Capitolo 20 PIANI DI FUGA

«Questo è l’anfiteatro, e qui fra le due estremità c’è il palco imperiale del Loo-chim», disse Dapsl, eseguendone accuratamente il disegno su un foglio di plastica appuntato al muro. «Tutti gli altri China saranno seduti dalla parte opposta, di fronte, secondo un ordine di precedenza che uno schiavo come me non può presumere di capire».

Rheba si appoggiò con una spalla al muro, cercando di tenere gli occhi aperti. Le prove dell’Azione erano durate tutta la mattina, e le pareva di avere le ginocchia di sabbia e le palpebre appesantite col piombo. Accanto a lei Lheket si agitava nervosamente, così pieno d’energia e ben riposato da farle invidia. Aveva bellissimi occhi verdi, e in quel momento li teneva puntati su di lei come se potesse vederla, ma la loro fissità le rivelava che erano colmi di tenebra. Gli sfiorò una mano e mormorò alcune parole rassicuranti. Ilfn non c’era, essendo uscita con la scusa di cercarle una pomata per la pelle ma in realtà per contattare gli schiavi ribelli, e l’assenza di lei disturbava molto il ragazzo.

In risposta al tocco di Rheba Lheket alzò una mano e la mosse in cerca dei suoi capelli, tipico gesto di un Senyasi giovane verso una donna di poco più anziana. Ma la ragazza li aveva annodati in una stretta acconciatura dietro la nuca, e la mano di lui brancolò delusa nel vuoto. Notando il suo disappunto Rheba se li sciolse, e scuotendo il capo li fece ricadere lungo la schiena. Sentendosene sfiorare Lheket sorrise, con aria infantile.

«Mi fanno il solletico», mormorò, in lingua Senyas.

La ragazza rispose al suo sorriso, prima di ricordare che lui non poteva vedere. Allora gli accarezzò una guancia. «Taci, Danzatore della Tempesta, o quell’antipatico di Dapsl si arrabbierà».

Lheket ubbidì, ma le prese una lunga ciocca di capelli e la tenne in pugno. Un po’ seccata Rheba sbuffò e cerco di tirarla via, però le dita di lui si strinsero con più forza. Con un sospiro cedette e gli si accostò di più. Privo della vicinanza di Ilfn, il ragazzo mostrava di aver bisogno di un contatto sostitutivo, e le sue mani erano sempre alla ricerca di qualcuno. Non che ella lo biasimasse per questo: esser schiavo sul pianeta Loo, e per di più cieco, avrebbe snervato in breve tempo perfino un adulto.

Si chiese se Ilfn fosse riuscita a parlare con l’esponente dei ribelli che stavano organizzando il colpo di mano. Immaginava con quale scarso compiacimento sarebbero venuti a sapere che una decina di altri schiavi sconosciuti intendevano unirsi a loro. Ma non avevano scelta, perché solo a quel patto Ilfn avrebbe messo a loro disposizione le chiavi verbali delle porte esterne.

Accorgendosi dell’occhiataccia di Dapsl, cercò di prestargli più attenzione. Non si curava troppo di seguire il suo disegno, visto che ci pensava Kirtn a memorizzare le istruzioni, ed a lui la mappa serviva principalmente per studiare possibili vie di fuga dall’anfiteatro pieno di aristocratici e di guardie. Gii J/taals invece erano contrarissimi, anche se non capivano una parola. La loro esperienza militare sarebbe stata il cardine attorno a cui avrebbe ruotato il piano di Kirtn.

«… questa rampa sale al locale dietro il palcoscenico», stava dicendo l’ometto. «Voi attenderete giù nel tunnel finché non sarete chiamati in scena, quindi vi porterete presso questi quattro segni azzurri sull’ala sinistra del palcoscenico».

Kirtn annuì, fissando il disegno che cresceva sotto lo stilo dello schiavo. «Ci sono tende d’energia, un sipario, o pannelli divisori di qualche genere? E per le luci chi provvede?»

«Non c’è niente di tutto questo. Le Azioni che non possono produrre l’illuminazione necessaria vanno in scena con la luce del giorno. L’anfiteatro è antico, risale ai tempi pre-Confederazione. Fu costruito da gente che non voleva o non sapeva produrre spettacoli con l’ausilio dell’elettricità. Dietro le quinte non ci saranno tecnici, né operai o altri».

Rheba trattenne il fiato, rendendosi conto di ciò che rivelavano le parole dell’ometto: non ci sarebbero stati impianti elettrici, né fonti di energia da cui lei potesse attingere.

Kirtn aveva posto le sue domande proprio per esserne certo, e anch’egli si accigliò, ma non fece commenti. La loro Azione sarebbe andata in scena di notte, insieme ad altre che utilizzavano la bioluminescenza naturale. Dunque Rheba sarebbe stata impotente, a meno che non avesse dato fuoco al palcoscenico per trasformare le semplici fiamme in forme di energia più complessa.

Ma il palcoscenico era di pietra, come il resto dell’anfiteatro, cossiché non rimaneva che l’atmosfera. Ma estrarre calore dal cielo notturno, concentrarlo e mutarlo in energia plasmabile, avrebbe richiesto troppa fatica. Rheba rifletté con un sospiro che sarebbe stato già abbastanza difficile produrre gli effetti di luce fredda necessari all’Azione.

«L’anfiteatro è a cielo scoperto», osservò Kirtn, che stava evidentemente seguendo i suoi stessi ragionamenti. «Cosa pensa di fare il Loo-chim se si mette a piovere? Signore Puca e Signora Kurs guarderanno le Azioni stando seduti sotto la pioggia?»

Dapsl sbuffò seccato. «Si dà il caso che questa sia la stagione secca, se non te ne sei accorto. Non è quasi mai successo che abbia piovuto, nell’Ultima Notte dell’Anno».

Rheba fissò pensosamente il ragazzo che stava immobile al suo fianco, con la ciocca di capelli in mano. Un Danzatore della Tempesta, pensò. E una tempesta significava un’enorme quantità di energia.

«Ne sei sicuro?», chiese Kirtn. «Vuoi dire che il pianeta dispone di un controllo metereologico?»

Dapsl scosse il capo. «Roba simile non esiste. In caso di maltempo l’anfiteatro ha un campo di forza di emergenza, che può essere attivato per respingere la pioggia. Ma non preoccuparti, non ce ne sarà bisogno. O avete paura di un po’ d’acqua?»

Rheba fece un gesto d’indifferenza. «Campo di forza o no, che importa?», disse, come se quel particolare non avesse importanza alcuna.

Dapsl si tormentò l’estremità delle trecce bisunte e le gettò indietro, bofonchiando qualcosa fra i denti. Poi riprese a spiegare ai membri della sua piccola compagnia come agire sul palcoscenico, nello spettacolo da cui sarebbero forse dipese le loro vite.

«Poiché dal Loo-chim abbiamo avuto l’onore, e l’altissimo privilegio, di essere l’ultima Azione di quella straordinaria giornata, verrete chiamati fuori dal tunnel quando ormai mancherà poco al termine dell’anno. La durata dell’Azione è stata calcolata al secondo, cosicché finirà esattamente allo scoccare della mezzanotte. Il tempo avrà un’importanza cruciale: terminare pochi secondi troppo presto o troppo tardi guasterebbe la cerimonia, provocando il dispiacere del Loo-chim. Ed è inutile sottolineare cosa significa questo».

Sul volto di Rheba si disegnò un sorrisetto duro: il suo proposito era di dare ben più che un semplice dispiacere alla coppia imperiale, prima che la notte della Concatenazione avesse termine. Al pensiero, una lieve carica elettrostatica le fece gonfiare le chiome, che ondeggiarono nell’aria e accarezzarono il volto di Lheket.

Il giovane Senyasi trasalì, assorbendo d’istinto l’energia che la sua mano captava dalla ciocca di capelli. Poi sorrise, e lo sguardo dei suoi occhi perse la luce vitrea assumendo un’improvvisa vivacità. Lungo le falangi delle dita gli corsero sottilissimi bagliori azzurri, sulle tracce delle latenti Linee di Potenza. Rheba abbassò gli occhi su di lui e se ne accorse. Intuendo quel che era successo interruppe il deflusso di energia, e subito Lheket ebbe un mormorio di protesta.

«Tieni calmo il cucciolotto, o lo rimando in camerata con gli schiavi comuni», sbottò Dapsl. «È già duro tollerare che quella puttana Pelosa venga a disturbare la mia Azione, perché io debba sopportare anche il suo stupido scaldapancia minorenne!»

Sui volti di Kirtn e Rheba comparvero espressioni di rigido furore, che non si curarono di mascherare. Uno dei clepts ringhiò. Come gli J/taals anche i cani da guerra erano sensibili ai mutamenti d’umore della loro J/taaleri. Fra i capelli di Rheba Fssa mandò un ammonimento ai clepts, che si placarono. La ragazza si chiese cosa poteva aver detto loro il serpentello, curiosa di sapere come riusciva a comunicare tanto bene, ma per non irritare ancor di più Dapsl preferì non rivolgergli la parola.

«Continua», lo invitò poi, con voce pacata solo in superficie. «Ma ricorda, piccolo sgorbio, che la tua vita dipende da tutti noi».

«Dovrete sopportarmi ancora a lungo», bofonchiò lui. «Se tutto andrà bene, l’Azione resterà indivisibile».

«Non ricordarmelo», ringhiò Rheba. Da quando erano stati trasferiti lì Dapsl dormiva altrove, e almeno la notte non se lo vedeva attorno. Ma di giorno bastavano pochi minuti al piccolo schiavo per farsi odiare.

«Sul palco del Loo-chim», riprese Dapsl, «c’è un grosso gong d’argento. Viene suonato due volte all’inizio di ogni Azione, e quattro al suo termine. Ma talora accade che il Loo-chim si annoi e voglia tagliar corto». Ebbe un sorrisetto storto. «In questo caso il gong suona tre volte, e gli schiavi sono portati seduta stante nella Fossa. C’è da sperare che questo non capiti proprio a noi. Comunque, dopo che il gong avrà suonato due volte per chiamarvi, avrete il tempo di contare fino a cento prima di raggiungere il vostro posto in palcoscenico. A questo punto ci saranno ancora due rintocchi, e l’Azione comincerà. Alla fine disporrete dello stesso tempo per sgombrare, discendere la rampa e tornare nel tunnel. Ci sono domande?»

Rheba ne avrebbe avute molte, ma nessuna a cui Dapsl potesse dare risposta. Anche Kirtn tacque. L’ometto li fissò accigliato, quindi staccò dalla parete il foglio di plastica e lo arrotolò.

Kirtn glielo tolse di mano. «Questo lo tengo io».

«E che te ne fai?», protestò l’altro, ostile.

«Dovrò spiegare tutto daccapo ai J/taals. Fssa non ha tradotto il tuo discorsetto per non darti fastidio».

Dapsl pareva in cerca di una valida obiezione per riavere il foglio. Poi borbottò. «Ah, sì? È la prima volta che mostrate per me il doveroso riguardo, voi e le vostre bestiacce».

«Meno parli con loro e meglio è. Siamo stanchi tutti quanti, e a questo punto si deve evitare ogni screzio».

L’ometto annuì cupamente. «Ma non portare fuori di qui il foglio di plastica e lo stilo. Sono oggetti proibiti agli schiavi, e appartengono a Signore Jal. Io sono responsabile che non si commettano infrazioni, qui dentro».

Kirtn stava per voltargli le spalle quando vide rientrare Ilfn, e il volto gli si schiarì. Anche Lheket aveva percepito in qualche modo l’arrivo della sua Bre’n, sebbene fosse scalza e camminasse senza rumore, e si girò verso la porta con espresssione radiosa. Kirtn avrebbe desiderato che Rheba mostrasse per il giovinetto sentimenti più affettuosi, ma ella si teneva molto sulle sue. Da quando avevano lasciato il pianeta condannato, la ragazza era parsa chiudere la porta del suo cuore a tutte le emozioni capaci di colpirla. O forse, rifletté il Bre’n, la realtà era che non provava assolutamente nulla per Lheket.

Andando ad abbracciare Ilfn, Kirtn mise da parte quei pensieri tristi. «Ho una mappa dell’anfiteatro», disse sottovoce. «E tu cosa …»

«Ho fatto il necessario», lo interruppe lei, lanciando un’occhiata cauta a Dapsl. I suoi occhi brillavano ancora d’eccitazione.

«Non temere. Il piccoletto non conosce la nostra lingua».

«Benissimo. Io sono uscita senza difficoltà. Ho trovato la pomata per Rheba, e poi mi sono accordata con uno dei due schiavi».

Rheba si avvicinò conducendo con sé Lheket. Gli occhi del fanciullo erano luminosi e sorridenti come se potesse vedere la sua Bre’n, e quando lei alzò una mano ad accarezzargli il viso se la portò alla bocca e le baciò il palmo.

Quel gesto fu così naturale che Rheba tardò a captarne le sfumature. Si accigliò. Ma usando la sua sensibilità di Danzatrice del Fuoco per studiare il ragazzo e la donna Bre’n, non trovò nulla che divergesse dall’affettuosità per scivolare in qualcosa di esplicitamente sensuale. Tuttavia era certa che fra Lheket e Ilfn esisteva una passione reciproca allo stadio larvale, e la conseguente riflessione la disturbò: era naturale che fra Bre’n e Senyasi vi fosse un’intimità passibile di evolversi in rapporti sessuali?

I suoi ricordi del lontano passato non le consentirono una risposta immediata. Cercò di riportare alla memoria le figure di sua madre, la sua Senyasi-madre, e quella del suo Bre’n-padre. Erano stati anche amanti, oltreché una coppia di Akhenet? Rammentarlo era una cosa impossibile: tutto si sfocava nelle terribili immagini della morte infuocata che era scesa su di loro. Con uno sforzo deliberato ella aveva cacciato nel profondo ogni ricordo dei genitori, sapendo che pensare a loro significava soffrire, e ora il suo tentativo di ripescarli da quell’abisso le dava solo confusione e dolore. Nulla su cui riflettere.

«Rheba?»

La voce di Kirtn la richiamò alla realtà, e nel vederlo preoccupato sorrise. «Tutto bene», lo tranquillizzò, cercando di convincerne anche sé stessa. Il Bre’n annuì accarezzandole una guancia, e distrattamente ella girò il viso a baciargli la mano velata di peluria. Poi si rese conto, stupita, che il suo gesto era stato identico a quello compiuto da Lheket. Con un lieve brivido si scostò dal compagno.

«Che ti succede?», chiese lui.

«Nulla, nulla, credimi», ripeté lei. «Tutto va bene». Gli appoggiò una mano su una spalla, ma le sue ultime parole erano state un sussurro.

Kirtn fece per abbracciarla, e subito rinunciò. Sentiva che in qualche modo la ragazza sarebbe stata disturbata da un contatto troppo intimo con lui. Di questo comportamento, insolito in un Akhenet e più che mai in Rheba, non c’era alcun motivo plausibile … eccetto il troppo lavoro, che poteva averla indotta a reazioni anomale. Il Bre’n si rabbuiò. A due giorni di distanza dalla Concatenazione, la ragazza non poteva rischiare un esaurimento nervoso dovuto allo stress.

«È meglio che tu riposi un po’», le disse. «Stenditi a dormire qualche ora. Penseremo io e Ilfn a rifinire gli ultimi particolari».

«No». Lei scosse il capo con decisione. Afferrò il barattolo che Ilfn le aveva portato. «Questa pomata puzzolente è tutto ciò che sei riuscita a ottenere?»

La donna Bre’n esitò, colpita dal suo tono. Guardò interrogativamente Kirtn e si strinse nelle spalle. «È un unguento efficace, Danzatrice del Fuoco. E tu hai molte nuove Linee di Potenza che devono pruderti terribilmente».

Senza pensarci Rheba si grattò con rabbia una spalla. «Abbiamo cose più importanti di cui occuparci», brontolò.

Ignorando le sue proteste e il suo moto di fastidio, Kirtn si fece consegnare la pomata e cominciò a spalmargliela sulla spalle. «Niente è più importante della tua salute, Danzatrice. Senza di te, siamo condannati a morire in schiavitù».

Rheba strinse i denti sopportando il massaggio di malagrazia. I suoi occhi si mossero attorno, posandosi sugli J/taals e sui loro cani da guerra come se li vedesse per la prima volta. Le pareti fredde e nude, scrostate, le apparvero squallidi muri di prigione. Poi vide Dapsl e sul volto l’odio. le dipinse una maschera inespressiva. Una sua contorsione fece cadere al suolo il foglio arrotolato che Kirtn teneva sottobraccio.

Ilfn si chinò a raccoglierlo. «Questa è la mappa? Sarà meglio discuterne un po’ con gli J/taals».

Rheba ebbe uno scatto d’ira. «Sicuro. Fatti spiegare da loro come riusciremo a farci ammazzare nel tentativo di non morire in schiavitù!»

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