Capitolo 9 I MERCENARI

Automaticamente Fssa gridò una traduzione in lingua J/taal di ciò che la ragazza aveva detto. E il risultato della cosa fu incredibile. Sei dei nuovi arrivati erano ormai stesi al suolo svenuti o morti, mentre l’unica rimasta in piedi era una donna che uno dei predoni stava violentando. Nell’udire la voce di Fssa costei parve riscuotersi, sollevò da terra l’individuo che la seviziava e gli spezzò la schiena con una terribile mossa di lotta, poi balzò addosso a un altro e gli ruppe il collo con un secco colpo del taglio della mano. Lo schiavo non era ancora caduto al suolo che già la donna scattava fra i suoi compari, muovendosi con tale velocità che gli occhi faticavano a seguirla. Le sue mani saettavano a destra e a sinistra, in colpi a cui rispondeva il sinistro rumore delle ossa fratturate, e nel giro di quindici secondi della banda di predoni non ne rimase vivo neppure uno.

La piccola Gelleana dimenticò la sua pietra multicolore e scappò via gridando di terrore, finché non fu di nuovo fra le braccia di uno degli adulti. Volgendo le spalle ai cadaveri la donna J/taal attese di vedere la ragazzina al sicuro, e quindi si rivolse a Rheba con una frase.

Fssa tradusse all’instante: «Ti sta domandando se ritieni che la bambina sia in salvo».

Lei allargò le braccia. «Certo. Rispondile di sì».

La donna parlò ancora, e come un eco il serpentello riportò in universale la sua domanda. A Rheba quel sistema di traduzione sembrava così perfetto che le parve quasi d’aver installato nel cranio uno dei mitici traduttori biologici Zaarain.

«Ho il tuo permesso di occuparmi dei miei compagni, e di chiamare i nostri clepts?», fu la richiesta di lei.

«Il mio permesso?», Rheba si volse a Fssa. «Hai un’idea di cosa voglia dire?»

«Gli J/taals sono mercenari. Tu li hai assunti».

«Io … cosa?» Sbarrò gli occhi sul serpente, poi senza attendere la sua risposta si volse alla donna. «Fai pure il necessario per i tuoi amici. Se avete bisogno di cibo e acqua qui potrete trovarli, e se volete Kirtn accenderà un fuoco per voi. Purtroppo non siamo in grado di curare le vostre ferite». Tornò a guardare Fassa. «E va bene, signor serpente: spiegami questa faccenda».

Il piccolo rettile assunse una tinta bianca e oro e tornò alla sua forma allungata, che presso i Fssireeme era considerata la più elegante. Le sue movenze fecero capire alla ragazza che esitava, un tantino a disagio.

«Ecco …», cominciò. «Quando tu hai chiesto che la bambina venisse aiutata, io … be’, ho tradotto la frase nella formula che chiede agli J/taals un contratto per le loro prestazioni. Loro non possono combattere finché non vengono assunti da qualcuno, ed erano i soli a poter intervenire per salvare la piccola. Capisci? Gli J/taals hanno bisogno di essere sotto contratto, altrimenti non agiscono neppure per difendere sé stessi. È una cosa che fa parte della loro struttura mentale, proprio come l’arte del tradurre è per me».

«E come la necessità di proteggere i bambini è per me», borbottò Rheba, accigliata. «D’accordo, serpente. Ho capito». Scosse la testa, ancora impressionata dall’efficienza con cui la donna aveva eliminato i nove aggressori. «Mercenari … Ma io non posso pagarli. Sono una semplice schiava. Qui».

Fssa si agitò imbarazzato. «Naturalmente. Gli schiavi non posseggono denaro. Tuttavia…»

Un sospetto balenò alla mente di Rheba. «Serpente, che cosa hai promesso alla J/Taal come pagamento?»

«La libertà, e il ritorno a casa loro».

Dalla bocca di lei uscirono alcune parole brucianti che Fssa non avrebbe potuto tradurre e le sue scagliette divennero color grigio pallido. Dopo una lunga pausa per ricercare la calma, Rheba parlò col tono che si adopera coi bambini duri di comprendonio:

«Io non posso dare la libertà a nessuno, forse neppure a me stessa. Te ne rendi conto?»

«La donna J/taal questo lo sa», fischiò dolcemente il rettile. «Io le ho precisato che potrai mantenere l’impegno solo se uscirete vivi dal Recinto, e se riuscirete a fuggire con la vostra astronave».

La ragazza volse a Kirtn un’occhiata disperata. «E va bene, va bene. Chiedile se intanto ce la fa a curare da sola i suoi amici».

Fssa mutò linguaggio e forma nello stesso istante, e dopo che ebbe parlato alla donna J/taal costei disse:

«Io ringrazio il Primo e l’Ultimo Dio per la tua gentilezza. I miei compagni sarebbero onorati di morire per mano tua. Pochi J/taaleri, gli assoldatori di J/taals, sono così gentili. Ma non sarà necessario che tu ti bagni le mani col loro sangue. Ho già provveduto io a dare la pace a chi non poteva guarire né suicidarsi».

«Hai ucciso … Ma per i Fuochi della Galassia, è mostruoso. Serpente, non tradurre questo!»

Il rettile rimase silenzioso. Kirtn e Rheba la videro tornare presso i cadaveri dei suoi, e chinarsi ad accarezzare dolcemente i loro volti. Le sue dita li sfioravano come per imprimersi le fattezze nei polpastrelli. Al termine di quel breve rito si alzò. La sua pelliccia nera era sporca di polvere e di sangue, e non sembrava reggersi bene sulle gambe. Poi esaminò i feriti.

«Col tuo permesso, J/taaleri», disse, «farò la guardia ai miei compagni finché non saranno di nuovo capaci di badare a sé stessi».

Rheba si volse a Fssa. «Non vorrei offendere le loro usanze, ma che ne pensi di portare i feriti all’interno dei due circoli?»

«Buona idea. Fuori sono in costante pericolo. Dille di chiamare i loro clepts. Adesso che è sotto contratto con te, può usare i suoi cani da guerra. Ed è meglio che li faccia venire alla svelta».

«Diglielo tu, serpentello. Sei tu il traduttore».

Fssa provvide. Aveva appena smesso di parlare che la donna J/taal mandò un richiamo così acuto e intenso da ferire le orecchie. Era un ululato che vibrava e saliva di tono come una sirena, e terminò con una schioccante nota imperativa. Il serpentello reagì con un’altra delle sue straordinarie metamorfosi, parallela all’istintivo tentativo di decifrare i significati racchiusi in quell’onda sonora. Rheba, che si guardava attorno preoccupata, non vide però apparire nulla e nessuno.

Al suo fianco Kirtn stava esplorando i cespugli con lo sguardo. Pur non avendo l’udito di Fssa s’era reso conto che dovevano esserci numerosi individui, nella folta vegetazione all’esterno dei circoli. Ci voleva poco a capire che, se preferivano star lì, il loro primo desiderio era quello di tendere agguati a chi sopraggiungeva innocentemente.

«Meglio che io la aiuti a portarli dentro», decise il Bre’n. «Può essere pericolosa come la morte stessa, ma non credo che sopravviverebbe a un’altra aggressione».

«Deve avere la gola di bronzo», commentò Rheba, seguendolo verso il confine. La potenza vocale di lei l’aveva sbalordita.

«Donna», la fermò una voce alle sue spalle. «Tu ci hai aiutati. Come possiamo ricambiarti?»

Volgendosi la ragazza vide che a parlarle, in un universale un po’ stentato, era uno dei Gelleani adulti. «Non è nulla. Non c’è bisogno che mi ricambiate», disse, proseguendo dietro al Bre’n.

«Aspetta!» La voce del Gelleano suonò stridula.

Rheba lo fissò allarmata, e s’accorse che l’uomo pareva torcersi come per un tormento interiore. Dalla spalla di Kirtn, su cui s’era appollaiato, Fssa si affrettò a fischiare una spiegazione:

«Se non può ricambiare il favore, perderà la faccia. E tu farai meglio a lasciare che costui si sdebiti … a meno che non voglia vederti appioppare una figlia adottiva».

«Cosa?»

«È un’usanza Gelleana. Hai salvato la vita alla piccola, perciò se rifiuti una ricompensa è tuo diritto adottarla. E il tuo atteggiamento ha fatto credere all’uomo che tu pretendessi questa soluzione».

«Ma è una dannata pazzia!» Rheba alzò le braccia al cielo. «E sia pure: se insiste per pagare il suo debito, digli che aiuti Kirtn a portare dentro gli J/taals. Ma assicurati che capisca che mi considero ripagata da questo».

Fssa riferì la proposta, poi commentò: «Siamo fortunati. I Gelleani giudicano vergognoso prestare cure mediche ad altre razze. Il fatto che tu abbia chiesto un pagamento tanto alto gli consente di riacquistare la faccia».

Il Gelleano sorrideva soddisfatto. Chiamò una donna della sua fin troppo vivace famiglia, e i due si unirono a Kirtn muovendosi con la stessa rapidità di cui davano prova i loro bambini. In breve i quattro J/taals feriti furono trasportati al sicuro. Rheba, che s’era accostata ai Gelleani per ringraziarli dell’aiuto, pensò meglio di essere prudente.

«Fssa», ordinò in Senyas. «Dì a questi Gelleani che sono loro grata, ma accertati che questo non provochi altre strane reazioni».

Il serpente si contorse, confuso. «Posso limitarmi a tradurre loro un semplice grazie, se vuoi».

«Ah! E come so io che la cosa finirà lì? Sei tu l’esperto di cose gelleane».

«Io so soltanto quello che ho sentito dire, sui Gelleani. Non non un esperto», si lamentò lui.

«Comunque, d’ora in avanti non prendere a mio nome nessun impegno senza prima parlarmene. Chiaro?», lo redarguì la ragazza.

Fssa provvide a ringraziare i Gelleani, e i due se ne tornarono nel boschetto per occuparsi dei loro ragazzini, che stavano di nuovo altercando. Rheba e Kirtn s’avviarono verso i feriti.

«Mi sembrano malridotti», disse lei.

Kirtn annuì. «Non hanno solo contusioni e ossa rotte, ma anche ferite da coltello e da pistola a raggi, parzialmente cicatrizzate. Per fortuna sembrano robustissimi. Direi di lasciare che a curarli pensi la loro compagna, che ne conosce la fisiologia». Ebbe una smorfia d’ammirazione. «Se non fossero stati già gravemente feriti, gli sciacalli che li hanno aggrediti avrebbero dovuto pestarli tutto il giorno prima di ridurli a mal partito».

La donna J/taal sembrava molto affaccendata, e si muoveva con incredibile rapidità. Più volte andò al pozzo, si riempì la bocca d’acqua e tornò indietro a far bere i feriti, col semplice sistema di sputargli l’acqua fra le labbra.

«Che possiamo fare per questa gente?», chiese Rheba.

«E i morti dici che è meglio lasciarli là fuori?»

«Gli J/taals hanno l’usanza di non spostare i cadaveri dei compagni da dove sono caduti. Ma appena possono li bruciano», rispose Fssa.

«Se la donna avesse del fuoco, sono certo che farebbe così».

«Danno molta importanza alla cremazione dei morti?»

«Sì. Credono che i loro corpi possano essere resuscitati, ma a patto che vengano ridotti in cenere. Altrimenti resteranno morti in eterno».

Kirtn interrogò Rheba con uno sguardo e la vide annuire. Non era compito loro occuparsi delle credenze religiose altrui, tuttavìa in quel momento non avevano di meglio da fare. Il Bre’n andò a raccogliere ramoscelli e legna secca, e quando ne ebbe un grosso fascio si avviò al confine della zona franca.

«Attento!», sibilò Fssa, spaventato. «Ci sono dei predatori là fuori». Vedendo l’altro che lo ignorava si volse a Rheba. «Fermalo. Si farà uccidere!»

«La donna J/taal ha salvato la bambina, e per noi i bambini sono sacri. Lascia che Kirtn pensi ai suoi compagni morti».

Fssa non replicò, però dopo un’esitazione gridò qualcosa alla donna dalla pelliccia nera. Lei lasciò subito quel che stava facendo e seguì il Bre’n, mettendosi lì accanto di guardia. Dall’interno dei due circoli azzurri Rheba osservò Kirtn che s’affacendava a preparare le piccole pire funebri, e intanto assorbì energia finché bagliori fluidi le guizzarono dalle dita. Con un sforzo ne controllò il flusso, preparandosi ad usarla.

Dieci minuti più tardi il Bre’n tornò accanto a lei, le si piazzò alle spalle e le sfiorò le braccia, scivolando con le mani lungo le Linee di Potenza fino all’estremità superiore degli omeri, poi premette le sue dita forti e sensibili sui centri neuromuscolari dove esse s’intrecciavano. A quel contatto Rheba si rilassò di colpo e il suo sguardo divenne vacuo. Era cosciente, ma fu in uno stato simile alla trance che permise alle mani di Kirtn di manovrarla come una macchina vivente.

Senza preavviso le pire esplosero di fiamme bianche, più simili a emanazioni di plasma nucleare che al fuoco. La ragazza parve non vederle neppure: tutto ciò di cui era consapevole era il vento dell’energia che le scorreva nel corpo, una luce che le offuscava la vista, e il flusso che da lei si dirigeva sui cadaveri e sulla legna.

Come tutte le Danzatrici del Fuoco odiava il solo pensiero di vedere bruciare la carne umana, e vagamente fu lieta che i suoi occhi fossero abbacinati, mentre Kirtn la guidava. Le fiamme distrussero i cadaveri senza produrre fumo né odore, in pochi secondi, lasciando infine soltanto chiazze di cenere bianca. La donna J/taal, che s’era inginocchiata coprendosi il volto con le mani, recitò una preghiera, e Fssa la tradusse automaticamente in universale con voce pacata e triste.

Al termine del breve rito funebre Kirtn e Rheba stavano tornando verso il pozzo, quando nella foschia risuonarono degli strani latrati dal tono metallico. Poi la vegetazione si aprì e ne sbucarono impetuosamente tre quadrupedi massicci, con lunghe gambe e un manto screziato, più simili a canidi che ad animali della classe dei rettili quali probabilmente erano. Avanzandola lunghi balzi si lanciarono verso la ragazza e il Bre’n, che imprecarono spaventati. Ma all’istante la donna J/taal emise un altro ululato perentorio, gesticolando freneticamente. Gli animali si arrestarono di colpo.

«State fermi», ordinò Fssa. «Va tutto bene, ma non muovetevi

I clepts si accostarono a Rheba ed a Kirtn, li sfiorarono col naso e con la lingua senza nessuna cordialità ma docilmente. I due ebbero la precisa impressione che stessero ubbidendo a un comando della loro padrona, sottoponendoli a una sorta di esame chimico che doveva essere il loro modo di far conoscenza. Quando poi la donna ordinò qualcosa in tono secco, gli animali si disposero a qualche metro di distanza, tenendo i due esseri umani come al centro di un triangolo protettivo.

«Sembra che oggi avremo chi si occupa della nostra incolumità», commentò Kirtn, non troppo entusiasta della solerte attenzione di cui i cani-rettili li facevano oggetto.

Rheba sbadigliò. «Io non me ne preoccupo. Devo assolutamente dormire. Sono sfinita».

Lo era davvero. Senza dir altro si distese sul suo materassino d’erba, e da lì a poco era di nuovo immersa nel profondo sonno tipico degli Akhenet. Kirtn sedette accanto a lei con un sospiro, girò uno sguardo perplesso sui tre silenziosi clepts, poi si piegò a osservare il volto della giovane Senyasi. Le sfiorò la fronte e le labbra, saggiando la sua temperatura corporea, quindi annuì fra sé e si rilassò.

Il Bre’n non si mosse dal giaciglio per molto tempo. Ogni tanto appoggiava le dita sul collo di lei per sentirne le pulsazioni, paragonando la loro frequenza con le sue. Sul volto non gli si leggeva la minima impazienza, soltanto una costante attenzione alle condizioni fisiche della ragazza. Da quando erano atterrati sul pianeta Onan, Rheba s’era stancata molto, ed egli sapeva bene che un’Akhenet esausta poteva dormire anche per quattro o cinque giorni di fila.

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