Signore Jal entrò proprio mentre Kirtn stava pensando a lui, appoggiato al muro opposto del vasto locale. Fece la sua comparsa preceduto da Dapsl, che agitava minacciosamente nell’aria una sferza neuronica. Dall’estremità dell’oggetto sprizzavano scintilloni di fiamma azzurrina lunghi un metro ogni volta che sfiorava qualcosa di solido, e lo schiavo lo fece guizzare in direzione del muscoloso Bre’n con l’intento di spaventarlo e tenerlo alla larga.
«Ve lo avevo detto, Signore: guardate il Peloso come poltrisce. Non vuole più lavorare. E quel maledetto serpente è sparito. L’Azione sarà una porcheria se non collaborano tutti. Vogliono rovinarci!»
Jal interruppe con un gesto secco il suo lamentoso berciare, e si avvicinò cautamente agli J/taals. Vestiva un abito lungo e frusciante di seta verde, eon arabeschi in oro e disegni spolverati, di brillantini. Nella stanza faceva piuttosto freddo, e quell’abbigliamento leggero rivelava che la bassa temperatura non disturbava affatto l’individuo di pelle azzurra.
«E così hai deciso di morire», contrastò esibendo indifferenza.
«Ho capito che la mia Danzatrice del Fuoco non è più viva», rispose Kirtn senza guardarlo.
«Ridicolo. Cosa te lo fa pensare?»
«Non abbiamo potuto scambiarci gli enzimi vitali».
Nello sguardo di Jal vi fu un’ombra d’incertezza. «Non sono ancora due giorni da quanto l’ho trasferita altrove. Di certo la tua sgualdrina può sopravvivere senza di te molto più a lungo».
Kirtn gli voltò le spalle ostentando d’ignorare la sua presenza, e con un moto di rabbia l’altro lo afferrò per un braccio. «Guardami in faccia quando ti parlo, schiavo!»
Kirtn notò che la mano dell’uomo era calda quanto quella di un Senyasi o di un Bre’n, eppure egli non pareva sensibile quanto loro agli effetti del freddo. Un’improvvisa riflessione lo fece fremere.
«Non l’avrai lasciata al freddo?», esclamò. «Il luogo dove l’hai rinchiusa è riscaldato o no?»
Jal si scostò, irritato. «Non sono affari tuoi, Peloso. Da quel che mi ha detto Dapsl, e da ciò che ricordo d’aver visto su Onan, so benissimo cosa succederebbe a metterla vicino a una sorgente d’energia. Dove si trova ora c’è soltanto pietra, e nulla a cui possa dar fuoco, neppure i suoi vestiti. Ma non morirà per così poco. Sono secoli che mettiamo gli schiavi in quella prigione».
«Non erano dei Senyasi!», ringhiò Kirtn.
Il Bre’n faticava a controllare il desiderio di agguantare Jal e spezzargli il collo. L’impulso di uccidere era così forte che riusciva solo a pensare al sangue, alla violenza, alla vendetta, e per un attimo seppe d’essere sulla soglia oltre la quale c’era il rez. Per calmarsi, inoltre, non era certo adatta la vista dei due orecchini che l’altro portava fin troppo in vista. Ne distolse lo sguardo.
«I Senyasi non sopportano bene il freddo», disse, con voce che solo la ferrea volontà di farsi capire tratteneva dal trasformarsi in un urlo. «Una temperatura che per voi è appena fresca, per lei può essere fatale. Mi hai sentito?»
Jal considerò con sospetto quell’affermazione. «Stai cercando di convincermi a mettere una fonte di energia nella sua cella, furbone? E poi solo gli Dei Gemelli sanno cosa saprebbe combinare quella ragazza».
Kirtn fischiò un ordine in Bre’n, e subito Lheket lasciò il fianco di Ilfn per venirgli accanto come se lo vedesse. Lui lo prese per una spalla. «Guarda il suo vestito e confrontalo col tuo».
Riluttante Signore Jal si decise a palpeggiare la stoffa con la sua mano bluastra. La smorfia seccata che esibiva s’incrinò, nel sentire che il giovinetto indossava ben tre abiti l’uno sopra l’altro. Esaminandogli una mano s’accorse che aveva la pelle d’oca per il freddo.
Resosi conto del motivo che vi era dietro il rifiuto di lavorare di Kirtn, s’accostò a Dapsl e lo rimproverò con parole che risuonarono incomprensibili quanto aspre, colpendolo ogni tanto con secchi ceffoni. La scena convinse ancor di più Kirtn che a Rheba stava accadendo il peggio. Al termine della breve strapazzata lo schiavo era ancor più purpureo in faccia e un tremito scuoteva le sue mani.
Jal gli volse le spalle. «Farò in modo che la ragazza abbia caldo quanto basta», dichiarò.
Gli occhi dorati di Kirtn lo fissarono fra ironici e sprezzanti, rivelandogli in quale conto teneva la sua promessa. «Sei così abituato a mentire, che una parola di verità ti brucerebbe la lingua».
L’individuo sibilò una bestemmia oscena, strappò la sferza neuronica a Dapsl e lasciò andare una frustata che colpì il Bre’n a un gomito. La peluria del suo braccio si rizzò, percorsa da un bagliore violetto, ma dalla bocca di lui non uscì un lamento. Imbestialito Jal lo colpì ancora due volte, è il solo risultato fu che sulla faccia di Kirtn si disegnò un sorriso duro. Il suo autocontrollo di Akhenet gli consentiva di sopportare ben altro.
Il Signore guardò la sferza come se dubitasse del suo funzionamento, poi la scaraventò fra i piedi di Dapsl maledicendo il giorno in cui aveva conosciuto le incorreggibili razze dei Bre’n e dei Senyasi.
«Devi rimetterti al lavoro. Esigo che stanotte siate tutti pronti!», urlò.
«Allora porta qui Rheba».
«Impossibile!»
Con un’alzata di spalle Kirtn tornò ad appoggiarsi al muro e incrociò le braccia. Non s’era aspettato di vederlo cedere così facilmente. Gli bastava che l’altro s’irritasse abbastanza da sbattere in cella anche lui … magari nella stessa cella di Rheba. Due corpi umani uniti insieme bruciano molta più energia che isolati, e altrettanta ne producono.
Malgrado il sorriso sempre più crudo e provocante del Bre’n, Jal restò impassibile. «Se te la lascio vedere, sei disposto a recitare a dovere questa notte davanti al Loo-chim?»
Kirtn finse di considerare poco soddisfacente quella proposta, ma aveva già preso la sua decisione. «Portami da lei», stabilì.
Jal staccò dalla cintura ingemmata un piccolo apparecchio fornito di minischermo, e con un tocco fece lampeggiare l’indicatore dell’ora. Poi sbuffò. «È già tardi. Fra poco più di un’ora dovrete scendere nel tunnel e tenervi pronti al vostro posto. Ma … va bene: ti concedo pochi minuti con lei».
«No. Voglio stare con Rheba fino al momento di andare in scena».
«Non forzare la mia pazienza».
«O accetti, o non vedrai nessuna Azione».
Jal gli indicò Ilfn, Lheket, gli J/taals e i clepts. «E tu manderesti a morte tutti loro pur di stare pochi minuti con quella kaza-flatch della malasorte?»
«Ti ho già risposto».
L’altro gettò uno sguardo a Dapsl, che distolse il viso, poi osservò i’sNara quasi che si aspettasse un parere da lei. L’illusionista aveva riassunto le sue vere sembianze al termine dell’ultima prova, perché Kirtn non tollerava di aver davanti agli occhi il simulacro di Rheba un secondo più del necessario.
«Potresti prendere il posto di tutti e due, i’sNara?», chiese Jal.
La donna mosse la mano sinistra nel gesto che fra gli Yhelle era come scuotere il capo. «O l’una o l’altro, Signore. Non entrambi. Però potresti chiamare f’lTiri».
Jal parve poco entusiasta. «f’lTiri è solo un Nono Grado. L’Azione dovrà essere perfetta, altrimenti il Loo-chim non me lo perdonerà mai». Si volse a Kirtn. «Sia come chiedi, Peloso. Ma se stanotte non sarai un dio del palcoscenico, l’alba che vedrai sorgere sarà l’ultima della tua vita».
Kirtn rise, una risata aspra e selvaggia che fece alzare in piedi Ilfn e spaventò Lheket. Il fischio della donna Bre’n, si levò ansioso a placare quel suono agghiacciante, e Jal guardò altrove a disagio. Per darsi in contegno l’individuo si aggiustò le maniche della preziosa tunica.
«Ti condurrò io stesso giù nella prigione. Non mi fido a lasciarti solo con una guardia. Camminerai davanti a me a testa china, come usano tutti gli schiavi allorché vengono condotti in cella per punizione».
Kirtn accennò di sì con aria docile, ma l’eco della sua terribile risata vibrava ancora nell’atmosfera. Quando Jal estrasse una pistola lancia-aghi e gli indicò la porta con un cenno dell’arma, uscì e lo precedette lungo il corridoio. Costretto a tenere il capo chino non poté vedere come avrebbe voluto i passaggi che attraversarono, ma fu abbastanza per farsene una mappa mentale. Voleva essere in grado di uscire dalla prigione con la massima rapidità.
L’aria si fece assai più fredda quando scesero una ripida scala a chiocciola stretta fra possenti pareti di pietra. Gli scalini erano concavi e lisci nel centro, a rivelare che per secoli gli schiavi e i loro guardiani s’erano serviti di quel percorso. Sulle pareti c’erano chiazze di umidità, e se il soffitto non era pieno di ragnatele come altrove lo si doveva alle infiltrazioni d’acqua. Giunto in fondo all’interminabile scala Kirtn rabbrividì.
Davanti a lui si aprivano angusti tunnel immersi nella tenebra e nel silenzio, e l’aria puzzava di escrementi e sudiciume, ma ciò che lo colpì subito fu il freddo. Si chiese cosa stesse soffrendo la sua Danzatrice del Fuoco, se lui stesso si sentiva gelare come fra muri di ghiaccio. A testa china rifletté sui molti modi che c’erano per uccidere un uomo, e sulla verità delle torture attraverso le quali lo si poteva condurre a desiderare la morte. Ma come gli sarebbe stato possibile torturare l’uomo che aveva chiuso Rheba a languire in quella tomba gelida, quando l’istinto gli diceva di spaccargli il cranio in un sòl colpo?
Quasi intuendo i suoi pensieri Signore Jal gli stava a distanza di sicurezza. L’unica luce era quella della torcia elettrica che s’era applicato alla cintura, e gliela teneva puntata addosso. Non si fidava certo della sua apparente docilità, così come non si sarebbe fidato neppure della propria madre. Kirtn cercò di non apparire minaccioso per non innervosirlo ancor di più, sicuro che il grilletto del lancia-aghi doveva essere fin troppo sensibile.
Fermandosi in attesa di istruzioni lo vide con la coda dell’occhio, ancor più lontano di quel che aveva supposto. Ma non si aspettava facili occasioni da una volpe come Jal.
«Non ci sono guardie a occuparsi dei detenuti? O li lasciate a crepare in cella senza cibo e assistenza?», sbottò.
«Cammina, muoviti», lo incitò l’uomo. «Alla prossima biforcazione prendi a destra, poi il terzo tunnel sulla sinistra. Alla seconda arcata vedrai una sala circolare. La ragazza è nella cella di destra».
«E tu non vieni?»
«Perché dovrei? Tieni, usa la torcia».
Jal gli lanciò l’oggetto e lui lo prese destramente al volo. Doveva avere la batteria mezza scarica, ma gli occhi dei. Bre’n non avevano bisogno di molta luce per vedere alla perfezione. Subito fischiò un richiamo alto e penetrante, col quale informava Rheba che era lì e chiedeva una risposta, ma sebbene l’eco lo portasse lontano non ne ricevette alcuna. Spaventato fischiò, ma udì soltanto un terribile silenzio.
La sua coscienza si ridusse a quella di un animale disperato e folle e cominciò a correre. La torcia bastava appena a illuminare il tunnel, e solo una parte della sua mente contava gli incroci e le arcate, ma dopo appena mezzo minuto si trovò in una vasta sala.
Faceva ancor più freddo che all’ingresso, e sui possenti blocchi di pietra luccicava qualche ghiacciolo. Il suo tentativo di scacciare l’ansia lo avvicinò ancor più pericolosamente a uno stato mentale che confinava col rez. Emise un fischio stridulo che parve graffiare la tenebra, e tese le orecchie: soltanto il silenzio. Tenendo alta la torcia elettrica scrutò attorno in cerca di qualcosa che somigliasse all’ingresso di una cella.
Finalmente s’accorse che in una nicchia sulla destra c’era una porticina, stretta e costruita in massicce lastre metalliche. Al catenaccio, spesso quanto un braccio, era fissato un lucchetto d’acciaio che pur robusto sembrava più vulnerabile del resto della porta. Le mani del Bre’n si strinsero intorno al lucchetto come due morse, poi puntò un piede sul battente e si inarcò con tutta la forza selvaggia che gli scorreva nelle vene come una droga. Il meccanismo interno del lucchetto cedette con uno schianto, ed egli rotolò a terra. Rialzandosi vide che la pesante porta s’era aperta verso l’interno buio.
Rheba era immobile sul pavimento polveroso, ad occhi chiusi e nuda, ridotta da far pietà.
Chinandosi a toccarlo fischiò ancora il suo nome, ma la ragazza era fredda come la pietra e non dava segni di vita. Le mise una mano fra i capelli cercando di captare la lieve energia che vi stagnava sempre, e come annichilito vide Fssa scivolarne fuori e rotolare inerte al suolo.
Nel fondo della sua mente il rez era pronto a divampare, simile alla lava di un vulcano in attesa di esplodere, una promessa di distruzione incandescente e totale. Ma non ancora, disse una voce dentro di lui. Prima doveva avere la prova che fosse morta.
La sollevò dal suolo e la strinse a sé, abbracciandola forte per trasmetterle il calore e l’energia psicofisica del suo corpo. Con mani esperte premette i punti nevralgici della sue Linee di Potenza, e le inviò un flusso mentale di energia. Fu solo allora che sentì il battito del suo cuore, debole come un respiro. Cominciò a massaggiarla delicatamente.
Il cervello di Rheba era pieno di nebbia, e il ritorno della coscienza fu una fiammella che si accese pian piano in quel nulla dei sensi. Le sue Linee di Potenza lucevano, stimolate da un’energia che proveniva dall’esterno, e questa sensazione la stupì vagamente. Poi la fece gridare di dolore. Con uno scatto s’inarcò, scioccata da quella sofferenza atroce. Un Akhenet più débole sarebbe morto, col sistema nervoso bruciato dalla forza del Bre’n che scorreva più nella mente che nel corpo. Ma ella aveva già sentito quella fiamma arderla una volta, in passato, durante gli ultimi momenti trascorsi su Deva. Anche allora, quando gli scudi d’energia avevano ceduto e i Danzatori del Fuoco erano morti sulle loro postazioni, era stata quella sferzata terribile a scuoterla ed a tenerla viva. Era stato il suo Bre’n a rischiare di ucciderla pur di farla reagire. E come allora ella sopravvisse e riemerse dalla profondità del coma.
Le mani di lui la tennero gentilmente, tremando di compassione per il dolore che le avevano dato. Udì il lieve fischio di Kirtn che le chiedeva scusa e la rassicurava. Il gemito con cui lo abbracciò voleva essere il suo nome e fu un singhiozzo di gioia. Lo baciò con amore, perdutamente, un attimo bambina e l’attimo successivo donna adulta e fremente.
Alle loro spalle ci fu un cigolio secco, il lucchetto rotto cadde a terra, e una risata risuonò nel silenzio rauca come il crepitio di pietra spezzata. Ruotando la torcia, Kirtn vide l’espressione spiacevole di Signore Jal che li stava fissando.
«Sei davvero un bastardo pericoloso quanto stupido, Peloso. Il catenaccio era robustissimo. Sì, sei troppo pericoloso per i miei gusti. Adesso f’lTiri sarà costretto a studiare la tua parte in tutta fretta, visto che dovrà duplicarti sulla scena. E il Loo-chim avrà da questa Azione meno gioia di quanto si aspettava, ma non c’è altro da fare. Goditi queste poche ore con la tua sgualdrinella. Più tardi sarà Signora Kurs a occuparsi di te, sempreché voglia tenerti vivo. Per ora … resterete qui».
Solo allora Kirtn vide che l’individuo aveva un altro lucchetto in mano. Gli scagliò addosso la torcia, ma era troppo tardi: la porta si chiuse, l’enorme catenaccio mandò un clangore e il lucchetto scattò. Poi ci fu solo la risata di Jal che si allontanava verso le scale. Qualche istante dopo Rheba creò un globo luminoso sulle loro teste, e quella rimase l’unica fonte di luce nella cella, perché la torcia era finita all’esterno. I rabbiosi tentativi di Kirtn per forzare la pesantissima porta metallica si rivelarono faticosi quanti mutili.
Un gemito di Rheba lo indusse a tornarle accanto. La ragazza teneva fra le mani Fssa e cercava di avvolgerlo in spire, ma il corpiciattolo non rispondeva alle sue sollecitazioni e giaceva inerte. Alla luce del globo baluginante il volto le appariva quasi inespressivo. Pazientemente depose il serpente al suolo e continuò a tentare di riavvolgerlo in spire, nella posa che assumeva di solito.
«Credo che non ci sia nulla da fare per lui», mormorò Kirtn.
«Non è morto», disse Rheba testardamente. «Anche prima era così, ma poi si è ripreso».
Lo Fssireeme seguitò a destare inanimato anche sotto la luce che lei aveva avvicinato al suo corpo, sebbene l’emanazione infrarossa fosse intensa, e Rheba chinò il capo con un ansito.
«Non abbiamo molto tempo, Danzatrice del Fuoco». La voce di Kirtn era dura, decisa. «Sei pronta?»
«Pronta per cosa?»
«Per il fuoco».
«Ma qui non c’è nulla da bruciare», obiettò lei.
«Ci sono io».
Quella risposta lasciò Rheba a bocca aperta, muta per l’incredulità. In piedi al centro della cella Kirtn attese, ma le Linee di Potenza di lei non accennarono a illuminarsi neppure un poco.
«Dovrai fondere i cardini, il catenaccio, oppure l’intera porta», disse freddamente lui in Senyas. «Il battente è spesso quasi un palmo, e ti occorrerà molto calore. C’è un solo modo per produrlo: usare il mio corpo e bruciarlo, trasformandolo in energia libera».
«No!», rifiutò lei, inorridita.
«Sai bene che non c’è scelta. Per uscire da questa porta ti serve energia. O questo, o morire entrambi».
«No!»
«Il tuo dovere di Akhenet è di sopravvivere, e di aiutare quel ragazzo a diventare adulto. Ilfn è gravida. A suo tempo avrai figli anche tu, e le nostre due razze non si estingueranno. Ma prima devi fuggire e vivere, Danzatrice del Fuoco, e questo significa che io devo sacrificarmi».
«Mai!» La parola Senyas era inequivocabile. Non conteneva ambiguità, non dava adito a dubbi o a possibilità di scelta, esprimeva un concetto assoluto. «Io non ti ucciderò mai!»
«Non sarà una gran tragedia, Danzatrice. Io sono già morto». Il tono di lui era tagliente come una lama di ghiaccio. «Ancora non capisci? Io sono condannato a morte, fin da quando mi sono unito a Ilfn. Era il tempo sbagliato … il tempo tuo e mio».
«Condannato … ma che stai dicendo?»
«Rez».
«No, non voglio crederlo».
La sua sola risposta fu un fischio dove vibravano tristi note di rifiuto, di rinuncia, di chiusura. Dapprima ella non comprese, poi si rese conto che erano le strofe di apertura della canzone Bre’n della morte. Lo fissò a occhi sbarrati, senza avvertire il bruciore delle lacrime che le avevano offuscato la vista. Avrebbe voluto trovare le parole per contraddirlo, per dimostrargli che aveva torto, e che non doveva lasciarsi consumare cellula per cellula dalla divorante energia esplosiva del rez. Avrebbe voluto gridare e supplicarlo, e pregare, ma sapeva che nello stato in cui era una parola sbagliata lo avrebbe precipitato ancor più in fretta verso il punto di rottura. Aveva bisogno di tempo per pensare ad escogitare un espediente, un piano, un’idea che le consentisse di evitare quel che Kirtn dava ormai per ineluttabile.
Ciò che Kirtn avrebbe voluto dirle era che la voleva fra le braccia, per amarla e fare dell’amore l’atto finale della sua vita. Ma se avessero fatto all’amore, né l’uno né l’altra avrebbero poi avuto la forza di fare quel che era necessario.
«Devi bruciare ogni singola fibra del mio corpo, e dirigere l’energia calorifica sulla porta. Poi uscirai. Ti nasconderai nel tunnel sotto l’anfiteatro e al momento di uscire in scena parteciperai all’Azione, per poter dare il segnale d’inizio della rivolta secondo il piano. Ci saranno due illusionisti Yhelle, e forse sarai costretta a uccidere la donna. In quanto all’uomo, se rifiuta di impersonarmi uccidi anche lui e sulla scena usa una mia immagine di energia. Al termine, lascia che sia M/Dere a dirigere la fuga. Gli J/taals apriranno la strada a te, a Ilfn e a Lheket fino all’astronave. Decolla immediatamente e passa in overdrive prima che cerchino di abbattervi».
Rheba tacque, perché non si fidava della sua voce. L’unica altra occasione in cui aveva visto Kirtn così rigido e duro era stato anni addietro, un mattino d’inverno su Deva, quando lui l’aveva strappata a forza dalle postazioni difensive mentre al pianeta restavano pochi minuti di vita.
«Desidero che tu adoperi tutta l’energia del mio corpo, e che di me non rimanga neppure cenere su questo sporco pavimento. Assorbine il sovrappiù per usarla come arma, nel caso che tu trovi guardie all’esterno».
La voce del Bre’n era così pacata che ella credette di avere un incubo. Come poteva considerare il suo corpo alla stregua di un pezzo di legna da ardere? Di nuovo fu sul punto di esplodere in una negazione rabbiosa, ma vide l’ombra del rez in attesa nel fondo dei suoi occhi d’oro e tacque. Tempo, cercò di dirsi, aveva bisogno di tempo.
Gli passò accanto e andò ad appoggiare le mani alla porta, liberando nel battente lievi correnti di energia. Il suo addestramento di Akhenet le consentì di leggere nel ritorno di quegli impulsi la struttura intima del metallo. Il catenaccio sul lato opposto era irraggiungibile, e i cardini profondamente incassati nella pietra. Lo spessore enorme di quella porta la sorprese e la scoraggiò, ma fu allora che nella sua mente balenò un’intuizione. Eccitata, e anche spaventata, sentì le Linee di Potenza sul suo corpo reagire e illuminarsi in tutta la loro estensione.
Quando si volse a Kirtn era certa di avere la soluzione in mano, ma era così incredibile e pericolosa che non si azzardò a parlargliene. Era qualcosa di mai tentato, eppure si fondava su un gioco da bambini che ella aveva fatto coi suoi coetanei nel tempo ormai lontano della sua infanzia su Deva. Toccami e prendi la mia energia se ci riesci, diceva il gioco. Ed ella avrebbe preso l’energia che lui le dava, risucchiandola e guidandola all’esterno, con la sola differenza che non sarebbe stata quella del suo corpo in fiamme. Era un’altra, e ben più terribile, l’energia che la giovane Danzatrice del Fuoco si proponeva di usare. E se non ce l’avesse fatta, si disse, sarebbero almeno morti insieme.
«Sono pronta», disse.
Si allontanò dalla porta finché fu con la schiena a contatto della parete opposta, poi se ne scostò di un passo e accennò a Kirtn che poteva mettersi dietro di lei. Il Bre’n le poggiò le mani sulle spalle, e subito un violento flusso di energia le percorse le membra facendo brillare come ruscelli d’oro le sue Linee di Potenza. Quando alzò le braccia e le puntò avanti, facendo tintinnare le catene, vide l’arabesco sotto la pelle pulsare al ritmo di due cuori, il suo e quello di lui.
Dieci lame di luce violetta le scaturirono dalle dita unendosi in un fascio che parve infilarsi nella porta, ma ella controllò con attenzione che il deflusso dai loro due corpi fosse minimo. Questo non era pericoloso, anzi rappresentava il normale sforzo lavorativo di due Akhenet collegati in coppia.
Kirtn sentì la sua forza svuotarsi nel corpo della ragazza, innescando il processo che doveva divenire fuoco nelle sue cellule. Ad occhi chiusi desiderò poterla stringere in un modo che non osava confessare neppure a sé stesso, almeno nell’istante finale. Ma era conscio della disciplina di Akhenet e del suo dovere. L’energia d’innesco che le stava dando non aveva cali né esitazioni. Sentì la temperatura della porta aumentare rapidamente, e i suoi occhi vuoti rifletterono come specchi la luminosità ultraterrena creata dalla Danzatrice del Fuoco. Aumentò il flusso dell’energia che le dava, sperando di vedere il metallo cominciare a fondersi in quei pochi attimi di vita che gli restavano.
Ma Rheba si oppose, bloccando quel sovrappiù. Le sue Linee di Potenza parvero espandersi, mentre gli rimandavano indietro energia in quello che era un chiaro rifiuto di lasciarlo morire. Con una sensazione di estraneità Kirtn si rese conto che avrebbe dovuto esser già consumato dalle fiamme senza calore del suo stesso corpo, e invece continuava a sentirvi vivo. Pur assorbendo la sua energia Rheba gliela restituiva quasi del tutto per altre vie, così sottilmente e astutamente che non se ne era accorto affatto. E la porta non accennava a fondersi, a dare via libera alla ragazza in pagamento del suo sacrificio. Solo allora comprese finalmente che questo era proprio quanto lei voleva. E con un grido terribile precipitò nel rez.