Rheba si svegliò con un mal di testa così forte che avrebbe voluto piangere. In alto il cielo era ancora una distesa grigia velata a oriente, dove il sole stava per sorgere. Rabbrividì, si strinse alla meglio il vestito intorno alle membra e si addossò alla schiena di Kirtn, il quale non si destò ma la cinse automaticamente con un braccio. Faceva freddo, e quella era la cosa che dal suo arrivo su Loo l’aveva disturbata più di ogni altra. Svegliarsi intirizzita era una sensazione odiosa.
Il dolore alla testa s’intensificò, per qualche minuto tornò a scemare pian piano, e poi si fece più forte di prima. Sentendola agitarsi, il Bre’n finì per aprire gli occhi, la fissò insonnolito ed emise un brontolio. Dalla smorfia che aveva dipinta sulla faccia, Rheba dedusse che anch’egli avvertiva gli stessi sintomi.
«Fssa!», ringhiò Kirtn. «Dov’è quel piccolo criminale? Scommetto che ha ricominciato a parlare con Arcobaleno».
Lei si guardò attorno, si frugò fra i capelli e mugolò: «Qui non c’è».
«Quando metterò le mani addosso a quello Fssireeme, gli darò io una nuova forma», sbuffò il Bre’n, tirandosi a sedere.
Sentendo il mal di capo svanire, Rheba si permise un respiro di sollievo. Pochi istanti dopo i due videro il serpente che strisciava verso di loro come una saetta argentea e dorata. Scintillava di mille barbagli ed era piacevole a vedersi … ora che aveva smesso di causare loro quella sofferenza.
Kirtn lo agguantò quasi brutalmente. «Apri bene le orecchie che non hai, rettile. Tu sai già quel che succede quando fai parlare Arcobaleno. Perché insisti a tormentarci?»
Sotto l’occhiata rovente dell’altro, Fssa divenne nero per l’imbarazzo. Tacque, penzolando dalla sua mano moscio come una corda bagnata.
«Che c’è di tanto irresistibile in quella maledetta pietra? Si può sapere?»
In tono lamentoso il serpente fischiò: «Lui è così vecchio, amico Kirtn … Più vecchio di chiunque altro. È nato molti millenni fa, prima che noi Fssreeme lasciassimo il nostro mondo lontano». Le sue scagliette divennero perlacee, poi s’irretirono di linee d’argento. «Sa più cose di quante io avrei mai creduto possibile. Lingue antiche, strani linguaggi tecnici dimenticati, ed altre che per me sono come potrebbe essere il fuoco per te. Conosce frammenti delle cose più disparate, da cui però non è possibile capire molto. Ciò che ho appreso da lui sono i sistemi di comunicazione, perché riesco a estrapolarli da pochi dati. Tutto il resto è un guazzabuglio d’informazioni, gli avanzi di una conoscenza confusa e spezzettata quanto antica».
Rheba si sentiva ora abbastanza rilassata da poter provare sentimenti come la curiosità. «Arcobaleno è del Primo Popolo? Quanto è vecchio?»
Fssa fischiò una negazione. «Non è del primo Popolo. La sua mente è dello stesso genere cristallino, ma è stata creata dall’uomo. Lui stesso lo ha ammesso, e non sa mentire».
«Creato?», si stupì Kirtn. «Quando, perché, e da chi?».
Sentendo la voce di lui farsi di nuovo amichevole, il serpente tornò a colori più chiari e brillanti. «Arcobaleno è stato creato dai …» Qui la sua voce si trasformò in un suono bizzarro impossibile da riprodurre per una bocca umana. «Be’, è un nome troppo difficile. Dandogli un suono accettabile, credo che voi li chiamareste Zaarain. Può andar bene come traduzione?»
Kirtn e Rheba si scambiarono un’occhiata. Poi il Bre’n disse: «Conosciamo già questo nome. Ne sei sicuro?»
«Questa è la sola traduzione possibile, vista la frequenza a modulazione KFXZT con cui Arcobaleno comunica. È una modulazione non riproducibile a voce. E io sono il primo che sia mai riuscito a parlare con lui da moltissime migliaia di anni», aggiunse con orgoglio.
Rheba sbatté le palpebre, non del tutto certa d’essersi svegliata. «Zaarain … Se il Loo-chim lo sapesse, non l’avrebbe lasciato in quel fango».
«Ma …», Fssa smise di fischiare e passò alla lingua Senyas per esprimersi con maggior precisione. «Vedi, il fatto è che nessuno ha mai parlato con Arcobaleno. E lui ha bisogno di comunicare. Lui è stato creato per essere una banca dei dati … o meglio, potrei dire una biblioteca. Dunque ha necessità d’essere consultato. Questa è la sua natura: rispondere fornendo informazioni».
«C’è però un inconveniente», disse Rheba. «Quando comunica ci dà uno spaventoso mal di testa. E questo chiude l’argomento».
Fssa si contorse, a disagio. «Anch’io soffrivo come lui, quando ero solo. So cosa significa».
Kirtn stava guardando la piccola forma di Arcobaleno, poggiato sul suolo poco distante. «Una biblioteca Zaarain! Chissà quali meraviglie potrebbe insegnarci».
«La biblioteca di cui faceva parte era molto più vasta», precisò il serpente. «In realtà è solo un frammento di un antico impianto che in un’epoca dimenticata fu saccheggiato da mani barbare».
«E di che dimensioni era l’installazione completa?»
Il serpente assunse il colore ramato che indicava una certa perplessità. «Forse quanto il pozzo, forse più grande ancora. Arcobaleno stesso non lo sa. In lui restano frammenti sparsi e basta. Ha appena l’energia di tenersi in vita, ed è fin troppo, se si considera da quanto tempo è stato staccato dal complesso di cui faceva parte».
«Notevole. Una biblioteca degli Zaarain», ripeté Kirtn, colpito.
«Un mal di capo Zaarain», brontolò Rheba. «Io sono felice solo quando quel dannato coso dorme».
«No, non dorme mai», la corresse Fssa. «Però emette solo se gli vengono poste delle domande, o quando viene maltrattato molto».
«Bene. Ora siamo certi che i nostri dolori sono soltanto colpa tua serpente. Quindi non stuzzicarlo più».
Fssa tornò a una tinta corporea molto scura. «Voi potreste …», cominciò. La sua voce s’interruppe, tremula. «Ecco, potreste includerlo nella vostra Azione? In caso contrario saremmo costretti a lasciarlo qui, e un giorno o l’altro qualche Loo lo porterà in una gioielleria per tagliarlo come una gemma, e lui morrà. Rheba, per favore … certo una persona bella e buona come te può trovare un angoletto nel suo cuore da dedicare a un cristallo».
La ragazza ridacchiò. «Non adularmi, serpente. Ho già abbastanza guai, senza bisogno di dovermi anche occupare di un relitto Zaarain».
Fssa tacque, si mosse lentamente sul terreno verso di lei e le sfiorò con timidezza un polpaccio. Rheba finì per sbuffare a quella carezza. «Diavolo! … Se ci tieni tanto, vedrò un po’ cosa si può fare».
«E cosa dirai a Dapsl?», chiese Kirtn.
«Nulla. Proprio nulla. E se obietta qualcosa gli brucio tutti i capelli che ha in testa».
Il serpente brillò di colori metallici e sgargianti. Poi per la felicità emise sbuffi di piume iridescenti e si rotolò sull’erba. «Grazie!», trillò soddisfatto.
Kirtn rise. «Peccato che Arcobaleno non sia un re delle metamorfosi come te. Sarà difficile dargli una parte nello spettacolo».
Il serpente tornò liscio e argenteo. «Io credo … aspettate». Riprese di botto la forma di fungo, e parve comunicare con lo strano cristallo, quindi parlo in Senyas: «Credo proprio che Arcobaleno possa mutare aspetto, entro certi limiti. In realtà è un insieme di pezzi, e se vuole può variarne la disposizione a piacere».
«Ah!» Rheba si volse al compagno. «E tu che forma preferiresti dargli, per l’Azione?»
«Be’, una collana oppure oppure una corona, direi. Qualcosa di barbarico e vistoso, che si adatti alla mia parte di demonio chiuso in gabbia».
«Può funzionare», annuì Rheba. «A Dapsl diremo che è una creatura del Primo Popolo, cosicché ha diritto di partecipare all’Azione. Se tutto andrà bene resterà insieme a noi. Ma … per le Fiamme della Stella Maledetta! Guai a lui se mi farà a pezzi il cranio come ha fatto fin’ora!»
Fssa attendeva. La ragazza lo guardò e proseguì: «Va bene, dai pure la notizia al tuo amico. Però non lasciarlo parlare».
Intanto che lo Fssireeme e la creatura cristallina comunicavano, Rheba chiuse gli occhi e si prese la testa fra le mani cercando di ignorare le fitte di dolore. Come aveva sperato il colloquio durò poco, e infine Fssa riferì:
«Arcobaleno non è entusiasta di cambiare forma, ma lo farà. Ciò che lo spaventa, però, è d’esser lasciato cadere e finire a pezzi».
«Bah! Se tu non mi avessi giurato che era vivo, lo avrei spaccato io stessa già da tempo», brontolò lei.
Fssa le si attorcigliò dolcemente a una caviglia. «A lui spiace molto di avervi fatto soffrire. Abbiamo cercato una frequenza innocua per voi, ma invano»
«Questo non mi consola affatto».
A una cinquantina di metri da loro gli J/taals si stavano svegliando, e se anche avevano avuto mal di testa nel sonno ora ne erano dimentichi. Dapsl era in piedi accanto al pozzo, e aveva terminato di lavarsi la faccia e di ritirare un abito nuovo. Era occupato a ringhiare insulti verso i clepts. La foschia che chiudeva tutto il panorama intorno alla zona franca si schiariva, e il cielo assumeva toni arancione sempre più vividi.
«Un altro giorno nel Recinto», mugolò Kirtn. «Non sono nato per fare lo schiavo, mia cara».
«Neppure io mi sento Addomesticata, puoi credermi. E quando penso che quel piccolo bastardo con la pelle purpurea viene considerato umano, mentre tu no …» Lasciò la frase in sospeso, irosamente.
D’improvviso i capelli le si sollevarono crepitando come foglie secche. I suoi occhi ebbero uno sguardo stranito, poi si fecero vacui.
«Rheba!» Kirtn la afferrò per le spalle, allarmato. «Cosa ti succede?»
Lei non rispose né diede segno d’averlo udito. Intorno al suo corpo vorticava un cono di energia che si espandeva fino alla cupola del campo di forza, e che ruotava come una tromba d’aria. D’un tratto l’effetto cessò, e voltandosi Kirtn vide che accanto al pozzo era comparso un folto gruppo di persone. Portavano abiti elegantissimi e gioielli in abbondanza, avevano tutti un aspetto altezzoso e arrogante, e la loro pelle era quella azzurrina dei Loo d’alta casta.
«I compratori …», ansimò Kirtn, «Rheba, guardami. Svegliati … Danzatrice del Fuoco!»
Sferzata dalla sua voce, la ragazza uscì dallo stato di trance e lo fissò storditamente. Tremava ancora, scossa dal contatto con quell’energia. Alzò le braccia, come avida di sfiorare il campo di forza, e il sovraccarico di energia si disperse sotto forma di scintille elettrostatiche dalle sue chiome. Kirtn la fissava sbalordito.
«Va tutto bene», mormorò lei. «Non preoccuparti. È stato … è stato bello. Mi sento come rimessa a nuovo. Non avevo mai provato nulla di simile dal giorno in cui sedetti in mezzo al Circolo dei Danzatori del Fuoco».
L’altro annuì a denti stretti. «D’accordo, ma stai attenta. Un flusso d’energia di questo genere può rovinarti, con la stessa facilità con cui ti fa sentire rinnovata».
Lei sbatté le palpebre come se si risvegliasse allora da un lungo sonno. «Ci sono modi peggiori di morire. Mi chiedo se questa non fosse la stessa sensazione che provarono gli altri Danzatori, il giorno in cui l’energia da plasma solare si abbatté su di loro e li bruciò fino alle ossa».
Un ordine di Dapsl echeggiò nell’aria: «In riga, voialtri! I compratori sono arrivati. Tutti in fila, svelti!»
Quattro guardie armate di laser uscirono dal gruppo dei nuovi venuti, e uno di essi li informò in pessimo universale su come avrebbero dovuto comportarsi. Un sistema d’amplificazione, presumibilmente collegato alla cupola d’energia stessa, potenziò la sua voce in modo che tutti gli schiavi nella zona franca la udissero.
«Ora che i compratori sono qui, voi eseguirete la vostra Azione su questo terreno circolare», continuò la guardia. A un suo gesto, una circonferenza larga una cinquantina di metri brillò di luce fredda e violetta. «Le Azioni che riscuoteranno apprezzamento saranno portate altrove da chi le acquisterà. Allineatevi per l’ispezione preliminare».
Da lì a pochi minuti tutti gli aspiranti schiavi che s’erano nascosti in quei giorni all’interno dei circoli azzurri uscirono dalla vetazione. Erano un centinaio, assai più di quanti Kirtn e Rheba ne avessero notati, e i due compagni li studiarono con interesse mentre si radunavano docilmente accanto al pozzo. Sembravano appartenere ad almeno quindici razze diverse, ma avevano tutti un aspetto sano e riposato. Con un fremito di speranza Rheba li guardò l’uno dopo l’altro e, nell’intuire i pensieri di lei, anche Kirtn s’irrigidì a fissarli. Ma in quella piccola folla eterogenea non c’era neppure un Bre’n, né un Senyasi.
Le urla di Dapsl risuonarono stridule accanto a loro: «Tenete quel serpente sotto controllo, prima che qualcuno lo calpesti e rovini le nostra Azione. Tu, Kirtn, ascoltami: assicurati che quei maledetti clepts stiano fuori dai piedi finché non avremo finito».
Kirtn non lo degnò di un’occhiata, e si chinò a raccogliere Arcobaleno. Appena fu nel palmo della sua mano la pietra prese a cambiare forma frammentandosi in minuti cristalli, che scivolavano l’uno sull’altro come magnetizzati. In pochi istanti si allinearono come Fssa aveva ordinato, e il Bre’n si trovò proprietario di una corona regale scintillante che sembrava intagliata in un unico blocco di diamante.
«Sei fantastico, amico», mormorò Kirtn, pur dubitando che Arcobaleno potesse capirlo. Mise la corona in capo, e un istante dopo sentì che essa mutava lievemente di dimensioni per adattarsi alla forma del suo cranio. Il Bre’n ebbe un sorrisetto, riflettendo che adesso come Rheba anche lui si portava in testa una creatura raziocinante ma inumana. Nel frattempo però i clepts non accennavano a lasciarli, anzi s’erano messi fra loro e i Loos. in atteggiamento minaccioso.
«Quei luridi cani da guerra!», strillò Dapsl. Corse davanti a Rheba agitando le braccia. «Manda via quelle bestiacce, o i Signori dovranno farle uccidere. Hai capito?»
Lei lo fissò freddamente. «I clepts sono parte della nostra Azione».
«Cosa? Ma loro non … e noi ci siamo già esercitati a … Insomma, è impossibile!», stridette l’altro.
«Loro hanno lavorato mentre tu dormivi. Che il risultato sia piacevole o meno, stanno con gli J/taals, dunque devono partecipare all’Azione. E ora togliti di mezzo, piccoletto. Fssa deve poter sentire i compratori …» S’interruppe. Non voleva che Dapsl sapesse delle notevoli possibilità auditive del serpente, visto che non intendeva fidarsi di lui neppure un istante. L’ometto era troppo astuto e sfuggente, e anche nei suoi momenti migliori ragionava come ragiona uno schiavo, cosa estranea alla mentalità di lei.
Imbestialito Dapsl le volse le spalle e tornò accanto agli J/taals, berciando e imprecando. Arrotolato fra i capelli di Rheba, Fssa tese le sue facoltà auditive verso i Loos.
Senza muovere la bocca ella sussurrò. «Puoi sentire qualcosa?»
La sua voce era stata così bassa che non la si sarebbe sentita neppure mettendole un orecchio davanti alla bocca, ma Fssa la udì. Il serpente era un’entità invisibile, la cui presenza restava insospettabile per chiunque, e il suo fischio di risposta fu altrettanto riservato: «Non ancora. Ma fra poco riuscirò a capire la loro lingua, stanne certa».
La ragazza non gli fece fretta. Pochi secondi dopo la voce di Dapsl la raggiunse di nuovo come un secco gracidare. «Muovetevi. Solo gli schiavi non Addomesticati osano far aspettare i Loos. E i compratori sono tutti aristocratici d’alto rango, strettamente imparentati con l’Imperiale Loo-chim. Tutti in riga!»
Come se le parole dell’ometto fossero state un segnale anche per loro, i Loos avanzarono ad esaminare gli schiavi allineati, come ufficiali che passassero in rassegna una truppa. Ogni tanto, quando uno di essi faceva un pigro gesto di disgusto, le guardie scattavano avanti e afferravano uno o più schiavi, che venivano allontanati brutalmente.
«Rifiuti», sussurrò Daps. «Probabilmente puzzano, o sono sporchi e brutti, oppure appartengono a una razza che ai Loos fa schifo. Tenete in riga quei kaza-flatch di cani maledetti!»
Rheba ignorò le esortazioni dell’ometto, e al fianco di Kirtn attese che i Loos passassero davanti a loro. Erano vestiti con sfarzo e bizzarria, e i loro abiti scintillavano di pietre preziose. Le sarebbe piaciuto credere che quelle vesti denotassero una mentalità barbara, ma sapeva che invece erano individui fin troppo istruiti e sofisticati. Il loro era il tipo di lusso derivante da una società tecnologicamente molto avanzata.
La stupì notare che procedevano a coppie, e che ciascuna coppia era formata da un uomo e una donna così somiglianti da far credere che fossero gemelli. Intanto che gli strani individui le sfilavano davanti, con facce azzurrine contratte da un blando disprezzo per ciò che vedevano, non mostravano affatto interesse né simpatia, quasi che spregiassero di rivelarsi dotati di sentimenti umani versi gli schiavi. Impassibili i primi dodici transitarono davanti a loro quasi senza guardarli. Il tredicesimo era l’unico del gruppo a non essere accoppiato con una femmina, ma nel vederlo Rheba sussultò per la sorpresa.
«Jal!», esclamò, esterefatta. «Mercante Jal!»