Capitolo 16 I SOPRAVVISSUTI

Rheba tremava verga a verga. L’energia esplosa dall’arma della guardia s’era ramificata intorno alle membra di Kirtn, solidificandosi in una rete che lo aveva avvolto come in un bozzolo, e ora i due militi che l’avevano deposto sul pavimento dello stanzone la stavano tagliando via. Il corpo inerte del Bre’n e le figure in uniforme si confondevano nei suoi occhi colmi di lacrime. Se li asciugò, ma lo spavento le faceva piegare le gambe. Con un gemito scostò le guardie e s’inginocchiò accanto al compagno, cercando di sentirne le pulsazioni su un polso con dita che l’angoscia rendeva rigide e insensibili.

Gentilmente M/Dere tolse la mano di lei e tastò il polso al Bre’n con fare esperto. Fra i capelli di Rheba, Fssa aveva assunto un colore nera per l’apprensione, e i suoi occhietti rossi come rubini erano sbarrati sull’uomo disteso al suolo.

«Il cuore batte. È vivo», riferì la J/taal.

La ragazza dovette attendere la traduzione di Fssa, ma udì a stento quelle parole. Era così stordita che per non afflosciarsi dovette appoggiarsi a M/Dere, e le fu grata quando un suo braccio le cinse le spalle. Il luogo in cui si trovavano faceva parte della zona in cui venivano tenuti gli schiavi di maggior riguardo, quelli destinati a comparire nella Concatenazione, ed era un insieme di edifici ben sorvegliati.

Signore Jal entrò nel locale in cui erano stati condotti, ordinò alle due donne di allontanarsi dal corpo di Kirtn, e puntò su di lui un piccolo strumento per l’indagine bioscopica. Da una griglia uscirono ronzii e ticchettii, informazioni in un codice che Fssa non era in grado di tradurre. Con un borbottio l’uomo intascò l’oggetto, ma la sua espressione si fece tempestosa quando si rivolse alle due guardie.

«Le vostre Chim sono molto fortunate», disse. «C’è mancato poco che non passassero il resto della loro vita a piangere la morte di due idioti con una manciata di sterco al posto del cervello».

I militi impallidirono, segno chiaro che i Signori di Loo non scherzavano allorché parlavano della morte di qualcuno in seguito a un atto punitivo.

«Per quale motivo avete sparato a uno schiavo che vale più del vostro peso in oro? Voglio una spiegazione chiara e soddisfacente, o sarà peggio per voi».

«Ecco … lui stava scendendo giù dalla rampa senza permesso, mio Signore», balbettò uno di loro.

Jal gli dedicò un’attesa fatta di gelido silenzio, lasciandogli capire che, si aspettava una ragione supplementare e molto più valida.

«Questo è tutto, mio Signore», aggiunse l’uomo, innervosito. «Lo schiavo correva lungo la rampa».

Dalla bocca di Jal scaturì una sequela di parole nella lingua padronale, che Fssa smise di tradurre quasi subito per rispetto alle orecchie di Rheba. Quando l’individuo si fu sfogato e cambiò tono, il serpente riprese il suo lavoro:

«Pazzi! A chi avrebbe potuto nuocere uno schiavo disarmato, anche se avesse corso su e giù per quella rampa dieci giorni di fila? Sapete bene che qualche volta il transfer energetico stordisce gli schiavi di razza inferiore. Questo è il motivo per cui abbiamo fatto costruire la rampa e la cancellata. E lì non c’è alcun pericolo che uno schiavo impazzito ferisca qualcuno, eccetto sé stesso. Maledetti stupidi!»

Per qualche istante Jal fronteggiò le guardie a pugni stretti, come trattenendosi a stento dal colpirle, poi volse loro le spalle. Tornò a chinarsi su Kirtn, estrasse ancora il piccolo rivelatore e lo mosse intorno alla sua testa. La corona che il Bre’n portava scintillò con intensità improvvisa, come se Arcobaleno reagisse al passaggio dell’energia indotto dall’apparecchio, e Jal spalancò gli occhi stupito.

«Incredibile! Questa strana creatura è proprio viva», commentò. Ascoltò con attenzione il ticchettare della griglia e scosse il capo. «Le meraviglie della Confederazione non cessano di stupirmi. E scommetterei che quel furbacchione di Dapsl cercasse di guadagnare un po’ d’oro, contrabbandando fuori dal Recinto uno del Primo Popolo. Vero?»

«Io?», stridette la voce dello schiavo. «Io non oserei mai tentare d’ingannare voi, Signore». Dapsl si fece avanti. Sul lato sinistro della faccia, dove il pugno di Jal l’aveva colpito, gli s’era formato un grosso ematoma scuro. «Ve l’avevo detto che quell’affare lì è uno del Popolo di Pietra, non ricordate?»

L’altro ignorò il suo inchino e le sue parole. Con uno svolazzare d’indumenti preziosi si volse verso Rheba. «Il tuo amico Peloso riprenderà i sensi fra poco, ma il suo risveglio sarà molto doloroso. Cercate di farlo camminare. Deve muoversi, o starà ancora peggio».

Rheba gli rispose col gesto che su Loo indicava un assenso, al che Jal la fissò stupefatto: solo in quel momento l’uomo s’era reso conto di aver continuato a parlare il Loo-padronale, e che la ragazza lo aveva compreso perfettamente. I suoi occhi saettarono sulla testa di Fssa, che sporgeva appena dai capelli di lei, e sorrise inarcando un sopracciglio.

«Dunque Dapsl non mi ha mentito, parlandomi di questo strano serpente», disse in universale. «Quante lingue conosce?»

Rheba mentì senza esitare: «Parla un poco il Loo, e l’universale abbastanza bene. Dice di conoscere anche l’J/taal, e vedo che parla ai mercenari, ma non so chi gli abbia insegnato la lingua». Si strinse nelle spalle. «Me lo porto dietro perché è un esperto nel produrre rumori, e in un’Azione questo è utile. Ma non serve a nient’altro».

Detto ciò fischiò una breve frase di scusa a Fssa, augurandosi che Jal non sospettasse nulla. Finché non fossero stati uniti indissolubilmente secondo le regole della Concatenazione, qualsiasi Loo avrebbe potuto impadronirsi del serpentello a suo capriccio, e lei non voleva che il suo genio linguistico invogliasse quegli individui.

Signore Jal osservò Fssa con l’aria di non essersi bevuto affatto la menzogna di lei. Poi dovette forse riflettere che se il serpente aveva un valore ben difficilmente lo avrebbero abbandonato fin’allora nel Recinto, e che infine le sue capacità sonore erano indispensabili all’Azione. Borbottò qualcosa fra sé e tornò a rivolgersi a Dapsl.

«Da qui a due settimane inizierà l’anno nuovo. Sceglierò le mie tre Azioni un paio di giorni prima. Tu organizza questa basandoti sulla leggenda di Saffar e Hmel … e riga dritto, stavolta, o ti spedirò nella Fossa».

L’altro allargò le braccia e roteò gli occhi. «Signore … che ne sarà della mia famiglia, se mi farete morire nella Fossa?», ansimò.

Jal esibì la solita indifferenza glaciale per il suo smarrimento. «Cos’altro può aspettarsi un tessitore fallito? Ringraziami se fino ad ora sono stato pietoso, invece».

«Ma … ma loro non mi rispettano, Signore!», strillò Dapsl. «Ridono di me, non ubbidiscono e mi disprezzano. Come posso mettere in piedi un’Azione con gente simile?»

«Anche il più stupido tessitore sa legare i fili l’uno all’altro, e la trama che tu devi tessere è già pronta», disse l’altro. «Comunque ti darò una sferza neuronica, da usare con gli J/taals e i clepts». Abbassò lo sguardo su Rheba, che s’era chinata sul volto di Kirtn e con le lacrime agli occhi gli accarezzava la fronte. «Però attento a non adoperarla con loro due. Preferisco che il Bre’n ti ammazzi, piuttosto che tu debba fargli assaggiare la sferza. Chiaro?»

«Ma Signore … quel bestione è un non-Addomesticato!»

Jal sorrise. «Finché potrà stare con la sua bionda Kaza-flatch, si comporterà come un Addomesticato. Tu bada a quello che fai, piccolo Dapsl. Se me lo rovini, mi dimostrerai che la tua vita è inutile e dannosa».

L’espressione dell’ometto rivelava che sapeva benissimo di cos’era capace Jal. Quando s’inchinò tremava tanto che per poco non cadde. L’altro lo gratificò di un’occhiata disgustata, poi andò alla porta a passi svelti e uscì.

Il risveglio di Kirtn fu penoso. Le sue membra scattarono, percorse da tremiti epilettici, e Rheba e M/Dere furono costrette ad afferrarlo e tenerlo fermo a forza perché non si facesse del male. Quando aprì gli occhi, spenti e arrossati, le due donne videro che il dolore lo attanagliava fino a sconvolgergli la mente. Ricordando le raccomandazioni di Jal lo massaggiarono per distendergli la muscolatura contratta, poi sostenendolo fra loro lo fecero camminare intorno alla stanza.

Ogni passo del robusto Bre’n era una tortura, e i suoi movimenti scoordinati rivelarono che aveva il sistema nervoso ancora fuori fase, ma dopo una mezz’ora, si riprese e il suo sguardo tornò lucido. Sudando copiosamente mormorò che il dolore era quasi scomparso. Poi strinse i denti, al ricordo di quel che era accaduto prima che la cortina di tenebra si chiudesse su di lui.

«Che ti succede?», chiese Rheba, vedendolo trasalire a quei pensieri. «Vuoi sdraiarti di nuovo?»

Kirtn le rispose in Senyas, per tener meglio sotto controllo l’emozione. «C’è una donna Bre’n in questa città. Quando ero sulla rampa mi ha chiamato».

Rheba si sentì pervadere da emozioni contrastanti. La notizia l’aveva eccitata, ma anche sconvolta e delusa, come se d’improvviso il possibile incontro con una Bre’n non le sembrasse più tanto desiderabile.

«Ne sei certo? … Sì, naturalmente lo sei. Nessuno potrebbe imitare il fischio di una Bre’n. E sta bene? È una Akhenet? E se lo è, con lei c’è l’altro Akhenet? Lui è sano? Quanti anni ha? …». La sua voce s’incrinò a metà di quell’effluvio di domande che non era riuscita a trattenere, e rifletté che certo Kirtn non aveva potuto parlarle, sebbene poche note della lingua fischiata bastassero a dare molte informazioni.

Il Bre’n annuì. «Calmati. Si chiama Ilfm. Ha usato la chiave armonica superiore, e ciò vuol dire che lei e il suo Akhenet sono sani, per quanto possano esserlo due schiavi. Nel dirmi il nome di lui non ha modulato i toni da adulto, così penso che Lheket sia un bambino. Non ha neppure usato l’armonica d’insieme, e dunque devo presumere che non conosca nessun altro di noi su questo pianeta».

Rheba si rilassò, continuando a sostenerlo. Nel camminare disse: «Lheket dev’essere il ragazzo di cui ha parlato Jal, allora».

Automaticamente si portò una mano al lobo dell’orecchio da cui non pendeva più il dono di Kirtn, la Faccia Bre’n. Jal glielo aveva tolto prima di mandarla nel Recinto, ed ora l’individuo possedeva il suo oltre a quello di Lheket.

«Possano i suoi figli diventare cenere sotto i suoi occhi!», ringhiò fra sé, inviandogli quello che era il peggior anatema dei Danzatori del Fuoco. Sulle sue braccia lingueggiarono bagliori d’energia ardenti come l’odio che le riempiva gli occhi.

Una volta tanto Kirtn non disse nulla per calmarla. L’orecchino era il simbolo di tutto ciò che i Bre’n e i Senyasi potevano essere, rappresentava il loro futuro come il loro passato, ed era il catalizzatore stesso di due personalità fatte per cercare l’unione. Kirtn ne sentiva la perdita intensamente quanto lei e forse ancor di più, visto che ne conosceva a fondo il significato recondito.

«Dobbiamo scoprire dove la tengono», stabilì Rheba. «Poi cercheremo il modo di liberare anche il suo Akhenet, e di fuggire. Ma prima pensiamo a noi». Si guardò attorno. Il locale era vasto e conteneva semplicemente del mobilio, oltre ad alcuni innocui elettrodomestici. Non c’era nulla che potesse essere usato come arma.

«Troveremo quel bambino, stanne certa». Kirtn trattenne un sorriso, notando la sua ansia. «E allora una parte della nostra ricerca sarà conclusa».

«Era là? Tu hai potuto vederlo?», chiese lei. Parlare di quell’argomento le riusciva perfino difficile, e forse proprio perché quel bambino avrebbe potuto essere l’unico padre per i suoi futuri figli. Su Deva la sua reticenza sarebbe stata impensabile: lei e Kirtn avrebbero discusso con la massima libertà le scelte dell’una o dell’altro in fatto di compagni e di amanti. Ma Deva era scomparso, e le scelte erano ridotte a niente. Domandò ancora: «È molto giovane?»

Kirtn le passò una mano fra i capelli ih una carezza dolce, che aveva anche lo scopo di toglierne la carica elettrostatica. «Non lo so. Spero di sì», aggiunse distrattamente. Poi si rese conto che poteva essere frainteso e cambiò tono. «Volevo dire che anche tu sei giovane, Danzatrice del Fuoco. E che c’è molto da …» S’interruppe di colpo. Non trovava alcun modo di dirle che, prima di dedicarsi a Lheket, sarebbe stato addirittura vitale accettare l’amore fisico del suo Mentore Bre’n, ovvero di lui.

«Sono soltanto spaventata, ecco quello che provo», mormorò Rheba. «Quanta poca tranquillità abbiamo avuto, da quando Deva è perito con il suo sole. È stata dura, Bre’n mio! Se tu trovi una compagna, e se io faccio lo stesso … tutto cambierà ancora. Oh, io so che sarà in meglio, non è vero? Ma tu sei tutto ciò che ho». Ascoltando la sua stessa voce s’interruppe, disgustata dalla propria incapacità di esprimersi con l’uomo a cui voleva bene fin dalla nascita. «Mi dispiace, Akhenet. Forse io non sono degna di te».

Kirtn rise senza allegria. «Allora anch’io non sarei degno di te. Credi che le mie paure siano tanto diverse dalle tue?»

Lei lo fissò incredula. Poi vide le rughe che gli si erano disegnate sulla fronte e intorno agli occhi, ai lati della mascherina di peluzzi dorati. Assurdamente il pensiero che egli provasse timori dello stesso genere dei suoi la fece sentire meglio. Gli passò le braccia intorno al collo, e nella sua voce vibrò una nota di orgoglio:

«Tu sei mio, Kirtn. Forse dovrò accontentarmi solo di una parte di te, ma le stelle diventeranno ghiaccio, prima che io ti lasci andare!»

Il Bre’n ricambiò l’abbraccio di lei con una forza che lo sorprese, e che lo fece sentire piacevolmente indifeso da certe sensazioni. Le mani della ragazza gli salirono fra i capelli, e solo la corona le fermò.

«Ebbene, non ne avete ancora abbastanza di scambiarvi enzimi?», berciò acidamente Jal dalla porta d’ingresso.

Rheba sentì che Kirtn s’irrigidiva. L’inaspettato ritorno dell’indisponente individuo riusciva sgradevole anche a lei. A bella posta rifiutò di voltarsi a guardarlo, e appoggiò le labbra su quelle del compagno baciandolo a lungo. La molla che l’aveva spinta a quel gesto era stata il desiderio di insultare Jal, mostrando di ignorarlo, tuttavia avrebbe dovuto ormai prevedere quel che sarebbe successo: le Linee di Potenza sulla sua pelle cominciarono a brillare, e che lo volesse o meno quello era un chiaro sintomo di passione in una Danzatrice del Fuoco.

Kirtn sentì scossette nervose salirgli al cervello da ogni punto di contatto fra i loro corpi, ed era un genere di fiamma che scottava pur senza ustionare, estasi invece che dolore. La ragazza era più adulta e matura di quel che avrebbe dovuto essere alla sua età, almeno fisicamente, anche se dal lato psichico non era ancora pronta per lui. Con uno sforzo che gli risultò odioso staccò la bocca dalla sua, e si decise a volgere lo sguardo sul Signore dalla pelle azzurrina che li fissava con insolenza.

«I nostri scambi di enzimi non ti riguardano», brontolò, altrettanto sarcastico.

Jal si fece avanti pigramente. «Quand’è così, vuol dire che sei pronto per la cagna Pelosa di Signore Puca. Quella ti darà tanti di quegli enzimi da farti venire i capelli bianchi».

«Signore Puca? Credevo che la donna Bre’n appartenesse all’Imperiale Loo-chim».

«Infatti, Puca è il nome del Polo Maschile dell’Imperiale. Quando non si occupa di politica e di governo, è permesso riferirsi a lui come Signore Puca. E nelle stesse circostanze che la sua Chim può essere chiamata Signora Kurs. La Signora mi ha fatto sapere che non vuole aspettare la fine della Concatenazione perché tu ingravidi la Pelosa. Ha paura che suo fratello cambi idea. Di conseguenza adesso tu andrai da quella cagna ogni notte, per dieci notti di fila … Ovviamente ti occuperai di lei solo dopo che Signore Puca avrà fatto i suoi comodi».

Rheba non poté fare a meno di provare pena e ansia, al pensiero di una Bre’n costretta a fare sia la prostituta sia la femmina da riproduzione al servizio del Loo-chim. Provò vergogna per il suo precedente impulso di gelosia. Se Kirtn avesse potuto portare conforto alla Bre’n, non sarebbe stata certo una Senyasi a dirsi contraria. Strinse una mano al compagno, cercando di comunicargli senza parole quel che pensava. Voleva rassicurarlo sul fatto che non ci sarebbe stata gelosia a rovinare i loro rapporti. Poi osservò freddamente Jal.

«Potrà sembrarti strano, visto che sei tanto fine e civilizzato», ringhiò. «Ma i Bre’n non usano accoppiarsi fra loro indiscriminatamente, come invece è di moda fra voi schiavisti degenerati».

Jal strinse le palpebre. «Se il tuo amico non riuscirà a ingravidare la cagna Pelosa, gli verrà fatto un prelievo di sperma e si procederà alla fertilizzazione artificiale. Certo, Signora Kurs non lo apprezzerà molto: lei vuole che gli appetiti della Pelosa vengano soddisfatti da un maschio della stessa razza. Più tardi poi, quando la cagna Bre’n sarà in attesa dei cuccioli, Signora Kurs si prenderà una piccola vendetta su suo fratello portandosi nell’alcova il Peloso maschio». Sogghignò ampiamente a Kirtn. «E se non farai il tuo dovere, magari la Signora Kurs potrebbe pensare che a sfinirti troppo è la tua amichetta bionda … In tal caso vi farebbe subito separare, finché non avrà ottenuto il risultato sperato».

«Rheba e io non siamo amanti né compagni di letto, lo sai», disse Kirtn.

«A chi vuoi darla a bere, furbone? Noi Loos la sappiamo lunga su questi argomenti. Più tardi verrà una guardia a prelevarti, perciò stai pronto e riga dritto».

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