Capitolo 24 LA FURIA ARDENTE

I primi momenti del rez furono ingannevolmente lisci e quieti, come l’iniziale fremito sotterraneo di un terremoto è appena il vago presagio della violenza che s’avvicina. Nella mente di Rheba nacquero immagini inspettate, che non le appartenevano, immagini di sé stessa vista attraverso gli occhi di Kirtn e appartenenti al passato.

Era una bimbetta ai suoi primi passi, e con un gridolino di esultanza riusciva a dar fuoco a una pagliuzza. Era una bambolìna bionda di sette anni, e danzava graziosamente intorno a sette candeline, accendendole con un semplice tocco delle dita. Era una fanciulla diciassettenne, i suoi capelli scintillavano leggiadri sotto i raggi di un sole straniero mentre passeggiava su un tappeto di foglie autunnali, e d’improvviso si voltava a sorridere.

Era una figura china sui comandi del Devalon, un istante prima di balzare in overdrive, gli occhi fissi allo schermo dove campeggiava uno dei tanti mondi che avevano visitato. Era una ragazza alta e splendida nella sua nudità, le braccia levate a costruire nell’aria figure d’energia. Era una Danzatrice del Fuoco che cantava dolcemente una canzone Bre’n, avvicinandosi a Kirtn fino a sfiorarlo, la bocca socchiusa levata verso la sua.

Era una figura in catene distesa su un gelido pavimento, e Fssa rotolava inerte fuori dai suoi capelli.

E poi il rez che scaturiva dalla mente di lui passò attraverso il suo corpo con la violenza di una stella in esplosione. Qualcosa che era come una cascata di metallo fuso bruciò nella sua mente sconvolta. Le catene che aveva ai polsi emisero una vibrazione ultrasonica.

Gridando e contorcendosi ella deviò il rez come avrebbe respinto su nell’alta atmosfera la furia infuocata di una stella in esplosione, se fosse stata ancora sulle postazioni insieme agli altri Danzatori del Fuoco di Deva. Ma era troppo sola e troppo giovane, contro quella furia ardente. E lui era un Bre’n in preda al rez.

Bruciami! Bruciami in cenere e fuggi!

L’energia libera e incontrollata stava costruendo selvagge forme di luce nell’interno della cella. Colori impossibili e ombre nate dal nulla lottavano sulle pareti di pietra. Rheba cercò di riassorbirla e incanalarla verso l’obiettivo, e sentì un odore aspro di bruciato, ma non era la carne a mandarlo. Lei non lo avrebbe permesso.

Bruciami o morirai!

Io non voglio!

Urlò ancora fino a stordirsi. I suo capelli erano una corona di fuoco che le aleggiava intorno alla testa, e l’aria si stava riscaldando come se nella cella divampasse un incendio. Le mancava il fiato. Sotto i suoi piedi nudi il pavimento era caldo, e sui muri s’inseguivano rivoli di lingueggianti energie multicolori.

Bruciami!

Mai!

Il suo grido si perse, sovrastato da quello di Kirtn che il rez faceva echeggiare come un ululato ininterrotto. Strani fantasmi si formavano nel fumo che nasceva dalla porta, e l’energia del suo fascio ardente le ritornava addosso da tutte le direzioni, riflessa dalle pareti. La sua pelle lampeggiava, palpitando a un ritmo insostenibile. Nuove Linee di Potenza si formavano e crescevano in rapidi istanti, create dallo sforzo terribile che stava facendo per non morire, per togliere energia al Bre’n e incanalarla nel fascio. Assorbire e incanalare … assorbire e incanalare…

Bruciami!

Rheba non rispose. Non poteva. La cella era un inferno dove luce e calore le davano l’allucinante impressione che lo spazio si restringesse a chiuderla, a soffocarla. Dovevano uscire da lì, pensò: andar via o bruciare, respirare o morire. Anelava a una via di fuga, a una fessura da cui strisciar fuori per raggiungere l’aria fresca e pura, a un luogo dove non vi fossero la furia Bre’n e la paura che tutto annientava.

Qualcosa che aveva l’aspetto di un rettangolo arancione fumava e scintillava di fronte a lei. Metallo, comprese: il battente della porta riscaldato al calor giallo. Dietro le sue spalle c’era solo il rez, che stava uccidendo lei e l’uomo che amava in un solo furoreggiare di energia libera.

Dovevano fuggire.

La porta doveva fondersi e cedere.

Non c’era altra via che quella.

Bruciami!

Con la parte ancora lucida della sua mente Rheba capì che era necessario smetterla di difendersi da tutta quell’energia, per usarla fino all’ultima particella contro la porta. Appena la sua mente fu salda intorno a quel concetto irrigidì le braccia puntate in avanti, e il raggio che divampò dalle sue mani divenne ardente come il cuore di una stella. Il battente assunse un colore bianco nella zona centrale, e nel vederlo si concentrò in quel punto. L’aria era quella di una fornace. Il rez scivolava fuori da Kirtn e dentro di lei, percorrendo come fiamma le sue braccia alzate. Il suo corpo era una cosa che soffriva, un intreccio di cavi elettrici in cui fluiva l’alta tensione.

Il riflesso del calore la costrinse a chiudere gli occhi. Premette la schiena contro il petto di Kirtn. Solo i campi magnetici delle sue Linee di Potenza la stavano proteggendo dai bagliori della porta in fusione, ed a sua volta ella riparò il compagno come poteva.

Ma il calore era eccessivo, e l’aria praticamente irrespirabile. Quant’era spesso quel battente? Quanto avrebbero resistito due esseri di carne e sangue prima di bruciare? Il rez poteva fare di loro cenere nera dopo averli uccisi, era energia Bre’n fuori controllo, era morte. Ma un bel po’ di quell’energia ella l’aveva già estratta a forza da lui dirottandola altrove, usando il suo corpo come una batteria e il proprio come una pistola a raggi puntata sul bersaglio. Doveva farcela.

A occhi chiusi continuava a vedere la porta nitidamente, simile a un rettangolo la cui luce bianca le attraversava le palpebre, un oggetto che la stava bruciando viva. In quell’istante si accorse di non avere più le catene addosso. Possibile che la loro lega metallica si fosse sgretolata assorbendo da lei un eccesso di calore? Ma questo non importava più, perché sentiva che fra poco avrebbe ceduto.

Poi nella luce bianca si aprì un foro scuro i cui bordi si allargavano rapidamente. Un sibilo d’aria invase la cella colma di fumo, e ruscelli di metallo fuso formarono al suolo una pozza incandescente. La porta aveva ceduto prima di lei.

In pochi istanti, per un motivo che ella non poté capire, l’atmosfera si raffreddò e ondate di aria respirabile penetrarono fino a lei. Il metallo colato presso il vano della porta si stava solidificando con incredibile rapidità, e divenne una massa scura. Gli effetti di luce si spensero, ed ella sentì che non c’era più energia da incanalare. Barcollò indietro e urtando nel muro lo sentì appena tiepido. Il buio teneva ad addensarsi intorno a lei.

Anche nella sua mente c’era tenebra, d’altro genere ma non meno intensa. Sfibrata scivolò al suolo e la sua caduta fu ammortizzata da qualcosa di morbido: il corpo di Kirtn. Il Bre’n era immobile e del tutto inerte. Ricordando di aver risucchiato da lui energia con la stessa rapidità con cui il rez la produceva, Rheba ebbe la certezza agghiacciante di averlo ucciso.

Lo chiamò con voce rauca, cercò di scuoterlo per capire se era vivo o morto, poi le forze la abbandonarono e giacque sopra di lui. Dopo un poco si riprese abbastanza da rotolare di lato, e lo sfiorò ansiosamente. Le sue mani le dissero che era ancora tutto intero, con la peluria bruciacchiata qua e là ma il cuore sempre in movimento. Gli carezzò il volto ansimando il suo nome come una preghiera.

Quel gesto le consentì di vederlo, perché le Linee di Potenza che ancora brillavano trasformavano le sue braccia in fonti di luce aurea. Anche il resto del suo corpo emanava un’identica luminosità, stupefacente e più intensa di quanto avesse visto su altri Danzatori del Fuoco. Seppe solo pensare che quell’incredibile arabesco di nuove linee le avrebbe dato molto prurito, poi i suoi sensi sfumarono nell’incoscienza.

Più tardi Kirtn riaprì gli occhi, e ciò che vide furono le linee dorate di Akhenet della ragazza risaltare nell’oscurità. Quando ebbe messo a fuoco lo sguardo su di lei, la sua mente lottava ancora contro un fatto incomprensibile quanto evidente: era vivo.

«Ma che cosa …» Tossì raucamente, poi fischiò: «Cos’è successo?»

«Eri andato in rez». Lei girò il volto a fissarlo. «Io ho danzato. Io … non so perché non siamo morti».

Sbigottito Kirtn le sfiorò la fronte e le guance. Sotto le sue dita le Linee di Akhenet pulsavano come una fitta maschera d’oro, al punto che la ragazza gli parve una persona diversa e irriconoscibile.

«Tu hai controllato il rez?», chiese sapendo che la domanda stessa era assurda. Ma non più assurda del fatto che lui era ancora vivo.

Quando Rheba tentò di rispondere, aveva la gola così secca che non ci riuscì. Poté solo stringersi a lui con un lieve gemito. Avrebbe voluto dirgli quanta paura aveva avuto, parlargli delle strane immagini che s’erano create in lui, del terribile fiammeggiare dell’energia contro cui aveva lottato, e del modo in cui l’aveva deviata verso la porta per evitare che distruggesse entrambi. Ma non ebbe la forza di aprir bocca.

«Un raggio laser di luce coerente … e tale da fondere lastre di acciaio spesse un palmo!», ansimò quasi Kirtn. Le carezzò i capelli crepitanti di energia. «Ma che demonio di Danzatrice del Fuoco mi sono trovato?»

Il suo fischiare era nitido, e conteneva le armoniche dello stupore che si scioglie alla rivelazione della verità. Non meno meravigliata Rheba s’accorse che il compagno aveva risposto ai suoi pensieri, captando quelle immagini dal suo cervello, quasi che l’accaduto avesse costruito un legame telepatico fra le loro menti.

«Hai sentito i miei pensieri … È stato il rez a fare questo?»

«No». La baciò dolcemente sulle labbra. «Molte coppie di Akhenet sono anche Danzatori della Mente di tipo inferiore. Ma solo quando sono adulti, e unicamente fra di loro, nei momenti in cui si toccano».

Sui loro corpi aleggiavano ancora correnti d’aria, e dai tunnel della prigione arrivava il freddo. Si alzarono a sedere, sorreggendosi a vicenda, e videro che in un angolo della cella qualcosa emetteva luce. Poi l’oggetto si srotolò, scivolando sul pavimento verso di loro, e sbalorditi riconobbero Fssa. Le sue scagliette rilucevano come specchi.

«Fssa!», gridò Rheba. «Santo cielo, sei vivo. Come stai?»

«Sssto benissimo!», sibilò il serpente, con un trillo di esultanza. Le sue scaglie sembravano cromate. «Nessun Fssireeme ha mai vissuto un’esperienza simile, dai tempi di Ssimmi … Mi sentivo come se nuotassi nel calore e non ero mai sazio di assorbirlo. Ero felice. Per così tanti anni ho avuto freddo. Tutti noi Fssireeme abbiamo sempre sofferto un po’ di freddo, da quando la nostra razza ha lasciato Ssimmi».

«Credo anch’io che ti sia scaldato ben bene», osservò Rheba.

«Era anche mio dovere. Quando ho capito che tu soffrivi il caldo, ho cominciato a nutrirmene. L’ho risucchiato via dall’aria, e specialmente da quel metallo fuso laggiù».

Rheba scambiò con Kirtn uno sguardo perplesso. Se era vero, questo spiegava il brusco e provvidenziale raffreddamento del locale.

«Aaaah!», esclamò il serpente. «È stato così bello che non mi sembrava vero. Sapete, finché non è veramente caldo noi Fissreeme sopportiamo e tiriamo avanti. Ma quel fuoco che tu hai fatto è stato fantastico. Piuttosto … devi star attenta a non esagerare, in posti così ristretti. Tu sei fragile, e non sempre ti capiterà d’avere accanto uno Fssireeme che ti protegga dal calore».

Rheba riuscì a ridere malgrado avesse la gola arida da far male. Lo tenne lontano con un gesto. «Fermati, serpente. Non vorrai venirmi fra i capelli, e dopo aver assorbito tutta quell’energia. È meglio che te ne lìberi, o dovrai seguirmi strisciando».

Per emettere il calore che aveva risucchiato nel suo corpo, lo Fssireeme fu costretto ad uscire dalla cella. Gli altri due sentirono provenire ondate d’aria calda dalla sala esterna, e poco dopo quando il serpente rientrò Rheba lo toccò per accertarsi che non scottasse. Fu mentre se lo rimetteva fra i capelli che tornarono a mancarle le forze, e Kirtn dovette sostenerla.

«Sono stanca morta, e ho sete», ansimò, appoggiandosi a lui ad occhi chiusi.

Kirtn tentò di trasmettere in lei un po’ della sua energia psicofisica, ma s’accorse che il rez l’aveva lasciato esausto. Erano entrambi fuori combattimento, distrutti dalla fatica, tuttavia non potevano restare lì.

«L’Azione», mormorò Rheba. «Da quanto tempo siamo qui?»

Kirtn aveva perso la cognizione del tempo e non rispose. Era impossibile sapere se la mezzanotte era ancora lontana, o se la rivolta era già scoppiata da un pezzo. Forse da lì a poco sarebbero scese nella prigione, delle guardie, per rinchiudervi qualche ribelle catturato. Sé fossero stati sorpresi, sfiniti com’erano, sarebbero stati due facili prede.

«Dobbiamo andare», stabilì il Bre’n. — Vacillando raggiunsero la porta, alla base della quale il battente metallico era una massa, appiattita ricoperta da una crosta fredda. Fuori c’era il buio, ma Rheba non tentò neppure di creare un po’ di luce. Non ce la faceva, così come non sarebbe riuscita a recitare sulla scena dell’Azione, né di attraversare la città per raggiungere la libertà con le sue gambe.

«Ho bisogno di energia», disse.

«Lo so. Ma dove puoi trovarne? Non nella zona chiusa, e neppure all’anfiteatro».

«Dimentichi il campo di forza. Devo prendere energia da quella sorgente, o tanto vale sdraiarci a terra e lasciarci uccidere».

Kirtn tacque, ma aveva stretto i denti. Se avessero voluto fuggire da Loo avrebbero dovuto rischiare la vita dell’unica persona che poteva dare figli a Rheba, perché la cupola dell’anfiteatro non sarebbe stata attivata che in caso di maltempo.

E ciò significava che Lheket avrebbe voluto danzare.

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