Rheba restò immersa in un sonno agitato per un giorno intero, e quando si risvegliò era in. preda a un mal di capo che la fece mugolare a denti stretti. Alzatasi a sedere, cominciò a grattarsi le braccia quasi furiosamente. Sotto la sua pelle le Linee di Potenza erano un intreccio filiforme, che i tessuti stentavano ad accogliere nel loro prolungarsi. Trasse alcuni profondi respiri e il dolore alle tempie si placò.
«Come stai, piccola?» Kirtn era ancora al suo fianco.
«Mi scoppia la testa. Ho dormito troppo». Sbadigliò rumorosamente e si sfregò gli occhi.
«Anch’io, ho come un martello nel cranio».
«È successo niente di nuovo?»
«Niente di particolare. La J/taal non sta bene, ma credo che siano le conseguenze dei colpi che ha preso, e che abbia solo bisogno di riposo». Il Bre’n si massaggiò la nuca con una smorfia di sofferenza.
«Mi sento a pezzi».
Rheba gli mormorò qualche parola di conforto e si guardò intorno, scoprendo che quel movimento bastava a farle dolere i bulbi oculari. I clepts erano sempre di guardia ai vertici d’un triangolo di cui loro erano il centro. La donna J/taal sembrava addormentata, e Fssa non si vedeva da nessuna parte.
«Dov’è finito il nostro magico serpentello?»
«Laggiù, sul più vicino dei due circoli azzurri».
Lei seguì con gli occhi la direzione del suo dito, ma non riuscì a scorgere che cespugli e sassi. Poi si rese conto che Kirtn indicava una specie di grosso fungo, e capì che quella era la nuova forma fisica della strana creatura.
«Ma che diavolo sta facendo? È l’aspetto che assume per dormire? O si sente male?»
«Sta meglio di te e di me», borbottò lui. «E non credo che possa ammalarsi, né che abbia l’abitudine di dormire, se è per questo».
Mentre i due lo fissavano, il serpente mutò ancora sembianze facendosi spuntare delle penne da uccello. Rheba chiuse gli occhi con forza e si premette le mani sulle tempie, sforzandosi di scacciare il dolore, poi sospirò scoraggiata. Giusto allora la donna J/taal si destò, si contorse un poco e poi espresse la sua opinione sulla vita che le era toccata in sorte con un mugolio simile al suo. Rheba avrebbe voluto chiederle come stava, se non altro per cortesia, ma senza il serpente la conversazione era impossibile.
«Fssa!», chiamò allora. «Ehi, puoi venire qui un momento?»
Lo Fssireeme le rispose con un fischio svogliato, ma non si prese la briga di muoversi né di rinunciare al suo aspetto fungiforme.
«Ho bisogno di te. La J/taal si è svegliata, e …» Si prese il collo fra le mani e ansimò. «Per l’Ultima Fiamma … la mia testa mi sta uccidendo!»
Kirtn la guardò preoccupato ma non disse nulla. Si appoggiò indietro sui gomiti e cercò di non sentire i lamenti di lei e quelli della donna J/taal, finché il contatto di Fssa che arrivava strisciando non lo fece sussultare.
Rheba accarezzò il serpente. «Mio bell’amico, chiedi agli J/taals se hanno bisogno di qualcosa, sii gentile».
Dopo che Fssa ebbe tradotto, la donna dalla pelliccia nera si mise in ginocchio, allargò le mani a palmi aperti in avanti e chiuse gli occhi. In quella posa bizzarra disse: «Ti ringrazio, J/taaleri. Appena i compagni saranno svegli, completeremo il tkleet».
«Cos’è il tkleet?», chiese lei al serpente.
«Il rituale del contratto», rispose lui.
«E di cosa si tratta?»
«Non ne ho idea. Io sono soltanto un traduttore».
La ragazza si chiese perché mai il mal di capo fosse cessato così bruscamente. Annuì, distratta. «Già. E sei fin troppo bravo, a volte».
«Ma sono anche bello?»
«Certo, bellissimo». Gli sfiorò le scagliette dorsali con un dito. «Ma ora spiegami cos’è il tkleet, per favore».
«È una cosa che non so proprio».
«Tu cerca di scoprirlo, allora».
Fssa parlò con la J/taal, quindi riferì: «È una cerimonia e nulla più. Lei e i suoi compagni si presenteranno a te, e tu potrai dar loro un nome».
«E perché? Non hanno già ciascuno il suo?»
Fssa parve spazientito. «Sì, ma sembra che a molti J/taaleri piaccia dare il nome al gruppo di mercenari da loro assoldato. Non sei obbligata, se non vuoi».
«Be’, informala che a questa faccenda del tkleet penseremo poi, quando gli altri J/taals saranno guariti».
Il serpente eseguì la traduzione, domandò a Rheba se avesse ancora bisogno dei suoi servizi e le chiese il permesso di tornare dove stava prima. Una volta che fu presso i circoli del confine riassunse le fattezze di un fungo e s’immobilizzò. La ragazza lo osservò perplessa per qualche momento, poi si alzò e andò al pozzo.
Poco dopo, mentre portava acqua ai feriti insieme a Kirtn e alla J/taal, tutti e tre tornarono ad accusare un fortissimo mal di testa. Non c’era altro da fare se non sopportare il dolore, peggiorato stavolta da fitte alle articolazioni, perché i malati dovevano essere assistiti comunque. La ragazza notò che sembravano guarire con insolita rapidità.
Le loro ferite e bruciature si stavano rimarginando a vista d’occhio, e probabilmente lo stesso accadeva alle lesioni interne.
Kirtn non poté mascherare il suo stupore. «Di questo passo, scommetto che saranno in piedi prima del tramonto».
«Di questo passo sarò io a non arrivare al tramonto», ritorse la frase lei.
«Prova a bagnarti le tempie».
D’un tratto il mal di capo che tormentava Rheba cessò, ma dieci secondi dopo tornò così repentino e violento che ella non trattenne un gemito. Con sua sorpresa però anche Kirtn e la J/taal emisero lamenti, ed i clepts uggiolarono all’unisono. Sedette accanto al Bre’n finché, cinque minuti più tardi, il dolore si placò di colpo, e pur sollevata cominciò ad aver paura.
«Ma che ci sta succedendo?», mormorò.
«Non lo so». Kirtn la strinse a sé. «So solo che accusiamo dolore tutti nello stesso tempo, e questo non è naturale».
«Che sia una tortura dei Loo? Eppure a sentir loro qui dentro non dovevamo temere niente».
«Forse Fssa ne sa qualcosa. Lui è qui da parecchio».
Kirtn fischiò un richiamo al serpente, che si decise a rispondergli solo dopo un po’ e con evidente riluttanza. Qualunque cosa stessa facendo, era chiaro che non gli andava d’essere disturbato.
«Lascia che faccia ciò che vuole», sospirò Rheba.
Nel vederla sofferente il Bre’n alzò la voce. «Ehi, serpente! Qui sta succedendo qualcosa. Non hai mai sentito dire se i Loos si divertono a torturare gli schiavi con qualche forma di radiazione?»
Fssa tornò alla sua forma di rettile e s’affrettò a strisciare fino a loro. «Tortura? Vuoi dire che state soffrendo?»
«Da cani», gemette Rheba. «Il dolore viene e va. Mi sento scoppiare la testa, e tutti abbiamo sintomi identici nel medesimo tempo».
Fssa prese a cambiare aspetto ripetutamente, come se stesse passando in rassegna tutte le possibili metamorfosi di cui era capace il suo corpo. Alla fine riferì: «Se in questo momento c’è qualche tipo di radiazione puntato su di noi, non riesco ad avvertirla. Può essere che l’abbiano interrotta».
«Dai sintomi che avverto, può darsi», ammise Kirtn. «Dove vai?»
«Ho da fare», fischiò il serpente.
«Resta qui e stai in ascolto», ordinò Kirtn, e vedendo che Fssa si mostrava riluttante a ubbidire scattò: «La Danzatrice del Fuoco soffre, maledizione. Fai come ti dico».
«Mi spiace per lei», rispose l’altro. «Ma anch’esso soffre».
«Esso? Di chi stai parlando?»
«Il sasso».
Kirtn si guardò attorno, senza capire. «Quale sasso?»
Con una mossetta del capo Fssa indicò il pezzo di roccia con cui i bambini Gelleani avevano giocato. «Quello là».
Rheba si rialzò a sedere, appoggiandosi a una spalle del compagno. «Vuoi dire che è una creatura del Primo Popolo?»
Fssa esitò. «Potrebbe esserlo, ma …» Di colpo tornò a tramutarsi in fungo scaglioso. «Non sente come uno di loro. Però vive e soffre. Ricevo da lui dei frammenti d’immagini e di sensazioni, colori e forme». Si volse a Rheba. «Tu puoi aiutarlo, Danzatrice del Fuoco? Ti prego … non è un bambino, tuttavia è vivo».
La ragazza faticava a pensare. Si strinse ancora la testa fra le mani e sospirò: «Se insisti, vai pure. Anzi, preferisco che Kirtn vada a recuperare quel dannato sasso e lo porti qui, così vedremo meglio quel che si può fare. Dì alla J/taal che mandi i clepts a scortarlo».
Fssa aveva evidentemente assimilato anche la lingua dei cani da guerra, perché si rivolse direttamente a loro con un paio di strani ululati. Quando Kirtn si mosse verso i limiti della zona franca, i clepts lo scortarono vigili e ubbidienti. Subito uscirono dai cespugli tre individui dall’aria minacciosa, ma non fecero neppure in tempo a palesare le loro intenzioni che i cani da guerra scattarono come fulmini e li aggredirono a zanne scoperte. Uno degli schiavi cadde a terra gridando, e venne sgozzato. Il secondo fu morso ferocemente alle gambe. Il terzo fece dietro front e si tuffò nella vegetazione, riuscendo ad allontanarsi. Kirtn notò che i clepts non lo inseguivano, e che anche il ferito veniva lasciato strisciar via. Era evidente che avevano avuto ordine di attaccare solo chi persisteva nel mostrarsi aggressivo. I tre animali si rimisero in formazione attorno a lui, scrutando la boscaglia con occhi oblunghi e argentati, inespressivi. Le loro bocche colavano ancora sangue umano. Nessuno lo disturbò, mentre andava a raccogliere il misterioso sasso cristallino.
«Lieto di avervi accanto», borbottò il Bre’n. «Ma non vorrei avere sulla coscienza altri cadaveri, se possibile». Tornando indietro rigirò la roccia fra le mani. «Vivo o no, amico sasso, sei sporco in modo vergognoso».
Dove non era incrostato di fango, l’oggetto rivelava sfaccettature cristalline che sembravano levigate artificialmente. Incuriosito Kirtn andò al pozzo e lo lavò, ed il risultato li sorprese, perché pulita e scrostata la pietra rifletteva tutti i colori dell’iride.
Rheba ne fu affascinata. «È stupenda. Sembra che nel suo interno sia intrecciato un arcobaleno».
«E probabilmente è inutile quanto un arcobaleno», fischiò il serpente in tòno stridulo.
«È stata tua l’idea di aiutarla», si stupì Kirtn. «Adesso ti è diventata antipatica?»
«Non è bella come un arcobaleno», insisté cocciuto Fssa.
Kirtn ridacchiò. «Ehi! Il nostro amico è geloso».
«Geloso, io?», protestò il rettile, indignato. «Figuriamoci se sono geloso di una pietra!»
Fssa strisciò verso Rheba, le salì in grembo e le si arrotolò a un avambraccio. La ragazza lo accarezzò. «Sei molto bello anche tu».
«Questa è la terza volta che me lo dici oggi», osservò il serpente. «Il nostro accordo lo prevedeva solo per due volte al giorno».
«Tu sei più bello di due volte al giorno», lo complimentò Rheba, facendolo quasi contorcere dal piacere. «Però … sei geloso, vero?»
«Non è facile essere belli. Io faccio del mio meglio, e mi costa fatica», fu la risposta, in tono petulante.
«Ma non puoi pretendere di avere l’esclusiva della bellezza. E Arcobaleno non è brutto». Rheba sorrise, inventando lì per lì un nome per il minerale vivente.
«Avrei lasciato stare quel … quell’Arcobaleno, se avessi saputo che era tanto bello per te. E poi forse non è neppure intelligente. Comunicare con lui è difficile».
Fssa si avvicinò al sasso, tornò di colpo alla forma fungoidale, e prese a fremere lievemente. Pochi istanti più tardi Rheba mandò un grido di dolore e si portò le mani alle terapie, stordita dalla fitta che le aveva attraversato il cranio come un ago rovente.
«Fermati!» gridò. Afferrò il serpente e lo scosse con forza, ansimando. «Fermati … basta!»
D’un tratto la sua sofferenza ebbe termine ed ella si accasciò al suolo tremando. Anche Kirtn stentava a mantenere l’autocontrolo, e digrignava i denti.
«Che vi succede?» chiese Fssa. «Io non stavo … Non capisco. Vi sentite male?»
Il Bre’n controllò le condizioni di Rheba, poi gli rivolse una smorfia. «Qualunque cosa tu stessi facendo col tuo amico Arcobaleno, ci hai provocato un forte dolore alla testa».
«Io?», si meravigliò il serpente. «Ma tutto ciò che ho fatto è stato di porgli una domanda, e poi mi sono messo in ascolto. Certo che se … Dopotutto trasmette su frequenze complesse, a più livelli e con molte risonanze. Mi chiedo se …»
L’aspetto di Fssa mutò, facendosi più basso e appiattito, e sulla sua superficie corporea si rincorsero rapide vibrazioni. Pochi momenti dopo, in corrispondenza della risposta di Arcobaleno, Rheba gemette. Il fungo ebbe un fruscio di scaglie, trasformandosi ancora in serpente.
«Mi spiace, ma dovevo esserne sicuro», riferì Fssa. «Arcobaleno è vivo. Non credo che appartenga al Primo Popolo, però non potrò esservi più preciso finché non avrò decifrato la sua lingua. Sarà una cosa breve, ora che sono sintonizzato con lui».
«Nossignore!», esclamò Rheba. «Non m’importerebbe neanche se fosse il Dio di Cristallo del Primo Popolo. Tutte le volte che parla con te ci fa scoppiare il cranio. Digli di starsene zitto, altrimenti io … Oh, cielo! Sta ricominciando!» Strinse i denti, con un mugolio. «E pensare che l’ho definito stupendo. Fallo smettere, ti dico. Fallo tacere!»
Pian piano la sofferenza che l’aveva invasa si placò. A pugni stretti fissò con odio la strana roccia. In ogni sfaccettatura cristallina brillavano luci vivide, e nel suo interno cento colori diversi giocavano fra loro. Era una gemma limpida e senza difetti, bella da togliere il fiato e degna di ornare il trono di un imperatore.
Rheba emise un borbottio di disgusto, desiderando di non avervi mai posato gli occhi sopra.