19 Danzatore delle Onde

La carrozza laccata e splendente ondeggiò fino a fermarsi ai piedi del molo dietro a una pariglia di quattro cavalli grigi mentre il sole dorato era appena sopra l’orizzonte, quindi il dinoccolato conducente con i capelli scuri e la giubba a strisce nere e oro aprì lo sportello. Sul pannello non vi era alcun sigillo, naturalmente: i nobili tarenesi prestavano aiuto alle Aes Sedai solamente se costretti; non importa quanti sorrisi espansivi facevano, nessuno voleva il proprio nome o casata legato alla Torre.

Elayne scese senza attendere Nynaeve, sistemandosi il mantello di lino blu da viaggio; le strade del Maule erano solcate da carri e calessi, e le molle di cuoio della carrozza non erano molto buone. Una brezza che soffiava dal fiume Erinin sembrava fresca dopo il caldo della Pietra. Elayne non voleva mostrare le conseguenze della rozza cavalcata, ma una volta a terra non poté fare a meno di massaggiarsi la schiena. Almeno la pioggia della scorsa notte ha evitato che si alzasse la polvere, pensò. Sospettava che fosse stata intenzionalmente fornita loro una carrozza senza tendine .

A nord e a sud, da altri moli si estendevano camminamenti di pietra nel fiume. L’aria odorava di catrame e corda, pesce, spezie e olio di oliva, di cose innominabili che marcivano nell’acqua stagnante fra i moli e strani frutti giallo-verdi e lunghi in grossi caschi ammassati davanti al magazzino di pietra alle sue spalle. Malgrado fosse presto, gli uomini indossavano degli sparati di cuoio sulle spalle nude e si affrettavano ovunque, portando grossi fagotti, le schiene piegate, o che spingevano carriole piene di barili o di ceste. Nessun le rivolse più di un’occhiata imbronciata, abbassando immediatamente gli occhi scuri, i riccioli toccati a malincuore; la maggior parte nemmeno alzò la testa. Vedere una tal cosa la rattristò.

Questi nobili tarenesi hanno gestito malamente il loro popolo. Maltrattati era una parola più consona. Ad Andor si sarebbe aspettata sorrisi di accoglienza e parole rispettose di benvenuto, rivolle liberamente da uomini eretti che conoscevano il proprio valore come il suo. Era quasi abbastanza per far sì che si pentisse di essere andata via. Era stata educata al comando, un giorno avrebbe governato un popolo fiero e adesso sentiva l’urgenza di insegnare a questa gente un po’ di dignità. Ma quello era il lavoro di Rand, non il suo. E se non lo fa come si deve, gli dirò cosa ne penso. In modo considerevole, si disse. Almeno aveva iniziato, seguendo i suoi consigli. E doveva ammettere che Rand sapeva come trattare il suo popolo. Sarebbe stato interessante vedere il suo operato quando avrebbe fatto ritorno. Se quel momento arriverà, aggiunse mentalmente.

Una dozzina di imbarcazioni era chiaramente visibile da dove si trovava e altre dietro di queste, ma una, ormeggiata verso la fine del molo che aveva di fronte, con la prua affilata, le riempiva gli occhi. Il perlustratore del Popolo del Mare era lungo almeno cento passi, largo la metà del seguente battello in vista e con tre grandi alberi che torreggiavano a metà della nave, uno più corto sul ponte sollevato a poppa. Era già stata in precedenza su qualche imbarcazione, ma mai così grande e mai per mare. Già solo il nome dei proprietari della nave parlava di terre lontane e strani porti. Gli Atha’an Miere. Il Popolo del Mare. Le storie esotiche contenevano sempre il Popolo del Mare, a meno che non fossero sugli Aiel.

Nynaeve scese dalla carrozza alle sue spalle, legandosi il mantello verde da viaggio sotto al collo e borbottando fra sé e con il conducente. «Fatta ruzzolare come una gallina in un uragano! Battuta come un tappeto impolverato! Come sei riuscito a trovare ogni solco e buco fra qui e la Pietra, buon uomo? Bisognava davvero essere bravi. Peccato che non sei altrettanto bravo a manovrare i cavalli.» L’uomo cercò di aiutarla a scendere, con il viso sottile imbronciato, ma Nynaeve rifiutò l’aiuto.

Sospirando, Elayne raddoppiò l’ammontare di centesimi d’argento che stava estraendo dal sacchetto. «Grazie per averci trasportate velocemente e in modo sicuro.» Sorrise mettendogli le monete in mano. «Ti abbiamo detto di andare veloce e hai fatto quello che ti avevamo chiesto. Le strade non sono colpa tua e hai fatto un ottimo lavoro in pessime condizioni.»

Senza guardare le monete, il tipo le rivolse un profondo inchino e uno sguardo grato, mormorando: «Grazie, mia signora» tanto per le parole quanto per i soldi, ne era certa. Elayne aveva scoperto che una parola gentile e qualche complimento erano usualmente ben accetti come l’argento, se non di più. Anche se comunque difficilmente l’argento non veniva apprezzato.

«Che la Luce vi doni un viaggio sicuro, mia signora» aggiunse. Il battito di una palpebra in direzione di Nynaeve diceva che l’augurio era solamente per Elayne. Nynaeve doveva imparare come farsi degli alleati e tenere in considerazione gli altri; doveva proprio farlo.

Dopo aver passato loro fagotti e oggetti vari scaricandoli dalla carrozza, il conducente fece girare la pariglia e si avviò. Nynaeve aggiunse a malincuore: «Non avrei dovuto prendermela con quell’uomo, immagino. Un uccello non sarebbe riuscito a trovare una via facile per quelle strade. Non su una carrozza, in nessun modo. Ma dopo aver rimbalzato tutto il tempo mi sentivo come se fossi stata in groppa a un cavallo per una settimana.»

«Non è colpa sua se ti fa male... la schiena» rispose Elayne con un sorriso per togliere la parte pungente, mentre raccoglieva le sue cose.

Nynaeve scoppiò a ridere. «L’ho detto, vero? Non ti aspetterai che gli corra appresso per chiedere scusa, mi auguro. Quella manciata d’argento che gli hai dato dovrebbe lenire qualsiasi ferita che non sia mortale. Devi davvero imparare a essere più cauta con i soldi, Elayne. Non abbiamo le risorse del reame di Andor a nostra disposizione. Una famiglia potrebbe vivere confortevolmente con quello che elargisci a chiunque fa il lavoro per cui è stato pagato.» Elayne le rivolse un quieto sguardo indignato — Nynaeve sembrava sempre pensare che dovevano vivere peggio dei servitori a meno che non ci fosse motivo di fare altrimenti, invece che il contrario, come era logico — ma la donna più grande non sembrava accorgersi di quell’espressione che metteva sempre le guardie sull’attenti. Invece Nynaeve raccolse i fagotti e la robusta sacca degli abiti, voltandosi verso il molo. «Almeno su questa nave faremo un viaggio più confortevole. Mi auguro. Saliamo a bordo?»

Mentre si avviavano lungo il molo, fra uomini che lavoravano, barili ammucchiati e carri carichi di beni, Elayne disse: «Nynaeve, la gente del Popolo del Mare può essere permalosa finché non ti conosce, o almeno, così mi è stato insegnato. Pensi che potresti provare ad avere un po’ più di...?»

«Più di cosa?»

«Tatto, Nynaeve.» Elayne perse il passo quando qualcuno sputò sul molo di fronte a lei. Non c’era modo di dire chi fosse stato; quando si voltò stavano tutti a testa bassa e lavoravano sodo. Maltrattati o no dai Sommi signori, gli avrebbe rivolto alcune parole taglienti che il colpevole non avrebbe dimenticato presto, se lo avesse trovato. «Per una volta potresti provare a usare un po’ di tatto.»

«Naturalmente.» Nynaeve si incamminò sul ponte di imbarco con i corrimano di corda. «Finché non mi sballotteranno.»

Il primo pensiero di Elayne nel raggiungere il ponte era che il perlustratore sembrava molto stretto per la sua lunghezza; non sapeva molto di navi a dire il vero, ma a lei pareva una grossa scheggia. Oh, Luce, questa cosa oscillerà peggio della carrozza, per quanto possa essere grande, pensò. Il secondo pensiero lo rivolse alla ciurma. Aveva sentito delle storie sugli Atha’an Miere, ma non li aveva mai visti prima. Anche le storie non dicevano molto, per la verità. Gente riservata che si faceva gli affari propri, misteriosi quasi quanto gli Aiel. Solo le terre oltre il deserto potevano essere più strane, e tutto ciò che la gente sapeva di loro era che il Popolo del Mare da quei luoghi riportava avorio e seta.

Questi Atha’an Miere erano scuri, scalzi, tutti sbarbati, con i capelli neri lunghi e lisci e le mani tatuate, si muovevano con la certezza di quelli che conoscono il proprio incarico abbastanza bene da poterlo fare a occhi chiusi. C’era una certa grazia ondeggiante nei loro movimenti, come se, anche con la nave ferma, ancora sentissero il moto del mare. La maggior parte portava attorno al collo catene d’oro o d’argento, anelli alle orecchie, a volte due o tre per lato, alcuni con delle pietre lucide.

C’erano donne fra la ciurma, nello stesso numero degli uomini, che tiravano corde e le avvolgevano assieme a loro, con le stesse mani tatuate, gli stessi pantaloni a sbuffo di un qualche scuro tessuto oleato stretti in vita da colorate fusciacche e aperti sui fianchi. Ma le donne indossavano anche bluse colorate, tutte di accesi rossi, blu e verdi, e avevano almeno altrettante catene e orecchini come gli uomini. Incluso, notò Elayne con una certa sorpresa, due o tre donne con degli anellini in una narice.

La grazia delle donne superava grandemente quella degli uomini e fece venire in mente a Elayne alcune storie sentite da bambina mentre ascoltava quando non avrebbe dovuto. Le donne degli Atha’an Miere erano, in quelle storie, la personificazione del fascino e della tentazione, inseguite da tutti gli uomini. Le donne su questa nave non erano più belle di altre, ma guardandole muoversi, poteva crederci.

Due donne, sul ponte sollevato a poppa, non erano chiaramente parte della ciurma. Anche loro erano scalze e gli abiti avevano lo stesso taglio, ma di seta, uno blu, l’altro verde. La più grande della coppia, quella in verde, portava quattro anelli d’oro per ogni orecchio e uno nella narice sinistra, tutti lavorati per risplendere alla luce mattutina. Una catenella sottile andava dall’anello al naso all’orecchino, supportando una fila di piccoli medaglioni d’oro pendenti e a una delle catene attorno al collo era appesa una scatolina d’oro traforata, come un pezzo di merletto, che di tanto in tanto sollevava per annusare. L’altra donna, più alta, aveva solamente sei orecchini in tutto, e meno medaglioni. La scatola traforata che aveva era dello stesso oro fine. Davvero esotiche. Elayne sussultò al solo pensiero dell’anello al naso. E quella catena!

Qualcosa di strano riguardo al ponte di poppa colse la sua attenzione, ma all’inizio non riusciva a dire cosa. Non c’era l’asta per il timone. Uno strano tipo di ruota raggiata si trovava fra le donne, legata in modo da non ruotare, ma non c’era l’asta del timone. Come fanno a governare la barca? si chiese. Anche la più piccola imbarcazione fluviale che avesse visto mai ne aveva uno. Li aveva visti su tutte le navi allineate ai moli vicini. Questo Popolo del Mare diventava sempre più misterioso.

«Ricordati cosa ti ha detto Moiraine» la ammonì mentre si avvicinavano al ponte di poppa. Non era molto; anche le Aes Sedai sapevano poco degli Atha’an Miere. Moiraine però aveva dispensato le frasi di rito; le cose che andavano dette per comportarsi educatamente. «E ricordati di usare il tatto» aggiunse con un bisbiglio.

«Me ne ricorderò» rispose dura Nynaeve. «Posso essere delicata.» Elayne sperava davvero che così fosse.

Le due donne del Popolo del Mare le aspettavano in cima alla scalinata — scala a pioli, si disse Elayne, anche se si trattava sempre di scale. Non capiva perché sulle navi gli oggetti comuni avevano altri nomi. Un pavimento era un pavimento, in un fienile, in una locanda o in un palazzo. Perché non su una nave? Una nuvola di profumo circondava le due donne, un odore leggermente muschiato che saliva dalla scatolina d’oro lavorato. I tatuaggi sulle loro mani erano stelle e uccelli marini circondati da ricci e creste stilizzate di onde marine.

Nynaeve inclinò il capo. «Mi chiamo Nynaeve al’Meara, Aes Sedai dell’Ajah Verde. Sto cercando la Maestra delle Vele di questa imbarcazione e un passaggio, se vuole la Luce. Questa è la mia compagna di viaggio e amica, Elayne Trakand, anche lei Aes Sedai dell’Ajah Verde. Che la Luce illumini voi e il vostro veliero e mandi i venti ad aumentare la sua velocità.» Era quasi esattamente il modo in cui Moiraine aveva detto loro di parlare. Non di Aes Sedai dell’Ajah Verde — Moiraine sembrava rassegnata a quel concetto più di chiunque altro e divertita dalla loro scelta dell’Ajah — ma il resto.

La donna più grande, con tocchi di grigio fra i capelli scuri e sottili rughe agli angoli dei larghi occhi marroni, chinò la testa altrettanto formalmente. Malgrado ciò sembrò squadrarle dalla testa ai piedi, specialmente il Gran Serpente che entrambe indossavano sulla mano destra. «Mi chiamo Coine din Jubai Vento Selvaggio, Maestra delle Vele del Danzatore delle Onde. Questa è Jorin din Jubai Ala Bianca, sorella di sangue e Cercavento del Danzatore delle Onde. Potrebbe esserci spazio disponibile, se vuole la Luce. Che la Luce vi illumini, e vi faccia giungere in salvo alla fine del viaggio.»

Era sorprendente che le due fossero sorelle. Elayne vedeva la somiglianza, ma Jorin sembrava molto più giovane. Sperava che avrebbero avuto a che fare con la Cercavento; entrambe le donne avevano le stesse riserve, ma qualcosa della Cercavento le ricordava Aviendha. Naturalmente era assurdo. Queste donne non erano più alte di lei, la carnagione non era diversa da quella delle donne aiel e la sola arma che entrambe avevano in vista era un grosso coltello infilato nella fusciacca che sembrava opera di un artigiano malgrado le incisioni e gli intarsi di fili d’oro sull’impugnatura. Ma Elayne non poteva fare a meno di sentire una similitudine di qualche tipo fra Jorin e Aviendha.

«Allora parliamo, Maestra delle Vele, se puoi» rispose Nynaeve, seguendo la formula di Moiraine «di viaggi per mare, porti e del dono di un passaggio.» Il Popolo del Mare non si faceva pagare il trasporto, secondo Moiraine; era un regalo, che veniva barattato con un dono dello stesso valore.

Coine distolse lo sguardo, quindi rivolse gli occhi a poppa verso la Pietra e la bandiera bianca che sventolava sopra di essa. «Parleremo nella mia cabina, Aes Sedai, se puoi.» Fece un cenno verso un boccaporto aperto alle spalle della strana ruota. «La mia nave vi dà il benvenuto e la grazia della Luce splenda su di voi finché non lascerete questi ponti.»

Un’altra scala stretta — una scalinata — guidò in basso in una stanza pulita, più larga e più alta di quanto Elayne si fosse aspettata dalla sua esperienza su imbarcazioni più piccole, con gli oblò lungo la poppa e le lampade dorate attaccate alle pareti. Quasi tutto sembrava essere stato costruito nella stanza tranne alcune casse laccate di diverse misure. Il letto era largo e basso, proprio sotto l’oblò della poppa, e un tavolino stretto circondato da poltrone si trovava nel centro della stanza.

Le cose non erano ammassate. Delle mappe arrotolate erano appoggiate sul tavolo, alcune sculture d’avorio che rappresentavano strani animali si trovavano su scaffali con le ringhierine e una mezza dozzina di spade con la lama snudata di diverse dimensioni, alcune che Elayne non aveva mai visto prima, erano appoggiate a ganci fissati alla parete. Uno strano gong squadrato lavorato insolitamente pendeva da una trave sopra il letto, mentre proprio prima dell’oblò di poppa, quasi avesse un posto d’onore, un elmetto era appoggiato su una testa di legno priva di lineamenti creata per quello scopo, un elmetto come la testa di qualche mostruoso insetto, laccata di rosso e verde, con una sottile piuma bianca da entrambi i lati, e rotto.

L’elmetto Elayne lo riconobbe. «Seanchan» esclamò prima di pensare. Nynaeve le rivolse uno sguardo irritato, meritatamente; erano rimaste d’accordo che sarebbe stato sensato e più realistico se Nynaeve, in quanto più grande, avesse preso il comando e svolto la maggior parte della conversazione. «Li conoscete?» chiese la Maestra delle Vele. «Naturalmente. Ci si aspetta che le Aes Sedai conoscano queste cose. Così lontano a est sentiamo decine di storie, ma le più vere sono vere solo la metà.»

Elayne sapeva di dover lasciare la conversazione a quel punto, ma la curiosità le solleticò la lingua. «Come sei venuta in possesso dell’elmetto? Se posso chiedere.»

«Il Danzatore delle onde si è imbattuto in un’imbarcazione seanchan lo scorso anno» rispose Coine. «Volevano prenderlo, ma io non volevo rinunciarci.» Si strinse leggermente nelle spalle. «Ho l’elmetto come ricordo e che il mare si prenda i Seanchan, che la Luce abbia pietà di tutti quelli che navigano. Non mi avvicinerò un’altra volta a un vascello con le vele a coste.»

«Siete state fortunate» rispose bruscamente Nynaeve. «I Seanchan tengono prigioniere le donne che possono incanalare e le usano come armi. Se ne avessero avuta una su quella nave, rimpiangereste anche di averla solamente vista.»

Elayne le fece una smorfia, anche se era ormai troppo tardi. Non riusciva a capire se le donne del Popolo del Mare erano offese dal tono di Nynaeve. La coppia mantenne la stessa espressione neutra, ma Elayne stava incominciando a realizzare che non mostravano molto sui visi, comunque non alle estranee.

«Parliamo del passaggio» proseguì Coine. «Se la Luce vuole, potremmo fermarci dove desiderate andare. Tutte le cose sono possibili, nella Luce. Sediamoci.»

Le sedie attorno al tavolo non scivolarono indietro; sedie e tavolo erano fissati al pavimento... ponte. Invece i braccioli erano basculanti e si aprivano come ali, quindi tornavano a posto una volta che ci si era seduti. Questa organizzazione sembrò confermare la peggiore previsione di Elayne su sollevamenti e rollii. Lei se la cavava molto bene, ma troppo rollio su un vascello fluviale aveva messo a soqquadro lo stomaco di Nynaeve. Nell’oceano doveva essere peggio che su un fiume, per quanto potesse essere selvaggio il vento, e peggio stava lo stomaco di Nynaeve, peggiore ne diveniva l’umore. Nynaeve che vomitava e, per giunta, in collera; c’erano poche cose più temibili, nell’esperienza di Elayne.

Lei e Nynaeve sedevano assieme a un lato del tavolo, con la Maestra delle Vele e la Cercavento alle estremità. All’inizio era sembrato strano, finché non si rese conto che in quel modo una delle due poteva studiare inosservata chiunque stesse parlando. Trattano sempre in questo modo con i passeggeri, o è perché siamo Aes Sedai? Be’, perché credono che lo siamo, si chiese. Era pura cautela pensare che tutto poteva non essere semplice come avevano sperato, con questa gente. Si augurava che Nynaeve ne stesse tenendo conto.

Elayne non aveva visto nessun ordine passare, ma una giovane donna slanciata, con un solo orecchino per parte, apparve con un vassoio dalle maniglie di ottone sul quale erano appoggiate una teiera e grosse tazze prive di manico, non di porcellana del Popolo del Mare, come ci si poteva aspettare, ma spesse terraglie. Più difficili da rompere con il maltempo, concluse tetra. Fu la giovane donna che attirò la sua attenzione, e quasi esclamò. Era nuda fino alla cintola, proprio come gli uomini sul ponte. Lei aveva nascosto bene lo stupore, pensava, ma Nynaeve tirò forte su con il naso.

La Maestra delle Vele attese che la ragazza terminasse di versare il tè infuso fino a diventare nero, quindi disse: «Abbiamo salpato, Dorele, quando non vedevo? Non c’è terra in vista?»

La donna snella arrossì furiosa. «C’è terra, Maestra delle Vele.» Era un sussurro miserabile.

Coine annuì. «Finché ci sarà terra in vista e ce ne sarà per un intero giorno, lavorerai a pulire le sentine, dove gli indumenti sono di impedimento. Puoi andare via.»

«Sì, Maestra delle Vele» rispose la ragazza, anche più dolorosamente. Si voltò, sciogliendo la fusciacca rossa demoralizzata mentre attraversava la porta in fondo alla stanza.

«Condividete questo tè, se volete,» le invitò la Maestra delle Vele «affinché possiamo parlare in pace.» Sorseggiò il proprio tè e proseguì mentre Elayne e Nynaeve assaggiavano il loro. «Vi prego di perdonare qualsiasi offesa, Aes Sedai. È il primo viaggio di Dorele che non sia fra le isole. I giovani dimenticano spesso i modi dei terricoli. La punirò ulteriormente, se lo avete ritenuto un affronto.»

«Non ce n’è bisogno» intervenne Elayne velocemente, cogliendo lo spunto per appoggiare la tazza. Il tè era anche più forte di quanto sembrasse, molto caldo, senza qualcosa per addolcirlo e molto amaro. «Davvero, nessuna offesa. Ci sono usanze diverse fra gente diversa.» Che la Luce voglia che non siano troppo diverse! Luce, che facciamo se non indossano affatto indumenti una volta in alto mare? Luce! pensò.

«Solamente uno sciocco si offende per usanze diverse dalle proprie.»

Nynaeve la guardò piatta, abbastanza calma per le Aes Sedai che stavano fingendo di essere, e bevve dalla tazza. Tutto ciò che disse fu: «Vi prego, non pensateci più.» Non era possibile dire se si stesse riferendo a Elayne o alle donne del Popolo del Mare.

«Allora parleremo del passaggio, se volete.» rispose Coine. «Verso quale porto desiderate navigare?»

«Tanchico» rispose Nynaeve, un po’ più vivacemente di quanto avrebbe dovuto. «So che forse non avete intenzione di navigare lì, ma abbiamo bisogno di muoverci velocemente, come solamente un perlustratore può fare, e senza fermate intermedie, se è possibile. Vi offro un piccolo regalo, per l’inconveniente.» Estrasse un foglio dal sacchetto appeso alla cintura e lo spiegò, spingendolo sul tavolo verso la Maestra delle Vele.

Moiraine aveva dato loro la carta e una lettera dei diritti. Ognuna permetteva al portatore di prelevare fino a tremila corone d’oro da banchieri e strozzini nelle varie città, anche se era improbabile che uno qualsiasi di quegli uomini o donne sapessero che si trattava di denaro della Torre Bianca. Elayne aveva stralunato gli occhi nel vedere la cifra — Nynaeve aveva aperto la bocca — ma Moiraine aveva detto che poteva essere utile per far saltare alla Maestra delle Vele i porti dove voleva fare scalo.

Coine toccò la lettera dei diritti con un dito e la lesse. «Una somma considerevole per un passaggio,» mormorò «anche considerando che mi chiedi di modificare i miei piani di viaggio. Sono più sorpresa ora di prima. Sapete che molto di rado diamo passaggi alle Aes Sedai sulle nostre imbarcazioni. Di tutti quelli che chiedono passaggi, alle Aes Sedai possiamo dire di no e lo facciamo quasi sempre, dal primo giorno della prima navigazione. Le Aes Sedai lo sanno, per cui non lo chiedono quasi mai.» Guardava nella tazza, non verso di loro. Ma Elayne volse lo sguardo dall’altra parte e colse la Cercavento che studiava le loro mani appoggiate al tavolo. No, gli anelli.

Moiraine non ne aveva fatto parola, aveva scelto il perlustratole come la più veloce imbarcazione disponibile e le aveva incoraggiare a farne uso. Però aveva dato loro queste lettere dei diritti. Probabilmente avrebbero potuto comperare una flotta di navi come questa con quella somma. Be’, almeno alcune. Perché sapeva che ci sarebbe voluta quella somma per convincerle a trasportarci? si chiese. Ma perché lo aveva tenuto segreto? Una domanda sciocca; Moiraine aveva sempre dei segreti. Ma perché far sprecar loro del tempo?

«Intendi rifiutarci il passaggio?» Nynaeve aveva abbandonato il tatto per la franchezza. «Se non trasporti le Aes Sedai, perché ci hai fato scendere quaggiù? Perché non ce lo hai detto quando eravamo sul ponte per farla finita subito?»

La Maestra delle Vele sganciò un bracciolo della sedia, si alzò e andò a osservare fuori dalla finestra di poppa verso la Pietra. Gli orecchini e i medaglioni sulla guancia sinistra brillarono nella luce del sole nascente. «Può manipolare l’Unico Potere, così ho sentito dire, e ha la spada che non può essere toccata. Gli Aiel hanno scavalcato il Muro del Drago al suo richiamo; ne ho visti alcuni per le strade, e si dice che la Pietra ne sia piena. La Pietra di Tear è caduta, e la guerra dirompe fra le nazioni della terra. Quelli che una volta governavano sono tornati e sono stati respinti per la prima volta. La Profezia si è compiuta.»

Nynaeve sembrava confusa come Elayne a questo cambio di soggetto. «Le Profezie del Drago?» chiese Elayne dopo un momento. «Sì, si sono compiute. È il Drago Rinato, Maestra delle Vele.» È un uomo ostinato che nasconde i propri sentimenti così profondamente che non posso trovarli, ecco cos’è! pensò Elayne adirata.

Coine si voltò. «Non le Profezie del Drago, Aes Sedai, le Profezie Jendai, le profezie del Coramoor. Non quella che aspettate e temete; quella che noi cerchiamo, che preannuncia una nuova Era. Quando avvenne la Frattura del Mondo i nostri avi si rifugiarono nella salvezza del mare, mentre la terra si sollevava e spaccava come le onde di una tempesta marina. Si narra che non conoscessero nulla delle navi con cui fuggirono, ma la Luce era con loro e sopravvissero. Non videro terra fino a quando non fu di nuovo integra, e da allora molte cose sono cambiate. Tutto il mondo è andato alla deriva sull’acqua e sul vento. Fu negli anni seguenti che si parlò per la prima volta della Profezia Jendai. Dobbiamo errare per le acque finché il Coramoor non farà ritorno e quindi servirlo.

«Siamo legati al mare; l’acqua salata scorre nelle nostre vene, la maggior parte di noi non mette piede a terra se non per aspettare un’altra nave, un altro viaggio. Uomini forti piangono quando devono prestare servizio in terra. Le donne a terra salgono sulle navi per partorire — anche una barca a remi, se non c’è altro a disposizione — perché dobbiamo nascere sull’acqua, come anche morire e venire restituiti all’acqua una volta defunti.

«La Profezia è compiuta. Egli è il Coramoor. Le Aes Sedai lo servono. Voi ne siete una prova, il fatto che vi troviate qui, in questa città. Anche questo fa parte della Profezia. ‘La Torre Bianca si spezzerà in suo nome, e le Aes Sedai si inginocchieranno per lavargli e asciugargli i piedi con i capelli’.»

«Aspetterai un bel pezzo se pensi di vedermi lavare i piedi di un qualsiasi uomo» rispose Nynaeve sarcasticamente. «Cosa ha a che fare tutto questo con il nostro passaggio? Ci porterete o no?»

Elayne sussultò, ma la Maestra delle Vele rispose con altrettanta franchezza. «Perché volete andare a Tanchico? In questo momento è un porto sgradevole dove sbarcare. Sono approdata lì lo scorso inverno. La gente di terra quasi sciamò sul mio veliero alla ricerca di un passaggio, ovunque. Non gli importava, purché fosse lontano da Tanchico. Non posso credere che le condizioni adesso siano migliori.»

«Interrogate sempre i vostri passeggeri in questo modo?» chiese Nynaeve. «Vi ho offerto abbastanza per comperare un villaggio. Due villaggi! Se ne vuoi di più, dimmi il prezzo.»

«Non un prezzo» le sibilò Elayne in un orecchio. «Un dono!»

Se Coine si era offesa o aveva sentito, non lo dava a vedere. «Perché?»

Nynaeve serrò la presa sulla treccia, ma Elayne le appoggiò una mano sul braccio. Avevano progettato di mantenere qualche segreto a loro volta, ma di certo avevano appreso abbastanza da quando si erano sedute per alterare un qualsiasi piano. C’era un momento per la segretezza e uno per la verità. «Stiamo dando la caccia all’Ajah Nera, Maestra delle Vele. Crediamo che alcune di loro si nascondano a Tanchico.» Incontrò lo sguardo arrabbiato di Nynaeve con calma. «Dobbiamo trovarle, altrimenti potrebbero fare del male... al Drago Rinato. Al Coramoor.»

«Che la Luce protegga il nostro viaggio fino all’approdo» sussurrò la Cercavento. Era la prima volta che parlava, ed Elayne la fissò sorpresa. Era accigliata e non guardava nessuno, ma parlò alla Maestra delle Vele. «Possiamo portarle, sorella mia. Dobbiamo.» Coine annuì.

Elayne scambiò occhiate con Nynaeve e vide le sue stesse domande riflesse negli occhi dell’altra donna. Perché era stata la Cercavento a decidere? Perché non la Maestra delle Vele? Era lei il capitano, o qualunque fosse il suo titolo. In fondo alla fine avevano ottenuto il passaggio. Per quanto? si chiese Elayne. Quanto dovrà essere grande il ‘regalo’? Desiderava che Nynaeve non avesse rivelato che avevano più di quanto era menzionato in quella lettera dei diritti. E mi ha accusata di sprecare il denaro! pensò.

La porta si aprì e un uomo dalle spalle ampie con i capelli grigi, brache lente di seta verde e fusciacca entrò, scartabellando dei fasci di carte. Aveva quattro orecchini per lato e tre pesanti catene d’oro appese al collo, inclusa una con la scatola per il profumo. Una lunga cicatrice corrugata gli scendeva sulla guancia e aveva due pugnali infilati nella fusciacca che gli conferivano un’aria in qualche modo pericolosa. Stava fissando una insolita struttura di filo metallico sull’orecchio per mantenere due lenti chiare davanti agli occhi. Il Popolo del Mare costruiva i migliori occhiali e lenti per accendere i fuochi e cose simili, da qualche parte sull’isola, ma Elayne non aveva mai visto nulla di simile a quel congegno. L’uomo osservò le carte attraverso le lenti e iniziò a parlare senza guardare in alto.

«Coine, questo sciocco è disposto a darmi cinquecento pelli di volpe delle nevi di Kandor per quei tre piccoli barili di tabacco dei Fiumi Gemelli che ho preso a Ebou Dar. Cinquecento! Può farcele avere per domani a mezzogiorno.» Sollevò gli occhi e sussultò. «Perdonami, moglie mia. Non sapevo che avessi ospiti. Che la Luce sia con voi tutte.»

«Per mezzogiorno, marito mio,» rispose Coine «starò discendendo il fiume. Per la notte sarò in mare.»

L’uomo s’irrigidì. «Sono ancora il Mastro del Cargo, moglie mia, o il mio posto è stato preso da altri mentre non vedevo?»

«Sei sempre Mastro del Cargo, marito mio, ma gli scambi adesso devono essere interrotti e dobbiamo iniziare i preparativi per partire. Veleggeremo verso Tanchico.»

«Tanchico!» Stropicciò le carte che aveva in mano, e riprese il controllo di sé. «Moglie mia... no! Maestra delle Vele, mi hai detto che il prossimo porto era Mayene, quindi a est verso Shara. Ho commerciato con questo piano in mente. Shara, Maestra delle Vele, non Tarabon. Ciò che ho nella stiva mi farà guadagnare poco a Tanchico. Forse nulla! Posso chiedere perché il mio commercio dovrebbe essere rovinato e il Danzatore delle onde impoverito?»

Coine esitò, ma quando parlò la voce era ancora formale. «Io sono la Maestra delle Vele, marito mio. Il Danzatore delle onde veleggia quando e dove decido io. Per adesso dovrebbe essere abbastanza.»

«Come dici tu, Maestra delle Vele» rispose alterato. «Così sia.» Si toccò il cuore — Elayne pensò che Coine avesse un sussulto — e uscì con la schiena rigida come uno degli alberi della nave.

«Dovrò farmi perdonare per questo» mormorò Coine, fissando la porta. «Naturalmente, è piacevole fare pace con lui. Come al solito. Mi ha salutata come un mozzo, sorella mia.»

«Ci dispiace essere la causa dei problemi, Maestra delle Vele» intervenne Elayne con cautela. «E ci dispiace aver assistito a questa discussione. Se abbiamo causato imbarazzo a chiunque, ti prego di accettare le nostre scuse.»

«Imbarazzo?» Coine sembrava stupita. «Aes Sedai, io sono la Maestra delle Vele. Dubito che la vostra presenza abbia imbarazzato Toram, e non mi scuserei con lui per quello anche se fosse vero. Il commercio è suo, ma io sono Maestra delle Vele. Devo farmi perdonare — e non sarà facile, visto che devo mantenere segreta la ragione ancora per un po’ — perché ha ragione, e non ho potuto pensare abbastanza in fretta per trovare un motivo e quindi mi sono comportata duramente. Quella cicatrice sul viso se l’è guadagnata cacciando via i Seanchan dal ponte del Danzatore delle onde. Ha cicatrici più vecchie, ottenute difendendo la mia nave, e grazie ai suoi commerci a me basta allungare la mano per ricevere oro. Sono le cose che non posso dirgli che mi spingono a volere che mi perdoni, perché merita di sapere.»

«Non capisco,» osservò Nynaeve «noi ti chiederemmo di tenere segreta l’informazione sull’Ajah Nera...» lanciò un’occhiata severa a Elayne, una che prometteva parole dure una volta da sole; anche Elayne intendeva rivolgergliene alcune, sul significato della parola tatto «... ma di certo tremila corone sono una ragione più che sufficiente per portarci a Tanchico.»

«Devo mantenere segreta la vostra identità, Aes Sedai. Ciò che siete e il motivo per cui viaggiate. Molti fra la ciurma considerano le Aes Sedai sinonimo di sfortuna. Se sapessero che non solo trasportiamo due Aes Sedai, ma verso un porto dove altre Aes Sedai potrebbero essere al servizio del Padre delle Tempeste... la grazia della Luce risplenda su noi, che nessuno sia abbastanza vicino da sentire che mi rivolgo a voi con quell’appellativo. Lo riterreste offensivo se vi chiedessi di stare il più possibile sottocoperta e di non indossare gli anelli quando salite sul ponte?»

In risposta Nynaeve si tolse l’anello con il Gran Serpente e lo lasciò cadere nel sacchetto. Elayne fece lo stesso, con un po’ più di riluttanza; le piaceva che la gente vedesse l’anello. Non fidandosi a questo punto che Nynaeve rimanesse in carica per la parte diplomatica, parlò prima che l’altra donna potesse farlo. «Maestra delle Vele, ti abbiamo offerto un dono per il passaggio, se ti aggrada. Se non è così, potrei chiedere cosa vorresti?»

Coine tornò al tavolo per guardare nuovamente la lettera dei diritti, quindi la restituì a Nynaeve. «Lo faccio per il Coramoor. Farò in modo che giungiate sane e salve a terra, se la Luce vuole. Sarà fatto.» Si portò le dita della mano destra alle labbra. «Siamo d’accordo, per la Luce.»

Jorin emise un verso soffocato. «Sorella mia, è mai successo che un Mastro del Cargo si sia ammutinato contro la volontà della sua Maestra delle Vele?»

Coine le rivolse un’occhiata uniforme. «Ci penserò io a offrire il regalo dalla mia riserva personale. E se mai Toram dovesse venirlo a sapere, sorella mia, ti manderò in sentina con Dorele. Forse come zavorra.»

Fu chiaro che le due donne del Popolo del Mare avessero abbandonato le formalità quando la Cercavento scoppiò a ridere di cuore. «Allora il prossimo porto sarebbe Chachin, sorella mia, o Caemlyn, perché non riusciresti a trovare le acque senza di me.»

La Maestra delle Vele si rivolse a Elayne e Nynaeve con rammarico. «Per trattarvi in modo decoroso, Aes Sedai, visto che servite il Coramoor, dovrei onorarvi come farei con un’altra Maestra delle Vele o Cercavento di un’altra imbarcazione. Dovremmo fare il bagno insieme e bere vino al miele, raccontandoci storie per ridere e piangere. Ma devo avviare i preparativi per salpare e...»

Il Danzatore delle onde si sollevò a onorare il proprio nome, saltando, rimbalzando contro il bacino. Elayne balzava avanti e indietro nella sua sedia, chiedendosi mentre procedevano se questo fosse davvero meglio che essere gettate sul ponte.

Quindi a un certo punto tutto finì, i salti rallentarono diventando sempre più piccoli.

Coine si alzò in piedi e corse verso la scala, con Jorin alle calcagna, gridando già gli ordini per controllare eventuali danni alla carena.

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