Capitolo 26 L’ORA DELLA VIOLENZA

Sul palcoscenico l’aria della notte era fredda, e in essa un vago odore di ozono si mescolava a quello di mille costosi profumi. Il cielo era chiuso dalla cupola d’energia, oltre la quale si scorgeva una pesante coltre di nuvole nere come la pece. Ma la pioggia che cadeva fitta non attraversava quell’invisibile ombrello, a tratti pervaso da lievi bagliori azzurrini.

Per raggiungere la cupola a Rheba bastò protendere le mani incorporee della sua mente, e in risposta a quel contatto un fremito elettrostatico le vibrò nei capelli. Subito se ne ritrasse, lasciando appena un sottile canale di collegamento fra sé e la sorgente energetica. Ma appena avvertì il flusso nelle sue Linee di Potenza ne usò una parte per illuminare la scena secondo il copione.

Mentre gli J/taals si portavano ai loro posti lo scudo anti-pioggia reagì a un brusco intensificarsi del temporale, e s’ispessì. Una corrente d’energia molto più intensa s’incanalò attraverso Rheba fino al fac-simile di alba da lei creato, e quella che doveva essere un’aurora arancione sul Loo divampò con una violenza che fece trasalire tutti gli spettatori. La ragazza scaricò al suolo quel sovrappiù di energia, e in pochi secondi riportò la scena ai suoi colori tenui.

Una parte della sua attenzione era tesa a controllare che Jal o Dapsl non meditassero di annullare la loro recita, o di denunciarli, ma tutto le parve tranquillo. Il piccolo caposchiavo s’era piazzato presso l’ingresso del palcoscenico e li fissava tenendo la frusta appoggiata al suolo. Jal doveva essere andato a sedersi nella terza fila di posti, insieme agli altri padroni di schiavi che avevano messo in scena un’Azione. Le gradinate erano gremite da oltre diecimila spettatori, che facevano elegantemente ala al palco del Loo-chim.

Un tuono brontolò nel cielo al seguito di un lampo, e ancora la ragazza dovette scaricare a terra il forte sovrappiù di energia. La figura di Kirtn si stagliava in primo piano, avvolta da una luce dorata che lo faceva risaltare come un dio all’alba del tempo. Rheba scacciò dalla mente ogni pensiero su Dapsl o Jal, concentrandosi sulla difficoltà di mantenere stabile il livello d’energia, ma era seccata nell’accorgersi che il flusso dalla cupola a lei variava in continuazione. Risolse allora di assorbirne quanto bastava per portare a termine l’Azione, e di chiudere il canale di collegamento. Al momento opportuno lo avrebbe riaperto. Fssa diede il via alla colonna sonora, e al ritmo di una musica lontana ella cominciò a danzare il preludio.

Leggera e agile piroettò fino al centro del palcoscenico, miniando il primo incontro d’amore fra Saffar e Hmel in una luce incantata. Un fulmine che cadde fuori dell’anfiteatro fece crepitare lo scudo d’energia, ma i Loos non parvero notarlo: La saga di Saffar e Hmel era più interessante di qualsiasi altra cosa, e il breve riassunto del loro innamoramento risultò romantico e ben eseguito. Si passò alla scena successiva.

Quando gli effetti di luce costruirono l’antro infernale e i demoni si agitarono orribilmente nel rosso dei fuochi, i Loos mandarono cori di esclamazioni. Se a questo punto Dapsl vide che c’erano due J/taals in più, non mostrò la minima reazione. Kirtn/Hmel danzò la sua lotta contro le creature infernali, Rheba/Saffar scese alla sua ricerca nel sottosuolo, i diavoli vennero sconfitti e la corona riconquistata. Raggiante per la vittoria sulla diavolessa, Hmel pose infine il monile sulla testa della sua amata. Gli spettatori mormorarono per il compiacimento.

Rheba fischiò le ultime note della canzone Bre’n, e stringendosi al compagno levò la bocca verso la sua. I fuochi infernali si spegnevano pian piano, lasciando un’aura rosata intorno ai due amanti. In quell’istante una luce dai riflessi d’oro pervase lo scudo anti-pioggia, e dall’anfiteatro si levarono forti mormorii. Rheba fu stupita di quell’effetto, e vagamente si accorse d’averlo provocato lei stessa per l’emozione del contatto con Kirtn.

Ma il Bre’n era rigido, e non la stava guardando. Seguendo la direzione del suo sguardo ella vide che sulle gradinate stava accadendo qualcosa di strano. Sedute in lunghe file le coppie di Chim s’erano tolte le tuniche, unendosi per le mani a formare una catena che collegava tutti gli spettatori. I loro corpi nudi, azzurrini, vibravano e si torcevano come se dall’uno all’altro scorresse un fluido mentale fatto di erotismo puro, e la vista di migliaia di facce stravolte da espressioni bestiali fece ansimare la ragazza. Solo allora capì quale senso avesse la Concatenazione per i Signori di Loo: era un’orgia più psichica che carnale, innescata da quanto vedevano sul palcoscenico e portata al parossismo dalla loro unione. E al termine della lunghissima catena umana stava la coppia Imperiale sul suo palco, punto culminante dove quei fremiti sembravano giungere potenziati al massimo.

Le guardie armate erano i soli a non partecipare alla Concatenazione. D’un tratto due di loro trascinarono una giovane schiava davanti al palco del Loo-chim, ci fu il lampeggiare d’una lama, e viscere e sangue caddero al suolo in un orrendo sviluppo dal suo ventre dilaniato. Il Polo Maschile e il Polo Femminile parvero uggiolare di perversa voluttà a quella vista, e il loro piacere giunse al parossismo. Kirtn distolse gli occhi con un gemito di pena e di disgusto.

Danza!

Il silenzioso ordine del Bre’n balenò nella mente di Rheba, mentre sull’anfiteatro rombava un tuono più possente degli altri. Sul palco una guardia colpì il gong per quattro volte, segnando la fine dell’Azione e l’inizio dell’Ora del Non-Tempo. Sferzata dalla volontà di Kirtn, Rheba fremette, la sua mente raggiunse l’energia dello scudo anti-pioggia, ed ella cessò d’essere Saffar per tornare una Danzatrice del Fuoco.

Mentre si volgeva di nuovo alla folla di Loo, una vivida fontana di fiamma fredda balzò dal suo corpo verso l’alto e oltrepassò la cupola invisibile, divampando rossa nel cielo di Imperiapolis. Era il segnale convenuto per lo scoccare della rivolta. Correnti di energia violette le scaturirono dalle mani e il suo abito s’incenerì all’istante, lasciandola vestita solo delle sue Linee di Potenza. Kirtn indietreggiò, gli J/taals corsero giù per la rampa, e gli spettatori cominciarono a capire che nell’anfiteatro stava accadendo qualcosa d’imprevisto.

Nuda nel buio del palcoscenico, la ragazza era un figura di luce balzata fuori dal cuore di una stella, le braccia d’oro levate nella silenziosa danza dell’energia. Il bagliore che la circondava si estese, trattenuto dal suo corpo ma lingueggiando sempre più intensamente.

Dai suoi capelli la voce di Fssa esplose al massimo del volume, più forte dei tuoni e con parole che nella lingua di Loo suonarono terribili. Rheba non comprese il significato di quelle frasi apocalittiche dirette ai Chim, ma vide l’Imperiale coppia di gemelli incestuosi trasalire come a una sferzata. I due scattarono in piedi fra le guardie, e sulle loro facce si dipinse la paura. Tutti gli uomini armati avevano le piste a energia, pronti a sparare.

Danza!

Più che quell’ordine fu la presenza rabbiosa di Kirtn alle sue spalle ad infiammarla. Agitandosi nelle suo chiome Fssa emise una risata che suonò stridula e maniacale. Il temporale ormai violentissimo fece ispessire la cupola, e nell’assorbire tutta quell’energia ella comprese che doveva scaricarla con altrettanta intensità.

Poi un fulmine colpì direttamente il campo di forza, e nel canale che lo collegava a lei ne saettò una dose massiccia che superò le sue capacità di controllo. D’istinto la Danzatrice del Fuoco la dirottò davanti a sé attraverso le braccia, e dalle mani le esplose un terrificante raggio di fiamma bianca che percorse le gradinate come l’alito di un drago. Le grida di terrore e di morte dei Loos che ne furono colpiti non si udirono neppure, nel boato di quella distruzione ardente.

Le saette azzurre delle armi a laser le fioccavano addosso da tutte le direzioni. Erano dozzine di raggi che lei sentiva nascere, balenare nell’aria e incrociarsi follemente nel tentativo di colpirla. Ma la loro potenza mortale si mutava in innocua luce bianca molto prima di raggiungere il suo corpo: le linee di Akhenet della giovane Danzatrice del Fuoco erano padrone d’ogni particella d’energia all’interno dell’anfiteatro, e ne ordinavano il moto, la risonanza, la lunghezza d’onda, con istintiva facilità ed a suo piacimento.

Dopo pochi istanti, stanca di quel gioco, costrinse l’energia dei laser a tornare indietro potenziata, e le armi delle guardie che le sparavano addosso si fusero nelle loro mani.

La risata del Bre’n dietro di lei era crudele e selvaggia. Come in risposta ad essa la tempesta trasformò la notte esterna in un caos di pioggia e grandine follemente illuminato dai fulmini. La cupola d’energia fu costretta a intensificare il suo potenziale per sostenere l’impatto, e Rheba ne sentì arrivare a sé tanta che le parve di bruciare viva.

Troppa potenza. Scaricala!

Con un grido vacillò avanti, disperatamente tesa a controllarne il flusso e proiettarlo fuori da sé. Dalle sue mani continuava a scaturire il raggio che rombava e distruggeva serpeggiando sulle gradinate. Il palco del Loo-chim era carbonizzato, i metalli fondevano, e l’anfiteatro s’era trasformato nell’interno di una fornace. Sotto la cupola l’aria era quasi irrespirabile, e l’odore della carne bruciata la saturava orribilmente.

Come un animale ferito Rheba gemette, e respinse l’eccesso di particelle energetiche contro la cupola prima d’esserne surclassata. Ma al contrario di lei, lo scudo anti-pioggia non poteva disfarsi dell’energia in sovrappiù, scaricandola altrove. Assalito dai fulmini, portato al massimo di potenza dai suoi automatici, e ora investito anche dalla forza della Danzatrice del Fuoco, il suo sistema elettronico esplose in corti circuiti. All’istante la pioggia fittissima precipitò sulle gradinate, sollevando sbuffi di vapore dal suolo arroventato. Alla luce dei lampi Rheba volse lo sguardo sugli spettatori… e si accorse sgomenta che essi non esistevano più. L’anfiteatro era annerito, e una poltiglia fumante era tutto ciò che restava di migliaia di corpi umani. La scena vuota di quel massacro la lasciò incredula: aveva ridotto in cenere i Signori di Loo, ed ora un Danzatore della Tempesta stava lavando il terreno come per spazzarne via anche il ricordo.

La pioggia si trasformò in gradine, che con un frastuono assordante imbiancò l’anfiteatro deserto. Stordita e ansante Rheba sentì le mani di Kirtn che la guidavano verso la rampa; ma prima di scendere gettò un ultimo sguardo dietro di sé, quasi stentando a credere che l’elegante folla profumata assiepatasi sulla tribune fosse scomparsa. Quale demone s’era scatenato nel suo subconscio? Nel tornare lucida le appariva terribile il pensiero di averli annientati così totalmente, così ferocemente, e un brivido la scosse.

Le sue gambe si piegarono, ma Kirtn la prese in braccio. Per qualche istante lo strinse muta, desiderando la sua vicinanza e nient’altro. Poi lasciò che lui la portasse via in fretta.

Grandine e pioggia avevano reso scivolosa la rampa che scendeva al tunnel, e l’aria era calda. La morte di fuoco non era penetrata a mietere vittime nel sottosuolo, tuttavia il luogo era quasi deserto. Gli schiavi erano fuggiti più all’interno, lasciando dietro di loro solo alcuni feriti che giacevano qua e là, calpestati dalla folla in preda al panico. Kirtn non si fermò a soccorrerli, sapendo che non poteva far niente per loro. L’anfiteatro e il tunnel facevano parte di un incubo, e il suo solo desiderio era di allontanare Rheba da quelle scene di tragedia.

L’arcata che si apriva verso il parco aveva il cancello spalancato, segno che Ilfn e gli altri erano passati da lì, e nei pressi non c’era nessuno. Al di fuori impazzavano il vento e la grandine, e il cielo era una rete di fulmini sotto le nuvole basse e nere. Kirtn si fermò, con un’imprecazione.

Mettimi giù, ce la faccio.

Va bene. Ma qui fuori è un inferno.

Lasciò la ragazza coi piedi a terra e la guardò negli occhi per accertarsi delle sue condizioni. Poi la prese per mano, e insieme corsero fra le piante del parco flagellate dalla bufera. L’unica luce era quella dei lampi, e il terribile crepitare di quelle scariche elettriche li spaventò. Rheba on aveva mai visto una tempesta simile.

«Lheket è fuori controllo!», gridò. Ma all’istante capì perché Kirtn stava correndo tanto: Ilfn aveva bisogno di loro.

Anche il cancello d’uscita in fondo al parco era spalancato, e qui giunti poterono vedere che per le strade della città la rivolta infuriava più del previsto. Sotto le forze della natura scatenate, gli schiavi stavano ripagando le sofferenze inflitte dai loro padroni con una moneta ancora più spietata, e Rheba fu quasi grata alle tenebre che le celavano la vista delle scene più violente. La centrale elettrica di Imperiapolis doveva essere andata fuori uso, perché tutti gli edifici erano al buio. L’oscurità e la morte camminavano per mano quella notte, nella capitale del pianeta Loo.

Un gruppo di uomini, sbucò da una traversa davanti a loro, e la luce di un lampo rivelò i loro atteggiamenti stravolti e selvaggi. Non era possibile capire se fossero Loos o schiavi, ma quando si gettarono loro addosso Kirtn dovette lottare. Il Bre’n colpì alla cieca a destra e a sinistra, scagliando gli avversari a terra con pugni simili a mazzate. Le loro grida feroci divennero gemiti di sgomento nello scrosciare della pioggia, ma quello di Kirtn era un ruggito cupo.

Quando si fu aperto la strada, afferrò Rheba e la costrinse a correre lungo un viale alberato. In quel momento un fulmine colpì un edificio alla loro sinistra, e dal suo interno si levarono fiamme. Sbalorditi si accorsero che le scariche elettriche si facevano ancor più intense, e sembravano collegare la città alle nubi sovrastanti con migliaia di dita infuocate. L’aria era satura dell’odore di ozono, il rumore si fece assordante, e i due dovettero rifugiarsi spaventati sotto l’arco di un portone.

Ma qualche minuto più tardi, mentre Rheba ansimava col volto schiacciato contro una spalla del compagno, d’improvviso i fulmini si placarono e la pioggia cessò. Nella strada c’era l’acqua alta che traboccava dalle fogne intasate, ma nel cielo rimase solo un vento freddo che prese a trascinar via le nuvole. La tempesta chiamata da Lheket era finita.

Nel tornare all’aperto Rheba si chiese se quella calma degli elementi fosse dovuta alla morte del giovinetto. Rifiutava di crederlo, ma quel pensiero le riempì gli occhi di lacrime, e sapeva che se avesse guardato Kirtn avrebbe visto lo stesso timore sul suo volto. La mano di lui la indusse a camminare, e inzuppata e stanca si avviò al suo fianco. In molti luoghi si levavano al cielo i bagliori degli incendi, mentre le strade erano canaloni di tenebra dai toni sanguigni. Il puzzo di bruciato e il fumo si fecero più. intensi.

In periferia udirono dietro di loro alcune forti esplosioni, e si volsero a osservare i tetti di Imperiapolis stagliati nel rossore degli incendi. Poco più avanti scorsero infine l’astroporto, e accelerarono l’andatura verso i cancelli secondari dalla parte del mare.

Il terminale era stato colpito dai fulmini e stava bruciando, e colonne di fumo si levavano da quasi tutte le astronavi che videro in sosta sulle piste principali. Appena entrati su quella adibita a deposito dovettero aggirare un vecchio mercantile interplanetario che s’era squarciato in due, fra le cui lamiere i cavi spezzati mandavano scintille elettriche. Più oltre due astronavi di piccole dimensioni erano in preda alle fiamme. Kirtn corse fra i relitti dei vascelli in sosta con gli occhi fissi sul Devalon, la cui sagoma lucida di pioggia era visibile più avanti. Ermeticamente chiusa, e difesa dai suoi servomeccanismi perfezionati, l’astronave Senyasi aveva accolto la tempesta con la più completa indifferenza. Rheba e Kirtn si avvicinarono con emozione al suo familiare scafo.

Tre forme sinuose e mortalmente agili balzarono fuori dall’ombra, sbarrando loro la strada. Ma subito si ritrassero, e prima ancora d’essersi potuta spaventare Rheba riconobbe i clepts. Gli animali guairono un benvenuto, e quasi nello stesso istante comparvero gli J/taals, così vicini che la ragazza sussultò. Aveva dimenticato come i mercenari sapessero muoversi rapidi e silenziosi una volta in azione.

M/Dere la accolse con un leggero inchino, e consegnò Arcobaleno a Kirtn. Lo strano essere aveva riassunto una compatta forma cristallina, ma allorché il Bre’n lo prese in mano pulsò di luce interna, quasi che lo avesse lietamente riconosciuto.

«Dove sono gli altri?», chiese Kirtn.

«Presso la nave», fischiò la voce di Fssa traducendo la risposta di M/Dere.

«Ilfn e Lheket sono salvi?»

La risposta fu ancora un fischio in lingua Bre’n, ma ad emetterlo non era stato il serpentello. Dall’ombra era uscita Ilfn, tenendo sulle braccia robuste il corpo inerte di Lheket.

«Non temete, è vivo», si affrettò a informarli la donna.

Il fischio di Kirtn vibrò fra il sollievo e un divertito rimprovero: «Dannazione! La prossima volta non lasciarlo danzare quando sotto la sua tempesta ci siamo noi».

Ilfn gli sorrise appena, poi si chinò a baciare la fronte del giovinetto Senyasi.

Rheba s’era avvicinata con ansia. «Come sta?», sussurrò notando che aveva nuove Linee di Potenza sugli avambracci.

«Si riprenderà. Lui è un Danzatore della Tempesta, ora». Per la prima volta la nota armonica con cui Ilfn lo definiva un «lui» indicò che non parlava più di un bambino.

Le preoccupazioni di Rheba sulle condizioni del ragazzo svanirono, quando s’accorse che i due Bre’n apparivano tranquilli. Con un brivido lasciò che la tensione e la paura accumulate in quell’interminabile giornata defluissero dal suo corpo sfinito. S’era lasciata alle spalle la violenza, pensò, e ora la attendevano le cure che avrebbe dovuto dare a Lheket per guarirlo e farlo divenire adulto. Kirtn le diede di gomito, accennandole di seguirlo alla nave. Il fischio in codice della ragazza fu captato e riconosciuto dai sensori esterni. Gli impianti automatici ronzarono nell’accendersi e il portello si spalancò, lasciando abbassare la breve scaletta fino al suolo. Rheba si appoggiò al corrimano con un sospiro di sollievo, avida di rientrare in quell’ambiente ben noto e rassicurante.

«Non tanta fretta, schifosa kaza-flatch!» La ragazza trasalì. A parlare era stata una voce che avrebbe creduto di non sentire, mai più, eccetto che negli incubi.

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