Capitolo 8 GLI OSPITI DEL RECINTO

Kirtn si svegliò bruscamente, strappato dal sonno da un rumore che non riuscì a identificare. Rimase immobile e teso, limitandosi a volgere intorno lo sguardo, ma nel tedioso crepuscolo di nebbia che nel Recinto rappresentava l’alba non vide nulla di allarmante. L’unico suono che ora percepiva era il respiro di Rheba che dormiva al suo fianco. Qualche secondo più tardi colse con la coda dell’occhio il movimento di un’ombra fra le ombre.

Pian piano girò la testa, fingendosi ancora immerso nel sonno, riuscendo a scorgere solo foschia e umide pareti di piante. Allora decise d’indagare e in silenzio si scostò dalla ragazza, fece alcuni passi e vide Fssa accovacciato sul bordo del pozzo. L’imprevedibile creatura aveva di nuovo mutato fattezze, trasformandosi in un disco color verde pallido da cui spuntavano protuberanze, e stava bevendo. Emise un suono flautato di soddisfazione, poi con un fruscio di scagliette si volse. Kirtn riconobbe lo stesso rumore che lo aveva destato, e si rilassò sorridendo fra sé. Dopo un’occhiata al cielo stabilì che stava sorgendo il sole, e rinunciò all’idea di dormire ancora un po’.

«Kirtn?», fischiò piano il serpente. «C’è gente qui vicino, forse qualcuno che ci spia. Sento molte voci».

Il Bre’n s’irrigidì. «Da che parte?»

Sempre conservando la sua forma discoidale Fssa volse il capo protendendo i suoi strani sensi, quindi fischiò la risposta: «Al di là dei segni azzurri della tregua», disse, riferendosi evidentemente ai due circoli concentrici. «Schiavi selvaggi e bestie feroci … Ma si stanno allontanando».

Kirtn si concentrò, ma non fu capace di sentire assolutamente nulla. «Devi avere un udito molto sensibile tu», disse sottovoce.

«Sì», ammise il rettile. Il suo corpiciattolo discoidale ondeggiò compiaciuto, riflettendo cento barbagli multicolori. «Sul mio pianeta natale, la capacità di distinguere i rumori è indispensabile alla sopravvivenza». Volse gli occhietti all’insù. «Qui il cielo mi ricorda casa mia».

A Kirtn l’atmosfera parve opaca e triste, velata di arancione solo a oriente. «E casa tua dov’è?»

«Lontano», sibilò malinconico Fssa. «Chissà dove».

«Come sei arrivato su Loo?»

«Oh, i miei antenati vennero portati qui molto tempo fa. Noi siamo i Comunicatori Fssireeme, capisci?» Mandò una risatina amara. «Siamo fra i relitti della Dodicesima Espansione, anche conosciuta come il Ciclo Makatxoy. In Senyas ciò significa il Ciclo dei Meccanicisti, i costruttori di macchine bioniche».

«Bioniche?» Kirtn fu sorpreso da un’improvvisa intuizione. «Vuoi dire che anche tu sei una macchina?»

Fssa non rispose.

Stesa sull’erba, Rheba emise un mugolio insonnolito e si contorse, ma senza svegliarsi. Negli ultimi giorni aveva accumulato tossine, e il suo corpo di Akhenet aveva bisogno di un riposo tutto particolare. Kirtn rimase fermo e zitto finché non fu ben sicuro che si fosse riaddormentata profondamente. Avrebbe voluto essere in grado d’insegnarle a ristorarsi con l’energia solare, ma non era all’altezza di quel compito. Sapeva soltanto che ciò richiedeva complessi adattamenti infracellulari, e che la capacità di trasformare la luce in nutrimento era un’esclusiva caratteristica delle Danzatrici del Fuoco più evolute. Provarci senza l’abilità necessaria sarebbe stato più pericoloso che inutile, per Rheba.

Un altro tintinnio di scaglie richiamò lo sguardo del Bre’n sul serpente, che era balzato giù dal bordo del pozzo e stava letteralmente rotolando verso di lui.

«Sei molto bello, piccolo rettile», fischiò. «Macchina o animale, mi piaci lo stesso. Grazie per aver vegliato sul nostro sonno».

Fssa rinunciò alla sua nuova forma e con un guizzo tornò a quella serpentiforme. «Io non sono una macchina. Non del tutto. Il mio popolo si è evoluto su un pianeta dall’atmosfera di gas semisolido, una protostella, chiamata Ssimmi. La sua forza gravitazionale era molto maggiore di questa di Loo, e nell’atmosfera si poteva nuotare. Era meraviglioso, con moltissime forme di vita che mandavano suoni d’ogni genere». La sua voce si fece sognante. «Non era come questo mondo freddo, incolore e umido. Almeno, così mi è stato detto dal mio maestro. Io sono stato un Ssimmi solo nei miei sogni».

Kirtn attese, incuriosito ma timoroso d’offendere il sensibile rettile con domande troppo personali. Fssa tuttavia non era riluttante a parlare dei fatti suoi, anzi sembrava che avere un ascoltatore lo stimolasse.

«Non vorrei tenerti sveglio con le mie chiacchiere», fischiò.

«No, non ho sonno. Parlami del tuo pianeta».

«Era un mondo selvaggio, confrontato a questi della Confederazione Yhelle. Noi non siamo mai stati costruttori di utensili. Siamo … be’, direi che ci limitiamo a vivere. Così era anche su Ssimmi, sebbene occorresse fortuna perché i predatori erano moltissimi. Il mio popolo ha dovuto sviluppare capacità difensive, come quella di creare illusioni».

«Illusioni ottiche, intendi?»

«No. Voi del Quarto Popolo date per scontato che la vista sia il senso basilare. Io mi riferisco alle illusioni sonore. Su Ssimmi c’era un’atmosfera inadatta all’uso degli occhi, e di conseguenza tutto era basato sulle capacità vocali e auditive. I predatori erano del tutto ciechi, e ciò malgrado pericolosissimi».

«Capisco. Cacciavano con l’uso di radar acustici, come molti insetti e piccoli mammiferi».

«All’incirca, ma con apparati sensori più complessi. Usavano onde sonore di diverse lunghezze per ciascuna attività. Quando noi sentiamo avvicinarsi un predatore ne identifichiamo la specie tramite i rumori, e ne produciamo altri simili a quelli della razza che teme maggiormente. Se siamo abbastanza bravi, sopravviviamo, altrimenti veniamo presi. La vita su Ssimmi si basava su questo principio elementare di capacità».

«Ma se non siete costruttori di utensili, come avete fatto a lasciare il vostro pianeta?»

«È stata la Dodicesima Espansione ad arrivare fino a noi. A quel tempo eravamo imitatori-analizzatori di suoni, con un’abilità unica nel capire gli elementi linguistici, e non sapevamo far altro. Ma avevamo abbastanza cervello per capire che ci conveniva collaborare con gli invasori. Loro avevano macchine … e soprattutto mani e piedi. «Fssa tacque per un lungo momento. «Il mio popolo si mise al loro servizio, e quando essi ebbero finito di manipolare i nostri cromosomi fecero di noi una razza diversa, capace di metamorfosi organiche, e traduttori migliori degli apparecchi che avevano usato fin’allora … Ma non fecero di noi delle macchine. Non lo siamo, sebbene quegli umani ci usassero come semplici apparecchi per comunicare».

Kirtn annuì. «Molte razze sono state fatte schiave e poi modificate geneticamente. Ma non poche di esse sopravvissero ai loro padroni, o finirono addirittura col dominarli».

«Sssì», sibilò ansiosamente Fssa. «Comunque quella è storia antica, e adesso nessuno di noi conserva rancore. Solo una cosa m’importa: vorrei nuotare nell’atmosfera di Ssimmi, prima di morire».

Il Bre’n si sorprese ad annuire con viva comprensione. «Ti capisco, anch’io darei la vita per rivedere il mio pianeta com’era una volta … azzurro e verde».

«Forse un giorno il tuo desiderio si avvererà», gli augurò Fssa.

«Non credo», Kirtn parlò in Senyas, per celare le sue emozioni sotto quel linguaggio puramente tecnico. «Deva è soltanto una sfera di roccia riarsa che orbita intorno a una stella instabile».

«Mi spiace», fischiò il rettile, contrito.

«Il passato è passato», borbottò lui. «Ma se riusciamo a fuggire da Loo ti porterò su Ssimmi, lo prometto. Rivedere la patria è un diritto di ognuno».

«Grazie, ma … io no so dove sia Ssimmi».

«Ah! Da quanto tempo la tua gente lo ha lasciato?»

«Migliaia e migliaia di anni. Questo però non cambia il nostro desiderio di nuotare nell’aria di Ssimmi. Abbiamo una memoria perfetta, e i nostri maestri che c’insegnano la storia ricordano tutto, fino al tempo in cui i primi di noi lasciarono i laboratori di bionica per viaggiare con Mercanti Espansionisti. Prima di allora …» emise un sospiro sibilante. «C’è solo la Lunga Storia, le interminabili ere in cui vivevamo allo stato brado sul pianeta selvaggio».

All’improvviso la forma di Fssa sembrò esplodere, proiettando all’esterno piume e spine d’ogni colore in un fruscio. Kirtn trasalì, intuendo che aveva sentito qualcosa.

«Ci sono dei nuovi schiavi», riferì il serpente dopo qualche momento.

«Ne sei certo?»

«Sì. Il rumore dei loro passi è erratico, come se fossero stanchi o feriti».

«Probabilmente entrambe le cose».

Fssa cambiò ancora colore, girando il capo verso il pozzo. Da quella direzione Kirtn udì provenire voci acute e squillanti, oltre una macchia di arbusti che crescevano all’interno dei due circoli. Adesso gli sembrava di ricordare d’aver visto una famiglia, il giorno addietro, tre adulti e cinque bambini che vagavano nella nebbia. Se erano loro, c’era da chiedersi come avessero potuto cavarsela fino ad allora con tutti quei ragazzini a cui badare.

Nella debole luce dell’alba vide infine dei bambini muoversi fra le piante. Sorprendentemente i loro modi erano vivaci e spensierati, al punto che s’inseguivano per gioco mandando gridolini allegri. Uno degli adulti sbucò fra gli alberi, li ammonì in una lingua sconosciuta e tornò fra la vegetazione a fare quel che stava facendo quando il chiasso lo aveva disturbato.

Fssa commentò il loro atteggiamento con un lieve sibilo, ma Kirtn non poté nascondere un’espressione stupefatta.

«Sono Gelleani», fischiò il serpente. «Per ferirne uno dovresti scaraventarlo in un precipizio su un pianeta ad alta gravità, e forse una volta non basterebbe».

«Questo spiega tutto», disse il Bre’n con un sorrisetto.

«Non è una famiglia completa. Per solito le famiglie Gelleane sono composte da quattro adulti e otto bambini».

«Vedo con piacere che sei ben informato sugli abitanti della Confederazione Yhelle. Io e Rheba non se sappiamo molto invece».

«So tutto quel che sapeva il mio maestro, e i maestri di lui e dei miei antenati. Conoscenze trasmesse per via orale, insomma. Però sono rimasto qui nel Recinto un bel po’ di tempo, e puoi credermi se ti dico che in un posto come questo non s’impara molto. È freddo, e per lo più ho trascorso il tempo dormendo. Quando qualcuno s’avvicinava lo spaventavo con la mia imitazione del Darkzoi».

Il piumaggio del rettile tornò dorato, mentre strisciava più vicino a Kirtn. Gettò un’ultima occhiata ai ragazzini Gelleani che parevano dotati di un’anormale capacità di far baccano, e parlò a voce più alta:

«La mia gente non ha imparato molto dai Mercanti Espansionisti. Ci usavano come macchine, e nessuno perde tempo a educare una macchina o a chiacchierare con lei. Così nei periodi d’inattività i miei antenati dormivano, sognavano, e ogni tanto qualcuno diventava pazzo». Le sue piume si agitarono mestamente. «È triste parlare soltanto per tradurre quel che dicono gli altri, e quando trovo qualche amico forse esagero».

«Non esageri affatto. E sei bello», lo consolò il Bre’n.

Fssa sibilò un ringraziamento. Nel frattempo i ragazzini Gelleani s’erano avvicinati, e Kirtn dovette allontanarli a gesti da Rheba perché non la svegliassero. Uno di essi corse ad afferrare un pezzo di roccia che sporgeva dalla melma, e vedendo che poteva smuoverlo prese a svellerlo con movimenti energici ed intenzioni note a lui solo. Qoando il sasso si rovesciò, la parte che era stata a contatto del suolo rivelò una struttura cristallina scintillante di colori, e il bambino la esaminò eccitato. Subito accorsero i suoi compagni di gioco, che cominciarono a litigare per il possesso dell’oggetto. Trenta metri più in là un adulto sorvegliava con sguardo indulgente che non si picchiassero più del lecito.

D’un tratto un fischio di Fssa richiamò l’attenzione di Kirtn dalla parte opposta, su un altro gruppetto in avvicinamento alla zona di tregua. Anche Rheba lo udì, già mezza desta a causa del chiasso dei Gelleani, e si tirò a sedere con un mugolio. La ragazza controllò la situazione con occhi gonfi di sonno, poi si grattò le nuove Linee di Potenza apparsele il giorno prima lungo le braccia.

I nuovi schiavi erano in sette, quattro uomini di pelle liscia e tre donne coperte di peluria. Erano umanoidi di media statura, eccezionalmente robusti, ed a Rheba parvero quasi tutti feriti. Si muovevano però con tranquilla sicurezza, avanzando con passi che rivelavano una forte struttura scheletrica e muscolare.

«Conosci la loro razza?», chiese Kirtn a Fssa.

Il serpente non rispose. Si stava concentrando sulle voci dei sette, appena udibili, ed il suo corpo aveva ancora mutato forma. Il Bre’n giudicò che il gruppetto sarebbe giunto al pozzo di lì a cinque minuti, vista la lentezza con cui procedeva. Poco dopo una delle tre umanoidi, una donna dalla cortissima pelliccia scura, barcollò e cadde a terra.

Il Bre’n s’era già mosso per andar loro in aiuto, quando un fischio di Fssa lo fermò: «No. Guarda!»

Da una macchia d’arbusti appena fuori dei due circoli erano emersi alla spicciolata nove individui di razze diverse, barbuti e sporchi, che sbarrarono la strada ai sette con l’atteggiamento di chi non ha fretta. La loro sicurezza spavalda risultò chiara quanto le loro intenzioni allorché si. schierarono sul sentiero. Quelli che sopraggiungevano si limitarono a rialzare la loro compagna e continuarono ad avanzare.

Dietro le spalle di Kirtn i ragazzini Gelleani strepitavano, frustrando i tentativi di Fssa che cercava di distinguere i linguaggi dei due gruppi di schiavi. Il Bre’n sentì su una spalla una mano di Rheba e la strinse, poi si accigliò, accorgendosi che la ragazza doveva avere qualche linea di febbre.

«Come ti senti?»

«Sto benissimo», mentì lei.

Kirtn la prese per le spalle, e al suo gesto, lungo le braccia di lei scivolarono lievissimi bagliori d’energia. Lui scostò subito le mani. «Controllati, santo cielo!» La esortò. «Non hai ancora recuperato. Ti occorre altro riposo».

«Va bene, ma più tardi».

Carica di energia elettrostatica, la chioma le ondeggiava, e le cellule del suo corpo non trattenevano neppure quel poco che assorbiva dalla cupola del campo di forza senza quasi farci caso. Osservò i sette che sopraggiungevano in cerca di salvezza, e si chiese cos’avrebbe potuto fare per aiutarli. In quelle condizioni fisiche per lei poteva essere pericoloso maneggiare energia.

Il gruppetto s’era accorto della vicinanza del pozzo, nonché dello sbarramento di avversari, ma nessuno di loro parve eccessivamente emozionato.

«Sembrano storditi, o sono degli sciocchi», borbottò Kirtn. «Questi bastardi li stanno aspettando sul sentiero. È un passaggio obbligato, chiuso fra cespugli molto fitti, e dovranno battersi».

Fssa esibì un altro mutamento, tornando un disco scintillante. Poi ebbe un fischio d’irritazione, quando i nove individui strinsero le file impedendogli di vedere gli altri. C’erano trenta metri scarsi fra loro e il gruppo di predatori, e altrettanti fra questi e i sette che si avvicinavano. Kirtn sollevò il serpente e se lo mise su una spalla.

I Gelleani adulti gridarono qualcosa ai quattro bambini, che correvano qua e là senza pensare ad altro che ai loro giochi indiavolati. Una di essi, una femmina, s’era impadronita della roccia cristallina, e si difendeva a calci da quelli che volevano strappargliela. Il gioco si trasformò in una battaglia vera e propria, finché uno degli adulti cominciò a urlare imbestialito. I ragazzini tacquero.

Nella pausa di silenzio, fu possibile udire le voci di due schiavi che confabulavano e si preparavano alla lotta. Rheba si volse, sorpresa nel sentire che Fssa forniva a Kirtn una traduzione in universale pressoché istantanea.

«… e io ti dico che sono J/taals», stava sbraitando un umanoide alto e nerboruto. «Gli uomini sono Lisci e le donne Pelose. Non lo vedi?»

«E secondo te possiamo farcela», chiese nervosamente un compare, barbuto e tarchiato. «Se sono J/taals, dove hanno lasciato i loro dannati clepts?»

«Cosa?»

«I loro cani da guerra».

«Bah! Morti, probabilmente». L’individuo rise con cattiveria. «Loo è un posto fatto per duri, amico».

«Appunto», ringhiò l’altro. «I clepts sono schifosamente duri».

«E tu ne vedi?»

«No».

«Allora vuol dire che non ce n’è. Non fare il guastafeste».

«Sei certo che questi J/taals non siano sotto contratto?»

«Idiota! Se fossero sotto contratto non avrebbero potuto metterli nel Recinto, sicuro come il sole. Nessuno può catturarli vivi, quando hanno un contratto. Ma adesso non lavorano». L’uomo sghignazzò. «E questo vuol dire che non combatteranno neppure. Hai? capito?»

Gli J/taals avanzavano come se nessuno si fosse interposto fra loro e i due circoli azzurri. Sembravano non fare assolutamente caso alla presenza degli avversari schierati.

«Non combatteranno?», sussurrò Rheba, stupita. «Che significa?»

Kirtn si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea. È una cosa priva di senso».

A dieci metri dalla banda degli aggressori, gli J/taals si riunirono in un gruppo compatto, con la donna ferita al centro, poi si lanciarono avanti di corsa.

«Attenti, voi!», urlò il capo degli schiavi. «Cercano di passare fra noi. Afferrateli. Basta che agguantiate per un braccio uno di loro, e si darà prigioniero! …»

Le grida eccitate dei bambini Gelleani impedirono a Fssa di ascoltare e tradurre il resto di quegli ordini concitati.

Gli J/taals si scontrarono con la banda dei predoni, e non furono capaci di sfondare il loro sbarramento. Appena venivano afferrati, anche solo per una mano, invece di divincolarsi e combattere si arrestavano senza resistere, rendendo così ridicolmente facile agli aggressori avere il sopravvento. Questi non si limitavano a trascinarli via appena presi, ma con fredda e metodica ferocia li percossero finché gli sventurati caddero storditi sotto i colpi. Non un solo J/taal riuscì a raggiungere la zona franca. Quando due schiavi sbatterono a terra una delle tre donne, e la presero selvaggiamente a calci, la sola reazione dei compagni di lei furono gemiti e lamenti disperati.

Kirtn e Rheba osservavano la scena senza credere ai loro occhi.

Gli J/taals erano certo stanchi, ma fisicamente quantomai robusti. Dunque perché non si difendevano?

Un’altra delle donne fu gettata al suolo e picchiata con una pietra, e al truce spettacolo gli J/taals ancora coscienti mandarono esclamazioni angosciose. La furia bestiale dei predoni esplose sui loro corpi inerti, e il sangue cominciò a scorrere.

Ad un tratto una delle bambine Gelleane inciampò quasi addosso a Kirtn, stringendosi gelosamente al petto il sasso cristallino, lo evitò con uno scarto e si volse a strillare insulti ai coetanei. Gli altri tre la inseguirono, riuscirono a prenderla e ruzzolarono tutti a terra confusamente. Uno degli adulti si decise a intervenire e li separò, ma la bambina approfittò della cosa per raccogliere di nuovo il suo sasso e fuggire via. Ignorando i richiami corse verso i due circoli concentrici e li oltrepassò, uscendo dalla zona di sicurezza. Pochi istanti più tardi uno degli schiavi si gettò su di lei e la abbrancò con un grido di selvaggia soddisfazione.

Tenui linee di fiamma scaturirono dalle braccia di Rheba a quella vista, ma la distanza era troppa perché stanca com’era potesse colpire efficacemente qualcuno.

«La bambina …», ansimò. La sua voce si alzò in un grido: «Salvate la bambina!»

Загрузка...