mi importa! Non sono venuto qui per parlare di Ordeith!» Il cavallo si impennò nervosamente mentre Bornhald allungava una mano, indicando Perrin. «Ti arresto in quanto Amico delle Tenebre. Verrai portato ad Amador e lì processato sotto la Cupola della Verità.»

Byar guardò incredulo il capitano. Dietro la barriera che separava i Manti Bianchi dalla gente dei Fiumi Gemelli si elevarono mormorii rabbiosi, vennero sollevate le lance e i bastoni, come anche gli archi. I Manti Bianchi più lontani incominciarono a sparpagliarsi in una linea splendente sotto le grida di un tizio in armatura grosso come mastro Luhan, facendo scivolare le lance dentro i fermi sulle selle, liberando corti archi da cavallo. A quella distanza potevano fare poco più che coprire la fuga di Bornhald e degli uomini con lui, se riuscivano a scappare, ma Bornhald sembrava ignaro di ogni pericolo, o di qualsiasi altra cosa se non Perrin.

«Non ci saranno arresti» gridò Bran duro. «Lo abbiamo deciso noi. Non più arresti senza prove di qualche crimine, prove alle quali dobbiamo credere. Non mi hai mai mostrato nulla per convincermi che Perrin sia un Amico delle Tenebre, per cui tanto vale che abbassi la mano.»

«Ha tradito mio padre fino a condurlo alla morte a Falme» gridò Bornhald. Era scosso dalla rabbia. «Lo ha consegnato agli Amici delle Tenebre e alle streghe di Tar Valon che hanno ucciso migliaia di Figli con l’Unico Potere!» Byar annuì vigorosamente.

Alcuni abitanti dei Fiumi Gemelli cambiarono posizione incerti. Si era sparsa la voce su quanto avevano fatto Alanna e Verin quella mattina e le imprese erano aumentate man mano che la voce si spargeva. Qualsiasi cosa pensavano di Perrin, centinaia di favole riguardo le Aes Sedai, quasi tutte sbagliate, rendevano facile credere alle Aes Sedai che distruggevano migliaia di Manti Bianchi. E se ci credevano, prima o poi avrebbero creduto anche al resto.

«Non ho tradito nessuno» ripose Perrin ad alta voce, affinché tutti potessero sentire. «Se tuo padre è morto a Falme, quelli che lo hanno ucciso si chiamano Seanchan. Non so se sono Amici delle Tenebre, ma so che usano l’Unico Potere in battaglia.»

«Bugiardo!» La saliva schizzò dalle labbra di Bornhald. «I Seanchan sono una favola architettata dalla Torre Bianca per nascondere le loro sporche menzogne! Tu sei un Amico delle Tenebre!»

Bran scosse il capo stupefatto, spingendo l’elmetto da un lato per potersi grattare la fronte. «Non so nulla di questi... Seanchan? Di questi Seanchan. Quello che so è che Perrin non è un Amico delle Tenebre, e tu non arresterai nessuno.» Perrin si accorse che la situazione diventava sempre più pericolosa. Anche Byar se ne accorse e strattonò Bornhald per un braccio, bisbigliandogli qualcosa, ma il capitano dei Manti Bianchi non voleva, o forse non poteva farsi indietro adesso che aveva Perrin davanti agli occhi. Bran e gli uomini dei Fiumi Gemelli erano ben piantati a terra; parevano decisi a non lasciarlo ai Manti Bianchi anche se avesse confessato tutte le accuse mosse da Bornhald. A meno che qualcuno non avesse gettato un po’ d’acqua velocemente, tutto sarebbe esploso come una manciata di paglia secca lanciata nel fuoco di una forgia.

Perrin odiava dover pensare velocemente. Su questo Loial aveva ragione. Pensare velocemente portava la gente a farsi male. Ma pensò di aver trovato una soluzione, stavolta. «Sei disposto a rinviare il mio arresto, Bornhald? Fino a quando avremo sistemato i Trolloc? Prima di allora non andrò da nessuna parte.»

«Perché dovrei rinviarlo?» L’uomo era accecato dall’odio. Se fosse andato avanti con i suoi intenti, sarebbero morti molti uomini, incluso lui, probabilmente, e non riusciva a capirlo. Non serviva a nulla farglielo notare.

«Non hai visto tutte le fattorie in fiamme stamattina?» rispose Perrin. Fece un gesto a ventaglio che incluse tutti pennacchi di fumo che diminuivano. «Guardati intorno. L’hai detto tu stesso. I Trolloc non si accontentano più di assaltare una fattoria o due. Adesso stanno saccheggiando i villaggi. Se cerchi di tornare a Watch Hill, potresti non arrivarci. Sei stato fortunato a giungere così lontano. Ma se rimanete qui, a Emond’s Field...»

Bran gli girò intorno, e altri uomini gridarono forte il loro dissenso. Faile gli cavalcò accanto e lo afferrò per un braccio, ma Perrin li ignorò tutti. «... saprai dove mi trovo, e i tuoi soldati saranno i benvenuti, se vogliono aiutarci a difenderci.»

«Sei sicuro di quello che dici, Perrin?» chiese Bran afferrando le staffe di Stepper, mentre Faile dall’altro lato disse con foga: «No, Perrin! È un rischio troppo grande. Non devi... voglio dire... ti prego, non... oh, che la Luce mi riduca in maledette ceneri! Non devi farlo!»

«Non lascerò che gli uomini combattano tra loro se posso evitarlo» rispose con fermezza. «Non faremo il lavoro dei Trolloc per loro.»

Faile praticamente gli lanciò il braccio lontano. Guardando corrucciata Bornhald estrasse una pietra per affilare le lame dal sacchetto appeso alla cintura e un pugnale da qualche parte, iniziando ad affilare la lama con un rumore soffice come quello della seta.

«Adesso Hari Coplin non saprà cosa pensare» aggiunse asciutto Bran. Sistemando l’elmetto rotondo si voltò indietro verso i Manti Bianchi e piantò il fondo della lancia a terra. «Hai sentito la sua proposta. Adesso ascolta la mia. Se entri a Emond’s Field non arresterai nessuno senza l’autorizzazione del Consiglio del Villaggio che non otterrai, per cui non arresterai nessuno. Non entrerete a casa di nessuno a meno che non vi venga chiesto. Non creerete noie e collaborerete alle difese dove e quando richiesto. E non voglio nemmeno sentire l’odore della Zanna del Drago! Sei d’accordo? Se non lo sei, puoi andartene via da dove sei venuto.» Byar fissava l’uomo grassoccio come se una pecora si fosse alzata sulle zampe posteriori per attaccare.

Bornhald non distolse mai lo sguardo da Perrin. «D’accordo» disse alla fine. «Fino a quando sarà cessata la minaccia dei Trolloc!» Facendo voltare di scatto il cavallo, galoppò verso la linea dei suoi uomini, con il mantello bianco candido che sventolava alle sue spalle.

Su ordine del sindaco furono fatti arretrare i carri. Perrin si accorse che Luc stava guardando. Il nobile era rilassato in sella, con una mano languidamente appoggiata sull’elsa della spada, gli occhi azzurri divertiti. «Credevo che ti saresti opposto» osservò Perrin «da come ho sentito che hai parlato alla gente contro i Manti Bianchi.»

Luc allargò le braccia serenamente. «Se questa gente vuole i Manti Bianchi fra loro, che li abbiano. Ma tu dovresti prestare attenzione, giovane Occhidoro. Ne so qualcosa sull’accogliere in seno un nemico. La sua lama è più veloce quando è vicino.» Ridendo spinse lo stallone attraverso la folla, di nuovo dentro al villaggio.

«Ha ragione» intervenne Faile, che ancora stava affilando il pugnale con la pietra. «Forse questo Bornhald manterrà la parola e non ti arresterà, ma cosa tratterrà uno dei suoi uomini dal conficcarti una lama nella schiena? Non avresti dovuto farlo.»

«Dovevo» le rispose. «Meglio che fare il lavoro dei Trolloc.»

I Manti Bianchi stavano entrando nel villaggio, con Bornhald e Byar in testa al gruppo. Quei due lo guardarono con lo stesso odio, e gli altri che camminavano in coppia... Occhi duri e freddi su visi freddi e duri si voltavano a guardarlo mentre passavano. Non lo odiavano, ma quando lo guardavano vedevano un Amico delle Tenebre. E Byar era capace di tutto.

Perrin aveva dovuto farlo, ma pensò anche che non sarebbe stata una cattiva idea lasciare che Dannil, Ban e gli altri lo seguissero, se volevano. Non avrebbe dormito serenamente senza qualcuno di guardia davanti alla porta. Guardie Come qualche stupido lord Almeno Falle sarebbe stata contenta Se solo fosse riuscito a sotterrare quella bandiera da qualche parte.

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