«È quello il tipo di donna che ti piace?» chiese Aviendha piena di disprezzo.
Rand la guardò mentre camminava vicino alla staffa di Jeade’en con la gonna ingombrante e lo scialle marrone avvolto due volte attorno al capo. I grandi occhi verdi dardeggiarono verso di lui e sembrò che Aviendha desiderasse avere ancora la lancia usata durante l’attacco dei Trolloc, per la quale le Sapienti l’avevano rimproverata.
A volte lo metteva a disagio, la donna che camminava mentre lui cavalcava, e i piedi di Rand erano grati per la presenza del cavallo. Di rado — molto di rado — era riuscito a farla cavalcare con lui, usando come scusa il torcicollo che gli stava venendo per parlare con lei laggiù. Alla fine scoprì che andare a cavallo non era esattamente contro le usanze, piuttosto era fonte di disprezzo perché non si usavano le proprie gambe come mezzo di trasporto. Una risata di qualsiasi Aiel, in particolar modo una Fanciulla, anche un semplice sguardo, era abbastanza per farla smontare come un fulmine.
«È tenera, Rand al’Thor, debole.»
Si voltò indietro verso il carro a forma di scatola che si trovava in testa alla carovana degli ambulanti, che avanzava come un serpente nel territorio sabbioso e crepato, ora scortato nuovamente da Fanciulle Jindo.
Isendre stava a cassetta con Kadere e il conducente, seduta in braccio all’ambulante con la testa appoggiata sulla sua spalla mentre lui teneva un piccolo parasole di seta per fare ombra — anche a se stesso — dal sole che picchiava. Anche con una giubba bianca Kadere continuava a detergersi il viso scuro con un grosso fazzoletto, molto più colpito dal sole della ragazza, con il lucido abito aderente abbinato al parasole. Rand non era abbastanza vicino da esserne sicuro, ma pensava che gli occhi scuri fossero puntati su di lui attraverso il velo trasparente avvolto attorno alla testa e davanti al viso. E non sembrava che a Kadere importasse.
«Non credo che Isendre sia tenera» rispose tranquillo Rand sistemandosi lo shoufa attorno al capo, che effettivamente lo proteggeva dal sole cocente. Si era opposto alla proposta di indossare altri indumenti aiel, non importa quanto fossero più indicati per quel clima della giubba di lana rossa. Qualunque fosse il suo sangue, qualunque fossero i marchi sulle braccia, non era un Aiel e non lo avrebbe preteso. Qualsiasi cosa dovesse fare poteva appigliarsi a quel minimo di decenza. «No, non direi.»
Sul sedile del conducente del secondo carro c’erano la grassa Keille e il menestrello, Natael, che discutevano nuovamente. Le redini erano in mano al secondo, anche se non conduceva bene come l’uomo che solitamente svolgeva il lavoro. A volte anche loro guardavano Rand, sguardi veloci prima di ritornare al loro bisticcio. Ma in fondo lo facevano tutti. La lunga colonna di Jindo dall’altro lato, le Sapienti alle sue spalle, con Moiraine, Egwene e Lan. Fra i più distanti si vedeva la fitta linea di Shaido che sembrava stessero anche loro dirigendosi verso di lui. Non ne fu particolarmente sorpreso. Rand era Colui che viene con l’Alba. Tutti volevano sapere cosa avrebbe fatto. Lo avrebbero scoperto abbastanza presto.
«Tenera» grugnì Aviendha. «Elayne non lo è. Tu appartieni a Elayne, non dovresti fare gli occhi dolci a quella tipa dalla pelle lattea.» Aviendha scosse fieramente il capo borbottando fra sé. «I nostri modi l’hanno scioccata. Non poteva accettarli. Perché dovrebbe importarmi se lo fa? Non voglio prendere parte a tutto questo! Non può essere! Se potessi, ti prenderei come gai’shain e ti consegnerei a Elayne!»
«Perché Isendre dovrebbe accettare i sistemi aiel?»
Lo sguardo a occhi sgranati che Aviendha gli rivolse era così stupito che Rand si mise quasi a ridere. La donna divenne immediatamente cupa come se lui avesse fatto qualcosa per farla infuriare. Capire le donne aiel non era certo più facile rispetto alle altre.
«Tu certamente non sei tenera, Aviendha.» Avrebbe dovuto prenderlo come un complimento, la donna a volte era ruvida come una pietra per affilare. «Spiegami ancora questa cosa della padrona di casa. Se Rhuarc è il capoclan dei Taardad e capo della Fortezza di Rocce Fredde, come mai la fortezza appartiene alla moglie e non a lui?»
Aviendha lo guardò furiosa per un altro momento, muovendo le labbra mentre imprecava prima di rispondere. «Perché lei è la padrona di casa, testa dura di un abitante delle terre bagnate. Un uomo non può possedere un’abitazione non più di quanto può possedere le sue terre! A volte voi abitanti delle terre bagnate parlate come dei selvaggi.»
«Ma se Lian è la padrona di casa perché è la moglie di Rhuarc...»
«Questo è diverso! Vuoi capirlo sì o no? Lo capisce anche un bambino!» Respirando profondamente Aviendha si sistemò lo scialle attorno al viso. Sarebbe stata una donna graziosa, se non lo avesse guardato tutto il tempo quasi avesse commesso qualche crimine contro di lei. Quale potesse essere, non ne aveva idea. Bair dai capelli bianchi, il viso rugoso e più riluttante che mai a parlare del Rhuidean, alla fine gli aveva detto controvoglia che Aviendha non era stata fra le colonne di vetro, non lo avrebbe fatto fino a quando non fosse stata pronta a diventare Sapiente. Allora perché lo odiava? Era un mistero al quale avrebbe gradito un risposta.
«La affronterò diversamente» tuonò Aviendha rivolgendosi a Rand. «Quando una donna sta per sposarsi, se non possiede già un’abitazione, la sua famiglia gliene costruisce una. Il giorno delle nozze il marito la porta via sulle spalle dalla sua famiglia, con i fratelli che trattengono le sorelle, ma poi la depone davanti alla porta e le chiede il permesso di entrare. L’abitazione è sua. Lei può...»
Queste lezioni erano state la cosa più piacevole degli undici giorni trascorsi dopo l’attacco dei Trolloc. Non che Aviendha inizialmente avesse voglia di parlare, a parte un’ulteriore tirata sul suo presunto cattivo trattamento riservato a Elayne e più tardi un’altra imbarazzante lezione per convincerlo che Elayne era la donna perfetta. Non prima che Rand avesse detto a Egwene durante una conversazione che se Aviendha non voleva parlargli, desiderava che smettesse almeno di fissarlo. Entro un’ora giunse un gai’shain vestito di bianco a chiamare Aviendha.
Qualsiasi cosa le avessero detto le Sapienti, ritornò fremente per chiedere — chiedere! — di potergli insegnare le usanze e i costumi degli Aiel. Senza dubbio nella speranza che rivelasse qualcosa dei suoi piani in base alle domande che poneva. Dopo le sottigliezze da serpente di Tear, la chiara intenzione delle Sapienti di spiarlo era confortante. In ogni caso era saggio che imparasse tutto il possibile e parlare con Aviendha poteva in realtà essere piacevole, specialmente quando lei sembrava dimenticare che lo odiava, qualsiasi fosse il motivo. Naturalmente quando si accorgeva che avevano iniziato a parlare come due persone invece che come sequestratore e sequestrata, aveva la tendenza a esplodere come se lui l’avesse attirata in qualche trappola.
Eppure anche a quel modo le loro conversazioni erano piacevoli, in confronto al resto del viaggio. Aveva anche cominciato a trovare divertenti gli accessi di collera della donna, anche se era abbastanza saggio da non dirglielo. Se vedeva un uomo che odiava, almeno era troppo presa per vedere Colui che viene con l’Alba o il Drago Rinato. Solamente Rand al’Thor. E sapeva qual era l’opinione di Aviendha nei suoi confronti. Non come Elayne, che con una lettera gli aveva fatto arroventare le orecchie e con un’altra, scritta lo stesso giorno, lo aveva portato a chiedersi se nel frattempo non gli fossero cresciute le zanne e le corna come un Trolloc.
Min era la sola donna che avesse incontrato a non avergli avvolto lo spirito in un gomitolo. Ma lei si trovava alla Torre — almeno era al sicuro — e quello era un posto che intendeva evitare. A volte pensava che la vita sarebbe stata più semplice se avesse potuto dimenticarsi del tutto delle donne. Ora Aviendha aveva incominciato a entrare nei suoi sogni, come se Min ed Elayne non fossero già abbastanza. Quelle donne gli riducevano le emozioni in nodi e adesso aveva bisogno di avere la testa sgombra. Sgombra e fredda.
Si accorse che stava di nuovo guardando Isendre. La donna gli fece un cenno da dietro la testa di Kadere, era certo che quelle labbra floride si fossero incurvate in un sorriso. Oh, sì. Pericolose. Devo essere freddo e duro come l’acciaio. Affilato come l’acciaio, si disse.
Undici giorni — e notti — che volgevano al dodicesimo e nulla era cambiato. Giorni e notti di strane formazioni rocciose, pietre dalla cima piatta, sporgenze che emergevano da una terra crepata, attraversata da montagne che sembravano sistemate a caso. Giorni di sole cocente e vento rovente, notti di freddo gelido. Qualsiasi cosa crescesse sembrava avere spine o aculei, certe piante se le toccavi ti procuravano un prurito tremendo. Aviendha gli aveva spiegato che alcune erano velenose e quella lista sembrava più lunga di quella delle commestibili. La sola acqua disponibile sgorgava da fonti nascoste o serbatoi, però gli aveva mostrato alcune piante che indicavano la presenza di un’infiltrazione d’acqua nel terreno, abbastanza da mantenere in vita uno o due uomini, e altre che masticate rilasciavano un liquido aspro.
Una notte i leoni uccisero due cavalli da soma degli Shaido; ruggirono nell’oscurità mentre venivano cacciati dalle loro prede per svanire nelle gole. Un conducente di carro aveva disturbato un piccolo serpente marrone mentre stavano mettendo su il campo durante la quarta notte. Aviendha più tardi gli aveva spiegato che lo chiamavano due passi, e il rettile aveva dato conferma di quel nome. Il tipo aveva gridato e provato a fuggire verso i carri anche se aveva visto che Moiraine si affrettava ad andargli incontro, ma cadde al secondo passo, morto prima che l’Aes Sedai potesse smontare dalla giumenta bianca. Aviendha gli elencò una lista di serpenti, ragni e lucertole velenosi. Lucertole velenose! Una volta ne scovò una per lui, lunga sessanta centimetri e grossa, con delle righe gialle che si snodavano sopra le scaglie bronzee. Bloccandola con un piede protetto dal morbido stivale infilò il pugnale nella grande testa della bestia, quindi la sollevò per fargli vedere con chiarezza il fluido oleoso che colava da una fila di denti affilati. Una ‘gara’, gli aveva spiegato, poteva perforare anche gli stivali, e addirittura uccidere un toro. Naturalmente altre erano peggio. La ‘gara’ era lenta e non pericolosa, a meno che qualcuno non fosse così stupido da calpestarla. Quando lanciò via la grossa lucertola il giallo e il bronzo delle scaglie si confusero con l’argilla crepata. Oh, sì. Limitati a non essere così stupido da calpestarla.
Moiraine trascorreva il tempo in parte con le Sapienti e in parte con Rand. tentando di solito, alla maniera delle Aes Sedai, di costringerlo a rivelarle i suoi piani. «La Ruota tesse come vuole,» gli aveva spiegato proprio quella mattina, con voce fredda e calma, il viso senza età sereno, ma gli occhi scuri caldi mentre lo fissava da sopra la testa di Aviendha, «ma uno sciocco può strangolarsi nel Disegno. Fai attenzione a non tessere un cappio per il tuo collo.» Moiraine aveva acquistato un mantello chiaro, quasi bianco come quelli dei gai’shain, che risplendeva al sole, e sotto l’ampio cappuccio indossava una sciarpa bianca umida avvolta attorno al capo.
«Non creerò alcun cappio per il mio collo» rise Rand, e l’Aes Sedai fece voltare Aldieb così velocemente che la giumenta atterrò quasi Aviendha, ritornando al galoppo nel gruppo delle Sapienti con il mantello che le sventolava alle spalle.
«È stupido far arrabbiare un’Aes Sedai» mormorò Aviendha strofinandosi una spalla. «Non credevo che fossi stupido.»
«Vedremo se lo sono oppure no» le rispose, non avendo più voglia di ridere. Stupido? C’erano alcuni rischi che doveva prendere. «Staremo a vedere.»
Egwene si allontanava raramente dalle Sapienti, camminando spesso con loro oltre che cavalcando Nebbia, a volte facendo salire una di loro in groppa alla giumenta grigia per un po’. Rand aveva capito che l’amica stava facendosi passare per Aes Sedai. Amys, Bair, Seana e Melaine sembrarono accettarlo con la stessa prontezza dei Tarenesi, ma non allo stesso modo. A volte una o l’altra delle Sapienti discutevano con lei a voce così alta che Rand riusciva quasi a capire cosa stessero dicendo anche se si trovavano a più di cento passi di distanza. Erano quasi gli stessi modi che usavano con Aviendha, anche se sembrava che con quest’ultima cercassero solo di essere prepotenti piuttosto che discutere, e a volte sembrava che discutessero anche con Moiraine. Specialmente Melaine.
La decima mattina finalmente Egwene smise di portare i capelli acconciati con quelle due trecce, e fu la cosa più strana. Le Sapienti parlarono a lungo con lei, isolate, mentre i gai’shain piegavano le tende e Rand stava sellando Jeade’en. Se non l’avesse conosciuta bene, avrebbe pensato che il capo chino di Egwene fosse un tentativo di mostrarsi remissiva, ma quella parola poteva essere usata con lei solo se confrontata con la sua amica Nynaeve. E forse Moiraine. Egwene batté le mani di colpo, ridendo e abbracciando ognuna delle Sapienti a turno prima di disfare le trecce.
Quando chiese ad Aviendha cosa stesse succedendo — era rimasta seduta fuori la sua tenda per tutto il tempo — lei mormorò acida: «Hanno deciso che è cresciuta» poi si interruppe bruscamente e rivolgendogli uno sguardo inespressivo a braccia conserte, proseguì con voce più fredda: «Sono affari delle Sapienti, Rand al’Thor. Chiedi a loro se lo desideri, ma preparati a sentirti rispondere che sono affari che non ti riguardano.»
Cosa era cresciuto a Egwene? I capelli? Non aveva senso. Aviendha non volle aggiungere un’altra parola riguardo all’argomento, invece raschiò un pezzo di lichene grigiastro da una roccia e iniziò a spiegargli come curare le ferite con quella poltiglia. La donna stava imparando a comportarsi come una Sapiente troppo velocemente per i suoi gusti. Le Sapienti vere e proprie gli prestavano poca attenzione, ma chiaramente non ne avevano bisogno con Aviendha, per così dire, appollaiata sulla sua spalla.
Gli altri Aiel, almeno i Jindo, diventavano ogni giorno meno freddi, forse leggermente meno a disagio con ciò che Colui che viene con l’Alba significava per loro, ma Aviendha era la sola che gli parlasse. Ogni sera Lan lo raggiungeva per gli esercizi con la spada e Rhuarc per insegnargli a usare la lancia e quella strana forma di combattimento con mani e piedi. Il Custode conosceva vagamente quella tecnica e si unì alle lezioni. La maggior parte degli altri evitava Rand, specialmente i conducenti dei carri che avevano scoperto che si trattava del Drago Rinato, un uomo che poteva incanalare. Quando coglieva uno di quegli uomini dal volto duro che lo guardava, sembrava che il tizio stesse guardando il Tenebroso in persona. Non Kadere o il menestrello, però.
Quasi ogni mattina quando partivano, l’ambulante cavalcava uno dei muli dei carri che i Trolloc avevano incendiato, il viso anche più scuro per via della sciarpa bianca avvolta attorno al capo che gli ricadeva sulle spalle. Con Rand era diffidente e gli occhi freddi che non cambiavano mai espressione facevano davvero sembrare il naso adunco il becco di un’aquila.
«Mio lord Drago» aveva iniziato a dire la mattina dopo l’attacco, quindi si deterse il sudore dal viso con l’onnipresente fazzoletto, cambiando posizione a disagio sulla vecchia sella consumata che aveva trovato da qualche parte per il mulo. «Posso chiamarti in questo modo?»
I resti carbonizzati di tre carri stavano diminuendo in lontananza verso sud, e con loro le tombe di due conducenti di Kadere e molti Aiel. I Trolloc erano stati trascinati via dai campi e lasciati per gli spazzini del deserto, grosse creature uggiolanti — Rand non sapeva se fossero grosse volpi o piccoli cani, sembravano un po’ entrambi — e avvoltoi con le ali bordate di rosso, alcuni che ancora roteavano in cielo quasi avessero paura di atterrare nella mischia sottostante.
«Chiamami come vuoi» rispose Rand.
«Mio lord Drago. Ho pensato a ciò che hai detto ieri» Kadere si guardò attorno come se temesse di essere sentito, ma Aviendha stava con le Sapienti, e la carovana di carri si trovava a cinquanta o più passi di distanza.
In ogni caso l’uomo abbassò la voce quasi fino a bisbigliare e si asciugò il viso nervosamente, anche se gli occhi non cambiarono mai espressione. «Quello che hai detto sulle conoscenze che sono di valore, che pavimentano la via della grandezza. È vero.»
Rand lo guardò a lungo senza battere ciglio, mantenendo il viso inespressivo. «Lo hai detto tu, non io» rispose alla fine.
«Be’, forse l’ho fatto, ma è vero, no, mio lord Drago?»
Rand annuì e l’ambulante proseguì sempre sussurrando, con gli occhi che ancora controllavano che nessuno origliasse. «Eppure possono anche annidarsi dei pericoli nella conoscenza. Quando si dà più di quanto si riceve. Un uomo che vende la conoscenza non deve solamente avere un prezzo, ma anche delle difese. Assicurazioni e sicurezza contro eventuali... ripercussioni. Non sei d’accordo?»
«Sei al corrente di cose che vuoi... vendere, Kadere?»
Il grosso uomo guardò corrucciato la carovana. Keille era scesa per camminare malgrado il caldo crescente, vestita di bianco con uno scialle di merletto bianco fissato fra i capelli ruvidi e scuri con dei pettinini d’avorio. Lanciava frequenti occhiate ai due uomini che cavalcavano affiancati, l’espressione era illeggibile da quella distanza. Sembrava ancora strano vedere qualcuno così grosso muoversi con tanta leggerezza. Isendre stava seduta a cassetta con il conducente del primo carro e lo guardava più apertamente, sporgendosi dall’angolo del carro dipinto di bianco che ondeggiava e sussultava.
«Quella donna potrebbe significare la mia morte» mormorò Kadere. «Forse possiamo riparlarne più tardi, mio lord Drago, se vuoi.» Spronando duramente il mulo trottò verso il carro di testa e salì a cassetta con sorprendente agilità, legando le redini del mulo a un anello di ferro del grande carro a forma di scatola. Lui e Isendre scomparvero all’interno, e non uscirono che a notte.
Kadere tornò il giorno dopo e altre volte che vide Rand da solo, sempre accennando a conoscenze che poteva vendere al giusto prezzo se venivano allestite le difese opportune. Una volta arrivò a dire che qualsiasi cosa — omicidio, tradimento, tutto — poteva essere perdonata in cambio di informazioni e sembrò sempre più nervoso quando Rand non si mostrò d’accordo. Qualsiasi cosa volesse vendere, pareva cercasse la protezione di Rand per ogni misfatto avesse potuto compiere.
«Non so se voglio comperare informazioni» gli disse Rand più di una volta. «C’è sempre il fatto del prezzo, giusto? Alcuni prezzi che potrei non voler pagare.»
Natael aveva preso Rand da parte quella prima mattina, dopo che furono accesi i fuochi e l’odore di cucina cominciò a fluttuare fra le tende basse. Il menestrello sembrava nervoso quanto Kadere. «Ti ho pensato molto» disse osservando Rand di traverso, con il capo reclinato da un lato. «Dovrebbe essere scritta una grande epica per narrare le tue gesta. Il Drago Rinato. Colui che viene con l’Alba. L’uomo di chissà quante profezie. In quest’Epoca e altre.» Si strinse a sé il mantello e le pezze colorate ondeggiarono al vento. Il crepuscolo nel deserto durava poco, la notte e il freddo giungevano velocemente e assieme. «Cosa provi nei confronti del destino profetizzato che ti aspetta? Devo saperlo se devo comporre un’epica.»
«Provare?» Rand si guardò attorno nel campo, osservava i Jindo che si muovevano fra le tende. Quanti sarebbero morti prima che avesse finito? «Stanco, mi sento stanco.»
«Non è proprio un’emozione eroica» mormorò Natael. «Ma prevedibile, visto il tuo destino. Il mondo è sulle tue spalle, la maggior parte della gente ti ucciderebbe volentieri se ne avesse la possibilità, il resto sono sciocchi che pensano di usarti, di guidarti verso il potere e la gloria.»
«A quale gruppo appartieni tu, Natael?»
«Io? Sono un semplice menestrello.» L’uomo sollevò un angolo del mantello coperto di pezze colorate come prova. «Non vorrei prendere il tuo posto per tutto l’oro del mondo, non con il destino che lo accompagna. Morte o follia, o entrambe. ‘Il suo sangue sulle rocce di Shayol Ghul...’ Si tratta del Ciclo Karaethon, le Profezie del Drago, giusto? Dover morire per salvare degli sciocchi che tireranno un sospiro di sollievo alla tua morte. No, non lo accetterei per tutto il potere che hai e per ben di più.»
«Rand,» lo chiamò Egwene sbucando dall’oscurità crescente, avvolta nel mantello chiaro con il cappuccio sollevato, «siamo venute a controllore come stai dopo la guarigione e una giornata trascorsa in questo caldo.» Con lei c’era Moiraine, il viso nascosto nelle profondità del cappuccio e Bair, Amys, Melaine e Seana, tutte con le teste coperte dagli scialli scuri, che lo guardavano calme e fredde come la notte. Anche Egwene. Non aveva ancora l’aspetto privo di età delle Aes Sedai, ma ne aveva gli occhi. All’inizio non aveva notato Aviendha appresso alle altre. Per un attimo gli sembrò di vederle una certa compassione in volto, ma se c’era stata, era svanita non appena si era accorta che la guardava. Immaginazione. Era stanco.
«In un altro momento» disse Natael parlando con Rand ma guardando le donne in quel modo particolare. «Parleremo in un altro momento.» Rivolgendo loro il più piccolo degli inchini, si allontanò. «Il futuro ti irrita, Rand?» chiese con calma Moiraine quando il menestrello fu andato via. «Le Profezie hanno un linguaggio fiorito e misterioso. Non significano sempre ciò che sembrano.»
«La Ruota tesse come vuole» aggiunse Rand. «Farò quello che devo. Ricordatelo, Moiraine. Farò quello che devo.» La donna sembrò soddisfatta, ma con le Aes Sedai era difficile dirlo e non sarebbe stata contenta quando avrebbe scoperto tutto.
Natael ritornò il mattino successivo, il seguente e quello dopo ancora, sempre parlando dell’epica che avrebbe composto, ma mostrò una vena morbosa, cercando di scoprire come Rand intendesse affrontare la follia e la morte. La sua storia doveva essere una tragedia, a quanto sembrava. Rand certamente non aveva voglia di snudare le sue paure, quel che aveva in cuore e in testa poteva rimanere sepolto lì. Alla fine sembrò che il menestrello sì fosse stancato di sentirlo dire «farò quello che devo» e smise di venirlo a trovare. Sembrava non voler comporre un’epica a meno che non potesse riempirla di emozioni dolorose. L’uomo sembrò frustrato quando si allontanò per l’ultima volta, con il mantello che gli sventolava furiosamente alle spalle.
Quel tipo era strano, ma basandosi su Thom Merrilin, lo erano tutti i menestrelli. Natael certamente ne mostrava altre caratteristiche. Innanzi tutto, come gli altri, aveva un’opinione molto elevata di sé. A Rand non importava se l’uomo usava dei titoli con lui, ma Natael si rivolgeva a Rhuarc e a Moiraine, le poche volte che si avvicinava loro, come se fossero suoi pari. Quello era Thom alla perfezione. E smise anche di esibirsi per i Jindo incominciando a trascorrere quasi ogni sera con gli Shaido. C’erano più Shaido, spiegò a Rhuarc, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Un pubblico più vasto. La cosa non piacque a nessuno dei Jindo, ma non c’era nulla che Rhuarc potesse farci. Nella Terra delle Tre Piegature a un menestrello era permesso quasi tutto, a parte l’omicidio, senza essere accusato.
Aviendha trascorreva le notti con le Sapienti e a volta camminava con loro per circa un’ora durante il giorno, con le donne tutte riunite attorno a lei, anche Moiraine ed Egwene. All’inizio Rand pensava che la stessero consigliando su come gestirlo, come fargli dire quello che volevano. Poi un giorno, con il sole alto, una palla di fuoco grossa come un cavallo si materializzò davanti al gruppo delle Sapienti e scomparve rotolando, divampando e scavando un solco sul terreno secco, fino a quando finalmente si ridusse e scomparve.
Alcuni conducenti di carri tirarono le redini dei cavalli spaventati per fermarsi a guardare, chiamandosi fra loro in un misto di paura, confusione e bestemmie grossolane. Fra i Jindo si accesero dei mormorii e anche loro guardarono, come gli Shaido, ma le due colonne di Aiel continuarono a muoversi fermandosi a malapena. Era fra le Sapienti che la vera eccitazione era evidente. Le quattro si erano strette attorno ad Aviendha, sembrava che parlassero tutte contemporaneamente, agitando considerevolmente le braccia. Moiraine ed Egwene, che guidavano i loro cavalli, cercarono di intervenire. Anche senza sentire, Rand sapeva che Amys aveva detto loro senza mezzi termini, agitando un dito ammonitore, di restarne fuori.
Fissando il canale annerito che si dipanava per mezzo chilometro, Rand si mise nuovamente a sedere in sella. Insegnare ad Aviendha a incanalare. Ma certo. Era questo che stavano facendo. Si deterse il sudore dalla fronte con il dorso della mano, ma il sole non aveva niente a che fare con l’evento. Quando quella palla di fuoco era apparsa, si era istintivamente proteso verso la Vera Fonte. Ma era stato come cercare di raccogliere dell’acqua con un setaccio rovinato. Tutti i suoi tentativi di afferrare saidin avrebbero benissimo potuto essere tentativi di afferrare l’aria. Un giorno poteva succedergli quando aveva disperatamente bisogno del Potere. Anche lui doveva imparare e non aveva insegnanti. Doveva farlo non solo perché il Potere lo avrebbe ucciso prima che dovesse preoccuparsi di non impazzire, doveva imparare perché doveva usarlo. Imparare a usarlo, usarlo per imparare. Incominciò a ridere così forte che alcuni dei Jindo lo guardarono a disagio.
Avrebbe gradito la compagnia di Mat in un qualsiasi momento durante quelle undici notti, ma Mat non gli si era mai avvicinato per più di un minuto o due, con il cappello a falde larghe ben calcato in testa per proteggersi gli occhi dal sole, la lancia dal manico nero appoggiata sul pomello della sella di Pips con il suo strano marchio dei corvi e la punta generata dal Potere, come una corta lama ricurva.
«Se ti abbronzi ancora un po’, diventerai davvero un Aiel» gli diceva a volte ridendo, oppure: «Intendi trascorrere qui il resto della tua vita? C’è un mondo intero dall’altro lato del Muro del Drago. Vino? Donne? Ricordi queste cose?»
Ma Mat sembrava chiaramente a disagio ed era anche più riluttante delle Sapienti a parlare del Rhuidean, o di cosa era accaduto in quel luogo. Al solo sentire il nome della città immersa nella nebbia stringeva le mani sull’asta nera e dichiarava di non ricordarsi nulla del viaggio nel ter’angreal, quindi proseguiva, contraddicendosi: «Non entrarci, Rand. Non è come l’altra nella Pietra, per niente. Imbrogliano. Che io sia folgorato, vorrei non averlo visto mai!»
La sola volta che Rand nominò la lingua antica, Mat scattò: «Che tu sia folgorato, non so nulla della maledetta lingua antica!» e se ne tornò al galoppo verso i carri degli ambulanti.
Era là che Mat trascorreva la maggior parte del tempo, giocando a dadi con i conducenti — fino a quando non si accorgevano che Mat vinceva molo più spesso di quanto non perdesse, non importa quali dadi si usassero — facendo a ogni occasione lunghe chiacchierate con Kadere o Natael e corteggiando Isendre. Era chiaro cosa avesse in mente dalla prima volta che le sorrise sistemandosi il cappello, la mattina seguente l’attacco dei Trolloc. Le parlava quasi ogni sera per quanto poteva e si punse così malamente raccogliendo fiori bianchi da un cespuglio di rovi che per due giorni riuscì appena a tenere le redini, ma si rifiutò di permettere a Moiraine di guarirlo. Isendre non lo incoraggiava veramente, ma il suo lento sorriso appassionato non era nemmeno pensato per mandarlo via. Kadere aveva visto e non aveva detto una parola, anche se a volte con gli occhi seguiva Mat come un avvoltoio. Altri commentarono.
Più tardi nel pomeriggio mentre i muli venivano sciolti, le tende montate e Rand stava togliendo la sella a Jeade’en, Mat si trovò con Isendre alla misera ombra di uno dei carri coperti di tela. Erano molto vicini. Scuotendo il capo Rand guardò mentre guidava il pezzato. Il sole era basso all’orizzonte e delle alte guglie lanciavano lunghe ombre sul campo.
Isendre giocherellava con il velo diafano come se stesse pigramente pensando di rimuoverlo, sorridendo, le labbra mezze imbronciate, pronta per un bacio. Incoraggiato, Mat sorrise sicuro e si avvicinò ulteriormente. La ragazza fece ricadere la mano scuotendo lentamente il capo, ma quel sorriso invitante non svanì. Nessuno di loro aveva sentito avvicinarsi Keille, dal passo così leggero malgrado la mole.
«È questo ciò che vuoi, buon signore? Lei?» La coppia balzò al suono di quella voce melliflua e la donna rise musicalmente, cosa altrettanto strana su quel viso. «Ho un affare da proporti, Matrim Cauthon. Un marco di Tar Valon ed è tua. Una smorfiosa come quella non può valerne più di due, per cui è chiaramente un affare.»
Mat fece una smorfia desiderando di trovarsi da qualsiasi altra parte ma non lì.
Isendre invece si voltò lentamente verso Keille, un gatto di montagna che affrontava un orso. «Ti stai prendendo troppe libertà, vecchia» mormorò, gli occhi duri sopra il velo sottile. «Non tollererò ulteriormente la tua malalingua. Fai attenzione. O forse desideri restare qui nel deserto?»
Keille sorrise ma il divertimento non toccò mai gli occhi di ossidiana che brillavano sopra le guance grasse. «Lo faresti?»
Annuendo decisa, Isendre aggiunse: «Un marco di Tar Valon.» La voce era glaciale. «Farò in modo che tu ne abbia uno quando ci lascerai. Mi piacerebbe solo vederti mentre cerchi di berlo.» Rivolgendole le spalle si incamminò verso il carro di testa, senza ancheggiare affatto, e svanì all’interno.
Keille la guardò, il viso tondo dall’espressione illeggibile, finché la porta bianca non si chiuse, quindi di colpo si voltò verso Mat, che era sul punto di scivolare via. «Pochi uomini hanno rifiutato una mia offerta una volta, molto meno due volte. Dovresti fare attenzione che non decida di fare qualcosa a riguardo.» Ridendo protese una mano e gli pizzicò la guancia con le dita grasse, abbastanza forte da farlo sussultare, quindi si girò verso Rand. «Diglielo, mio lord Drago. Ho la sensazione che tu ne sappia qualcosa dei pericoli di schernire una donna. Quella ragazza aiel che ti segue ovunque apertamente. Ho sentito dire che appartieni a un’altra. Forse si sente schernita.»
«Ne dubito, comare» le rispose asciutto. «Aviendha mi pianterebbe un pugnale fra le costole se credesse che ho pensato a lei a quel modo.»
La donna immensa rise fragorosamente. Mat sussultò quando si protese nuovamente verso di lui, ma tutto quello che fece fu dargli un buffetto sulla guancia che aveva pizzicato. «Vedi, buon signore? Disdegna l’offerta di una donna e forse lei non ne penserà nulla, o forse...» fece un gesto dal basso verso l’alto «... il pugnale. Una lezione che ogni uomo può imparare. Vero, lord Drago?» Affannata per il riso, si affrettò a dirigersi verso gli uomini che accudivano i muli per controllarli.
Strofinandosi la guancia, Mat mormorò: «Sono tutte pazze» prima di andarsene anche lui. Ma non abbandonò il corteggiamento di Isendre.
Così trascorsero i giorni, dall’undicesimo fino al dodicesimo, attraverso l’arida terra rovente. Per due volte videro altre aree di sosta, piccole costruzioni di rozza pietra simili a Imre Stand, situati in posizioni facili da difendere contro i fianchi spogli delle collinette o delle guglie di roccia. In una c’erano trecento pecore o forse più, e uomini che erano altrettanto stupiti di Rand quanto dei Trolloc nella terra delle Tre Piegature. L’altra era vuota, non razziata, solamente in disuso. Diverse volte Rand vide in lontananza capre, pecore, o del bestiame chiaro dalle lunghe corna. Aviendha gli aveva spiegato che le mandrie appartenevano alle fortezze delle sette situate nelle vicinanze, ma Rand non aveva visto gente, e certamente non aveva visto strutture che meritassero il nome di fortezza.
Era il dodicesimo giorno, con le fitte colonne di Jindo e Shaido che affiancavano il gruppo delle Sapienti e i carri degli ambulanti che ondeggiavano e Keille e Natael che discutevano e Isendre che guardava Rand in braccio a Kadere.
«... Ed è così che è.» disse Aviendha, annuendo compiaciuta. «Certamente adesso avrai capito il concetto di padrona di casa.»
«Non proprio» ammise Rand. Si rese conto che per un po’ era stato ad ascoltare soltanto il suono della voce della donna, non le parole. «Sono certo però che funziona bene.»
Aviendha ruggì. «Quando ti sposerai,» osservò con voce tesa «con i Draghi sulle braccia a conferma del tuo sangue, seguirai quel sangue, o chiederai di possedere tutti i beni di tua moglie tranne l’abito, come qualche selvaggio delle terre bagnate?»
«Non è affatto così che funziona,» protestò Rand «e ogni donna della terra da cui provengo spaccherebbe la testa a un uomo che pensasse di farlo. In ogni caso, non credi che vada deciso fra me e chiunque decida di sposare?» Se possibile lo guardò male anche peggio di prima.
Con suo sollievo Rhuarc gli venne incontro dall’inizio della fila di Jindo. «Siamo arrivati» annunciò con un sorriso l’Aiel. «La Fortezza delle Rocce Fredde.»