Il sole era ancora alto sopra il frastagliato orizzonte occidentale quando Rhuarc annunciò che Imre Stand, dove intendeva trascorrere la notte, si trovava a circa un chilometro di distanza.
«Perché ci fermiamo di già?» chiese Rand. «Abbiamo ancora diverse ore di luce.»
Fu Aviendha, che camminava accanto a Jeade’en dal lato opposto al capoclan, a rispondere, con il tono sprezzante che ormai Rand si aspettava. «A Imre Stand c’è l’acqua. È meglio accamparsi vicino all’acqua quando se ne presenta l’occasione.»
«E i carri degli ambulanti non possono andare molto oltre» aggiunse Rhuarc. «Quando le ombre si allungano, devono fermasi o rischiano di spaccare le ruote e le zampe dei muli. Non voglio lasciarli indietro. Non posso privarmi di nessuno per controllarli, Couladin invece sì.»
Rand si contorse sulla sella. Affiancati dai Jindo Duadhe Mahdi’in, i Cercatori d’Acqua, i carri procedevano pesantemente a un centinaio di passi di distanza, ondeggiando e sollevando un alto pennacchio di polvere gialla. Le gole erano per lo più troppo profonde, o dalle pareti troppo scoscese, costringendo così i conducenti ad aggirarle, per cui la fila procedeva come un serpente ubriaco. Dalla linea ondeggiante si levavano imprecazioni, la maggior parte contro i muli. Radere e Keille erano ancora dentro i loro carri dipinti di bianco.
«No» esclamò Rand. «Non puoi farlo!» Rise piano anche se non voleva.
Mat lo guardava stranito da sotto le falde del cappello nuovo. Rand sorrise con quel che sperava fosse un’espressione rassicurante, ma quella di Mat non cambiò. Dovrà badare a se stesso, pensò Rand. Troppe cose sono legate a questo fatto.
Pensando a questo divenne consapevole di Aviendha che lo studiava, con lo scialle avvolto come fosse uno shoufa. Rand si raddrizzò nuovamente. Moiraine poteva averle detto di fargli da balia, ma aveva l’impressione che la donna aspettasse solo di vederlo cadere. Senza dubbio lo avrebbe trovato divertente, essendo il senso dell’umorismo Aiel quel che era. A Rand sarebbe piaciuto pensare che la ragazza fosse semplicemente risentita per essere stata infilata in un vestito e messa a fargli la guardia, ma lo scintillio che aveva negli occhi sembrava troppo personale.
Per una volta Moiraine e le Sapienti non lo guardavano. In mezzo fra i Jindo e gli Shaido, Moiraine ed Egwene parlavano con Amys e le altre, e tutte e sei le donne guardavano qualcosa fra le mani della Aes Sedai che coglieva la luce del sole morente, risplendendo come una gemma; sembravano assorte come ragazzine con un monile. Lan tornò indietro fra i gai’shain e i muli da soma, come se lo avessero mandato via.
La scena mise Rand a disagio. Era abituato a essere il centro dell’attenzione di quel gruppo. Cosa avevano trovato di più interessante? Certamente nulla di cui essere contento, non con Moiraine, come probabilmente con Amys e le altre. Avevano tutte i loro piani per lui. Egwene era la sola di cui si fidasse veramente. Luce, spero di potermi ancora fidare di lei, pensò. L’unico di cui potesse fidarsi era se stesso. Quando il cinghiale esce dal nascondiglio, ci siete solamente tu e la lancia, pensò. La risata stavolta era un po’ amara.
«Trovi divertente la terra delle Tre Piegature, Rand al’Thor?» Il sorriso di Aviendha era un vago lampo di denti bianchi. «Ridi finché puoi, abitante delle terre bagnate. Quando questa terra comincerà a spezzarti, sarà una punizione consona per come hai trattato Elayne.»
Perché la donna non desisteva? «Non hai mostrato alcun rispetto per il Drago Rinato,» scattò Rand «forse potresti provare a trovarne un po’ per il Car’a’carn.»
Rhuarc rise. «Un capoclan non è come un re delle terre bagnate, Rand, nemmeno il Car’a’carn. C’è rispetto — anche se le donne generalmente cercano di mostrarne il meno possibile — ma tutti possono parlare a un capo.» Anche così guardò torvo la donna dall’altro lato del cavallo di Rand. «Alcuni forzano i legami d’onore.»
Aviendha doveva aver capito che quell’ultima frase era rivolta a lei e aveva il viso di pietra, ma proseguì a camminare senza aggiungere una parola, con i pugni serrati lungo i fianchi.
Arrivarono due Fanciulle della ricognizione correndo a perdifiato. Non erano insieme; una andò dritta dagli Shaido, l’altra dai Jindo. Rand la riconobbe, una donna bionda di nome Adelin, bella ma con il volto duro e una cicatrice bianca sulla guancia abbronzata. Una di quelle che si erano recate alla Pietra, anche se era più grande di parecchie delle Fanciulle presenti; forse aveva dieci anni più di lui. Lo sguardo rapido che rivolse ad Aviendha prima di affiancare Rhuarc, un misto di curiosità e simpatia, fece rizzare i capelli a Rand. Se Aviendha si era accordata con le Sapienti per spiarlo, certamente non meritava simpatia. La sua compagnia non era così onerosa. Adelin lo ignorò completamente.
«Ci sono problemi a Imre Stand» riferì a Rhuarc, parlando veloce e a scatti. «Non c’è nessuno in vista. Ci siamo tenute nascoste e non ci siamo avvicinate.»
«Bene» rispose Rhuarc. «Informa le Sapienti.» Sollevando inconsciamente la lancia, Rhuarc si avviò verso il gruppo principale dei Jindo. Aviendha borbottava giocando con la gonna: voleva unirsi a lui. «Credo che già lo sappiano» osservò Mat mentre Adelin correva verso le Sapienti.
Dall’agitazione delle donne attorno a Moiraine, Rand pensò che avesse ragione. Sembrava che stessero parlando tutte contemporaneamente. Egwene si schermava gli occhi, fissando Adelin o lui, con l’altra mano sulla bocca. Come facessero a sapere era una domanda per dopo.
«Che tipo di problemi potrebbero esserci?» chiese ad Aviendha, la quale continuò a borbottare senza rispondere. «Aviendha? Che tipo di problemi?» Nulla. «Che tu sia folgorata, donna, potresti rispondere a una semplice domanda! Che tipo di problemi?»
La ragazza arrossì, ma rispose incolore. «Probabilmente si tratta di un’incursione, per rubare capre o pecore; entrambe potrebbero essere state guidate a Imre Stand per il pascolo, ma più probabilmente si tratta di capre, per via dell’acqua. Probabilmente saranno i Chareen, la setta della Montagna Bianca dei Jarra. O potrebbe essere una setta dei Goshien. I Tomanelle credo che siano troppo lontani.»
«Ci sarà un combattimento?» Rand si protese verso saidin; il dolce fluire del Potere lo pervase. La rancida contaminazione trasudava e del sudore fresco sgorgò da ogni poro. «Aviendha?»
«No. Adelin lo avrebbe riferito se gli incursori fossero stati ancora presenti. Il gregge e i gai’shain sono lontani chilometri, ormai. Non possiamo recuperare il gregge perché dobbiamo accompagnarti.»
Si chiese perché non aveva menzionato il fatto di liberare i prigionieri, ma non per molto. Lo sforzo di restare dritto mentre manteneva saidin, di non piegarsi ed essere spazzato, lasciava poco spazio per i pensieri.
Rhuarc e i Jindo andarono avanti di corsa, mentre già si velavano i volti e Rand li seguì più lentamente. Aviendha gli lanciava occhiate impazienti, ma Rand mantenne Jeade’en al piccolo trotto. Non si sarebbe lanciato al galoppo in una trappola. Almeno Mat non aveva fretta; esitò e guardò i carri degli ambulanti prima di spronare Pips al piccolo galoppo. Rand non guardò mai i carri.
Gli Shaido seguirono, rallentando fino a quando le Sapienti non iniziarono nuovamente a muoversi. Chiaro. Questa era la terra dei Taardad. A Couladin non importava se qualcuno effettuava incursioni qui. Rand sperava che i capiclan potessero essere riuniti velocemente ad Alcair Dal. Come poteva unire persone che non facevano altro che combattersi a vicenda? Ma era il minore dei suoi problemi in questo momento.
Quando finalmente videro Imre Stand, fu una specie di sorpresa. Alcuni gruppi di capre bianche a pelo lungo brucavano l’erba bassa e anche le foglie dei cespugli spinosi. All’inizio non vide il grezzo edificio di pietra costruito vicino alla base di una alta montagnola; il rozzo lavoro si fondeva perfettamente con la roccia, e alcuni rovi avevano messo radici nella terra che ne copriva il tetto. Non molto grande, aveva delle feritoie per gli arcieri al posto delle finestre e solo una porta, per quanto Rand poteva vedere. Dopo un attimo scorse un altro edificio, non più largo, incastrato in una cengia alta almeno venti passi. Una crepa profonda risaliva la cengia e andava oltre la base della casa di pietra; non c’era altro modo evidente di raggiungerla.
Rhuarc, in piedi allo scoperto a circa quattrocento passi dalla montagnola, con il velo abbassato, era il solo Jindo in vista. Questo naturalmente non significava che non ce ne fossero. Rand diresse il cavallo accanto a Rhuarc e smontò. Il capoclan continuò a studiare l’edificio di pietra.
«Le capre» spiegò Aviendha preoccupata. «Gli incursori non si sarebbero lasciati dietro nessuna capra. Molte sono sparite, ma sembra quasi che al gregge sia stato consentito di sparpagliarsi.»
«Quattro giorni» concordò Rhuarc senza spostare gli occhi dagli edifici «o ne sarebbero rimaste di più. Perché non esce nessuno? Dovrebbero essere in grado di vedermi e riconoscermi.» Si avviò verso le costruzioni e non fece alcuna obiezione quando Rand si unì a lui in groppa a Jeade’en. Aviendha aveva una mano sul pugnale, e Mat, che le cavalcava alle spalle, teneva la lancia con il manico nero come se si aspettasse di doverla usare.
La porta era di legno rozzo, alcune assi corte e strette unite fra loro. Alcuni dei robusti sostegni erano rotti, spaccati da asce. Rhuarc esitò un momento prima di spingerla per aprirla. Guardò appena all’interno, per poi rivolgere lo sguardo sul paesaggio circostante.
Rand infilò la testa nella costruzione. Non c’era nessuno. L’interno, con la luce che entrava a raggi dalle feritoie per gli arcieri, era un’unica stanza e chiaramente non un’abitazione, solo un riparo per i pastori e una difesa in caso di attacchi. Non c’erano mobili, tavoli o sedie. Un camino sopraelevato si trovava sotto un foro fuligginoso per il fumo praticato sul soffitto. L’ampia crepa sul retro aveva degli scalini scolpiti nella roccia grigia. Il posto era stato saccheggiato. Letti e coperte, pentole, tutto era sparpagliato a terra, fra cuscini e guanciali squarciati. Un liquido era stato sparso ovunque, sulle pareti e anche sul soffitto, e si era asciugato diventando nero.
Quando Rand si accorse di cosa si trattava, scattò indietro, con la spada forgiata dal Potere che gli apparve in mano anche prima che ci pensasse. Sangue. Così tanto sangue. Qui si era verificato un macello, feroce più di qualsiasi cosa riuscisse a immaginare. Nulla si muoveva là fuori tranne le capre.
Aviendha uscì alla stessa velocità con cui era entrata. «Chi?» si chiese incredula con i larghi occhi azzurro verdi colmi di oltraggio. «Chi farebbe una cosa simile? Dove sono i corpi?»
«Trolloc» mormorò Mat. «A me sembra opera dei Trolloc.»
La donna sbuffò disgustata. «I Trolloc non entrano nella terra delle Tre Piegature, abitante delle terre bagnate. Solo ad alcuni chilometri dalla Macchia e raramente. Ho sentito che chiamano la terra delle Tre Piegature la Terra della Morte. Noi cacciamo i Trolloc, abitante delle terre bagnate, non sono loro a darci la caccia.»
Nulla si muoveva. Rand rilasciò la spada, spingendo via saidin. Era difficile. La dolcezza del Potere era quasi abbastanza da sopraffare la sensazione di sporco della contaminazione, la gaiezza assoluta era quasi abbastanza per far sì che non gli importasse. Mat aveva ragione, qualsiasi cosa dicesse Aviendha, ma era un lavoro vecchio, i Trolloc erano andati via. Trolloc nel deserto, in un luogo dove si era recato anche lui. Non era così sciocco da crederla una coincidenza. Ma se si convincono che io lo sia, forse diventeranno più imprudenti, pensò.
Rhuarc fece cenno ai Jindo di avanzare — sembrò che sorgessero dal terreno — e qualche attimo dopo apparvero gli altri, gli Shaido, i carri degli ambulanti e il gruppo delle Sapienti. La voce di quanto era stato trovato si diffuse rapidamente e fra gli Aiel la tensione divenne palpabile. Si muovevano come se si aspettassero un attacco imminente, forse da uno di loro. Gli esploratori si sparsero in ogni direzione. Mentre toglievano i finimenti ai muli, i conducenti dei cani si guardavano intorno nervosi e sembravano pronti a gettarsi sotto ai carri al primo grido.
Per un po’ tutto fu come in un formicaio agitato. Rhuarc si assicurò che gli ambulanti allineassero i carri al limitare del campo dei Jindo. Couladin divenne torvo, perché in quel modo ogni Shaido che volesse commerciare sarebbe dovuto andare dai Jindo, ma non discusse. Forse anche lui capiva che in questo momento una tale reazione avrebbe fatto danzate le lance. Gli Shaido montarono le tende a meno di un quarto di chilometro di distanza, come sempre con le Sapienti fra loro. Le Sapienti esaminarono l’interno dell’edificio, come anche Moiraine e Lan, ma se avevano raggiunto delle conclusioni, non le comunicarono a nessuno.
L’acqua di Imre Stand era una piccola fonte sul retro della crepa che alimentava un largo stagno rotondo — Rhuarc lo chiamava serbatoio — largo meno di due passi. Abbastanza per i pastori e per consentire ai Jindo di riempire alcune borracce. Nessuno Shaido si avvicinò; nella terra dei Taardad, i Jindo avevano diritto all’acqua per primi. Sembrava che alle capre bastassero le foglie spesse dei cespugli spinosi per acquisire umidità. Rhuarc assicurò a Rand che ci sarebbe stata molta più acqua alla fermata della notte seguente. Mentre i conducenti dei carri toglievano i finimenti alle pariglie di animali e si recavano a prendere secchi d’acqua dalle cisterne, Rand venne sorpreso dall’apparizione di Radere. Quando uscì dal suo carro, una giovane donna dai capelli scuri lo accompagnò, con un vestito di seta rossa e scarpette di velluto dello stesso colore, più adatti a un palazzo che al deserto. Una sottile sciarpa rossa indossata quasi come uno shoufa e un velo non la proteggevano dal sole e certamente non facevano nulla per nascondere la bellezza chiara del viso a forma di cuore. Appesa al forte braccio dell’ambulante, ondeggiava provocatoria mentre la portava a vedere la stanza cosparsa di sangue; Moiraine e le altre erano andate dove i gai’shain stavano montando il campo delle Sapienti. Quando la coppia uscì dalla costruzione, la giovane donna tremava delicatamente. Rand era certo che si trattava di finzione, proprio come era sicuro che aveva chiesto lei di vedere l’opera dei macellai. La dimostrazione di disgusto della donna durò due secondi, quindi si mise a guardare attentamente gli Aiel.
Sembrava che Rand fosse una delle cose che voleva vedere. Kadere era pronto a riportarla sul carro, invece la ragazza lo guidò da Rand; il sorriso affascinante stampato sulle labbra carnose era nascosto dal velo diafano. «Hadnan mi ha parlato di te» osservò con voce fumosa. Forse era aggrappata all’ambulante, ma gli occhi scuri esaminavano sfacciatamente Rand. «Tu sei quello di cui parlano gli Aiel. Colui che viene con l’Alba.» Keille e il menestrello uscirono dal secondo carro e rimasero in piedi a osservare la scena in lontananza. «Strano.» Il sorriso della ragazza divenne malizioso. «Credevo che fossi più bello.» Dando dei buffetti sulla guancia di Kadere, sospirò. «Questo caldo spaventoso è così logorante. Non metterci troppo.»
Kadere non parlò fino a quando la ragazza non ebbe salito gli scalini e fu nuovamente nel carro. Aveva rimpiazzato il cappello con una lunga sciarpa bianca legata in testa, con le estremità che gli scendevano sul collo. «Devi perdonare Isendre, buon signore. A volte è troppo... diretta.» La voce di Kadere era mitigata, ma gli occhi erano quelli di un uccello predatore. Esitò, quindi proseguì. «Io ho sentito altre cose. Che hai liberato Callandor dal Cuore della Pietra.»
Gli occhi dell’uomo non cambiarono mai. Sapeva di Callandor, sapeva che Rand era il Drago Rinato, sapeva che poteva manipolare l’Unico Potere. E gli occhi non cambiarono mai. Un uomo pericoloso. «E io ho sentito dire» rispose Rand «che non dovresti credere a nulla di quello che senti e solamente a metà di quello che vedi.»
«Una regola saggia» replicò Kadere dopo un momento. «Eppure per conseguire la grandezza un uomo deve credere in qualcosa. Fede e conoscenza pavimentano la strada per la grandezza. La conoscenza forse è la più preziosa. Tutti cerchiamo il guadagno della conoscenza. Chiedo scusa, buon signore. Isendre non è una donna paziente. Forse avremo un’altra opportunità di parlare.»
Prima che l’uomo avesse fatto tre passi Aviendha disse a bassa voce, con tono duro: «Appartieni a Elayne, Rand al’Thor. Fissi a quel modo ogni donna che ti capita davanti agli occhi o solo quelle che vanno in giro mezze nude? Se mi tolgo gli abiti, mi guarderai a quel modo? Appartieni a Elayne!»
Rand si era dimenticato della presenza di Aviendha. «Non ‘appartengo’ a nessuno, Aviendha. Elayne? Non sembra essere in grado di capire cosa vuole.»
«Elayne ha snudato il suo cuore per te, Rand al’Thor. Se non te lo ha dimostrato nella Pietra di Tear, le due lettere non ti hanno spiegato cosa prova? Sei suo e di nessun’altra.»
Rand alzò le mani al cielo e si allontanò da lei. Almeno, ci provò. La donna lo tallonava, era come un’ombra di disapprovazione sotto al sole abbagliante.
Spade. Gli Aiel forse avevano dimenticato perché non portavano le spade, ma avevano mantenuto il disprezzo nei confronti di quelle armi. Forse le spade l’avrebbero fatta allontanare. Cercando Lan nel campo delle Sapienti, chiese al Custode di guardarlo mentre praticava le figure di scherma. Bair era la sola delle quattro a essere in vista e uno sguardo cupo ne aumentò le rughe sul viso. Nemmeno Egwene era in giro. Moiraine indossava la calma come fosse una maschera, gli occhi scuri erano freddi; non poteva dire se approvava.
Non era determinato a offendere gli Aiel, per cui si piazzò con Lan fra le tende delle Sapienti e quelle dei Jindo. Rand stava usando una delle spade da esercitazione che Lan si portava con sé, un fascio di assicelle legate morbidamente fra loro al posto della lama. Il peso e il bilanciamento erano corretti, e Rand si dimenticò di se stesso nella danza fluente da una figura all’altra, la spada fra le sue mani una parte di sé. Di solito era così. Quel giorno il sole era una fornace in cielo e bruciava umidità e forza. Aviendha stava accovacciata da un lato, con le braccia attorno alle ginocchia e lo fissava.
Alla fine, affannato, Rand lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi.
«Hai perso concentrazione» osservò Lan. «Devi rimanere concentrato anche quando i muscoli si trasformano in acqua. Perdila e quello sarà il giorno in cui morirai. E sarà probabilmente per mano di un ragazzino di campagna che ha una spada fra le mani per la prima volta.» Il sorriso di Lan fu improvviso, strano su quel viso di pietra.
«Sì. Be’, non sono più un ragazzino di campagna, giusto?» Avevano raccolto una piccola folla che li osservava in lontananza. Gli Aiel erano allineati ai margini di entrambi gli accampamenti, Shaido e Jindo. La massa di Keille avvolta nell’abito crema emergeva fra i Jindo, a fianco del menestrello con il mantello di pezze colorate. Quale scegliere? Non voleva che lo vedessero mentre li guardava. «Come combattono gli Aiel, Lan?»
«Duramente» rispose asciutto il Custode. «Non perdono mai la concentrazione. Guarda qui.» Con la spada disegnò un cerchio e una freccia sulla dura argilla spaccata. «Gli Aiel cambiano tattica secondo le circostanze, ma ce n’è una che preferiscono. Si muovono in colonne, divise in quarti. Quando incontrano un nemico, il primo quarto scatta per bloccarlo. Il secondo e il terzo lo accerchiano, colpendo i fianchi e il retro. L’ultimo quarto attende come riserva, spesso nemmeno osservando la battaglia, se non il capo. Quando si apre un punto debole — un buco o qualcosa — la riserva colpisce in quel punto. Finita!» La spada cadde nel cerchio già perforato dalla lancia.
«Come li batti?» chiese Rand.
«Con difficoltà. Quando hai il primo contatto — non vedrai gli Aiel prima che colpiscano, a meno che tu non sia fortunato — invia immediatamente dei cavalieri fuori per spezzare, o almeno ritardare, gli attacchi ai fianchi. Se mantieni la maggior parte delle forze sul retro e sconfiggi l’attacco, allora puoi rivolgerti sugli altri a turno e sconfiggere anche loro.»
«Perché vuoi imparare a combattere gli Aiel?» esplose Aviendha. «Non sei forse Colui che viene con l’Alba, che dovrebbe unirci e riportarci tutti alle glorie passate? E poi, se vuoi imparare come combattono gli Aiel chiedi a un Aiel, non a un abitante delle terre bagnate. Il suo metodo non funzionerà.»
«Ha funzionato abbastanza bene con gli uomini delle Marche, di tanto in tanto.» Gli stivali soffici di Rhuarc non facevano quasi rumore sul suolo duro. Aveva una sacca d’acqua sottobraccio. «Viene sempre fatta qualche concessione a chi è deluso, Aviendha, ma c’è un limite all’essere scontrosi. Hai rinunciato alla lancia per i tuoi obblighi nei confronti del tuo popolo e del sangue. Un giorno senza dubbio riuscirai a far fare a un capoclan quello che vuoi tu invece di quello che vuole lui, e anche se al contrario diventassi Sapiente della più piccola congrega della più piccola setta Taardad, l’obbligo resterebbe e non può essere intaccato da attacchi di collera.»
Una Sapiente. Rand si sentì uno sciocco. Certo, questo era il motivo per cui era andata nel Rhuidean. Ma non avrebbe mai pensato che Aviendha avrebbe scelto di rinunciare alla lancia. Certamente spiegava perché era stata selezionata per spiarlo. Di colpo si scoprì a chiedersi se Aviendha potesse incanalare. Sembrava che Min fosse stata la sola donna nella sua vita, fin da quella Notte d’Inverno, a non poterlo fare.
Rhuarc lanciò a Rand la sacca d’acqua. L’acqua tiepida gli scese in gola come vino fresco. Cercò di non versala sul viso per non sprecarla, ma era difficile.
«Pensavo potesse piacerti imparare a usare la lancia» propose Rhuarc quando Rand finalmente abbassò la sacca mezza vuota. Per la prima volta Rand si accorse che il capoclan aveva soltanto due lance e un paio di scudi di cuoio. Non erano lance da esercitazione, se ne esistevano: trenta centimetri di acciaio affilato sormontavano ogni arma.
Acciaio o legno, i muscoli imploravano riposo. Le gambe volevano che si sedesse e la testa che si sdraiasse. Keille e il menestrello erano andati via, ma gli Aiel ancora guardavano da entrambi i campi. Lo avevano visto esercitarsi con la spregevole spada, anche se di legno. Erano la sua gente. Non li conosceva, ma lo erano, in più di un senso. Aviendha ancora lo fissava furiosa, come se lo incolpasse per la reprimenda di Rhuarc. Non che avesse nulla a che fare con la sua decisione. I Jindo e gli Shaido stavano guardando; ecco cos’era.
«Quella montagna a volte può diventare terribilmente pesante» sospirò Rand, prendendo la lancia e lo scudo da Rhuarc.
«Quando trovi l’occasione di posarla per un attimo?» chiese Rand. «Quando muori» rispose semplicemente Lan.
Costringendo le gambe a muoversi — e cercando di ignorare Aviendha — Rand si piazzò davanti a Rhuarc. Non voleva ancora morire. Ancora per molto tempo.
Appoggiandosi all’ombra di una delle alte ruote dei carri degli ambulanti, Mat osservò la fila di Jindo che stava guardando Rand. Tutto ciò che vedeva adesso, erano le loro schiene. L’uomo era assolutamente sciocco, saltare ovunque con questo caldo. Ogni persona sensata avrebbe cercato protezione dal sole e qualcosa da bere. Sistemandosi all’ombra, scrutò nel boccale di birra che aveva comperato da uno dei conducenti e fece una smorfia. La birra non aveva il sapore giusto quando era una zuppa tiepida. Almeno era bagnata. La sola altra cosa che aveva comperato, oltre al cappello, era una pipa dal cannello corto con il fornello d’argento, adesso infilata in tasca con il sacchetto del tabacco. Non aveva voglia di fare affari. A meno che non fosse per ottenere un passaggio fuori dal deserto, una ‘comodità’ che i carri degli ambulanti non sembravano offrire, al momento.
Stavano conducendo discreti affari, birra a parte. Agli Aiel non importava la temperatura, ma sembrava pensassero che fosse troppo leggera. Per la maggior parte erano Jindo, ma c’era anche un flusso regolare di Shaido provenienti dall’altro campo. Couladin e Kadere rimasero insieme a lungo, anche se non giunsero ad accordi, visto che Couladin se ne andò a mani vuote. A Kadere forse non era piaciuta l’idea di perdere l’affare; fissava Couladin con gli occhi da falco e un Jindo che voleva la sua attenzione dovette parlare tre volte prima di essere ascoltato.
Gli Aiel non avevano molte monete, ma gli ambulanti e la loro gente accettarono velocemente coppe d’argento, statuette d’oro o arazzi saccheggiati a Tear; gli Aiel tirarono fuori pepite d’oro e d’argento che fecero vibrare Mat. Ma un Aiel che perdeva a dadi forse avrebbe impugnato la lancia. Si chiese dove fossero le miniere. Dove un uomo trovava l’oro, anche un altro poteva. Probabilmente però serviva molto lavoro per scavare l’oro. Bevendo un sorso di birra calda, si appoggiò nuovamente contro la ruota del carro.
Cosa veniva venduto e cosa no, e a che prezzo: era interessante. Gli Aiel non erano dei sempliciotti che barattavano una saliera d’oro con un rotolo di stoffa. Conoscevano il valore degli oggetti, contrattavano accanitamente, e avevano le loro esigenze. I libri finirono subito; non tutti li volevano, ma quelli di opinione contraria presero tutti i libri disponibili sui carri. Merletti e velluto scomparvero quasi immediatamente, in cambio di incredibili quantità d’oro e d’argento, i fiocchi andarono via quasi allo stesso prezzo, ma la seta più bella rimase lì. La seta costava meno con gli scambi a est, aveva sentito dire a Kadere dagli Shaido. Un conducente massiccio dal naso rotto cercava di convincere una Fanciulla Jindo a comperare un braccialetto di avorio intagliato. La ragazza ne estrasse uno più grande, più spesso e più riccamente decorato dal sacchetto e propose all’uomo di lottare con lei per entrambi i monili. L’uomo esitò prima di rifiutare, il che dimostrò a Mat che era anche più stupido di quanto sembrasse. Aghi e spilli vennero risucchiati, ma le pentole, e la maggior parte dei coltelli, ottennero dei ghigni; i fabbri aiel facevano un lavoro migliore. Tutto cambiava di mano, da fiale di profumo e sali da bagno a fiasche di acquavite. Vino e acquavite ottenevano buoni prezzi. Fu stupito nel sentire che Heirn aveva chiesto il tabacco dei Fiumi Gemelli. Gli ambulanti non ne avevano.
Uno dei conducenti insisteva a proporre senza successo una pesante balestra d’oro. L’arma attirò l’attenzione di Mat: tutti quei leoni d’oro intarsiati con quelli che sembravano rubini al posto degli occhi. Piccoli, ma pur sempre rubini. Naturalmente un buon arco dei Fiumi Gemelli poteva scagliare sei frecce nel tempo che un balestriere avrebbe impiegato per lanciare il primo dardo e caricare il secondo. Però una balestra così grande aveva un maggiore raggio d’azione, forse di cento passi. Con due uomini che non dovevano fare altro che mantenere la balestra sempre carica in mano a ogni balestriere e un robusto picchiere a mantenere la cavalleria per...
Trasalendo Mat abbandonò la testa contro i raggi della ruota. Era successo ancora. Doveva lasciare il deserto, andare lontano da Moiraine, lontano da tutte le Aes Sedai. Forse a casa per un po’. Forse poteva arrivare in tempo per aiutare Perrin con quel problema dei Manti Bianchi. Ho poche possibilità di riuscirci, a meno che non uso le maledette Vie, o un’altra maledetta Pietra Portale, pensò. Ma non avrebbe comunque risolto il suo problema. Per prima cosa, a Emond’s Field non c’erano risposte alle misteriose parole della gente rettile: sposare la Figlia delle Nove Lune, morire e vivere di nuovo, il Rhuidean.
Attraverso la giubba accarezzò il medaglione d’argento con la testa di volpe, che adesso aveva di nuovo appeso al collo. La pupilla della volpe era un cerchietto tagliato da una linea sinuosa, un lato lucido e l’altro opaco. L’antico simbolo delle Aes Sedai prima della Frattura. Prese la lancia con il manico nero, con la punta della lama di spada marchiata da due corvi che aveva appoggiato accanto e se la mise sulle ginocchia. Altro lavoro delle Aes Sedai. Il Rhuidean non gli aveva procurato risposte, solo altre domande e... Prima del Rhuidean la sua memoria era piena di buchi. Riportando indietro la mente adesso poteva ricordarsi di aver attraversato una porta la mattina ed essere andato via a sera, ma non quanto accaduto durante la giornata. Adesso c’era qualcosa fra i due eventi che riempiva tutti quei buchi. Sogni a occhi aperti, o qualcosa di molto simile. Era come se potesse ricordare balli, battaglie, strade e città mai visti sul serio, e forse mai esistiti, come centinaia di stralci di ricordi di centinaia di uomini differenti. Meglio considerarli sogni — un po’ meglio — eppure era certo di ognuno come se fossero ricordi suoi. Per lo più si trattava di battaglie, e a volte gli venivano in mente in un modo particolare, come con la balestra. Guardando un terreno, si ritrovava a progettare come organizzare un’imboscata in quel punto, come difenderlo, o come organizzare un esercito per una battaglia. Era una follia.
Senza guardare, scorse con un dito la scritta incisa sul manico nero della lancia. Poteva leggerla con molta facilità adesso, anche se gli ci era voluto tutto il viaggio di ritorno al Chaendaer per capirlo. Rand non aveva detto nulla, ma sospettava di essersi scoperto nel Rhuidean. Adesso conosceva la lingua antica, una conoscenza scaturita tutta da quei sogni. Luce, cosa mi hanno fatto? si chiese.
«Sa souvraya niende misain ye,» disse ad alta voce «‘sono perso nella mia mente’.» .
«Uno studioso, in questi giorni e in quest’Epoca.»
Mat alzò lo sguardo e vide il menestrello che lo osservava con gli occhi scuri e infossati. Il tizio era più alto di tanti altri, di mezz’età e probabilmente attraente per le donne, ma con uno strano modo inquietante di mantenere la testa reclinata, come se cercasse di guardarti di traverso.
«Solo una cosa che ho sentito una volta» rispose Mat. Doveva essere più cauto. Se Moiraine decideva di spedirlo alla Torre Bianca per studiarlo, non lo avrebbero lasciato mai più andare via. «Sento degli stralci di cose e me le ricordo. Conosco alcune frasi.» Questo avrebbe dovuto coprire eventuali altre parole che poteva farsi scappare.
«Mi chiamo Jasin Natael. Sono un menestrello.» Natael non fece svolazzare il mantello come avrebbe fatto Thom; lo si sarebbe detto un falegname o un fabbricante di ruote. «Ti dispiace se mi unisco a te?» Mat fece un cenno con il capo al suolo accanto a sé e il menestrello piegò le gambe raccogliendo il mantello e si sedette. Sembrava affascinato dai Jindo e gli Shaido che sciamavano attorno ai carri, molti ancora con le lance e gli scudi. «Aiel» mormorò. «Non quello che mi sarei aspettato. Non riesco ancora a crederci.»
«Ormai mi trovo con loro da settimane» rispose Mat «e non sono certo nemmeno io di crederci. Strana gente. Se qualcuna delle Fanciulle ti chiedesse di giocare al ‘bacio della Fanciulla’, il mio consiglio è di rifiutare. Educatamente.»
Natael lo guardò con espressione interrogativa. «Sembra che tu conduca una vita intrigante.»
«Cosa vuoi dire?» chiese Mat cauto.
«Certamente non penserai che sia un segreto. Non molti uomini viaggiano in compagnia di... Aes Sedai. La donna Moiraine Damodred. E poi c’è Rand al’Thor. Il Drago Rinato. Colui che viene con l’Alba. Chi può dire quante profezie dovrebbe far compiere? Di certo un compagno di viaggio inusuale.»
Chiaramente gli Aiel avevano parlato. Chiunque lo avrebbe fatto. Eppure era un po’ sconvolgente sentire un estraneo che parlava con calma di Rand come faceva quell’uomo. «Per ora mi va bene. Se ti interessa, parla con lui. Io personalmente preferisco che non mi venga rammentato.»
«Forse lo farò, più tardi. Adesso parliamo di te. Mi sembra di aver capito che ti sei recato nel Rhuidean, dove nessuno, tranne gli Aiel, si è recato in tremila anni. L’hai presa lì?» Si protese verso la lancia che Mat aveva sulle ginocchia, ma la lasciò ricadere quando Mat la ritrasse leggermente.
«Molto bene, dimmi cosa hai visto.»
«Perché?»
«Sono un menestrello, Matrim.» Natael aveva reclinato la testa da un lato in quel modo sgradevole e la voce era irritata per il fatto di dover fornire spiegazioni. Sollevò un angolo del mantello con le pezze colorate come per mostrare una prova. «Hai visto qualcosa che nessuno ha mai visto prima, se non una manciata di Aiel. Quali storie potrò comporre con le cose che hanno visto i tuoi occhi? Farò un eroe di te, se lo desideri.»
Mat sbuffò. «Non voglio essere un maledetto eroe.»
Comunque non c’era motivo di mantenere il silenzio. Amys e il suo gruppo potevano anche avvisare di non parlare del Rhuidean, ma lui non era Aiel. Inoltre poteva essere utile avere fra gli ambulanti qualcuno ben disposto verso di lui, qualcuno che avrebbe potuto mettere una buona parola quando sarebbe servita.
Mat raccontò la storia da quando avevano raggiunto il muro di nebbia fino a quando ne erano usciti, tralasciando qualche particolare. Non aveva alcuna intenzione di raccontare di quel ter’angreal, la soglia ritorta, e avrebbe preferito dimenticare le creature di polvere che avevano cercato di ucciderlo. Quella strana città di enormi palazzi era di certo abbastanza, Avendesora compresa.
Natael sorvolò velocemente l’Albero della Vita, ma fece ripetere a Mat il resto diverse volte, chiedendo sempre più dettagli su cosa si provava camminando attraverso quella nebbia, quanto ci aveva impiegato a raggiungere la colorata luce senza ombre che era all’interno e la descrizione di ogni singola cosa Mat ricordasse della grande piazza al centro della città. Di questo Mat parlò con riluttanza; se fosse stato disattento si sarebbe ritrovato a parlare del ter’angreal, e a quel punto chissà a cosa avrebbe portato la conversazione... Anche così bevve l’ultimo goccio di birra calda e parlò fino a quando gli si seccò la gola. Da come lo raccontava sembrava tutto piatto, come se fosse entrato, avesse atteso che tornasse Rand e quindi fosse riuscito, ma Natael pareva intenzionato a scoprire ogni dettaglio. Allora gli ricordò Thom; a volte il menestrello si concentrava su di te come se intendesse prosciugarti.
«Quindi è questo che volevi fare?»
Mat sobbalzò involontariamente al suono della voce di Keille, duro sotto il tono mellifluo. La donna lo aveva portato al limite, e adesso sembrava pronta a strappare il cuore a lui e al menestrello.
Natael si alzò in piedi. «Questo giovanotto mi ha appena raccontato le cose più affascinanti sul Rhuidean. Non ci crederai.»
«Non siamo qui per il Rhuidean.» Le parole sgorgarono dure come il naso a forma di accetta. Almeno adesso guardava furiosa solo Natael.
«Ti dico...»
«Tu non mi dici nulla.»
«Non cercare di zittirmi!»
Ignorando Mat, si diressero verso i carri, discutendo a bassa voce e gesticolando come forsennati. Keille sembrava essere stata ridotta a un cupo silenzio quando scomparvero fra i carri.
Mat rabbrividì. Non riusciva a immaginare di condividere uno spazio abitabile con quella donna. Sarebbe stato come vivere con un orso con il mal di denti. Isendre... quel viso, quelle labbra, quella camminata ondeggiante. Se riusciva a farla allontanare da Kadere, forse avrebbe trovato un giovane eroe — le creature di polvere potevano essere alte tre metri per lei; le avrebbe rivelato ogni dettaglio che riusciva a ricordare o inventare — un affascinante giovane eroe, più consono per lei di un noioso ambulante. Valeva la pena di pensarci.
Il sole scese oltre l’orizzonte, e piccoli fuochi ricavati da rami spinosi crearono pozze di luce gialla fra le tende. L’odore di cucina riempì il campo; capra arrosto con peperoni secchi. Anche il freddo scese sul campo, il freddo della notte del deserto. Era come se il sole si fosse portato via con sé tutto il calore. Mat non avrebbe mai pensato di desiderare un mantello pesante quando aveva preparato il bagaglio per lasciare la Pietra. Forse gli ambulanti ne avevano uno. Forse Natael si sarebbe giocato il suo a dadi.
Mangiò al fuoco di Rhuarc con Heirn e Rand. E naturalmente Aviendha. Anche gli ambulanti erano presenti, Natael vicino a Keille e Isendre attaccata a Kadere. Separarla dal quell’uomo dal naso aquilino poteva essere più difficile di quanto aveva sperato — o più facile. Avvolta o no attorno al tizio, aveva occhi dolci per Rand e nessun altro. Pareva avergli già piazzato la targhetta all’orecchio, una pecora che apparteneva al suo gregge. Né Rand né Kadere sembravano notare il fatto. Il secondo non distoglieva quasi mai gli occhi dal primo. Aviendha invece notò e lanciò un’occhiata astiosa contro Rand. Almeno il fuoco emanava un po’ di calore.
Quando finirono la capra arrosto — e qualche tipo di fungo giallo picchiettato più saporito di quanto non sembrasse — Rhuarc e Heirn caricarono delle pipe dal cannello corto e il capoclan chiese a Natael di cantare.
Il menestrello batté le palpebre. «Ma certo. Certo. Aspetta che vado a prendere l’arpa.» Il mantello ondeggiò nella secca e fresca brezza mentre svaniva sul carro di Keille.
Il tizio di certo era differente da Thom Merrilin. Thom di rado lasciava il letto senza il flauto o l’arpa o entrambi. Mat caricò il tabacco nella pipa d’argento e stava fumando con soddisfazione quando Natael tornò e assunse una posizione degna di un re. Questo lo faceva anche Thom. Suonò un accordo e iniziò.
Dolci i venti, come dita di primavera.
Dolci le piogge, come lacrime del paradiso.
Dolci gli anni che trascorrevano felici,
che mai accennavano al sopraggiungere di tempeste,
che mai accennavano alla devastazione degli uragani,
pioggia d’acciaio e tuoni di battaglia,
una guerra che lacera il cuore.
Era Il passo di Midean. Una vecchia canzone, stranamente del Manetheren, su una guerra precedente le Guerre Trolloc. Natael l’aveva recitata bene; niente a che fare con la sonora recitazione di Thom, ma le parole risonanti avevano riunito una spessa folla di Aiel attorno al fuoco. Lo scellerato Aedomon aveva condotto i Saferi contro un ignaro Manetheren, saccheggiando e incendiando, fino a quando re Buiryn aveva riunito le forze del Manetheren che si erano scontrate contro i Saferi al passo di Midean, resistendo, anche se superati di numero, per tre giorni di battaglia implacabile, mentre il fiume si tingeva di rosso e gli avvoltoi annerivano il cielo. Durante il terzo giorno, con le forze che diminuivano e la speranza che svaniva, Buiryn e i suoi uomini combatterono una battaglia disperata attraverso il passo per una sortita, affondando nell’orda di Aedomon, cercando di respingere il nemico, uccidendo infine proprio Aedomon. Ma forze troppo potenti per essere sopraffatte li avevano circondati, intrappolandoli, cacciandoli sempre più indietro. Attorno al loro re e alla bandiera dell’Aquila Rossa, combatterono, rifiutando di arrendersi anche quando il loro fato era ormai chiaro.
Natael cantò di come il loro coraggio avesse toccato anche il cuore di Aedomon, che alla fine aveva lasciato liberi i superstiti, riportando l’esercito a Safer in loro onore.
Indietro attraverso le acque rosse,
marciando a testa alta.
Nessuna resa, braccio o spada,
nessuna resa, cuore o anima.
L’onore loro per sempre,
un onore che tutte le Epoche conosceranno.
Suonò l’ultimo accordo, e gli Aiel fischiarono in approvazione, battendo le lance sugli scudi, alcuni gridando.
Naturalmente non era andata a quel modo. Mat si ricordava — Luce, non voglio! pensò. Ma gli venne in mente lo stesso — si ricordava di aver consigliato a Buiryn di non accettare l’offerta, ricevendo in risposta che la più piccola delle possibilità era meglio di niente. Aedomon, con la barba nera lucente che spuntava dalla maglia d’acciaio sul volto, fece arretrare i lancieri, attese fino a quando i nemici uscirono ed erano quasi al passo prima che gli arcieri nascosti si alzassero e la cavalleria attaccasse. Per quanto riguarda tornarsene a Safer... Mat non ci credeva. L’ultimo ricordo che aveva del passo era che cercava di rimanere in piedi, immerso nel fiume fino alla vita e trafitto da tre frecce, ma c’era qualcosa di successivo, un frammento. Vedeva Aedomon, adesso con la barba grigia, cadere in un furioso combattimento in una foresta, giù dal cavallo impennato, colpito alla schiena con una lancia da un ragazzo sbarbato e senza armatura. Questo era peggio dei buchi nella memoria.
«Non ti è piaciuta la canzone?» chiese Natael.
Mat ci mise un momento per capire che stava parlando con Rand e non con lui. Rand si sfregò le mani, scrutando il piccolo fuoco prima di rispondere. «Non reputo molto saggio dipendere dalla generosità di un nemico. Cosa ne pensi, Kadere?»
L’ambulante esitò, guardando la donna che aveva al braccio. «Non penso a certe cose» rispose alla fine. «Penso ai profitti, non alle battaglie.» Keille rise rudemente. Fino a quando non vide il sorriso accondiscendente di Isendre rivolto a una donna che poteva farla a pezzi; allora gli occhi scuri brillarono pericolosamente dietro a quei rotoli di grasso.
Di colpo delle grida di all’erta si elevarono nell’oscurità oltre le tende. Gli Aiel si abbassarono i veli sul viso e un momento dopo i Trolloc fluirono fuori dalla notte, grugni e teste cornute, che torreggiavano sugli umani, ululando e agitando le spade ricurve a forma di falce, colpendo con lance e tridenti uncinati, squartando con le asce chiodate. Con loro c’erano anche i Myrddraal, come mortali serpenti senza occhi. Fu solo il tempo di un battito di cuore, ma gli Aiel combattevano come se fossero statati avvisati un’ora prima, fronteggiando la carica con le loro lance guizzanti.
Mat era appena consapevole di Rand con la lama di fuoco improvvisamente in mano, ma era stato risucchiato anche lui nel gorgo. Impugnava la lancia, insieme come lancia e bastone da combattimento, colpendo e affondando, con l’asta che mulinava. Per una volta era contento di quei ricordi-sogno; il modo di usare quest’arma gli sembrava familiare, e aveva bisogno di ogni conoscenza che riusciva a trovare. Era una follia caotica.
I Trolloc si presentavano davanti a lui e cadevano per mano della sua lancia, o di una aiel, o fuggivano nella confusione, o gridavano, ululavano e si battevano. Anche i Myrddraal lo affrontavano, le lame nere si scontravano con l’acciaio marchiato dai corvi, scatenando lampi di luce blu come fulmini sottili, lo affrontavano e scomparivano nel tumulto. Per due volte una lancia corta che gli passò sulla testa colpì dei Trolloc che stavano per attaccarlo alla schiena. Mat affondò la corta lama di spada nel petto di un Myrddraal, certo che sarebbe morto, quando questi al contrario non cadde, sorridendo con quelle labbra esangui, quello sguardo senza occhi che incuteva terrore e lo faceva tremare, e ritrasse la spada nera. Un istante dopo il Mezzo Uomo fu scosso mentre le frecce aiel lo trapassavano, giusto ciò di cui Mat aveva bisogno per balzare lontano dalla creatura, mentre cadeva ancora nel tentativo di colpirlo, di colpire qualsiasi cosa.
Per una dozzina di volte il manico nero duro come il ferro era riuscito a deviare di poco un affondo dei Trolloc. Era opera delle Aes Sedai e ne era grato. Il medaglione d’argento con la testa di volpe sembrava pulsare con il freddo come a ricordargli la stessa cosa, che aveva il marchio delle Aes Sedai. Ma in quel momento non gli importava; se serviva il lavoro delle Aes Sedai per mantenerlo in vita, era pronto a seguire Moiraine come un cagnolino.
Non avrebbe saputo dire se la battaglia andò avanti per minuti o ore, ma improvvisamente non c’erano più Myrddraal o Trolloc ancora in piedi, anche se grida e ululati provenienti dall’oscurità parlavano di inseguimento. Cadaveri e moribondi coprivano il suolo, Aiel e progenie dell’Ombra, i Mezzi Uomini che ancora si dibattevano. I lamenti riempivano l’aria di dolore. Di colpo Mat si accorse che si sentiva i muscoli liquefatti, e i polmoni in fiamme. Ansimando si mise in ginocchio, appoggiandosi alla lancia. Tre carri coperti di tela degli ambulanti adesso erano in fiamme — su una fiancata un conducente era stato inchiodato da una lancia Trolloc — e anche alcune tende bruciavano. Grida provenienti dal campo degli Shaido e bagliori troppo grandi per essere fuochi da campo dicevano che anche loro erano stati attaccati.
Con la lama di fuoco ancora in mano, Rand si recò nel punto in cui Mat era inginocchiato. «Stai bene?» Aviendha lo seguiva come un’ombra. Da qualche parte aveva trovato una lancia e uno scudo e aveva sollevato un angolo dello scialle per coprirsi il viso. Sembrava letale anche indossando la gonna.
«Oh, sto bene» mormorò Mat, alzandosi in piedi a fatica. «Niente è come una piccola danza con i Trolloc per prepararti a dormire. Giusto, Aviendha?» Scoprendosi il volto, la donna rivolse a Mat un sorriso teso. Probabilmente si era divertita. Era tutto sudato e pensò che il sudore gli si sarebbe ghiacciato addosso.
Moiraine ed Egwene erano apparse con due delle Sapienti, Amys e Bair, e si aggiravano tra i feriti. Le convulsioni della guarigione seguivano l’Aes Sedai, anche se a volte scuoteva solamente il capo e proseguiva.
Rhuarc si fece avanti con espressione tetra.
«Cattive notizie?» chiese Rand con calma.
Il capoclan sbuffò. «A parte la presenza di Trolloc quando non avrebbero dovuto essercene, se non a più di duecento leghe? Forse. Una cinquantina di Trolloc hanno attaccato il campo delle Sapienti. Abbastanza per sopraffarle, se non fosse stato per Moiraine Sedai e la fortuna. Comunque sembra che gli Shaido siano stati colpiti da un numero inferiore di Trolloc, anche se, visto che il loro campo è il più grande, avrebbe dovuto essere il contrario. Posso quasi pensare che sono stati attaccati per impedire che venissero in nostro aiuto. Non che lo avrebbero fatto con certezza, trattandosi di Shaido, ma i Trolloc e Coloro che Percorrono la Notte potevano non saperlo.»
«E se sapevano che con le Sapienti c’era un’Aes Sedai» aggiunse Rand «quell’attacco poteva servire a tenere lontana anche lei. Mi porto appresso i nemici, Rhuarc. Ricordatelo. Ovunque io sia, i miei nemici non sono mai lontani.»
Isendre sporse il capo fuori dal carro di guida. Un momento dopo Kadere ne uscì, e la donna si ritirò, chiudendo le porte dipinte di bianco alle spalle dell’uomo. Rimase in piedi a guardare la carneficina e le luci dei carri in fiamme che gli proiettavano ombre sul viso. Il gruppo attorno a Rand attirò maggiormente la sua attenzione. Non sembrava affatto interessato ai carri. Natael scese da quello di Keille, mentre parlava con la donna all’interno, ma con gli occhi fissi su Mat e gli altri.
«Sciocchi» mormorò Mat, quasi a se stesso. «Nascondersi nei carri, come se quello facesse differenza per un Trolloc. Avrebbero potuto essere facilmente bruciati.»
«Sono ancora vivi» osservò Rand, e si rese conto che li aveva visti anche lui. «Questo è sempre importante, Mat, chi rimane in vita. È come con i dadi. Non puoi vincere se non puoi giocare e non puoi giocare se sei morto. Chi può dire qual è il gioco degli ambulanti?» rise piano, e la spada di fuoco svanì dalle sue mani.
«Vado a dormire» rispose Mat, mentre già si voltava. «Svegliami se i Trolloc ritornano. O meglio, lascia che mi uccidano fra le coperte. Sono troppo stanco per svegliarmi.»
Rand stava definitivamente oltrepassando il limite. Forse gli eventi di stanotte avrebbero convinto Keille e Kadere a tornare indietro. Se lo facevano intendeva andare con loro.
Rand lasciò che Moiraine si prendesse cura di lui, borbottando, anche se non era stato colpito. Con così tanti feriti, non poteva usare la forza per togliergli la fatica usando l’Unico Potere.
«Questo era un attacco contro di te» osservò la donna, circondata dai lamenti dei feriti. I Trolloc venivano trascinati via nella notte, dai cavalli da soma e dai muli degli ambulanti. Gli Aiel sembravano intenzionati a lasciare i Myrddraal dov’erano fino a quando avessero smesso di muoversi, per essere certi che fossero davvero morti. Il vento si alzò, come ghiaccio privo di umidità.
«Lo era?» rispose Rand. Gli occhi di Moiraine brillarono alla luce del fuoco prima che ritornasse ai feriti.
Anche Egwene venne da lui, ma solo per dirgli con un basso e fiero sussurro: «Qualsiasi cosa tu stia facendo per turbarla, smettila!» Lo sguardo che lanciò ad Aviendha non lasciava dubbi riguardo a chi si riferisse, e andò ad aiutare Bair e Amys prima che Rand potesse rispondere che non aveva fatto nulla. Era ridicola con quelle due trecce e i fiocchi. Anche gli Aiel sembravano della stessa opinione, infatti alcuni le ridevano alle spalle.
Inciampando e rabbrividendo, Rand cercò la sua tenda. Non era mai stato così stanco prima d’ora. La spada quasi non si era materializzata. Sperava che fosse la stanchezza. A volte non c’era nulla quando si protendeva verso la Fonte e a volte il Potere non faceva ciò che lui voleva, ma quasi dall’inizio la spada arrivava sempre senza che ci pensasse. Adesso più che in ogni altro momento... doveva essere la stanchezza.
Aviendha aveva insistito per seguirlo fino alla tenda, e quando il mattino seguente si svegliò, lei era seduta fuori a gambe incrociate. Senza lancia e scudo. Spia o meno, era contento di vederla. Almeno sapeva chi e cosa fosse, e cosa provasse per lui.