Capitolo 19 SORELLA BRE’N

Distesa sul nudo pavimento accanto a Kirtn, incapace di dormire e troppo stanca per volersi alzare, Rheba tremava di freddo. Girandosi su un fianco si strinse al petto del Bre’n immerso nel sonno, e il braccio sinistro di lui la. cinse automaticamente, ma questo non le diede sollievo. Il vestito spiegazzato non la scaldava e la stoffa ruvida era fastidiosa, perché tutto il suo corpo era pervaso da un prurito forte e noiosissimo. Premette la fronte su una spalla del compagno e soffocò un mugolio di sofferenza. Avrebbe voluto grattarsi fino a strapparsi lembi di pelle con le unghie, e lo avrebbe fatto, se non avesse saputo che sarebbe stato peggio.

Poco dopo capì che avrebbe dovuto muoversi per far circolare il sangue. Si scostò da Kirtn, cautamente per non destarlo, e si tolse il vestito. Preferiva esser nuda che sopportare ancora la tortura di quel tessuto grezzo. Mormorando un’imprecazione nel silenzio del locale semibuio, andò al lavandino e bevve. L’acqua sapeva di minerali ferrosi ed era scadente, ma Ilfn le aveva assicurato che passava per un depuratore. Il cibo che uno schiavo sudicio e nudo portava loro due volte al giorno proveniva invece da una cucina dove le norme igieniche erano sconosciute. Si lavò gli occhi e osservò stancamente gli J/taals che dormivano sul pavimento polveroso. Fssa era arrotolato vicino ad Arcobaleno, e anche le due strane creature sembravano sonnecchiare, se pure i loro corpi avevano realmente bisogno di qualcosa come il sonno.

Accanto a Kirtn giacevano Ilfn e Lheket, e Rheba ebbe un sospiro nel guardare la figura sottile del ragazzo. Era magro e alto per la sua età … e cieco come una talpa. Provò compassione per lui. Ilfn le aveva detto che la sua cecità era sopravvenuta dopo la loro fuga da Deva, una reazione isterica agli orrori che i suoi occhi avevano visto. Anch’essi erano riusciti a saltare a bordo di una piccola astronave, all’ultimo momento, mentre tutti morivano.

Per l’ennesima volta si chiese quanti altri avessero potuto lasciare il pianeta con mezzi analoghi. Immediatamente dopo il decollo, lei e Kirtn erano stati costretti a balzare in overdrive, per evitare le spaventose ondate di plasma stellare in espansione, e questo aveva loro impedito di mettersi in contatto con altri possibili superstiti. Per molto tempo avevano vagato intorno alla stella che si trasformava in nova, cercando di captare segnali in quella zona di spazio, ma invano.

Come trascinata da un impulso irresistibile la ragazza girò intorno a Kirtn e s’inginocchiò presso il giovane Senyasi. Lo fissò a lungo, grattandosi distrattamente le spalle e i fianchi, e cercò di vederlo non più come un adolescente delicato e cieco bensì come il futuro padre dei suoi figli. Era appena un bambino, rifletté, chiedendosi se sarebbe stata capace di formare con lui una famiglia. In quel momento le appariva un’ipotesi tanto remota da sfiorare l’irrealtà. Scosse il capo più volte, incapace di desiderare un vincolo di quel genere, e tornò a stendersi vicino a Kirtn. Ma era sul punto di sdraiarsi quando la voce di Ilfn la fece trasalire:

«È la sua ceceità a rendertelo così spiacevole?»

Rheba si alzò a sedere di scatto, colpita dal tono amaro della donna Bre’n. Era convinta che stesse dormendo profondamente, e invece l’aveva osservata. La delusione e il velato rimprovero della sua voce, erano forse giustificati. Ilfn aveva poggiato una mano sulla testa del ragazzo, e gli accarezzava con affetto i capélli chiari.

«Non lo trovo affatto spiacevole», rispose lei accoratamente. «È dolce e amabile … ma così fragile. Non riesco a pensare a lui come al mio compagno».

Ilfn guardò le Linee di Potenza dorate e ben evidenti che s’intrecciavano sul corpo perfetto di Rheba, poi le confrontò con quelle del suo Danzatore della Tempesta: ne aveva appena un accenno sottile, azzurrino, e solo sul dorso delle mani.

«Lheket è giovane, troppo giovane. Ho dovuto impedirgli, fin’ora, di …» S’interruppe.

Rheba attese invano il termine della frase, ma s’era accigliata, intuendolo. Cercando di non avere un tono di rimprovero chiese: «Vuoi dire che gli hai impedito di … sviluppare il suo potere? Hai fatto questo?»

Ilfn strinse i denti, ma non c’era vergogna nei suoi occhi. «Ho dovuto. Se Signore Puca avesse sospettato che questo ragazzo può governare forze tanto grandi, lo avrebbe ucciso». Fece una pausa per controllare l’emozione. «Ai Loos non piace che i loro schiavi non siano indifesi. Li vogliono inermi. Ma Lheket non lo è, credimi. Io ho fatto il mio dovere con lui. Rifletti su questo, prima di giudicarmi». Dopo un minuto di silenzio disse ancora: «In questi giorni, da quando lui ha sentito l’energia che adoperi per l’Azione vibrare in questo edificio, per me è stato duro trattenere i suoi istinti. Ma presto dovrò scegliere».

«Scegliere?»

«Ucciderlo, oppure sviluppare il suo potere. Questa è la scelta che tutti gli Akhenet Bre’n devono fare». Notando il suo moto d’orrore la fissò duramente. «I tuoi genitori Senyasi non ti hanno detto cos’era il tuo Mentore Bre’n?»

Rheba la guardò sbigottita. «No. Io … non lo sapevo».

«Cosa ne è stato dei tuoi genitori?»

«Morirono, colpiti da una delle prime ondate di plasma stellare. Dopo quel giorno, tutti dovemmo lavorare fino allo spasimo per tenere attivo il nostro scudo di energia contro il sole. Gli anni che avrei dovuto impegnare studiando la storia, e la biologia dei Senyasi e dei Bre’n, li trascorsi lottando insieme agli altri. Deflettere il fuoco … questa è stata la mia infanzia».

«Ma come potevi, a quell’età … Ah, già. Dimenticavo che le tue Linee di Potenza sono molto sviluppate. Senza dubbio potevi fare il lavoro di un Akhenet più anziano». La donna Bre’n fece cenno a Rheba di accostarsi a lei. «Vieni a sederti qui, Danzatrice del Fuoco. Tu mi detesti un pochino, vero? Ma ci sono cose che non sai; e devo dirtele».

«Io non ti detesto», protestò subito lei.

Ilfn rise piano, e la fissò divertita. «Le tue Linee di Potenza sono dieci anni più avanti del resto del tuo corpo, però questo non fa di te un’adulta. In molte cose sei ancora una bambinetta inesperta, credimi». Le premette gentilmente una mano su una spalla. «Coraggio, siediti. Su Deva non saresti mai stata costretta ad aver paura delle emozioni che provi verso il tuo Bre’n: te ne avrebbero insegnato il significato, prima ancora che tu cominciassi a provarle».

«Deva non esiste più».

«È vero», fu il sussurro di Ilfn. Poi la sua voce assunse il tono da Mentore Bre’n: «Ora ascolta me, Akhenet. Tu oscilli a ogni respiro fra la bambina e la donna. La bambina che è in te detesta la mia femminilità da adulta, rifiuta il richiamo del corpo di Lheket, e odia tutto ciò che può mettersi fra te e il tuo Bre’n. Non devi temere di negare questa realtà. L’istinto Senyasi di legarsi ai Bre’n è forte come quello Bre’n di legarsi ai Senyasi. E c’è una ragione per l’esistenza di questo istinto: senza Kirtn tu saresti semplicemente condannata a morte, vittima dei tuoi stessi poteri. Senza di te sarebbe Kirtn a morire, ucciso dall’impossibilità di esaudire certe particolari necessità dei Bre’n. Io non voglio mettermi fra te e lui, non più di quanto vorrei essere per sempre la concubina di Signore Puca. Ma gli schiavi non hanno scelta. O quantomeno, le loro scelte sono tutte spiacevoli».

Rheba distolse lo sguardo dai suoi occhi dorati e luminosi, a disagio. Sapeva di aver sofferto ben poco, a paragone di quello che lei aveva dovuto subito dai Loos.

«Io spero … che Kirtn ti piaccia», disse, imbarazzata. Si sentiva sciocca e confusa, come una bambina alle prese con cose più grandi di lei. «Cercherò di non essere gelosa e di capire. So che sarebbe sbagliato provare gelosia e detestarsi. Tu sei mia sorella. Una mia sorella Bre’n. I tuoi bambini saranno anche i miei».

Le sue ultime parole suonarono sicure, automatiche, tutto ciò che le restava nella memoria dei pochi rituali Akhenet appresi nell’infanzia. Per la prima volta capì quale fosse l’atteggiamento contenuto in quelle cerimonie che segnavano i momenti principali nella vita degli Akhenet, il succedersi di quei mutamenti. L’unione di Kirtn e Ilfn per avere dei bambini era uno di quei mutamenti, e il rituale avrebbe dovuto dirle cosa fare e cosa pensare, rassicurandola che il mondo non le stava affatto crollando intorno. Lei non aveva potuto apprendere il senso di quella che su Deva sarebbe stata una cerimonia, per applicarlo alla sua vita privata. Come in un lampo comprese che nell’unirsi due coppie di Akhenet non realizzavano un insulso scambio di partner, bensì creavano un gruppo familiare con incroci genetici vitali per la sopravvivenza delle due razze. E seppe che la sua ignoranza stava rischiando di mettere a repentaglio non solo il suo rapporto con Kirtn ma la loro stessa vita.

Ilfn le accarezzò i capelli. «Grazie per avermi chiamata sorella. So che non hai potuto discutere la mia scelta con Kirtn, poiché non c’è scelta alternativa. È molto importante che tu abbia detto queste parole … Non credevo che mi sarebbe accaduto di sentirmi ancora chiamare sorella!»

Rheba la guardò con più attenzione, conscia solo allora che Ilfn era una persona con tutto un passato dietro di sé. Una persona che aveva avuto una famiglia, delle attività, degli amici e un compagno, e che adesso aveva soltanto dei ricordi dolorosi.

La donna Bre’n era tornata serena. «Avrò dei bambini, e saranno dei bambini bellissimi. Il mio Senyasi-padre era un Danzatore della Mente, e si occupava di genetica. Mi regalò un’abilità mentale tutta particolare: quella di scegliere le possibilità genetiche dei miei figli. Mi sono chiesta se immaginasse quanto ciò sarebbe stato utile alle nostre due razze». Guardò Rheba e sorrise della sua espressione. «E poi mi diede quest’altro grande dono … Lheket. I vostri bambini saranno molto più dotati di quanto lo siete voi due, Danzatrice del Fuoco, te lo assicuro. I miei e i tuoi avranno il futuro nelle loro mani, e saranno forti come i Bre’n e i Senyasi non sono mai stati».

Rheba sbatté le palpebre, incapace di farsi una visione del futuro come quella che sembrava brillare negli occhi dell’altra. Per lei il passato era cenere, e il futuro qualcosa d’ipotetico su cui non aveva alcun modo di fare progetti. C’era la possibilità che nessuno di loro avrebbe avuto un futuro. Per lei la sola realtà era il presente, e ciò che poteva toccare al presente con le sue mani, cioè Kirtn. Ora a Kirtn s’era aggiunta un’altra realtà, la donna Bre’n col suo Akhenet. Ma questo era tutto.

Come quand’era una bambinetta, il desiderio di essere sola con Kirtn tornò a dominarla, irragionevole. Nella sua ricerca di altri superstiti non aveva tenuto conto del fatto che fra lei e Kirtn sarebbe venuto qualcun altro. Sapeva che la sua sofferenza era infantile, ma non per questo essa era meno reale.

Ilfn stava osservando Lheket. «I vostri figli sono ancora lontani molti anni nel futuro. Ma i giovani come te non si rendono conto di quanto veloci scorrano gli anni». Accarezzò una guancia a Rheba. C’erano sottilissime Linee di Potenza dove ella passò le dita. Linee di nuova formazione, già pronte a splendere di luce dorata. «Sei migliore di quel che pensi, e hai più potere di quanto immagini. Prenditi cura del tuo Bre’n. Lui ha bisogno di te, bambina-donna … ha molto bisogno di te!»

La ragazza si scostò, preoccupata. «Cosa intendi dire?»

Ilfn scosse la testa e non parlò.

«Spiegati», insisté Rheba. «Io non ho potuto studiare e imparare. Non ho avuto una normale vita familiare. Se c’è qualcosa di cui Kirtn ha bisogno, io devo saperlo. Dimmelo!»

«Non posso farlo. È proibito».

«Proibito … perché?»

«Ogni Akhenet deve realizzare senza aiuto il tipo di rapporto che adotta con sé stessa e col suo Bre’n», rispose Ilfn con riluttanza e restando volutamente nel vago. «È una scelta che emerge dalle profondità di te stessa. Descriverla e precisarla annienterebbe la spontaneità che deve esserne la base. E sarebbe meglio per voi suicidarvi, piuttosto che vi accada questo».

«Non capisco». La voce di Rheba era tesa e allarmata. «Prima dici che sto sbagliando, o che non sto facendo quel che dovrei, e poi affermi che non puoi dirmi nient’altro».

Ilfn si volse e fissò in silenzio il suo Akhenet. Il suo profilo era freddo e distante come un’immagine di ghiaccio nella penombra. Con un sussulto Rheba si accorse che le ricordava il volto da lei visto nell’orecchino di Lheket, o meglio una delle molteplici espressioni di quell’enigmatica Faccia Bren. Si girò di scatto a guardare Kirtn, e per la prima volta vide in lui qualcosa di estraneo e sconosciuto. Bambina-donna … ha molto bisogno di te!

Il Bre’n addormentato sospirò, si mosse appena, e il gioco di ombre sul suo viso cambiò. Con una stretta al cuore Rheba riconobbe che era bello, di forme perfette, espressivo nella sua statuaria immobilità anche nella posa che il sonno avrebbe dovuto rendere scomposta. La sua muscolatura mascolina aveva dolcezza e forza insieme. Per il desiderio di abbracciarlo strettamente ella fremette. Avrebbe voluto stendersi accanto a lui, e poi costruire intorno a loro una gabbia d’energia che li isolasse dal mondo esterno, insieme e per sempre.

Le nuove Linee di Potenza pulsavano sul suo corpo di Akhenet, esili tracce di luce nel grigiore di quel tetro stanzone. L’alba era vicina. Senza pensare ad altro Rheba si distese, e girata sul fianco aderì al Bre’n, gettando i lunghi capelli d’oro su una spalle di lui come uno scialle. Le sue mani si mossero indipendenti dalla volontà, cercando il contatto della fine peluria sulle braccia e dietro la schiena del compagno. Ma ad un tratto s’accorse di aderire a lui in modo eccessivo: stava tremando, e il suo corpo di femmina cercava quello di Kirtn in un’intimità che spaventò per prima lei stessa. Si ritrasse ansando, sconvolta, chiedendosi cosa fosse a farle contorcere le viscere annichilendo insieme i suoi sentimenti.

Restò seduta sul freddo pavimento fino all’alba, senza muoversi e con lo sguardo fisso sulla parte opposta, praticando la disciplina di autocontrollo degli Akhenet e svuotando la sua mente da ogni altra cosa.

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