Capitolo 4 GLI SCHIAVI DI LOO

L’immenso salone dove l’Imperiale Loo-chim teneva udienza era un locale poligonale completamente bianco, con alle pareti tendaggi che riproducevano forma e colore di cento cascatelle d’acqua. Un sottile ruscello gorgogliava in toni argentini, scorrendo attraverso tutta la sua lunghezza, cosparso di pietre simili a rubini e fiancheggiato da alte felci di cristallo. Immortali e senzienti, le felci erano una delle forme di vita facenti parte del Primo Popolo. Sembravano fremere nell’alito di una brezza rimasta nella loro memoria pietrificata, una brezza che era ormai solo un rimpianto in quella loro vita d’immobile schiavitù sul pianeta Loo. Le pietre di rubino immerse nella corrente emettevano lievi suoni armoniosi.

Rheba fu percorsa da un brivido. La malinconia emanata dagli esseri del Primo Popolo tenuti lì come ornamenti era una sorta di gelida carezza, che le sfiorava la pelle nuda. Ogni indumento le era stato tolto. Le sue braccia erano legate dietro la schiena da un laccio di plastica, all’altezza dei gomiti, e un’altra corda alle caviglie la costringeva a camminare a passi molto corti. Attorno al collo le era stato fissato un collare collegato a un guinzaglio, che non la stringeva molto ma era fornito di lamette affilate nella parte interna. E le striscie di sangue coagulato che le segnavano le spalle erano il risultato di movimenti troppo bruschi ai quali era stata costretta.

Dietro la ragazza era venuto a fermarsi Kirtn, anch’egli nudo. I cavetti di plastica che lo impastoiavano erano assai spessi, e irti di lunghe spine affilate. Più volte aveva cercato di allentarli gonfiando i muscoli, o di divincolarsi, e come solo risultato le spine gli si erano conficcate profondamente nella carne. Il sangue che gli inzuppava la peluria si stava seccando in croste e grumi. Anch’egli aveva il collare.

Mercante Jal, che reggeva i loro guinzagli, stava ora fissando un’enorme bolla di vetro che sorgeva là dove ci si sarebbe aspettati di vedere un trono. L’interno di essa era opacizzato da una specie di nebulosità, che vibrava e fluttuava. Nel salone non c’era nessun altro.

L’uomo dalla pella bluastra rivolse uno dei suoi sorrisetti ironici a due prigionieri. «L’Imperiale Loo-chim capisce l’universale, ma Lui-Lei non si abbassa ad ascoltare le chiacchiere di uno schiavo non Addomesticato. E io non voglio vederlo irritato, perciò mostratevi rispettosi e tacete, o sarà peggio per voi».

Rheba lo fissò in un silenzio così pieno d’odio che l’uomo agitò il guinzaglio, per ritorsione. Una nuova strisciolina di sangue rosso le uscì da sotto il collare.

«Apri le orecchie, cagna di una Liscia: sto per farti un favore, anche se non ci credi».

La ragazza sibilò alcune parole roventi nella sua lingua, natale, fremendo di rabbia.

«Altrettanto a te, qualunque cosa sia», rispose Jal. «Tuttavia cercherò lo stesso di non farti finire nel porcile dove sbattono gli schiavi comuni, la cosiddetta Fossa, da cui uno su dieci esce fuori vivo e Addomesticato. C’è il caso infatti che io riesca a farti acquistare dall’Imperiale, e se gli interessi ti farà mandare al Recinto del Loo-chim per essere Addomesticata. Mi hanno detto che lì ne sopravvive più della metà».

«E di Kirtn cosa ne sarà?»

«Oh, lui andrà al Recinto di certo. Il Polo Maschile dell’Impieriale Loo-chim si diverte ad allevare Pelosi, e talora li fa riprodurre, talaltra se li tiene come amanti. Io conto che gradisca dare una compagna a una certa Pelosa fornita d’una mascherina di peli dorati … Già, c’è proprio una femmina di questa razza, qui. E il Polo Maschile mi pagherà una bella cifra per il tuo amichetto. I collezionisti fanatici non badano mai a spese, lasciatelo dire da me che lo so bene».

La grande bolla vitrea cominciò a schiarirsi, e la nebbia vi turbinò qualche attimo ancora prima di sparire, ma nel suo interno i tre non videro che il vuoto. Poi le felci di cristallo vibrarono come diapason, producendo una nota lamentosa che venne echeggiata dalle pietre rosso rubino del ruscello.

«L’Imperiale Loo-chim», sibilò Jal. «In ginocchio, schiavi. Faccia a terra!»

Né la ragazza né il Bre’n fecero una piega, e furibondo Jal colpì una caviglia di Kirtn con un calcio. Cercarono di scostarsi, ma il guinzaglio li fermò, e strattonandoli spietatamente l’uomo li costrinse ad ubbidire. Sanguinando in abbondanza i due s’inginocchiarono, e imprecando il mercante cercò di farli mettere con la fronte a terra. Non ci riuscì del tutto, e questo gli causò un lieve imbarazzo di fronte alla strana coppia che s’era materializzata dentro la bolla di vetro.

Dopo aver mollato loro qualche altro calcio, l’uomo lasciò lenti i guinzagli ed eseguì un rispettoso inchino. Rheba e Kirtn restarono in ginocchio, per il momento paghi delle lacerazioni che gli tormentavano.

Con un gesto condiscendente il Loo-chim invitò Jal a parlare, ed egli si lanciò in un lungo discorso nella bizzarra lingua locale. Rheba fece cenno a Kirtn di non preoccuparsi per le sue condizioni e di stare calmo. Nessuno dei due sapeva ancora niente di quel pianeta, salvo che il loro destino sarebbe stato di conoscerne ben presto gli aspetti più brutali. Jal aveva detto loro soltanto che quella era la città capitale, Imperiapolis, e che il Loo-chim non era affatto una persona singola, sebbene lo si dovesse considerare tale. Si trattava infatti di una coppia: un uomo e una donna la cui unica differenza genetica stava nel cromosoma Y. Fisicamente erano uguali fra loro più di due gemelli identici, con la pelle sfumata d’azzurro chiarissimo e i capelli dello stesso colore, e li si poteva definire sessuati piuttosto che androgini. Non mancava loro una sorta di conturbante bellezza, sebbene coi vestiti indosso fossero indistinguibili anche dal punto di vista sessuale.

Al termine della sua tirata introduttiva, Jal sorrise e inferse ai due prigionieri un altro strattone.

Il Polo Maschile parlò per primo, con voce languida come la corrente del ruscello. Ciò che disse non parve giungere troppo gradito a Jal, che replicò qualcosa in tono rispettoso ma fermo. Ci fu una pausa di silenzio, di cui il mercante approfittò per rivolgersi a Kirtn:

«Il Polo Maschile dice che la Pelosa è la sua attuale amante, e non gli va di farla ingravidare da te. Mi dispiace».

Il Bre’n fissò la singolare coppia con una smorfia, stentando a comprenderne i processi mentali, poi si volse a Jal.

«E che ne pensa sua sorella di questa faccenda?»

«È più esatto definirla la sua sposa, anche se in universale manca il termine adatto. Comunque a lei non interessano gli svaghi sessuali del compagno, a patto che durino poco. E lei stessa ha i suoi».

«Scommetto che invece è gelosa», insisté Kirtn, notando certi piccoli gesti seccati del Polo Femminile. «E così, vero?»

«E che ne so? Il loro è un rapporto troppo complicato per me».

«Ma condivide la passione di lui per i … Pelosi?»

«Solo se sono di sesso maschile», fece Jal, secco.

Rheba colse una luce soddisfatta e allo stesso tempo crudele negli occhi del Bre’n. Innervosita si chiese cosa gli stesse passando per la testa, e si sentì fremere. Non era prudente per nessuno trovarsi troppo vicino a un Bre’n avido di vendetta.

In quel momento Kirtn le sussurrò un richiamo nel linguaggio fischiato. «Piccola Danzatrice, non aver paura. Io ti tirerò fuori da qui, anche se dovessero metterti nella Fossa».

La ragazza stava per rispondergli, ma d’un tratto Kirtn cominciò a fischiare più forte. Le sue note fluttuanti erano parole e musica allo stesso tempo, una musica dolcissima che vibrava e splendeva come il riflesso del sole sull’acqua. Era una canzone d’amore, vecchia e conturbante come le più leggendarie storie d’amore Bre’n, e prometteva gli eterni incanti è i piacere di due corpi che si uniscono come all’alba del mondo. Non era necessario conoscere la lingua per esserne subito affascinati.

Nella pelle di Rheba corse un brivido involontario, tanto fu intensa la sua reazione alla melodia. Come a tutti i bambini Senyasi le era già accaduto di sentirla, da piccola, ma sempre da lontano e sfumata sulle ali della brezza. E insieme ai suoi piccoli amici aveva sorriso e fatto domande proibite su quel che stava accadendo, domande di quando era troppo giovane per avere una risposta. Ma adesso non era più una bambina, e la canzone risuonava vicinissima a lei. Con uno sforzo cercò di ignorarne il significato, usando la concentrazione che era parte della sua disciplina di Akhenet.

La canzone sembrava però fatta apposta per spezzare astutamente quella disciplina, e travolse la sua volontà penetrando come una lama di luce in tutti i suoi nervi, con effetti sonori che agivano al livello dell’encefalo scatenando reazioni istintive. Per un istante la ragazza provò pena per il Polo Femminile, che stava sperimentando la verità del vecchio detto Senyas «Seducente come un Bre’n in amore». Mancava tuttavia l’eccitante controcanto femminile, che Rheba conosceva abbastanza bene, e per un attimo ella fu tentata di fischiarlo. A fermarla fu solo la constatazione che l’attacco sonoro di Kirtn era diretto ad agire sul Polo Femminile del Loo-chim.

Chiuse gli occhi. S’era perfino dimenticata della gravità della situazione e del dolore causatole dal guinzaglio, nell’ipnosi prodotta da quella melodia unica nel suo genere.

Con la coda dell’occhio il Bre’n notò l’atteggiamento afflitto della ragazza, ma fraintese i suoi sentimenti e fu dispiaciuto di quella reazione. Aveva quasi sperato che ella fosse ormai abbastanza adulta da capire la canzone, se non addirittura da rispondere col controcanto femminile. Il vederla inerte ed a capo chino lo deluse come se ella rifiutasse di lasciarsi influenzare dal suo affetto. Fino a quel momento era sempre stato attento a proteggere la giovane Danzatrice del Fuoco dagli aspetti della sensualità Bre’n, ed ora gli parve di averglieli rivelati un po’ troppo bruscamente. Ma era sempre meglio questo che finire nella Fossa, rifletté.

Jal aveva ascoltato l’inizio di quella canzone con un certo stupore, e pur senza opporsi aveva gettato occhiate impensierite al Loo-chim, poi sul volto gli era comparsa una smorfietta sprezzante. Ad uso esclusivo di Rheba mormorò alcune frasi, mentre l’altro fischiava.

«Solo quattro pianeti della Confederazione», disse, «sono abbastanza civili da proibire gli accoppiamenti misti fra Lisci e Pelosi, e Loo è uno di questi. Ma la perversa predilezione dell’Imperiale Loo-chim per i Pelosi è arcinota, e dà non poco scandalo, anche se a Lui-Lei questo non importa nulla. Però … beh, voglio ammettere che se i Bre’n sono bravi a letto come a fischiare, forse il Polo Maschile non ha tutti i torti a tenersi quella femmina Pelosa».

Rheba strinse i denti e cercò disperatamente di non sentire più nulla. Avrebbe voluto potersi tappare le orecchie.

La canzone terminò con una nota così lunga e vibrante che perfino le felci cristalline ne parvero influenzate. All’interno del globo vitreo il Polo Femminile rimase rigida come una statua azzurrina per qualche istante ancora, poi ebbe un movimento in avanti verso Kirtn che subito frenò. I due prigionieri intuirono che la sfera doveva essere soltanto una protezione contro eventuali attacchi da parte di schiavi non Addomesticati, ma non impediva certo il passaggio dei suoni.

La femmina era così uguale al maschio che Rheba non la distingueva assolutamente. Comunque fu lei che poggiò una mano sulla superficie vitrea e parlò in tono eccitato. Non ci fu bisogno della traduzione per capire che Kirtn aveva raggiunto il suo scopo, e che qualunque sorte lo attendesse almeno non sarebbe finito nella Fossa.

Poi il Polo Femminile staccò la mano dal vetro, volse lo sguardo su Rheba e considerò i suoi capelli d’oro, gli occhi cangianti, il suo corpo flessuoso e totalmente femminile. Il paragone fra lei stessa e la giovane Senyasi non dovette piacerle, perché schioccò le dita e con un gesto irritato comunicò a Jal di portarla via.

Deluso ma non troppo sorpreso il mercante si volse alla ragazza. «Al Loo-chim non sei apparsa gradita. Chissà, forse ha fin troppi esemplari del tuo tipo e già Addomesticati».

«E cosa occorre per essergli gradita?» Jal si strinse nelle spalle. «Solo Karenga lo sa. Su questo pianeta arriva già il meglio da tutta la Confederazione».

«Aspetta», lo fermò la ragazza, mentre lui già tirava il guinzaglio.

Rheba si volse a fronteggiare il Lui-Lei. Poi, come aveva fatto al casinò quando s’era scoperta capace di mutare i colori sullo schermo del Caos, inviò sulla superficie della sfera un’energia che divenne visibile in forme opalescenti. Ignorò la lieve sofferenza delle Linee di Potenza, che cominciavano a rifulgere d’oro sotto la pelle delle sue braccia legate, e creò figure multicolori che si sparsero sul globo come foglie smosse dal vento.

Il Polo Femminile ebbe un gesto sorpreso, quasi sdegnato, e fece un passo indietro. Disse qualcosa in fretta al Polo Maschile, che le rispose in tono garbatamente contrariato, e fra i due ci fu quello che sembrava un languido battibecco.

Jal si fissava le punte delle scarpe, e Kirtn ne approfittò per avvicinarsi a Rheba fino a sfiorarle una spalle. Poi si rivolse al mercante:

«Che cosa stanno dicendo?»

Jal apparve preoccupato. «Lei è gelosa della Pelosa di Lui. E Lui è geloso …,», diede un’occhiata a Rheba, «… del tuo Bre’n, ma doppiamente, perché non vuole fargli toccare la sua Pelosa, e neppure che vada a letto col Polo Femminile. Inoltre Lei è gelosa anche di te, a quanto pare, perché ha capito che fra te e Kirtn c’è un legame stretto».

A quella spiegazione Rhebà non seppe se mettersi a ridere oppure irritarsi ancor di più. Appoggiò una tempia contro una guancia di Kirtn,. in una carezza che le costò un’occhiataccia da parte del Polo Femminile.

«E in conclusione?» chiese, seccata dalle spiacevoli bramosie della pericolosa coppia.

«Aspettiamo che alla conclusione ci arrivi il Loo-chim», borbottò Jal.

Dopo un poco il Polo Femminile ebbe un gesto imperativo e schioccò le dita sotto il naso del compagno, che fece uno svogliato cenno di negazione. Ma Lei continuò a far schioccare le dita, rabbiosamente, finché l’altro ebbe l’aria di cedere. A questo punto il Polo Femminile indicò ancora a Jal di portare via la ragazza.

«Ti va male, Liscia», disse il mercante. «Vuole che tu sia portata nella Fossa. Andiamo».

«No!», disse Kirtn.

Il suo tono piatto e intenso al tempo stesso fu riecheggiato stranamente dalle felci del ruscello. Jal tirò il suo, guinzaglio, e il sàngue colò sulla pelle vellutata, ma i Bre’n non si mosse.

«Ascolta me, Peloso: se punti i piedi non può venirtene niente di buono», sospirò l’uomo, più scoraggiato che seccato. «Ringrazia il cielo di non essere tu quello che va nella Fossa».

Kirtn lo ignorò, e modulò una frase a Rheba in linguaggio fischiato: «Qualunque cosa io faccia, non mi contrastare».

Perplessa la ragazza sbatté le palpebre, e fischiò un assenso.

Il Bre’n si piantò allora davanti a Jal. «Fareste meglio a ucciderci tutti e due, qui e subito. Se veniamo separati, moriremo comunque».

L’altro mandò un mugolio. «Non farmi tanto il sentimentale, Peloso. Magari verserete qualche tremula lacrimuccia, ma poi vi farete dei nuovi amici. Così è la vita. Mamma non te l’ha insegnato, povero cuoricino?»

«Tu non capisci», ringhiò il Bre’n. «Le nostre due razze sono simbiotiche: senza il mutuo trasferimento di sostanze enzimatiche particolari, finiremo col morire».

Rheba fissò il compagno con uno scintillio di ammirazione negli occhi, e annuì con forza verso Jal. Ma questi ribatté:

«Non raccontarmi balle, amico. L’altra Pelosa non ha detto proprio nulla su questa storia della simbiosi. Né lei, né il ragazzino».

La ragazza scambiò un’occhiata delusa col Bre’n. Entrambi s’erano dimenticati di quel particolare. Subito però Rheba si mostrò sconvolta. «Vuoi dire … santo cielo! Avete separato il ragazzo della mia razza dalla donna Bre’n? Rispondi».

«Mi sembra di no, se ricordo bene», borbottò Jal. «Già … qualcuno ci ha provato, è vero, ma quella ha cominciato a dare in smanie».

«Forse che tu reagiresti diversamente, se vedessi che qualcuno ti sta condannando a una tortura infernale?», esclamò Rheba vivacemente. «È una cosa orrenda. È la morte più spaventosa della galassia!»

«Rheba», fischiò Kirtn. «Adagio con le bugie. Meno si sente, e meno si rischia d’essere colti in fallo».

Lei annuì d’appena, poi scosse le spalle. Osservando la reazione di Jal fu soddisfatta nel vederlo almeno pensoso.

«La galassia è un posto strano», mormorò il mercante. «E cose strane vi accadono. Chi sono io per negarlo? Ma … trasferimento di enzimi! Come può avvenire?»

Kirtn accostò il viso a quello di Rheba e fischiò piano: «Mi spiace, ma è tutto quello che ho saputo inventare». Poi aggiunse: «Ora non contrastare quello che faccio, piccola Danzatrice del Fuoco».

E prima che la ragazza capisse quali erano le sue intenzioni la baciò sulla bocca come un amante. Stupefatta lei non oppose resistenza. Nella prima gioventù trascorsa su Deva aveva conosciuto un poco il contatto fisico con ragazzi Senyasi, suoi compagni di gioco. Ma non aveva mai, neppure una volta, pensato al suo Mentore Bre’n come un maschio. E questo non per ingenuità, bensì per una sorta di blocco mentale: da quando Deva era stato incenerito, inconsciamente ella aveva fatto di tutto per non pensare a sé stessa come una femmina, quasi che volesse considerare morta anche una parte della sua anima.

Gentilmente Kirtn ritrasse le labbra, e nascose il suo struggimento nel vedere che la ragazza aveva reagito al bacio con l’immobilità di una statua. Si volse ancora a Jal: «Questo è il modo in cui avviene il trasferimento di enzimi», disse in tono piatto.

L’altro inarcò un sopracciglio. «Trasferimento di enzimi, eh? Dalle mie parti lo chiamano in un altro modo. Ma ogni giorno se ne impara una nuova».

Gli occhi di Kirtn divennero braci spente in cui si leggeva una promessa di vendetta. Non disse altro. Un po’ a disagio Jal gli volse le spalle e osservò il Loo-chim, come soppesando il rischio d’incorrere nella sua ira e la possibilità di vendergli due schiavi invece di uno soltanto. Sospirò e parlò ancora in tono suadente, ragionevole.

Né il Polo Maschile né il Polo Femminile parvero apprezzare quel che aveva detto. Il Lui-Lei fissò i due schiavi, poi Jal, e quindi sé stesso. Poi Lui parlò con un sorrisetto acido, e subito dopo Lei aggiunse qualcosa con identico tono ed espressione del viso. Infine ambedue mossero una mano in gesto di congedo. Jal s’inchinò rispettosamente.

La sfera di vetro si riempì di nebbia turbinosa, e quando questa si dissolse la coppia era scomparsa. Le felci emisero una nota cristallina simile a un sospiro di sollievo, e perfino il ruscello sembrò scorrere con maggiore vivacità. Lo sguardo di Mercante Jal rivelava una certa soddisfazione, e palleggiò fra le mani i due guinzagli sorridendo.

«Il Loo-chim è generoso», disse. «Talvolta è indeciso fino all’esasperazione, ma generoso. Se voi due sopravviverete al Recinto, l’Imperiale riprenderà in considerazione questa storia degli enzimi e della vostra separazione. Potete ringraziare me, per questa possibilità».

«Sei così carogna che non riesco neppure a odiarti», mormorò lei.

Rheba era però meno spaventata di prima. Si accostò a Kirtn e gli poggiò la fronte su una spalla, come a fargli capire che era molto contenta di poter stare con lui e che il resto non contava.

«Sei ancora lontana dall’essertela cavata», disse Jal. «Prima dovrai sopravvivere all’Addomesticamento, poi dovrai trovare un’Azione. Il Loo-chim non ha alcun tipo d’impiego per te, ma se mostrerai qualche abilità particolare forse ti troverà un posto nella Concatenazione».

Vedendola quasi indifferente il mercante ebbe un gesto seccato e continuò: «Se t’illudi di farcela ripetendo lo scherzetto che hai usato al Caos, toglitelo dalla testa. Qui ci sono allievi illusionisti che sanno fare assai di meglio». La sua voce s’indurì. «Ma se sopravviverai all’Addomesticamento, manderò io qualcuno ad aiutarti per l’Azione».

Rheba gli rivolse una smorfia sprezzante, tuttavia l’altro era un esperto nel leg’gere i pensieri sulla faccia degli schiavi.

«Non sei fortunata, cagnetta Liscia. Il Polo Maschile ha comprato il ragazzino della Pelosa, e quello che il Loo-chim ha, nessuno può levarglielo. Eri venuta per liberarlo, e tutto ciò che hai trovato qui è stato una catena da schiava intorno al collo».

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